DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (21)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (21)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO NONO (1)

Elevazione alla Trinità

(Commento)

« O miei Tre, mio Tutto, mia Beatitudine,

Solitudine infinita, Immensità

in cui mi perdo… ».

O mio Dio, Trinità che adoro…

Guardare un’anima che prega, è sorprenderla nel momento della sua maggiore intimità con Dio, come il Sacerdote all’altare. L’orazione è la sintesi di un’anima: quale la preghiera, tale la vita. Tutto il genio dottrinale di un san Tommaso d’Aquino rifulge nel suo « Ufficio del santissimo Sacramento ». Lo stesso Verbo Incarnato non si sottrae a questa legge della nostra psicologia umana; e la sua « preghiera sacerdotale » è la suprema rivelazione del suo Cuore: Cuore di Cristo. Nulla manifesta meglio il suo amore per il Padre e la sua carità redentrice per i fratelli, quanto il movimento circolare di quest’Anima che parla al Padre della sua gloria e della consumazione di tutti nell’Unità: vi è tutto il suo mistero di « Cristo ». Così è della preghiera dei Santi. Suor Elisabetta della Trinità non ha scritto, come la santa Madre Teresa, un trattato sull’orazione; ma la sublime preghiera: « O mio Dio, Trinità che adoro… », ci dà la testimonianza più ricca sulla maniera tutta Carmelitana di concepire la vita di orazione: una comunione incessante con la Trinità. « La preghiera non consiste in una determinata quantità di orazioni vocali che ci si impone di recitare ogni giorno; ma in un’elevazione dell’anima a Dio, attraverso tutte le cose, la quale ci stabilisce in una specie di comunione continua con la Trinità Santa, semplicemente facendo tutto sotto il suo sguardo » (Lettera a G. de G… – Febbraio 1905.). Composta d’un sol getto, senza la minima correzione, in un giorno in cui tutto il Carmelo rinnovava i voti, questa preghiera è la sintesi della vita interiore di suor Elisabetta. I tratti essenziali della sua anima vi si ritrovano perfettamente delineati: la grande devozione della sua vita: la Trinità — la forma propria della sua vita di orazione: l’adorazione — la sua tenerezza appassionata per il Cristo « amato fino a morirne, amato sulla croce — infine lo slancio irresistibile verso i « Tre », « sua beatitudine, suo tutto, solitudine infinita in cui l’anima si smarrisce ». Non vi è nominata la Madonna, ma Essa c’è, lo si sente dalla stessa data autografa: novembre 1904, festa della Presentazione. Vi manca soltanto — e questo è da notare — l’eco dell’ascesa suprema: gli ampi orizzonti della sua vita di « lode di gloria » le sono ancora ignoti. Di fronte ad una tale preghiera, una delle più belle del Cristianesimo, abbiamo esitato a lungo, prima di arrischiarci ad un commento, provando qualche cosa di simile all’imbarazzo che deve provare l’esegeta o il teologo in presenza della preghiera sacerdotale di Cristo. Tutti gli umani commenti esegetici o teologici, per quanto sublimi siano, dispereranno per sempre di poter giungere ad esprimere la semplicità tutta divina dell’ultima preghiera di Gesù per l’unità: « Ut unum sint…» (S. Giov. XVII, 21). Ma abbiamo pensato alle tante anime contemplative per le quali questa elevazione alla Trinità è divenuta una delle preghiere più care, e costituisce tutto un programma di vita interiore in cui trovano il segreto dell’oblio di sé. Una Carmelitana ci scriveva: « Ognuna di queste parole mi introduce nell’orazione; è una preghiera che raccoglie la mia anima quanto i più sublimi trattati di mistica ». Avendo studiato molto da vicino, e per degli anni, quest’anima privilegiata, forse il commento che intraprendiamo sarà di qualche utilità per farne penetrare il senso vero e così profondo. Senza volere imporre al movimento di quest’anima essenzialmente contemplativa delle divisioni troppo rigide, mi sembra che si potrebbero distinguere in questa preghiera cinque aspetti principali:

1° – Un primo slancio spontaneo dell’anima verso quella Trinità che è divenuta il tutto della sua vita: « O mio Dio, Trinità che adoro… ».

2° – La descrizione del clima spirituale in cui si muove la sua vita contemplativa al centro dell’anima, in una atmosfera di pace immutabile: «Pacifica l’anima mia… ».

3° – Un movimento di tenerezza appassionata verso il suo Cristo « amato fino a morirne ». Le parole si incalzano, esprimendo, nel ritmo accelerato, l’impeto dei sentimenti un’anima il cui ideale ardentemente vagheggiato è di essere immedesimata con tutti i movimenti dell’anima di Cristo: « O mio Cristo adorato… ».

4° – Poi l’invocazione subitanea e successiva a ciascuna delle Tre Persone divine verso le quali è protesa la sua vita: « O Verbo eterno… O Fuoco divorante… E tu, o Padre… ». Si indugia soprattutto nel Verbo, più accessibile per la Sua Incarnazione ai nostri occhi di carne, con l’anima affascinata da questo « Verbo eterno, Parola del suo Dio ». Lo « Spirito d’amore» pure è invocato, ma perché compia in lei quasi una incarnazione del Verbo, ed essa sia per Lui un prolungamento di umanità nella quale il Padre possa ritrovare il volto di Cristo « in cui ha posto tutte le sue compiacenze ». Cristo è veramente al centro di questa sua preghiera, come tutta la sua vita.

5° – Un grido finale con cui si compie questa invocazione alla Trinità. Il tema dell’inizio: « O mio Dio, Trinità che adoro…» viene ripreso dalla sua anima di artista, ma ripreso con uno sviluppo ampio, con un largo movimento ritmico che trasporta definitivamente l’anima negli abissi della Trinità: « O miei Tre…, io mi abbandono a Voi come una preda!… ».

I.- O mio Dio, Trinità che adoro.

« O mio Dio! ». L’anima sua va dritta, non alle perfezioni divine, ma all’essenza, sorgente di tutti gli attributi; a Dio stesso. « Trinità! ». Non il Dio dei filosofi e dei sapienti, ma il Dio dei Cristiani e dei mistici: Padre, Verbo, Amore. Altre anime saranno più particolarmente attirate verso il Padre, come una santa Caterina da Siena, per esempio; o verso il Figlio quali una santa Geltrude, una santa Margherita Maria; oppure verso lo Spirito Santo; e la Chiesa le legittima tutte, queste forme di preghiera, poiché anch’Essa, nella sua liturgia, si rivolge ora al Padre, ora al Figlio, ora allo Spirito Santo. Il culto è indirizzato alle Persone che, nella Trinità, rimangono infinitamente distinte. Un san Tommaso d’Aquino poi, da vero teologo, rivolgerà particolarmente la sua devozione alla « Trinità nell’unità », raccogliendo in una formula sintetica tutta l’essenza del mistero. Suor Elisabetta della Trinità non è tanto colpita da questo aspetto intimo del mistero in se stesso, quanto invece occupata a scoprirvi il termine beato ed esplicito della sua vita di unione: « La Trinità: ecco la nostra dimora, la nostra cara intimità, la casa paterna donde non dobbiamo uscire mai » («Il paradiso sulla terra » – 1° orazione.). Bisognava sentire con quale accento di tenerezza, premendo le mani sul cuore come su di una presenza amata, ella parlava dei suoi « Tre! »: « Amo tanto questo mistero! È un abisso nel quale mi perdo ». « Che adoro!…». L’adorazione è la forma propria di questa vita di adorazione. Essa ama l’atteggiamento dei beati nella Città eterna, descritto negli ultimi capitoli dell’Apocalisse: « Si prostrano e adorano, gettando palme dinanzi al trono dell’Agnello ». Con questa forma principalmente adoratrice della vita di orazione, quanto siamo lontani da quella moltitudine di anime mendicanti che sembrano non accostarsi a Dio che con la mano tesa per ricevere! Da vera contemplativa che possiede il senso di Dio, ella, prima di tutto, gli rende omaggio in ragione delle di Lui perfezioni senza limite o, secondo la sua formula prediletta, « a causa di Lui stesso ». La sua anima religiosa si esprime con tutta naturalezza nell’atteggiamento che è il più fondamentale dinanzi a Dio: l’adorazione. La preghiera di supplica considera l’indigenza bisognosa di aiuto, il ringraziamento serba uno sguardo sui benefici ricevuti, l’espiazione è unita al ricordo dei peccati commessi; soltanto l’adorazione contempla Dio in se stesso, nell’eccellenza increata della sua Essenza e delle sue Persone. Dinanzi alla gloria del suo Dio, l’anima dimentica tutto: « L’adorazione è l’estasi dell’amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’oggetto amato » (Ultimo ritiro – VIII giorno.). « Aiutami a dimenticarmi interamente». Il grande ostacolo della Carmelitana e di ogni anima contemplativa in generale, è il proprio io. « L’amor proprio non muore che un quarto d’ora dopo di noi », diceva sorridendo san Francesco di Sales, e i Santi hanno sferrato le loro più tremende battaglie contro se stessi per la distruzione di questo « io » così tenace. Del resto, non deve meravigliarci che persista così ostinatamente anche nelle grandi anime, anche in quelle da Dio predilette, fino al giorno in cui piaccia al Maestro, per una grazia tutta gratuita, di liberarle per sempre. Suor Elisabetta della Trinità, che Dio aveva destinato per vocazione speciale ad essere modello e patrona delle anime interiori, doveva imparare con la propria esperienza quale sia il grande scoglio di queste anime che Dio vuole profondamente raccolte in se stesse, per vivervi di Lui solo. La sua vita spirituale, per lungo tempo, fu ingombrata dal suo povero « io ». Ne soffriva. Ma nulla riusciva a liberarla. Questa liberazione sovrana dell’anima non può essere che il trionfo della grazia e uno degli effetti supremi dei doni dello Spirito Santo. Non a caso, dunque, ma sotto l’impulso di un pensiero che sempre l’assilla nell’intimo, ella, fin dalla seconda frase di questa preghiera sublime, ricade sopra di sé, ultimo gemito di un « io » che non tarderà a morire; « Aiutami a dimenticarmi interamente ». Tre giorni dopo la composizione di questa preghiera, tornava sullo stesso pensiero: « I Santi, quelli sì, avevano capito la vera scienza; la scienza che ci fa uscir da tutto e principalmente da noi medesimi, per slanciarsi in Dio e non farci vivere che di Lui » (Lettera alla signora A… – 24 novembre 1904). « Interamente…» . Comprendiamolo bene: « dimenticarsi interamente ». Non essere arrestati più da niente nello slancio verso Dio, né dagli avvenimenti esteriori, né dalle vicissitudini interiori… Suor Elisabetta della Trinità mira alto: si tratta di giungere a quella trasformazione in Cristo, che san Paolo esprime con formula ardita: « Non vivo più io, ma Cristo vive in me ». Quale oblio di sé, richiede! Quale morte! Il grande santo scriveva ai Colossesi: «Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio ». Ecco la condizione: bisogna essere morti. Altrimenti, si può essere nascosti in Dio ogni tanto, ma non si vive abitualmente in questo Essere divino; perché la sensibilità e tutto il resto vengono a ricondurci fuori. L’anima non è tutta intera in Dio » (Ultimo ritiro – VI giorno). E ancora: « Mi sono isolata, separata, spogliata di tutto e di me stessa, tanto nell’ordine naturale che nell’ordine soprannaturale, anche riguardo ai doni di Dio; perché un’anima che non sia morta a se stessa, libera del proprio io, sarà per forza, in certi momenti, banale e umana; e ciò non è degno di una figlia di Dio, di una sposa di Cristo, di un tempio. dello Spirito Santo » (Ultimo ritiro – X giorno.).  – « Aiutami! ». Questa sovrana liberazione, nei Santi, è il trionfo supremo della grazia sulla natura. E suor Elisabetta della Trinità implora umilmente: « Aiutami! ». Noi sappiamo che Dio esaudì la preghiera della sua umile serva. Un anno dopo, poteva scrivere ad un’amica: « Vi pare che sia tanto difficile dimenticarsi? Se sapeste … invece, come è semplice! Ve ne confiderò il segreto, il mio segreto: pensate a quel Dio che abita in voi e di cui voi siete tempio. Ce lo dice san Paolo, possiamo dunque crederlo. A poco a poco, l’anima comprende che porta in sé un piccolo cielo dove il Dio d’amore ha stabilito il suo soggiorno, e si abitua a vivere nella sua dolce compagnia. Allora respira in un’atmosfera quasi divina; anzi, non è sulla terra che col corpo, e l’anima sua abita in Colui che è l’Immutabile. Ed eccone anche il metodo: non certo guardando e riguardando la nostra miseria, saremo purificate, ma guardando Colui che è la stessa purezza e santità » (Lettera alla signora A… – 24 novembre 1905.). « Per fissarmi in Te…». L’anima interamente sciolta da se stessa e giunta sulle purissime vette della montagna del Carmelo, entra definitivamente nel ciclo della vita Trinitaria: è stabilita in Dio. Questa intimità con Dio era divenuta così familiare a suor Elisabetta della Trinità, che le sembrava Egli stesse per comparire, da un momento all’altro, nel giro degli ampi chiostri: «Dio in me e io in Lui, oh! è la mia vita ». « Immobile e quieta, come se l’anima mia già fosse nell’eternità ». È uno dei frutti di questa spiritualità contemplativa; rapire l’anima alle sue preoccupazioni meschine ed a se stessa per fissarla in un’atmosfera di eternità. Ogni anima cristiana non dovrebbe considerarsi in esilio sulla terra? poiché la grazia del Battesimo ha deposto in lei il germe di quella esistenza immutabile, ed essa già vive per mezzo della fede, nella luce del Verbo. C’è una parola, nel Credo, ineffabilmente profonda, che esprime bene l’atteggiamento fondamentale di ogni anima di fede di fronte a questo mondo che passa: « Exspecto, attendo la vita eterna ». (Questo presentimento di eternità diveniva sempre più dominante, nell’anima della serva di Dio, a mano a mano che gli anni passavano. L’anima sua abitava già tutta quanta nell’al di là, invisibile, ma tanto vicino. Negli ultimi mesi, si udiva mormorare: « Egli non mi parla più che di eternità ». « Immobile e in pace… ». La pace occupa un posto di capitale importanza in questa dottrina spirituale; suor Elisabetta vi ritorna per tre volte nella sua breve preghiera: « Immobile e in pace come se la mia anima già fosse nell’eternità ». — « Che nulla possa turbare la mia pace ». — « Pacifica l’anima mia ». Questa pace che supera ogni senso non viene dalla terra, ma ha la sua origine in un attributo divino: « Nulla possa farmi uscire da Te, o mio Immutabile ». Sant’Agostino ce ne ha lasciato una definizione celebre: « Pax est tranquillitas ordinis: la tranquillità dell’ordine ». La pace spirituale è un’armonia delle potenze dell’unità, è la fusione dei loro sforzi verso un unico fine. Ha per principio Dio amato in tutto e al di sopra di tutto. I teologi lo sanno che la pace è uno degli effetti interiori della carità; sanno che in una anima tutta ordinata a Dio, regna la pace. Suor Elisabetta della Trinità ce ne ha dato delle spiegazioni conformi: « È fare l’unità in tutto il proprio essere per mezzo del silenzio interiore; è raccogliere tutte le proprie potenze per occuparle nel solo esercizio dell’amore » (Ultimo ritiro – II giorno.). « Se i miei desideri, i miei timori, le mie gioie o i miei dolori, se tutti i movimenti che derivano da queste quattro passioni non sono perfettamente ordinati a Dio, vi sarà del rumore in me e io non avrò la pace. Occorre dunque la quiete, il sonno delle potenze, l’unità dell’essere » (Ultimo ritiro – X giorno.). Allora, l’anima non ha più da temere i contatti esterni né le difficoltà interiori » (Ultimo ritiro – II giorno.), poiché « essendosi, la sua volontà, perduta nella volontà di Dio, le sue inclinazioni, le sue facoltà, non si muovon più che in questo amore e per questo amore» (« Il paradiso sulla terra » – 7° orazione.). « Le cose, lungi dall’esserle un ostacolo, non fanno che radicarla più profondamente nell’amore del suo Maestro » (Ultimo ritiro – VIII giorno). Nell’unità delle potenze tutte per Cristo vigilate e custodite, regna la pace immutabile. « Che ad ogni istante io mi immerga sempre più nelle profondità del tuo mistero ». Si rivela, in questa invocazione, l’anima ardente della santa Carmelitana, il suo desiderio di realizzare ogni giorno di più il perché fondamentale di ogni vita religiosa: tendere alla perfezione. Questa preoccupazione amorosa del più perfetto, che santa Teresa aveva fatto oggetto di un voto speciale, si ritrova nella sua figliola ad un grado eminente. È — perché non confessarlo? — l’impressione dominante che risulta in noi dai molti anni di contatto con suor Elisabetta della Trinità, è la rapidità, continuamente accelerata, del suo slancio verso Dio. Una Carmelitana di Digione che era con lei in grande intimità e della quale la serva di Dio diceva: « Noi siamo come le due parti di un’unica dimora », ci ha dichiarato che soprattutto la fine della sua vita durante gli ultimi otto mesi di infermeria fu un’ascesa ammirabile: « Non riuscivamo più a seguirla ». Ed ecco, allora, farsi per noi più luminosa questa frase che esprime così bene la sua avidità di perfezione sovrana: « Che, ad ogni istante, io mi immerga sempre più nella profondità del tuo mistero ». Era fermamente convinta che « ogni minuto ci è dato perché ci radichiamo sempre meglio in Dio, perché più viva sia la somiglianza col nostro divino Modello, più intima l’unione ». E il suo pensiero non cambierà. Nel ritiro che, come un testamento, compose per la sua sorella, riprenderà lo stesso pensiero, e con più ricca concisione, definendo la vita spirituale « una vita eterna incominciata, e in continuo progresso ».

LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (22)