LA DOTTRINA SPIRITUALE TRINITARIA (20)

M. M. PHILIPPON

LA DOTTRINA SPIRITUALE DI SUOR ELISABETTA DELLA TRINITÀ (20)

Prefazione del P. Garrigou-Lagrange

SESTA RISTAMPA

Morcelliana ed. Brescia, 1957.

CAPITOLO OTTAVO

I doni dello Spirito Santo (4)

8) Il dono della sapienza è il dono regale, quello che più di ogni altro mette le anime in possesso della maniera deiforme del sapere divino. È l’estremo culmine, oltre. il quale è impossibile innalzarsi, al di qua della visione di Dio intuitiva e beatificante, massimo grado di sapienza. È lo sguardo del «Verbo che spira l’Amore » partecipato ad un’anima, la quale giudica tutte le cose dalle cause più alte, più divine, dalle ragioni supreme, a quel modo che Dio le giudica e le conosce. Introdotta, per mezzo della carità, nell’infinito abisso delle Persone divine e per così dire nella Trinità, l’anima divinizzata, sotto l’impulso dello Spirito d’Amore, tutto contempla da cotesto punto centrale, indivisibile, dove le appaiono come allo stesso Iddio: i divini attributi, la creazione, la redenzione, la gloria, l’ordine ipostatico, i più piccoli avvenimenti del mondo. Per quanto è consentito ad una semplice creatura, il suo sguardo mentale tende a identificarsi alla pienezza e acutezza di visione che Dio ha in sé e dell’universo. È la contemplazione in modo deiforme al lume della esperienza spirituale della divinità, della quale l’anima esperimenta in sé l’ineffabile dolcezza: « per quamdam experientiam dulcedinis » (S. Tommaso, I-II, q. 112, a. 5). Per bene comprendere questo, bisogna tener presente che Dio non può vedere le cose se non in Se medesimo: nella Sua causalità. Le creature non le conosce direttamente in se stesse, nemmeno nel movimento delle cause contingenti e temporanee che regolano la loro attività. In maniera eterna, le contempla nel suo Verbo. Conosce ed apprezza tutti gli eventi della Provvidenza alla luce della sua Essenza e della sua gloria. In due modi l’anima può comunicare o partecipare alla Luce increata: in un modo immutabile secondo che più o meno partecipa dell’eternità, ed è la visione di gloria nel Verbo; e in un altro modo, al di fuori del Verbo, per via di esperienza mistica e conoscimento saporoso delle divine dolcezze: nell’irradiazione, quindi, della luce beatifica o, in mancanza di questa, e tuttavia in condizioni di una certa quale violenza, sotto l’azione della fede rischiarata dai doni. Non è mai soverchio insistere su questa verità: l’esperienza mistica è come in esilio sulla terra; la vera patria dei doni è il cielo nel prolungarsi delle gioie beatificanti della visione « faccia a faccia » (I ai Corinti, XIII-12), ossia intuitiva, della Trinità. Che cosa accade, quaggiù, nell’anima che giudica tutto così, alla luce della Trinità presente in lei, presenza di cui esperimenta nell’intimo gli effetti — quanto almeno glielo consente lo stato di unione? Nelle potenze più elevate, più spirituali del suo essere reso deiforme dalla grazia santificante, sorge un’attività del medesimo ordine che permette all’anima così divinizzata di vivere « in società » con le Persone divine al livello di un’esperienza propriamente trinitaria. La fede le ha già aperto gli orizzonti soprannaturali e l’ha messa in contatto con tutto il paradiso; i doni della scienza e dell’intelletto le hanno permesso di assaporare, insieme al « niente » della creatura, il «Tutto » di Dio e di penetrare nelle insondabili ricchezze della vita trinitaria; sopravviene allora il dono della sapienza, il più divino di tutti i doni, il quale farà sì che quest’anima partecipi, nel più alto grado possibile sulla terra, alla conoscenza sperimentale che Dio gusta nel proprio seno, cioè nel suo Verbo che spira l’Amore. Oh, essa può ben « gioire di Dio » (San Tommaso, I, q. 3, a. 3, ad 1.) ora che l’unione trasformante l’ha stabilita in permanenza nell’atmosfera delle Persone Increate e l’ha introdotta come figlia adottiva nella famiglia della Trinità! Partecipe della divina natura, essa giudica tutto: in Dio, nel mondo e in se stessa, con la sua esperienza della divinità. Mentre il dono della scienza prende un movimento ascensionale per elevare l’anima delle creature fino a Dio, mentre il dono dell’intelletto penetra, con semplice sguardo d’amore, tutti; misteri di Dio, nell’intimo e al di fuori, il dono della sapienza non esce mai, per così dire, dal cuore stesso della Trinità. Tutto è visto da questo centro indivisibile. E l’anima, resa in tal modo deiforme, non considera ormai le cose che nel loro perché, nei loro motivi più alti, più divini. Tutto il movimento dell’universo fino ai minimi atomi cade quindi sotto il suo sguardo alla luce purissima della Trinità e dei divini attributi, ma con ordine, secondo il ritmo con cui le cose procedono da Dio. Creazione, redenzione, ordine ipostatico, tutto, anche il male, le appare ordinato alla maggior gloria della Trinità. Elevandosi infine, con uno sguardo supremo, al di sopra della Giustizia, della Misericordia, della Provvidenza e di tutti gli attributi divini, l’anima scopre d’improvviso tutte queste perfezioni increate nella loro Sorgente eterna: in quella Deità, Padre, Figlio e Santo Spirito, che supera all’infinito tutte le nostre, umane concezioni le quali la rimpiccioliscono e la circoscrivono; e lascia invece Dio incomprensibile, ineffabile, anche allo sguardo dei beati, anche allo sguardo beatificato di Cristo… quel Dio che, nella sua Semplicità sovraeminente, è insieme Unità e Trinità, Essenza indivisibile e Società di Tre Persone viventi, realmente distinte secondo un ordine di processione che non infrange la loro Uguaglianza consustanziale. L’occhio umano non avrebbe potuto scoprire mai un tale mistero, né l’orecchio percepire tali armonie, né il cuore supporre una tale beatitudine, se la Divinità non si fosse inchinata, con la grazia, fino a noi in Cristo, per farci penetrare negli insondabili abissi di Dio, sotto la condotta stessa del suo Spirito. Dopo tutto questo, c’è forse ancora bisogno di insistere per far comprendere che un’anima la quale viva abitualmente sotto queste alte ispirazioni del dono della sapienza, risale in tutti i campi alla visione del Principio supremo, in Dio, e — come notava e praticava suor Elisabetta della Trinità — non si arresta a considerare le cause seconde? E proprio in questa. riflessione suor Elisabetta ci lascia carpire il: suo intimo segreto. Dopo essere stati, per parecchi anni, a contatto dei suoi scritti, scrutando studiando tutti i moti dell’anima Sua; questa è la nostra convinzione più essenziale: che il dono della sapienza è il dono più caratteristico della sua dottrina e della sua vita. Istintivamente, possedeva il senso dell’eterno e del divino. – Avrebbe dovuto farsi violenza per discendere al li vello delle meschinità fra cui si trascina una moltitudine di anime, anche religiose — così dette contemplative — e che non sanno elevarsi al di sopra delle loro miserie e dei loro cenci. Suor Elisabetta andava diritta al Cristo ed alla Trinità, senza occuparsi troppo delle rare mancanze che sfuggivano alla sua fragilità. Crocifissa al suo dovere, non sì sovraccaricava di una quantità di pratiche minuziose, Ma attraverso alle innumerevoli piccolezze della monotona e spesso banale vita quotidiana, sapeva, come la Vergine dell’Incarnazione, tenere fisso lo sguardo alle alte cime. Ad imitazione della sua grande sorella del Carmelo, santa Maria Maddalena De. Pazzi. « imitatrice del Verbo » nella sua vita religiosa, suor Elisabetta della Trinità scopre nella sua vocazione di Carmelitana il mezzo per essere, insieme col Cristo, corredentrice del mondo, glorificatrice della Trinità. « Come è sublime la vocazione di una Carmelitana. Essa deve essere mediatrice con Gesù Cristo, essere per Lui quasi un prolungamento di umanità dove Egli possa perpetuare la sua vita di riparazione; di sacrificio, di lode e di adorazione. Chiedetegli che io sia all’altezza della mia vocazione ? (Lett. al Canonico A…  Gennaio 1906). I santi hanno visuali sconfinate. Si ricordi il grido apostolico di santa Teresa di Gesù Bambino: « Voglio trascorrere il mio paradiso a far del bene sulla terra: No, non potrò prendermi nessun riposo sino alla fine del mondo. Ma quando l’Angelo avrà detto: Il tempo non è più —, allora mi riposerò, allora potrò gioire, perché il numero degli eletti sarà completo ». Suor Elisabetta della Trinità aveva le stesse ambizioni. « Vorrei poter dire a tutte le anime quale sorgente di forza, di pace e anche di felicità esse troverebbero vivendo in intimità con le Persone divine » (Lettera alla mamma – 2 agosto 1906.). Da vera Carmelitana, desiderava ardentemente di « zelare la gloria del suo Dio ».  « Mi dono a Lui per la sua Chiesa e per tutti i suoi interessi. Ho bisogno dell’onore suo, come la mia santa Madre Teresa. Pregate perché questa sua figliola sia anche essa « vittima di amore: caritatis victima (Lettera al Canonico A… – Giugno 1906.). vivendo in epoca di persecuzione, gemeva sulla sua patria: «Povera Francia! Ho bisogno di coprirla col Sangue del Giusto » (Al medesimo – Gennaio 1906.). Nel suo intimo ideale di unione con Dio, va diritta alla causa esemplare suprema: all’anima di Cristo; e sogna di « essere talmente trasformata in Gesù, che la sua vita sia più divina che umana e il Padre possa riconoscere in lei l’immagine del Figlio suo » («Il paradiso sulla terra» – 5° orazione.). – Per esprimere questa sapienza cristiforme, trova delle formule di una robusta concisione: « Andiamo incontro ad ogni persona o cosa con le disposizioni d’animo vi andava il nostro Maestro santo » (Lettera, 1904); oppure racchiude il giudizio di più alta sapienza sull’essenza della vita cristiana in brevi frasi, come queste: « Esprimere Cristo agli sguardi del Padre » (Ultimo ritiro, XIV). « Che io non sia più io, ma Lui, e il Padre, guardandomi, possa riconoscerlo »(Lettera al Canonico ARLES Luglio 1906.). «Quando sarò perfettamente conforme a questo divino esemplare, tutta in Lui ed Egli in me, allora adempirò la mia vocazione eterna » quella per la quale Dio mi elesse « in Lui » « in principio », quella che proseguirò « in æternum » quando, inabissata nel seno della Trinità, sarò la incessante lode della sua gloria : laudem gloriæ eius » (Ultimo ritiro). Da questa luce, emana la risposta adeguata che risolve il problema del male e il mistero della sofferenza « Configuratus morti eius » la conformità alla sua morte: ecco ciò che bramo raggiungere » (Lettera al Canonico A. luglio 1906). « ciò che bramo raggiung Voglio andare con Lui alla mia passione per essere redentrice con Lui » (Lettera alla mamma 18 luglio 1906)Espressioni simili sono rivelatrici di tutta un’esistenza. Il medesimo atteggiamento di spirito essa prende di fronte a tutti i misteri divini. Basa l’intera sua vita nella fede al « troppo grande amore » È la sua visione, qui sulla terra (Lettera a Don Ch… 25 dicembre 1904).; « ogni cosa è un sacramento il quale le dona Dio ». Considera la sofferenza. non in se stessa, ma come uno strumento che obbedisce all’Amore (Lettera alla signora De S… – 25 luglio 1902) e sul suo letto do dolore ripete: «Il Dio nostro è un fuoco consumante; io subisco la sua azione ? (Alla priora). –  Così, nello svolgersi progressivo degli eventi, tutte le cose umane le apparivano in una luce sempre più divina. Nell’ora solenne in cui, per l’ultima volta, le sue sorelle del Carmelo sì riunirono intorno a lei, la udirono pronunciare, sotto un impulso luminoso del dono della sapienza, quasi in un canto: «Alla sera della vita, tutto passa. L’amore solo rimane ». Fa pensare a ciò che dice san Giovanni della Croce: « Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore » e si ricongiunge al comandamento supremo di Gesù: il primato della carità che tutto ordina e modera nella vita dei santi. Ma l’oggetto delle predilezioni dello Spirito di sapienza è il mistero della Trinità. Per sviluppare questo punto, bisogna riprendere, qui, e rivedere a questa luce tutto il capitolo che abbiamo consacrato allo studio dell’inabitazione della Trinità ed alla parte di centrale importanza che ha questo mistero nella vita e nella dottrina di suor Elisabetta della Trinità; nulla rivela con altrettanta evidenza il predominio del dono della sapienza nella vita intima dell’anima sua. L’esercizio continuo della presenza di Dio diviene in lei rapidamente il segreto di tutte le fedeltà. Pochi giorni prima di morire, ce ne ha lasciato lei stessa la preziosa testimonianza: « Credere che un Essere che si chiama l’Amore abita in noi sempre, in tutti gli istanti del giorno e della notte, e che ci chiede di vivere in società con Lui, è ciò che ha trasformato la mia vita, ve lo confido, in un paradiso anticipato » (Alla signora G. de B… – 1906). Tutta l’attività della vita spirituale, per lei, si riassume in questo: «La mia continua occupazione consiste nel rientrare dentro di me e perdermi in Coloro che sono qui» (Lettera a G. de G… – Fine settembre 1903.). Al tramonto della sua esistenza così breve, stabilita ormai nell’unione trasformante, ella giunge all’oblio perfetto di sé: è la fase suprema della sua vita spirituale che abbiamo già a lungo analizzata (Cfr. Capitolo I, paragrafo II « Carmelitana », e soprattutto il Capitolo IV « Lode di gloria » che ci sembra il più importante per la comprensione intima della dottrina e della vita di suor Elisabetta). Suor Elisabetta della Trinità è scomparsa dinanzi a Laudem gloriæ. Lei stessa non firma più le sue lettere che con questo « nome nuovo », e non vuol più chiamarsi che così; ché ormai l’anima sua, elevandosi al di sopra delle dolcezze della divina presenza, al di sopra di se stessa, si oblìa interamente, per non essere più che « l’incessante lode di gloria della Trinità ». È il trionfo del dono della sapienza: tutto è dominato da un unico pensiero: la gloria della Trinità; quindi, tutto ciò che non coopera alla glorificazione divina, o peggio, che minaccerebbe di ritardarla viene eliminato senza pietà. Però, essa non si ripiega egoisticamente in se stessa per arrestarsi a « godere di Dio » nella gioia beatificante di questa presenza delle divine Persone in lei, che forma il suo cielo anticipato. No; si tratta, innanzi tutto, della gloria di Dio; e, nel « cielo dell’anima sua » il suo ufficio essenziale è cantare giorno e notte, come i beati nel « cielo della gloria », la lode della Trinità; e sotto l’impulso del dono della sapienza, in corrispondenza all’esercizio e al progresso nella carità, tutta la sua vita prende il ritmo che conviene alla lode di gloria. « Una lode di gloria è un’anima di silenzio che se ne sta come un’arpa sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché Egli ne tragga armonie divine. Sa che il dolore è la corda che produce i suoni più belli; perciò è contenta che questa corda non manchi nel suo strumento, per commuovere più deliziosamente il cuore del suo Dio. Una lode di gloria è un’anima che contempla Dio nella fede e nella semplicità. È un riflesso di tutto ciò che Egli è, è come un cristallo attraverso il quale Egli può irradiare e contemplare tutte le proprie perfezioni e il proprio splendore. Un’anima che permette così all’Essere divino di saziare in lei il Suo bisogno di comunicare tutto ciò che Egli è e tutto ciò che ha, è veramente la lode di gloria di tutti i suoi doni. Finalmente, una lode di gloria è un’anima immersa in un incessante ringraziamento; ciascuno dei suoi atti, dei suoi movimenti, dei suoi pensieri, delle sue aspirazioni, mentre la fissa più profondamente nell’amore, è come una eco del « Sanctus » eterno. Nel cielo della gloria, i beati non hanno riposo né giorno né notte, ma sempre ripetono: «— Santo, santo, santo, il Signore onnipotente — …e, prostrandosi, adorano Colui che vive nei secoli dei secoli ». Nel cielo dell’anima sua, la lode di gloria inizia già l’ufficio che sarà suo in eterno; e, quantunque non ne abbia sempre coscienza, perché la debolezza della natura non le consente di fissarsi in Dio senza distrazioni, pure rimane sempre sotto l’azione dello Spirito che opera tutto, in lei. Canta sempre, adora sempre, è, per così dire, interamente trasformata nella lode e nell’amore, nella passione della gloria del suo Dio » (« Il paradiso sulla terra » – 13° orazione.).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.