LA GRAZIA E LA GLORIA (16)

LA GRAZIA E LA GLORIA (16)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

I.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

TOMO PRIMO

LIBRO III

I PRINCIPI DI ATTIVITÀ CHE RISPONDONO ALLA GRAZIA – LE VIRTÙ INFUSE E I DONI DELLO SPIRITO SANTO.

CAPITOLO V

I doni dello Spirito Santo. Il loro ruolo, la loro natura, le loro proprietà comuni e particolari.

1. – « Un germoglio uscirà dal tronco di Iesse, un virgulto sorgerà dalle sue radici. E lo Spirito del Signore si poserà su di lui: lo spirito di sapienza e di intelligenza, lo spirito di consiglio, lo spirito di scienza e di pietà. E lo spirito del timore del Signore lo riempirà » (Isai. X, 1-3). È in questi termini che il profeta Isaia descrive in anticipo la grandezza e la pienezza dei doni riversati dallo Spirito di Dio nell’umanità del Cristo. Ora, come Cristo è il nostro archetipo, così noi diventiamo, in virtù della sua grazia, membri del suo Corpo e altri “Egli stesso”: i teologi e i maestri di vita spirituale hanno concluso dallo stesso testo profetico che anche noi dobbiamo partecipare a questi stessi privilegi. Lo Spirito Santo, quando entra in noi come nel suo tempio, arricchisce la sua nuova dimora con questo spirito multiplo, in quanto siamo in comunione con la grazia, e secondo il grado della nostra incorporazione nella Persona mistica del Verbo fatto carne. Non è difficile provare in generale l’esistenza e la realtà di questi doni; si può anche dire che ci sia un consenso unanime su questo punto tra i Dottori. Ciò che è meno facile è definire il loro ruolo, le loro proprietà e la loro natura. Non voglio entrare in discussioni che ci porterebbero troppo lontano, senza un gran profitto forse. È meglio, credo, attenersi alla dottrina più comune, quella che il Dottore Angelico ha sviluppato a lungo nella seconda parte della Summa Theologica, e quella anche che i teologi, venuti dopo di lui, hanno più generalmente insegnato (S. Thom. 1. 2, q. 68, a. 1, ss.). – Se poi chiediamo a Tommaso d’Aquino quale ruolo dobbiamo assegnare ai doni dello Spirito Santo, questa è la risposta che ci viene data: i doni, nella misura in cui si distinguono dalla grazia e dalle virtù infuse, hanno come effetto e scopo il disporci a sperimentare i movimenti dello Spirito Santo. Spetta a loro rendere le anime così duttili e maneggevoli, in modo che obbediscano con prontezza ai suoi impulsi divini. – Per comprendere meglio questo ruolo speciale, consideriamo che esiste per l’uomo, nell’ordine della sua vita morale e religiosa, un doppio motore. Il primo è interno, ed è la ragione, illuminata dalla propria luce e da quella della fede; l’altro è esterno, e questo motore è Dio. Mille esempi eclatanti ci mostrano entrambi all’opera. Qui vedo un uomo che delibera, che soppesa le ragioni della sua scelta, e che infine decide, dopo un esame, di fare un certo atto virtuoso, per esempio un’elemosina. Egli è mosso dalla ragione. Lì vedo una vergine cristiana, come quella che troviamo negli atti dei martiri, che per un’ispirazione improvvisa e senza precedente deliberazione, si precipita nel vuoto, o si getta in mezzo alle acque, per sfuggire agli infami rapitori. Ella è mossa dallo Spirito Santo. Nel primo caso, l’anima è come quelle vecchie navi che avanzavano lentamente, faticosamente, a forza di remi; nell’altro, è come la nave che naviga senza sforzo, a vele spiegate, spinta da un vento favorevole. – Vogliamo fatti di tipo diverso? Nell’esporre la propria vita su un campo di battaglia, si marcerà senza dubbio, ma dopo aver soppesato le possibilità di vittoria, o dopo aver considerato attentamente il dovere e la necessità che lo costringono a combattere; elettrizzato dall’arringa e dall’esempio del suo generale, e dimentico di tutto il resto, si precipiterà istintivamente sul nemico. Chi non riconosce ancora il doppio motore di cui ci parla S. Tommaso, e non sente lo stesso. Chi non riconosce ancora la doppia spinta di cui parla San Tommaso, e allo stesso tempo intuisce ciò che distingue il ruolo dei doni da quello delle virtù morali? – Ora è giusto che il mobile sia in relazione armoniosa con il suo motore. Dio ci ha dato le virtù morali perché ci prestassimo agli ordini della ragione soprannaturalizzata dalla fede; non era forse necessario che ci desse anche perfezioni superiori che ci rendessero docili al soffio del suo Spirito divino? Queste perfezioni superiori sono state chiamate doni, non solo perché vengono a noi dalla bontà divina, ma principalmente perché hanno l’effetto di prepararci a seguire le ispirazioni di Dio con prontezza (« Oportet igitur inesse homini altiores perfectiones secundum quas sit dispositus ad hoc quod divinitus moveatur; et istae perfectiones vocantur dona, non solum quia infunduntur a Deo, sed quia secundum ea homo disponitur ut efficiatur prompte mobilis ab inspiratione divina ». S. Thom. 1. 2, q.68, a.1, in cor.). E questi doni sono attribuiti allo Spirito Santo, perché è ad Esso che la Sacra Scrittura riferisce più particolarmente le opere della giustificazione, come spiegheremo a suo luogo. – Alcuni sembrano essere stati dell’opinione che i doni dello Spirito Santo abbiano come scopo proprio e speciale gli atti eroici e sovrumani. Quanto alle opere ordinarie della vita cristiana, esse sarebbero in conto delle virtù infuse. Così le virtù e i doni avrebbero i loro dominii distinti e separati: a questi ultimi, le opere di santità perfetta, ai primi, gli atti di santità comune. Questo però non è il sentimento dei migliori teologi. Essi insegnano, è vero, che appartiene soprattutto ai doni dello Spirito Santo il fare degli eroi della virtù; ma allo stesso tempo assegnano loro una sfera di influenza pari a quella delle virtù. Ciò che fa realmente questa distinzione non è tanto il tipo di atti, quanto il modo di agire: « Dona excedunt communem perſectionem, non quantum ad genus operum, sed quantum ad modun operandi, secundum quod movetur homo ad altiori principio » (S. Thom. 1. 2, q. 68, a.1). – Non nego che la virtù possa entrare in esercizio senza che i doni siano in atto. Ci sono molte circostanze in cui le virtù infuse sono sufficienti a farci compiere atti salutari senza una speciale mozione dello Spirito Santo.  Chi dirà, per esempio, che un uomo giusto, la cui ragione è illuminata dalla fede, non possa fare il minimo atto soprannaturale di pazienza o di giustizia se Dio non lo spinge a fare con un’ispirazione esplicita e presente (V. L. VII. C. 5)? Ma ci sono anche molte occasioni in cui l’anima sarebbe impotente o ben lassa senza l’aiuto di un principio superiore, tanto grande è la nostra debolezza e fiducia in noi stessi, così frequenti e talvolta così improvvisi e vividi sono gli attacchi del demonio, del mondo o della carne. Ora la stessa necessità che richiede l’aiuto esterno dello Spirito Santo, richiede anche l’influenza dei suoi doni, poiché sono essi che predispongono le menti e i cuori a ricevere gli impulsi divini. Quali sono dunque gli atti eroici, quali sono questi istinti vittoriosi che, risvegliandosi improvvisamente nel profondo delle anime, le coinvolgono e le dominano? Una manifestazione più chiara ed eclatante dell’azione dello Spirito Santo, il motore divino, e dei suoi doni (« Licet inter actus donorum quidam qui ab ordinariis legibus exorbitant, raro fient nisi ex instinctu Spiritus Sancti, nihilominus non sunt illi adæquati actus horum habituum, sed per illos, tanquam per notiores, peculiarem modum operandi Spiritus sancti per hæc dona explicamus », Suarez, de Gratia, L. VI, c. 10, n. 6).

2. – Ciò che abbiamo appena detto sul ruolo proprio dei doni dello Spirito Santo sarà di grande aiuto per spiegare la loro natura e le loro proprietà. Prima di tutto, non sembra esserci alcun dubbio che questi doni siano in uno stato permanente nell’anima e, di conseguenza, che non assumano, allo stesso modo delle virtù, il carattere di abitudini. Come può la liberalità di Dio, che dà ai suoi figli adottivi i principi interiori delle operazioni soprannaturali, rifiutare un’uguale permanenza alle perfezioni che li dispongono ad obbedire prontamente alla sua azione? Lo Spirito Santo è in mezzo a queste anime, come un re sul suo trono: diciamo meglio, come l’artista divino nello strumento che si è formato. Non posso credere che Egli neghi loro una perfezione stabile che li renda capaci di ricevere le sue influenze divine in modo naturale e renda le loro facoltà spirituali più flessibili ai suoi movimenti. Questo è ciò che molti teologi intendono per il riposo dello Spirito di Dio sul Cristo Gesù; e, di conseguenza, sui membri viventi dello stesso Cristo. « Et requiescet super eum Spiritus » (Rom., VIII, 14, sqq.). – Ma, se i doni sono perfezioni permanenti nell’anima dei giusti, come le virtù stesse, non è questa una ragione sufficiente per identificarli con queste, o, almeno, per non vedere altra differenza tra gli uni e le altre se non una distinzione logica. Non lo negherò, ci sono teologi che hanno creduto questo. Tuttavia, non mi discosto dall’opinione di San Tommaso d’Aquino, ed ecco le ragioni che mi portano a ritenere con lui che ci sia una reale distinzione tra i doni e le virtù, sebbene queste perfezioni siano inseparabili in un’anima dove la grazia regna con la carità. – La prima è che, nell’ipotesi contraria, è impossibile spiegare perché tutte le virtù non dovrebbero essere tra i doni. La seconda e principale ragione è che c’è una differenza essenziale tra la funzione delle virtù e quella dei doni: perché, ancora una volta, attraverso la virtù l’uomo ha la ragione come motore, e Dio stesso per il dono. Ora, tale è la sproporzione di questi motori, supponendo anche una ragione abitualmente illuminata dalla fede, che la stessa perfezione non può ordinare il mobile a ricevere la loro doppia influenza. Da questo, però, non dobbiamo concludere che il dono renda le virtù meno attive e meno utili; poiché esso è infuso nell’anima solo per aiutarla, sotto l’impulso dello Spirito Santo, a compiere i suoi atti più facilmente, più prontamente e più divinamente.

3. Sono necessari per la salvezza i doni dello Spirito Santo? Questa è una questione che deve essere risolta in modi diversi, a seconda del ruolo che assegniamo loro nella vita dei figli di Dio. Se questi doni si limitassero a farci praticare atti eroici di virtù, rimarrebbero un grande beneficio della misericordia divina; ma la necessità di possederli per raggiungere il nostro fine ultimo, non potrebbe essere dimostrata. Il cielo, infatti, non è solo per gli eroi della santità, e quelli che si esporrebbero a perderlo sono abbastanza rari, perché non dovrebbero presentare al Giudice Sovrano i sacrifici che li renderebbero santi. Ma, come abbiamo già detto, l’utilità dei doni dello Spirito Santo non si ferma alle frontiere dell’eroismo. La loro sfera d’influenza è più ampia e si estende fino agl’imperfetti. Ne risulta una vera necessità? La risposta è simile a quella che abbiamo dato quando ci siamo occupati delle virtù infuse. Ciò che è assolutamente indispensabile, anche per le anime giustificate, è l’assistenza attuale e preveniente dello Spirito Santo. Se ce la ritirasse, anche se avessimo la grazia santificante e le potenze soprannaturali che la accompagnano, la nostra perseveranza sarebbe in evidente pericolo e non potrebbe prolungarsi senza il rischio di fallire. Così insegna espressamente il Concilio di Trento, e con esso tutta la tradizione cattolica (Conc. Trid. , sess. VI, can. 22). E la ragione di tale impotenza non è difficile da trovare. Senza dubbio, abbiamo nella grazia e nella virtù il principio delle operazioni con cui l’uomo arriva al suo fine soprannaturale. Ma noi non possediamo né queste virtù né questa grazia perfettamente; e, di conseguenza, è imperfettamente che conosciamo e amiamo Dio attraverso di esse. D’altra parte, tante sono le trappole e le insidie sulla strada che stiamo percorrendo, e lo saranno finché dura il tempo della prova. Ecco perché, anche con la cooperazione divina che è necessaria per le operazioni della creatura in ogni ordine e in ogni tempo, abbiamo ancora bisogno del moto preventivo dello Spirito Santo, un moto di luce, un moto di calore e di amore, per raggiungere il nostro fine supremo, e ancor più per elevarci alle più alte vette della perfezione cristiana. – Le ispirazioni e gli istinti dello Spirito Santo, per usare il linguaggio di San Tommaso, sono così necessari all’uomo giusto che il suo progresso nelle virtù e la sua perseveranza non si potrebbero spiegare senza questa assistenza divina. Ma questo stesso aiuto è ancora più necessario perché il peccatore ritorni a Dio. « Se qualcuno dice che senza l’ispirazione preventiva e l’aiuto dello Spirito Santo, l’uomo può credere, sperare, amare e pentirsi così come è necessario per ottenere la grazia della giustizia, sia anatema » (Conc. Triden. Sess. V, can. 3). E certamente, se si riflette sulle vie della provvidenza nella conversione delle anime, si vedrà quanto vivaci, quanto potenti e talvolta quanto improvvisi siano stati i soffi dello Spirito divino che le hanno riportate dalle tenebre alla luce e dalla morte alla vita dei figli di Dio. – Dovremmo allora riconoscere i doni dello Spirito Santo anche in questi peccatori, e rendere loro gli onori per cambiamenti così prodigiosi? No, perché questi doni non vanno senza la grazia santificante. Pertanto, la necessità dei doni non è la stessa di quella delle ispirazioni divine, così come la necessità delle virtù infuse non è uguale a quella degli atti soprannaturali. Ci sono di tali ispirazioni e atti prima dell’entrata della grazia nelle anime. Ma come nell’anima, una volta giustificata, gli atti soprannaturali procedono dalle virtù, così in questa stessa anima i moti celesti presuppongono i doni. Gli uni e le altre appartengono ugualmente all’organismo dei figli di Dio. Attraverso le virtù si compiono connaturalmente gli atti salutari, e attraverso i doni l’anima riceve connaturalmente gli impulsi divini. – Ho detto che i doni presuppongono la grazia, anche se le ispirazioni la precedono e la preparano. Niente potrebbe essere più corretto di questo ordine. Finché la grazia non è in un’anima, lo Spirito di Dio non vi abita. È fuori, bussa alla porta, chiama e sollecita il ribelle, a suo tempo e come di passaggio. Ma una volta che per la sua grazia ha preso possesso di quell’anima, è in essa per non lasciarla mai, a meno che essa non rifiuti l’Ospite divino che vi abita. Questa unione permanente del motore e del mobile, cioè dello Spirito Santo e dell’anima giusta, non richiede forse un adattamento ben diverso da quello che non poteva essere perfetto e duraturo nel tempo della separazione? Tanto più che, secondo il bel pensiero dell’Apostolo, il carattere dei figli adottivi è quello di essere mosso dallo Spirito Santo (« Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filii Dei. » – Rom, VIII, 14).

4. – Passiamo dalle generalità ai dettagli, e chiediamoci quali siano in particolare questi doni dello Spirito Santo, che abbiamo studiato nel loro ruolo, nella loro natura e nelle loro proprietà. È comunemente accettato che ci siano sette doni dello Spirito Santo: Sapienza, intelletto, scienza, consiglio, pietà, fortezza e timor di Dio. È il settenario degli Spiriti che, secondo il profeta, dovevano poggiarsi sullo stelo di Jesse, Gesù Cristo, nostro Salvatore. I primi quattro perfezionano lo spirito o la ragione; gli altri tre, la volontà; e tutti, presi nel loro insieme, costituiscono il completamento del nostro essere soprannaturale e divino per lo stato di viatori. Infatti, cosa serve per la ragione dell’uomo, che è diventato con la giustificazione un uomo fedele, un figlio di Dio? Prima di tutto, ascoltare e penetrare le verità che la fede gli rivela; e a questo serve il dono dell’intelletto. Il solo nome di intelletto, indica una conoscenza intima della verità: esso significa leggere dentro, intus legere. La fede è un semplice assenso alla verità che crede; il dono dell’intelletto è in più una luce divina, in virtù della quale l’anima in qualche modo e come per istinto entra nell’oggetto della sua credenza per coglierne la natura, le ragioni, le relazioni e le convenienze. Qual senso profondo delle verità più sublimi si trova a volte in bambini semplici, umili rustici senza studio e senza cultura. Non è né lo sforzo né il lavoro che ha dato loro queste sorprendenti visioni delle cose di Dio; ed è per questo che, non conoscendo le cose in modo ragionato, a volte non sono in grado di renderne conto, impotenti nel tradurle a parole. Cos’è allora? È il dono dell’intelletto che li eleva allo Spirito di verità e di luce, loro dottore e maestro. – L’intelletto concepisce e penetra; ma è anche necessario giudicare e confrontare: giudicare le cose create e confrontare le une con le altre. Ai doni di sapienza e di scienza il compiere questa doppia e necessaria funzione. – La sapienza porta il suo sguardo su Dio, primo Principio e ultimo fine di ogni essere e di ogni bene che non sia Lui. Essa lo giudica per quello che è, infinitamente grande, infinitamente amabile, infinitamente santo, infinitamente perfetto. E questo non è il giudizio del filosofo, puramente speculativo, troppo spesso freddo, arido, vuoto d’amore. È il giudizio di un figlio affettuoso, amorevole e sottomesso che porta su di una madre un giudizio fatto più dall’esperienza che dalla ragione, in cui il cuore non ha meno parte della mente; un giudizio, infine, che parte dall’amore; ed è per questo che il dono della sapienza in azione può diffondere tanta dolcezza nell’anima che sa gustare le cose divine. – Ma l’influenza del dono della sapienza non finisce qui. Dopo averci fatto giudicare Dio e gustare Dio, ci fa giudicare tutto il resto alla luce di Dio. Chiunque abbia mai sfogliato il profondo e sostanzioso libro conosciuto come gli Esercizi di Sant’Ignazio, deve averlo riconosciuto nell’esercizio con cui inizia l’opera e in quello che la corona (Exercitia spiritualia S. Ignatii. Considerazioni sul fondamento e il principio. Contemplazione dell’amore divino), questo doppio giudizio della sapienza divina, con questa differenza, però, che l’ultimo esercizio, essendo una provocazione più diretta all’amore, esercita e risponde anche più completamente alla perfezione della sapienza. – Cosa fa il dono della scienza? Ci fa giudicare con certezza delle cose create, dal punto di vista delle idee soprannaturali e di Dio. La sapienza e la scienza dello Spirito Santo hanno questo in comune: giudicano le creature e Dio. Ma ecco come si distinguono. Con la scienza si sale dalle creature a Dio; con la sapienza si scende da Dio alle creature, e si giudica dalla conoscenza e dal gusto che avete di Dio, loro causa prima e fine supremo.  Volete conoscere da qualche effetto questa scienza divina? Chiedete a un uomo pieno dello Spirito di Dio del mondo, del suo bene e del suo male, dell’opulenza e della povertà, dell’onore e dell’oblio, del potere dello Spirito e della potenza dello Spirito, e vedete la differenza tra i suoi giudizi e quelli di un comune Cristiano, non di un uomo senza Dio. Ora, la scienza che viene dallo Spirito Santo, non è una questione di ragionamento e di laboriosa speculazione. Fatto a immagine e somiglianza della scienza divina, le assomiglia per la semplicità del suo funzionamento. L’anima, illuminata da questo dono dall’alto, riconosce senza sforzo in ogni creatura Dio che l’ha prodotta, Dio che la conserva, Dio che la governa, Dio che ce l’ha data perché la portassimo alla sua gloria e perché ci conducesse a sé: ed è in base a questo apprezzamento che regola l’uso che se ne fa. – Questi tre doni dello Spirito Santo, il dono dell’intelletto, il dono della sapienza e il dono della scienza, richiedono un quarto dono, quello del consiglio. Perché non basta conoscere la verità o giudicare bene delle creature e di Dio; bisogna anche applicare queste luci ai casi particolari di cui è composto il tessuto della vita spirituale. Questo è il lavoro proprio della virtù della prudenza. Ma siccome la prudenza soprannaturale è di per sé breve in molti punti, spesso ha bisogno che lo Spirito Santo la illumini con una luce speciale e ci mostri cosa dobbiamo fare nel tempo, nel luogo e nelle circostanze in cui ci troviamo. Ed è questo il senso del dono del consiglio. – I doni dello Spirito Santo non sono meno necessari per la perfezione della nostra volontà. Perciò Dio ce li ha dati così ampiamente, tanto che si estendono a tutto il campo delle virtù morali. – Attraverso il dono della pietà, lo Spirito Santo ci fa concepire per Dio quell’affetto filiale, e quei sentimenti di tenerezza, fiducia, devozione e abbandono che i figli dovrebbero avere per il migliore dei padri. Ma, poiché questo Padre è anche il nostro Dio, il dono della pietà porta l’anima a rendergli un culto in cui il più profondo rispetto si mescola alle effusioni d’amore. E questa amorosa riverenza è mostrata nella dovuta misura a tutto ciò che tocca Dio: ai Santi, alle divine Scritture, a tutti gli uomini, in quanto sono di Dio e a Dio. Così il dono della pietà completa la virtù della religione, poiché si riferisce a Dio non solo come Creatore e padrone sovrano, ma come Padre; completa la virtù della giustizia, perché vi unisce quella disposizione rispettosa e benevola che l’onore di appartenere a Dio, Padre comune della famiglia umana, esige da tutti. – Il dono della pietà ci perfeziona nelle nostre relazioni sia con Dio che con il prossimo. Gli altri due doni perfezionano la nostra volontà nei nostri doveri verso noi stessi. Per la conservazione della nostra vita soprannaturale e il suo libero sviluppo, ci sono due ostacoli da superare: da un lato, la paura delle difficoltà, dello sforzo, della fatica e dei pericoli immaginari o reali; dall’altro, gli assalti della concupiscenza e il fascino dei piaceri sregolati. È contro questi due nemici che lo Spirito Santo arma le nostre volontà con il dono della fortezza e del timore di Dio. – Con il dono della fortezza, l’anima, sostenuta dallo Spirito Santo, affronta con incrollabile fiducia i travagli, i supplizi ed anche la morte, quando la gloria di Dio lo richiede. Con quello del timore, la volontà resiste alle spinte della carne e dei sensi: resiste, dico, non tanto quanto uno schiavo che teme i giudizi di Dio, che come un figlio amorevole e rispettoso che non vuole offendere suo padre o causargli il minimo dispiacere. Non mi soffermerò ulteriormente sul carattere particolare di questi doni; essi possono essere studiati più dettagliatamente o nelle opere del Dottore Angelico (San Tommaso parla del dono dell’intelletto dopo aver trattato della fede, del dono del timore dopo la virtù della speranza ….  collegando successivamente ciascuno dei doni alle virtù che essi perfezionano e completano), o negli autori ascetici che trattano questi temi (tra gli autori ascetici segnalo P. Saint-Jure: L’Homme spirituel, 1 P., c. 3, s.16), il R. P. Meynard O.P. (Traité de la vie intérieure, L, 1, €. 7), ma soprattutto il P. Louis Lallemand, S. J. nell’opera troppo poco conosciuta che porta il titolo di Dottrina spirituale. Forse nessuno ha sviluppato questo difficile argomento più chiaramente di lui, Doct. Spir.  IV Principio, c. 3 e 4).

5. Per evitare ogni ambiguità in una questione così delicata, ricorderò due o tre osservazioni importanti. La prima riguarda la relazione dei doni con le virtù. I doni, come ho sottolineato, non sostituiscono le virtù, non tolgono la loro utilità. Il loro ruolo è quello di aiutarle e completarle: in adjutorium virtutis, dice San Gregorio Magno. Così il maestro non supplisce all’intelligenza del discepolo: egli la dirige, è un aiuto per essa, ma non è una forza che possa tenerle luogo. E, per tornare a un paragone già fatto, questi doni sono per l’anima, arricchita dalle virtù infuse, quello che sarebbe per un vascello, già fornito di una forza motrice ordinaria, una velatura potente gonfiata da venti propizi. – La seconda osservazione è che i doni, a differenza delle virtù, possono avere un’influenza sulle nostre operazioni soprannaturali solo attraverso l’impulso effettivo dello Spirito Santo. Non sta a loro muoverci, ma a disporci a ricevere le mozioni divine con obbedienza, affinché illuminino le nostre menti e le inondino di una luce celeste; affinché elevino le nostre volontà e le portino agli atti più perfetti della vita di figli adottivi, è necessario che il Sole divino mandi i suoi raggi e i suoi ardori all’anima. – Perché così tanti Cristiani, anche quelli che conservano la grazia santificante, le virtù e i doni infusi, sempre legati allo stato di grazia, rimangono così deboli, così lassi, così ignoranti o così ignari delle cose del cielo, in una parola, così privi di pensieri santi e di risoluzioni generose? È perché la loro la loro dissipazione abituale, la loro disattenzione per le colpe meno gravi, la loro immortificazione e tiepidezza, fanno ostacolo all’azione dello Spirito Santo; è così che l’anima, impigliata in tanti legami, troppo raramente si abbandona alle brezze divine, allorché piace allo Spirito Santo di soffiare su di essa, nonostante la sua indegnità. Ascoltiamo dunque l’avvertimento dell’Apostolo contro questa doppia disgrazia. « Non spegnete lo Spirito Santo », cioè non impeditegli di riversare su di voi le sue ispirazioni salvifiche (1 Tess. V, 19). « Non contristate lo Spirito Santo », con la vostra resistenza, cioè, piegatevi ai movimenti che Esso vi impartisce (Efes. IV, 30). – La mia ultima osservazione sarà su un’espressione usata frequentemente dai nostri dottori in queste materie. Essi parlano di istinti divini. Cosa intendono con queste parole? L’istinto ci ricorda una categoria di atti che hanno questo carattere singolare: sono indipendenti da ogni educazione precedente, precedono ogni riflessione e nascono come spontaneamente dalla natura. Il regno animale fornisce meravigliosi esempi di questo nelle opere dell’ape, della formica, del ragno e di altri insetti. L’uomo stesso ha le sue operazioni istintive, ma sono tanto più rare quanto più la ragione prende il sopravvento e quanto più la libertà presiede al governo della vita. – Ora gli impulsi dello Spirito di Dio, che arrivino all’intelligenza o alla volontà, non sono prodotti della nostra libera attività; la precedono. Gli atti con cui si esprimono sono in noi senza di noi, in nobis sine nobis, secondo la felice espressione di Sant’Agostino. Sono quindi analoghe alle operazioni istintive, tanto più che la natura da sola non può renderne conto. E quando, grazie ai doni dello Spirito di Dio, seguiamo docilmente il movimento che ci viene impresso, le nostre operazioni virtuose possono conservare ancora qualcosa di istintivo. Perché, anche se devono essere libere per costituire opere meritorie, c’è spesso in esse un carattere di spontaneità che le distingue dagli atti di virtù comune. Bisognerebbe essere estranei alle cose della vita spirituale per non averlo notato e persino sperimentato. Quante volte, forse, nel momento in cui ci siamo sentiti come immersi nelle tenebre, senza speranza, senza amore, tristi e desolati, un raggio di luce divina non è entrato nella nostra anima, dissipando le ombre, e provocandoci alla confidenza, al fervore! Era lo Spirito consolatore con i suoi istinti (« Quicumque spiritu Dei aguntur; i. e. reguntur sicut à quodam ductore et directore; quod quid quidem in nobis facit Spiritus, in quantum illuminat nos interius quid ſacere debeamus… Homo autem spiritualis non solum instruitur à Spiritu Sancto quid agere debeat, sed etiam cor ejus à Spiritu Sancto movetur. Ideo Plus intelligendum est in eo quod dicitur: Quieumque Spiritu Dei aguntur. Illa enim agi diceuntur, qui quodam guperiori instinelu moventur….. Homo Spiritualis non quasi ex motu proprie voluntatis principaliter, sed ex instinctu Spiritus Sancti inelinatur ad aliquid agendum ». S. Thom. Comment. in Rom., VIII, 14). Che Esso nella sua misericordiosa bontà possa rivelarsi spesso in questo modo alle nostre anime, e noi, in virtù dei suoi doni, possiamo rispondere alla sua così salutare premura (Due punti da notare per rispondere a due domande. – Prima domanda: qual è la relazione dei doni con le virtù teologali? Risposta: « Animus hominis non movetur a Spiritu Sancto, nisi ei secundum aliquem modum uniatur: sicut instrumentum non movebur ab artifice nisi per contactum aut per aliquam aliam unionem. Prima autem unio hominis est per fidem, Spem et charitatem (his enim inhabitat in nobis Spiritus Sanctus, Rom. V, 5);, unde istae virtutes praesupponuntur ad dona, sicut radices quaedam donorum ». S. Thom. 1-2, q. 68, a 4, ad 3; col. a 8. – Seconda domanda: Gli eletti conservano i doni dello Spirito Santo in cielo? Risposta: « De donis possumus dupliciter loqui, uno modo quantum ad essentiam donorum, et sic perfectissime erunt in patria….. Sujus ratio es quia dona Spiritus sancti perficiunt mentem humanam ad sequendam motionem Spiritus sancti, quod præcipue erit in patria, quando Deus exit omnia in omnibus, ut dicitur 1 Cor XV, et quando homo erit totaliter Subditus Deo. Alio modo: possunt considerari quantum ad materiam, circa quan operantur; et sic in præsenti habent aliquam operationem circa quam non habebunt in Statu gloriæ, et sic (quoad aliquod exercitium) non manebunt patria ». S. Thom, ibid, æ, 6; col. S. Bonavent. in III, D. 34, at. 2, q. 3. – Devo aggiungere che Papa Leone XIII, nella sua Enciclica Divinum illud munus, ha richiamato sommariamente ma molto chiaramente queste nozioni teologiche sui doni dello Spirito Santo? « Hoc amplius homini justo, vitara sciticet viventi divinae gratiae et per congruas virtutes tanquam facultates âgenti, opus plane est septenis illis quae proprie dicunbur Spiritus sancti donis. Horum enim beneficio instruitur animus et munitur ut ejus vocibus atque impuilsioni facilius promptiusque obsequatur; haec propterea dona tantae sunt efficacitatis ut eum ad fastigium sanctimoniae adducant, tantaeque excellentiae ut in coeælesti regno eadem, quanquarm perfectius, perseverent. lpsorumque opé charismatum provocatur animuset effertur ad appetendas adipiscendasque beatitudines exangelicas quæ, perinde ac flores verno tempore erumpentes, indices ac nunciae sunt beatitatis perpetuo mansuræ. Felices denique Sun fructus ii ab Apostolo enumerati (Gal, V, 22) quuas hominibus justis, in bac etiam caduca vita, Spiritus parit et exhibet, omni refertos dulcedine et gaudio… ». (noltre il giusto che già vive la vita di grazia e opera con l’aiuto delle virtù, come l’anima con le sue potenze, ha bisogno di quei sette doni che si dicono propri dello Spirito Santo. Per mezzo di questi l’uomo si rende più pieghevole e forte insieme a seguire con maggiore facilità e prontezza il divino impulso; sono di tanta efficacia da spingerlo alle più alte cime della santità, sono di tanta eccellenza, da rimanere intatti, benché più perfetti nel modo, anche nel regno celeste. Con questi doni poi lo Spirito Santo ci eccita e ci solleva all’acquisto delle beatitudini evangeliche, che sono quasi fiori sbocciati in primavera, preannuncianti la beatitudine eterna. Infine sono soavissimi quei frutti elencati dall’apostolo (cf. Gal V, 22), che lo Spirito Santo produce e dona ai giusti anche in questa vita mortale, frutti pieni di dolcezza e di gusto, quali s’addicono allo Spirito Santo “che nella Trinità è la soavità del Padre e del Figlio e riempie d’infinita dolcezza tutte le creature”).

LA GRAZIA E LA GLORIA (17)