LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (15)

ADOLFO TANQUEREY

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE CHE GENERANO NELL’ANIMA LA PIETÀ (16)

Vers. ital. di FILIPPO TRUCCO, Prete delle Missioni

ROMA DESCLÉE & C. EDIT. PONTIF. – 1930

NIHIL OBSTAT – Sarzanæ, 8 Maji 1930 J. Fiammengo, Rev. Eccl.

IMPRIMATUR Spediæ, 8 Maji 1930 Can, P. Chiappani, Del. Generalis.

SECONDA PARTE

CAPITOLO I

Gesù nostro sommo sacerdote!

ART. III. — I NOSTRI DOVERI VERSO GESÙ SACERDOTE E VITTIMA.

Il primo di questi doveri, quello che compendia tutti gli altri, è di unirci spesso a questo Sommo Sacerdote con una specie di comunione spirituale, intima ed abituale quanto più sia possibile alla nostra debolezza, entrando nel suo spirito di sacrificatore e di vittima, vale a dire offrendoci, immolandoci, consumandoci di amore con lui. Il che ci riesce anche più facile perché, in tutti questi atti, Gesù non solo è nostro modello ma anche nostro collaboratore. E ne verrà una confidenza assoluta nel nostro Sommo Sacerdote.

1) Dunque, prima di tutto viviamo in una specie di comunione abituale con lui.

A) Nostro Signore, come osserva l’Olier Cathec. Chret., 1° parte, lez. 20), nel giorno santissimo dell’Incarnazione, offrì al Padre tutta la vita sua e quella di tutti i suoi membri, e continua quest’offerta nel cielo e nell’Eucaristia. Né poteva essere altrimenti: essendo il capo di un corpo mistico di cui noi siamo le membra, Gesù opera sempre non solo in nome suo ma anche in nome nostro, e causa in noi, se corrispondiamo alla sua grazia, disposizioni simili alle sue. « Si offre sempre a Dio in sé e in tutti i suoi membri, in tutte le occasioni che hanno di servirlo, di onorarlo e di glorificarlo. Nella divina sua Persona, Nostro Signore è un altare su cui tutti gli uomini sono offerti a Dio con tutte le loro azioni e tutti i loro patimenti; è questo quell’altare d’oro ove si consuma ogni sacrificio perfetto; la natura umana di Gesù Cristo e quella di tutti i fedeli ne sono la vittima; il suo Spirito ne è il fuoco; e Dio Padre è Colui a cui il sacrificio viene offerto e che vi è adorato in ispirito e verità! », – Quanto è consolante questa dottrina! Le azioni nostre e i nostri patimenti sono certo offerta ben poco degna dell’infinita Maestà di Dio, ma ecco che il nostro Sommo Sacerdote li presenta egli stesso insieme coi suoi, li avvalora col valore dei suoi meriti e delle sue soddisfazioni; e Dio, per ragione del suo Figlio, li guarda benignamente, li accetta e ci dà in ricambio copiosissime grazie. Ecco perché dobbiamo non solo operare, ma, come dice Bossuet (Sermon sur l’Ascension, p. 534-535, ed. Lebarcq.), anche pregare con Gesù Cristo: « Gesù è il Mediatore generale; nessuno è accetto se non viene presentato per mano sua; se la preghiera non è fatta in nome suo, non sarà neppur ascoltata; nessun beneficio viene concesso se non per Lui… per cui tutte le preghiere sono esaudite, per cui tutte le grazie sono firmate, per cui tutte le offerte son bene accolte, per cui tutti coloro che vogliono accostarsi a Dio sono sicurissimi di essere ammessi… Onde io non temerò di asserire che, sebbene la Chiesa di Dio sulla terra e gli spiriti beati nel cielo preghino assiduamente, non c’è che Gesù Cristo solo che sia esaudito, perché tutti gli altri non lo sono che per riguardo suo ».

B) Dobbiamo pure immolarci con Lui e per Lui: perché nell’Orto degli Ulivi e sul Calvario Egli ci immolò tutti con sé. Gesù aveva predetto che, innalzato che fosse da terra (alludendo al supplizio della croce – S. Giov. XII, 32), avrebbe tratto tutto a sé. La profezia si è avverata: vedendo ciò che fece e patì per loro, i cuori generosi s’infiammano di amore per il divino Crocifisso e quindi per la sua croce; anch’essi, nonostante le ripugnanze della natura, portano valorosamente le loro croci interiori ed esteriori, sia per rassomigliare di più al divino Maestro, sia per dimostrargli il loro amore patendo con Lui e per Lui, sia per avere più larga parte ai frutti della redenzione e collaborare con Lui alla santificazione dei fratelli. È ciò che si vede nella vita dei Santi, che corrono dietro alle croci con maggiore avidità che non i mondani dietro i piaceri. Noi, che non siamo santi, abbiamo, ahimè! orrore dei patimenti e delle umiliazioni. Rammentiamoci che il divin nostro Capo fu incoronato di spine e inchiodato alla croce, e diciamo a noi stessi: sta forse bene che un discepolo, che un membro vivente di Cristo sia nelle delizie e vada in cerca di applausi, quando il nostro Salvatore è disteso sulla croce? Non volge Egli forse a tutti i Cristiani quell’invito: « Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua? » (S. Matt., XVI, 24.) Non ci sono due vie per andare al cielo, una seminata di rose e l’altra di spine; non ce n’è che una sola per tutti i Cristiani, senza distinzione, ed è la via della croce, dove crescono le spine; sebbene ogni tanto il Signore vi faccia fiorir qualche rosa per sollevar la nostra debolezza, e alleviare i nostri dolori, versandoci in cuore il suo amore. Se vi fosse stata un’altra via, Nostro Signore ce l’avrebbe insegnata; ora non ce ne indicò altra da quella che tenne Egli stesso. Gli Apostoli intesero così bene questa verità, che ci dicono, con San Paolo, che « se vogliamo aver parte alla sua gloria, è necessario aver parte ai suoi patimenti:  « si tamen compatimur, ut et conglorificemur » Rom. VIII, 17); con S. Pietro, che « se Cristo ha patito per noi, lo fece perché anche noi seguiamo le sue orme » (I Piet. II, 21); con S. Giovanni, che, « avendo Gesù data per noi la sua vita, anche noi dobbiamo esser pronti a dare la nostra pei nostri fratelli » (I Ep. S. Giov., III, 16), a dare cioè le nostre fatiche, i nostri sudori, le nostre sostanze per il nostro prossimo. Chi vuol vivere nelle delizie, è discepolo di Epicuro, non di Gesù Cristo. E che vuol dire immolarsi? Vuol dire operare per dovere e non per piacere, vuol dire fare la volontà di Dio e non la nostra, vuol dire adempiere i doveri del nostro stato e non seguire i nostri capricci, vuol dire insomma praticar le virtù cristiane. Infatti, come dice l’Olier, i chiodi di cui Gesù si serve per attaccarci alla croce accanto a Lui, « sono le virtù che infrenano il nostro amor proprio e i nostri desideri sensuali ». La croce che dobbiamo portare non è dunque lontana da noi, è vicina a noi, è in noi; e vivere da Cristiani è imitare Gesù Cristo, è partire con Lui, onde morire con Lui e risuscitare con Lui.

C) La risurrezione è infatti il fine a cui dobbiamo tendere, come sarà la ricompensa dei nostri sforzi e dei nostri patimenti: risurrezione del corpo alla fine dei tempi, ma specialmente risurrezione spirituale che si viene quotidianamente compiendo. È il fuoco dell’amor divino quello che, consumando tutte le imperfezioni e tutte le impurità dall’anima nostra, la verrà sempre più spiritualizzando e la farà entrare in comunione con le disposizioni e con le virtù di Gesù; ed è pur questo fuoco quello che ci rende più facile il grande dovere dell’immolazione. È da molto tempo che sant’Agostino disse che, quando si ama non si patisce, o, se si patisce, torna dolce il patire. Osservate quella madre che passa le lunghe notti al capezzale del figlio infermo, colla speranza, colla brama ardente di salvargli la vita. Si direbbe che non sente la fatica, perché ama il figlio, lo ama teneramente, generosamente, e, per salvargli la vita, è pronta a qualunque sacrificio. Avviene lo stesso in noi. Quando teneramente e generosamente amiamo Gesù, sacerdote e vittima, vogliamo assomigliargli in tutto, anche nello spirito di sacrificio. Vengono le malattie, vengono i dolori fisici e morali, vengono gli infortuni, le disdette, le umiliazioni, le contraddizioni, le persecuzioni, la povertà: e noi diamo uno sguardo al divino Crocifisso, ci distendiamo amorosamente sulla croce accanto a Lui, e dal fondo dell’anima ripetiamo con san Paolo: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione o l’angustia o la persecuzione o la fame o la nudità o il pericolo o la spada?… Ma in tutte queste cose noi stravinciamo coll’aiuto di Colui che ci amò. Sono certo infatti che né la morte né la vita, né il presente né il futuro… né altra creatura alcuna potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù Signor Nostro ». (Rom., VIII, 35).

2) Da questa comunione sorgerà una confidenza assoluta nel nostro Sommo Sacerdote.

A) San Paolo vi ci invita premurosamente: Appressiamoci dunque con fiducia al trono della grazia per ottener misericordia e trovar grazia ad aiuto opportuno ». (Ebr., IV, l6). E difatti Gesù, nostro sacerdote, non è nostro giudice ma nostro Salvatore: venne, non per condannarci, ma per perdonarci. Persuaso che sono gl’infermi che hanno bisogno del medico, va difilato ai peccatori per guarirli delle loro piaghe spirituali. È la sua preveniente bontà che va incontro alla Samaritana e la converte; è lei che perdona alla donna peccatrice i molti suoi falli; che prega sulla croce per i carnefici e che perdona al ladrone pentito. Occorrendo, Gesù lascia le novantanove fedeli pecorelle per correre dietro alla pecorella smarrita e riportarla sulle spalle all’ovile. A tutti quelli che soffrono offre consolazione e forza: « Venite a me, o voi tutti che siete stanchi ed oppressi, ed io vi ristorerò » (S. Matt,, XI, 28).

B) Questa confidenza la mostreremo specialmente quando vorremo glorificar Dio, chiedere le grazie di cui abbiamo così urgente bisogno e praticare le cristiane virtù.

a) Quando vogliamo adorare, amare, lodare e ringraziare Dio, sentiamo la nostra impotenza a farlo degnamente. Ebbene, perché non far nostri sentimenti di adorazione, di amore, di lode e di ringraziamento che Gesù offre al Padre per noi? Sono sentimenti che ci appartengono, perché Gesù è nostro sacerdote, nostro mediatore di religione, nostro supplemento. Non abbiamo da far altro che appropriarceli per offrirli a Dio e Dio sarà glorificato come si merita. – Non c’è, dice l’Olier (Cath. Chret. 2 p.., l. XI), nulla di più facile: « Sappiate che Nostro Signore è dentro di noi e ci aspetta a braccia aperte: non si ha che da cercarlo con tutta semplicità e darsi a Lui… Dice a tutti per bocca di David: Magnificate il Signore con me ed esaltiamo il suo nome tutti insieme. Non abbiamo quindi che a dirgli senz’altro: O Signor mio Gesù Cristo, che siete la mia lode, io mi compiaccio e godo di tutte le lodi che date a Dio vostro Padre, mi unisco e mi dò a voi, per adorarlo e pregarlo per voi e con voi; non voglio esser che una sola ostia di lode con voi per glorificar Dio per tutta l’eternità. E basta purché abbiamo in cuore l’affetto e il desiderio che gli esprimiamo colle parole ». –

b) Parimenti, quando si tratta di ottener grazie, non sappiamo neppure quello che dobbiamo chiedere né come dobbiamo chiedere; ma ecco che lo Spirito di Gesù, sommo Sacerdote, viene in aiuto alla nostra infermità e chiede per noi ciò che è più utile alla nostra santificazione con gemiti inesplicabili (Rom. VII, 25). Ora le preghiere di Gesù sono sempre esaudite. Possiamo quindi ottener tutto, purché lo domandiamo in suo nome, vale a dire uniti a Lui: « In verità, in verità, vi dico: quanto chiederete al Padre in nome mio, ve lo concederà (S. Giov., XVI, 23).

c) Continuamente ostacolati dalle tentazioni, dalle insidie del nemico e dalla propria incostanza, noi ci sentiamo incapaci di far progressi nella pratica delle cristiane virtù, Ma Gesù, sommo Sacerdote, sarà per noi, secondo l’espressione di S. Teresa del Bambin Gesù, l’ascensore che ci solleverà nelle sue braccia su fino a Dio. La qual cosa l’Olier esprime in altra guisa dicendo (l. c. 2° p. l. V): « Badiamo sempre a questa grande verità che Gesù è in noi per santificarci, è in noi e nelle opere nostre, e tende a riempir di sé tutte le nostre facoltà; vuol essere la luce delle nostre menti, l’amore e la fiamma dei nostri cuori, la forza e la virtù di tutte le nostre potenze, onde in Lui possiamo conoscere, amare e adempiere i voleri del Padre suo, sia per operare in suo onore, sia per patire e sostenere ogni cosa a gloria sua ». Badiamo però di non concluderne che diventi utile ogni sforzo da parte nostra. Per unirci a Gesù, nostro sacerdote, per fare nostri i suoi sentimenti e le sue virtù, bisogna staccarci da noi stessi e dalle creature, disciplinare le nostre facoltà, metterle nelle mani di Gesù, collaborare con Lui alla preghiera e alla pratica delle virtù. Potremo allora dire con San Paolo: « Non sono io pero, è la grazia di Dio con me » (1 Cor., XV, 10). – Sorretti allora dal divin Crocifisso, offriremo di gran cuore con Lui e il nostro corpo e l’anima nostra, con Lui porteremo da forti tutte le croci che gli piacerà di mandarci, con Lui ameremo ogni di più il Signore.

LE GRANDI VERITÀ CRISTIANE (16)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.