MERCOLEDI’ DELLE CENERI (2022)

MERCOLEDI DELLE CENERI,

Della Morte.

(S. LEONARDO DA PORTO MAURIZIO: Prediche quaresimale, vol. I. – Stamp. Mazzoleni, Bergamo, 1822)

Memento homo quia pulvis es, et în pulverem reverteris. Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra.

I. Che la Chiesa per guarire le infermità dell’uomo stempri per primo antidoto alle sue piaghe la cenere, e gli porga prima medicina la morte, l’intendo; ma che l’uomo resistendo colla contumacia del male al vigore di sì gran meditamento, vada screditando le ceneri in faccia alla morte, raddoppi i disordini di una pessima vita, non lo capisco. Nasce l’uomo, e sin dai primi giorni. del viver suo dà in delirj; apprende come tesori ciò, che non è che vil cenere, apprende come cenere ciò che è un gran tesoro: reputa un gran bene il sommo dei suoi mali ed infortunj, reputa un gran male il suo vero bene: Dicit malum bonum, et bonum malum. A fermar questi capogiri entrano unitamente di mezzo il Vangelo e la Chiesa; il Vangelo lo spoglia di quei beni da lui stimati tesori: nolite thesaurizare vobis thesauros in terra. La Chiesa lo asperge di ceneri da lui aborrite come veri mali: memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Ma se ben si considerano, i tesori del Vangelo, e le ceneri della Chiesa sono diversi vocaboli sì ma sono però le istesse cose; perché i tesori, che proibisce il Vangelo, sono vere ceneri, e le ceneri che e’ impone sul capo la Chiesa, sono veri tesori; né altra differenza vi è, se non che i tesori apparenti destinati dal Vangelo sono ceneri sollevate, i tesori veri, dei quali ci arricchisce la Chiesa, sono ceneri abbattute. Adesso capisco in che consista il rimedio più efficace dell’infermità dell’uomo; convien levar via dal mondo questa maledetta ipocrisia, che fa apparir bene quel che è male, e male quel che è bene; fa apparire un gran tesoro quel che è polvere, e polvere quel che è un gran tesoro. Risvegliatevi , se così è; acciecati mondani, e capite la gran verità della Chiesa: memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Ed acciò sappiate una volta discernere i tesori dalle polveri, e le polveri dai tesori e vi approfittiate della memoria della morte per ovviare i disordini della vita, vi propongo questa due gran verità, che serviranno per base di tutte te altre, che dovrò proporvi nel presente corso quaresimale: cioè la brevità di una vita, che sempre muore, di cui tutti siamo sicuri, perché tutti siamo mortali: Memento, quia pulvis es, e sarà il primo punto. L’immortalità di una morte, che non muore mai, di cui tutti portiamo pericolo, perché tutti siamo peccatori: Memento, quia in pulverem reverteris, e sarà il secondo. Ecco due prese di polvere atte a rimediare tutte le infermità dell’uomo. La prima polvere, che è polvere dei vivi: pulvis es con porci in mostra la brevità di una vita, che in un volo anzi in un lampo sparisce, ci farà disprezzare il presente, con farci conoscere, che non sono altro che cenere i suoi tesori; la seconda polvere, che è polvere dei morti: et in pulverem reverteris, con dimostrarci il pericolo. di una morte immortale, che non mai finisce, ci farà assicurare il futuro, con porci in possesso della beata eternità, in cui si goderanno i veri tesori. Se non altro tutti alla fine apprenderete, che per voi la memoria della morte è un gran tesoro, tutto il resto non è che poca polvere, che poca polvere; Nolite thesaurizare vobis thesauros in terra. Incominciamo? No …. – Prima d’incominciare, fermiamoci ancora; a voi mi rivolgo, o gran Vergine, o gran Madre. Eccomi su le mosse di questo corso quaresimale; e come mai potrò io camminare sicuro senza aver voi per mia guida in viaggio sì disastroso? Deh o gran Signora, se voi di lassù vedete, che io quaggiù; sia per andare in cerca di altro, che di anime. A Voi, e al figliuol vostro sì care, voi prego, o gran Madre, troncatemi pur ora e voce e vita, e concedete a questo popolo benedetto un ministro fedele qui loquatur ad cor Jerusalem. – Che vi è in grado altrimenti; a me non dà il cuore cominciare, senza prima ottener dalla vostra benefica mano, la S. Benedizione …. Benedite dunque; o gran Vergine questa mia povera lingua, e benedite altresì il cuore di chiunque mi ha da udire, acciò la mia lingua parli al cuore, e dal cuore ne riporti i frutti di vita, Si sì, beneditemi Madre pietosa, beneditemi…. Adesso sì, che con la benedizione della mia gran Madre, della mia gran Signora Maria, volontier incomincio.

II. Nasce l’uomo, e dal primo momento del vivere suo, comincia a morire, e a torto si lamenta, che un affare di tanta importanza, di quanta è il morire, si faccia. in un momento. Ahimè  che si muore in tutta la vita, e con la morte non meno si finisce di vivere che di morire. Gran cosa, tutti noi stiamo sul vivere molto, che non è in poter nostro; e sul viver bene, che si può, e si deve far da noi, ci stiam sì poco. Tutti noi apprendiamo per un gran male la morte del corpo, che presto passa, e anch’essa muore; e la morte dell’anima, che è immortale, e non finisce mai, l’apprendiam sì poco. Che delirj sono mai cotesti? la vita del corpo, che è una vita moribonda, una vita, che sempre muore, e si risolve in cenere, la teniamo cara, come un gran tesoro, e la vita dell’anima, che è il più gran tesoro, che possiamo avere in questa vita, la disprezziamo come: vilissima cenere. Con tutta ragione dunque, o pietosissima Madre, santa Chiesa per farci rientrare in noi stessi, c’intimate questa mane: Memento homo quia pulvis es. Ricordati uomo; che sei polvere:Polvere! sento chi mi ripiglia, come può dir questo con verità la Chiesa? se mi concede,che son uomo: memento homo, comedunque son polvere, e, se son polvere, comeson uomo? Quest’occhio sì brillante, concui io guardo, certamente or non è polvere;questa lingua, con cui io parlo non è polvere; questo mio. sembiante sì florido non è polvere, la polvere non parla, non sente, non vive. Io parlo, sento, e vivo,dunque non son polvere. Ah inganno! Dice benissimo, la Chiesa: pulvis es, pulvis es.La creta benché colorita con una. bella vernice non lascia di esser creta. Se voi dal più basso ufficio di garzon di stalla togliete un giovane per fargli apprender lettere, cinger spada, e costui vedendosi una bella livrea indosso, facesse delle insolenze, vo gli direste opportunamente: eh meschino! Va va, che ancor puzzi di stalla, e sta in mia mano rimandarti giù alla stalla: oh! Adesso non è più stalliere: bene, dite voi, se non è; lo fu, e lo sarà, stando in mio potere rimandarlo la, e tanto basta. Così per appunto disse Dio ad Adamo, che vedendosi adorno di scienza; e di grazia,cominciava ad alzare il capo con affettare di essere da più di quel che era: Eritis sicut Dii. Dio gli disse; Pulvis es; et in pulverem reverteris? Mi meraviglio di te povero figlio del fango Damasceno; sei polvere e ritornerai polvere, mentre vivi una vita moribonda, che sempre muore, ed altro non è, che un impasto di vilissima cenere.

III. Ma per disinganno della nostra superbia, e per fondamento di tutto il discorso preme non poco, che noi tutti veniamo a capire, che tanto Dio, come la Chiesa non isbagliano intimarci, che presentemente siamo polvere, non solo che saremo polvere: in pulverem reverteris ; ma che con tutta verità siamo polvere anche di presente … pulvis es. La ragione è chiara; perché l’uomo in qualsivoglia stato sì trovi, certo è, che fu polvere, ed ha da ritornare in polvere. Non vi pare legittima la conseguenza? Attendete. Apparisce Dio a Mosè nel deserto di Madian, e gli dice: porta al tuo popolo la nuova del vicino riscatto, e se non ti voglion credere; digli così: Qui est misit me ad vos. Quello che è mi ha inviato a voi. Quello che è? che nome è mai questo? anche Mosè è quello che è, anche Faraone è quello che è, anche il popolo;a cui dovea portar  l’imbasciata è quello che è. No, risponde S. Girolamo, solo di Dio si dice: qui est, perché solo Dio èquello che è; e la ragione la cava il Dottore dall’Apocalisse … qui est, qui erat, et qui venturus est: Quello che è, quel che fu,quel che sarà, quello veramente è quello che è, e questo è Dio, e perché Dio fu Dio, e sarà Dio, e però si dice, che Dio è quello che è: Qui est, qui erat, et qui venturus est. Ma chi non è insieme, e indivisamente quel che fu, e quel che sarà non è quello che è; ma è solamente ciò che fu, e ciò che sarà, e questi siamo noi. Volgete l’occhioal passato; che cosa siamo stati? polvere. Volgete l’occhio al futuro, che cosa saremo? polvere. Dunque se siamo stati polvere,e saremo polvere, adesso siamo polvere… Qui est. quod fuit? dice Salamone, ipsum quod futurum est. Quid est, quod factum est? ipsum quod faciendum est. Che cosa è quel che fu? quel medesimo, che sarà.Che cosa è quel che sarà? quel medesimo, che fu. Dunque nel passato si vede il futuro, e nel futuro si vede il passato E il presente dove si vede?… Salomone non lo dice, lo dirò io: il presente si vede e nel passato, e nel futuro; perché che cosa è il presente? non è altro che il passato del futuro, e il futuro del passato. Dunque se nel passato siamo stati polvere, e nel futuro saremo polvere, nel presente siamo polvere. Ma questa ragione sì speculativa, e metafisica non si comprende bene da tutti; convien dunque delucidarla in grazia dei meno intelligenti. Prendete in mano un oriuolo da polvere, e miratelo con attenzione; di sopra ha polvere, che ancor non è caduta, di sotto ha polvere, che già è caduta, e giace nel fondo; in mezzo ha polvere, ed è quel sottil filo, che, si muore, e cade da vetro in vetro; or questo sottil filo è la nostra vita, la quale è polvere, perché è l’istessa polvere, che fu di sopra, è l’istessa polvere che fu di sotto; e perché fu polvere, e sarà polvere, però è polvere; e infatti come un oriuolo, in cui già è caduta la polvere, parlò Isaia della nostra misera vita: finitis est pulvis, consummatus est miser, deficit qui conculcabat terram. – Or venite qua tutti, e toccate con mani la verità, che la nostra vita è una vita moribonda, una vita che sempre muore, e in un lampo sparisce, anzi per una gran parte già è morta; scuotete la polvere del vostro oriuolo, vedete quanta n’è già caduta. Qua, o giovane, dov’é la tua fanciullezza? passò; dunque ella è polvere già caduta. Qua, o uomo adulto: dov’è la tua gioventù? passò; dunque ella è polvere già caduta. Qua; o vecchio, dov’è la tua virilità? passò; dunque ella è polvere già caduta; sicché in te, o giovane, è morta la fanciullezza; in te, o uomo, è morta la gioventù; in te, o vecchio, è morta la virilità; dunque, la vostra vita non solo è vita moribonda, che sempre muore, ma per una gran parte già è morta. E voi vivete sì spensierati, come se foste immortali, come se mai aveste a morire? Oh inganno fallacissimo! Benedetta sia S. Chiesa, che ci risveglia questa mane; e ci disinganna con intimarci: Memento homo, quia pulvis es. Ricordati; uomo miserabile, che sei polvere; sentitela tutti: Pulvis es, pulvis es, voi, voi, uomo leggerissimo, che per quattro lodi, per aria v’invanite tanto: Pulvis es. Voi. o donna vana, che per un poco. di vernice, o di bel colore sul volto, ve ne andate tutta altera, e vi pavoneggiate; riscuotendo le adorazioni anche in mezzo alle Chiese, come se foste una. gran Dea: Pulvis es. Voi ambizioso a cui un poco di fumo dà sì fattamente negli occhi, che vi fa perder di vista e Dio, e l’anima, e l’eternità: Pulvis es. Voi, sensuale, che adorate quel vostro misero corpo, studiando tutta l’arte di compiacerlo con quei sozzi, e schifi diletti, deh aprite gli occhi, e studiate questa breve lezione che vi dà S. Bernardo: quid fuisti, quid es, quid eris… Che cosa foste? polvere. Che cosa siete? Che cosa sarete polvere. Pulvis es, pulvis es; siete polvere, e per gran parte polvere già caduta ; siete un cadavere, siete un po’di terra putridita e questo per punto fu il palar misterioso del Profeta Geremia: Terra, terra, terra audi vocem Domini. – Terra, terra,  terra ascolta la voce del. Signore. Santo Profeta a chi parlate voi? Parlo all’uomo. E perché dimandarlo alla terra tre volte? Perché in verità l’uomo è tre volte terra. È terra nella sua origine; è terra nel suo essere, è terra nel suo finire. È terra, se consideri il passato, è terra, se-rifletti al presente; è terra se pensi al futuro. E con tanto di terra sugli occhi, e con tanto di morte addosso, non ci risvegliamo questa mane? È possibile che si tiri innanzi quella vita scellerata con quella mala pratica, con quegli odj, con quei rancori, con quegli aggravj di roba altrui? E con la morte sì inviscerata nelle ossa sì seguiterà a viver così? Peccatori dove avete il senno? è possibile tanto d’insensibilità? non basta questo per riscuotervi, per farvi abbassare le ali a tutti?…

IV. Che tuoni sono mai questi, che rimbombano in questa Chiesa, e si sentono per la prima volta da questo Pergamo? Terra, cenere, morti, cadaveri! Dunque questo mondo sarà un vero cimitero? E tra noi, e i defunti non vi sarà differenza alcuna? Quelli son polvere, noi siamo polvere, eccoci tutti polvere. No la differenza c’è, e però attendete.. Osservaste mai in tempo d’estate, quando tutte le strade son polverose; nasce talvolta un vento impetuoso, che insinuandosi per mezzo alla polvere la solleva in alto, e ne fa giuoco per le vaste campagne dell’aria; vedete di grazia, come quella polvere, quasi dissi animata da quello spirito, or grandeggia a modo di torre, ora spiegasi a forma di padiglione, or aggruppasi come un globo di nuvole, or avventasi al volto dei passeggieri; va in qua in là, per questa, per quella via, alle porte, alle finestre, entro povere case, entro superbi palazzi, in cima alle torri più alte; in fondo alle valli più cupe, né siferma mai, finché dura il che la balza all’insù, la spinge al basso, conduce in giro, la sparge in largo, e ne fa mille giuochi: fermatosi poi il vento, ecco che la polvere ancora si ferma dove appunto il vento la lasciò, dentro casa, o sulla cima del tetto, o nel piano della campagna. E qual polvere, e qual vento è mai questo? La polvere siamo noi: Pulvis es, terra es, il vento è la nostra vita; lo disse il Profeta Giobbe; ventus est vita mea; levasi il vento ecco la polvere alzata: fermasi il vento, ecco la polvere caduta. Polvere alzata sono i vivi che vanno, che vengono, che entrano, che escono. Polvere caduta sono i morti, che giacciono in sepoltura, sopra la quale leggerete passim: hic jacet, hic jacet, e vuol dire: questa poca polvere, che sta sotto questa pietra, si sollevò tanti anni fa; si mantenne in aria per tanto tempo, e giunse al tale ed al tal posto alla tale, e tal dignità; adesso hic jacet, hic jacet ; sicché e vivi, e morti siam tutti polvere; i vivi son polvere alzata dal vento, i morti son polvere abbandonata dal vento; i venti che soffiano sono di due sorti; il primo è il vento della vita: ventus est vita mea. Il secondo è il vento della fortuna, che: porta in alto più l’uno, che l’altro. Questi due venti mancano sul più bello, e la polvere dà giù: Aufers spiritum eorum, ecco il vento: Aufers spiritum eorum, et deficient, et in pulverem suum revertentur. Ecco la polvere. Oh poveri mondani vi vedo pure fatti ludibrio dei venti! Ecco là colui che se ne sta in alto sull’auge delle sue grandezze; mirate come è riverito da tutti, corteggiato da tutti, applaudito da tutti, e quanto durerà? sinché dura il vento; e poi? e poi sarà polvere calpestata dai piedi dei più vili garzoni. Ecco là. quell’altro, che è nel fior dell’età, mirate come si dilata, come spiega i suoi affetti, come scorre per ogni prato, va a caccia dei passatempi, e sì ubbriaca dei più sozzi diletti, e quanto durerà? Sinché dura. il vento; e poi? e poi deficit, et in pulverem suum revertetur. Osservate quel mercante,che tutto ingolfato nei negozj ad altro non attende, che ad accumular ricchezze efar denaro, tutto traffichi, tutto corrispondenze, tutto rigiri, senza un momento di respiro, né per l’anima, né per l’eternità.Oh che polvere agitata! E quanto durerà? Sinchè dura il vento; e poi? e poi si poserà in un sepolcro, sopra di cui si leggerà scritto hic jacet, hic jacet. O vita mortale, aura fugace, polvere volante, che ti aggiri per aria con quei vasti, e vani disegni di gusti lusinghieri, di accumulate ricchezze, di ambite dignità, di potenza, di fama di gloria,di nome immortale dopo la morte, quanto durerai quanto? Te lo dirò io: quanto ha di stabilità un soffio di vento, che è senza regola, e senz’ordine: ubi sult spirat, et nescis unde veniat, aut quo vadat. Qua, umana. superbia, vedi chiara la verità! che la tua vita è una vita moribonda, una vita, che sempre muore, una vita, che non è che un soffio? Giù dunque, giù, giù, abbassa il capo, e confessa con tutta schiettezza, che in realtà sei polvere: memento, quia pulvis es. Che la tua vita non è che un soffio di vento: memento, quia ventus est vita tua, e che Iddio vendicatore quanto prima; Auferet spiritum iuum, et in pulverem tuum reverteris.

V. Or qui discorriamolo; miei cari peccatori, non essendo noi che un poco di polvere, e la nostra vita, che un poco di vento, come mai saremo sì temerarj a disprezzar la Legge santissima di quel Dio: qui potest corpus occidere et animam perdere; di quel Dio, che può in un baleno spargere all’aria questa nostra polvere, e calmare in un subito il turbine di sì impetuoso vento? Di quel Dio che può far cenere di questo nostro corpo, e mandare in precipizio per tutta l’eternità questa nostra povera anima? Dilettissimi peccatori, come ardirete di peccare, se rifletterete che peccando offendete quel Dio: che potest occidere, vi può far morire in tutti i tempi, e la mattina quando vi destate, e la sera quando vi coricate, e vi ritirate al riposo? potest occidere in ogni luogo; vi può far morire quando andate a spasso a quel giardino, quando giuocate in quella veglia, quando ballate in quel festino, quando giacete in quel letto, quando vi trovate in quella conversazione: potest occidere. Vi può far morire in tutti i modi: potest occidere in una stilla di acqua; così fece morire in un banchetto Alessandro, potest occidere in un acino di uva, così fece morire giocando un Fabio; potest occidere con un morso di animaluccio, così fece morire. Scherzando un Baldo; potest occidere in un boccone di fungo, così fece morire mangiando un Claudio: potest occidere con un accidente apopletico, con una goccia improvvisa, che già da molto tempo si va generando dentro di voi. Eh che sapete voi di quel che passa nell’intimo di voi stessi? Forse non potrebbe succedere ad alcun di voi, come a quel celebre capitano detto il Caldoro, che con sorte rara arrivato tra le battaglie all’età di 75 anni passeggiava lieto per il campo, e si gloriava di essere tuttavia sì disposto della persona, e sì vivace come fosse di venticinque anni. Non dubitate, che finì in un punto e di vantarsi e di vivere, perché percosso da un fiero accidente, fu stramazzato morto a terra; peccator mio, non potrebbe succedere l’istesso a voi? Deh appigliatevi all’esempio del s. Davidde, che considerando quante sia breve la nostra vita, a quanti accidenti sia esposta, a quanti rischi, si pasceva giornalmente di cenere: cinerem tanquam panem manducabam. Cenere come pane? Si mangiava la cenere come pane, perché siccome il pane è il cibo più comune, che si confà a tutte le complessioni, così la cenere, cioè la memoria della morte è l’alimento più sostanziale dell’anima per conservarla nella grazia di Dio: Cinerem tanquans panem manducabam

VI Ma chi non sa, che la maggior parte degli uomini vanno ingannati in questo punto? Non solo non vogliono mangiar la cenere come pane, ma hanno per oggetto di sommo orrore il sol pensarvi, si figurano lontano lontano, quel termine che è vicino vicino. Pertanto perdonatemi; o Savio; in quella vostra distribuzione dei tempi, che tassate a tutti, l’avete sbagliata: avete lasciato il meglio, avete posto il tempo del nascere, ed il tempo del morire, senza far menzione del tempo di vivere: Temps nascendi, tempus moriendi. È il tempo di vivere dov’è? mettetelo,;che ci va in ogni conto: Tempus…Ma se nell’atto stesso di porlo gli fuggedalla penna… Ma lo vogliono in ogni modo,ditelo: tempus vivendi, ma qual è il tempodi vita, dice Agostino, se il tempo che sivive, è lo stesso di quello che si toglie dallavita? Quanti anni avete voi? v’ interroga ilSanto; venti, trenta, quaranta. Ah ingannati!non dite che gli avete; dite che gli aveteperduti, perché: Quidquid temporis vivitur:, de spatio vivendi demitur. Or vedete quantov’ingannate, allorché scrivete a quell’amico,ci rivedremo nella prossima primavera; cela spasseremo in quel giardino, in quellavilla, vi sarà la. commedia, la veglia; vi saràla tale ;..sarà piucché lieta la conversazione.Ah meschini! interverrà a voi ciò che intervenne a quel ricco dell’Evangelo … Che andava facendo i suoi conti: Hobeo multa bona reposita in annos plurimos. Sì, sì, gli scrive contro Cirillo: habes: multa bona, sed annos plurimos unde poteris obtinere? Avete ì beni, avete i giardini, le ville, le conversazioni, le veglie, ma gli anni da goder questi beni, dove gli avete voi? Io vedo, che lo Spirito Santo per bocca del Savio vi stringe i panni addosso con quel tempus nacendi, tempus moriendi; e con questa cifra vi dà ad intendere e che la vita non è altro che un principio di morte. Vite principium; mortis exordium; anzi non facendo menzione della vita, vi vuol far capire che l’uomo che vive, è un defunto animato, una morto Spirante, un sensitivo cadavere; e tutta insieme finalmente la vita altro non è, che un corso, una fuga, un volo, un lampo, un precipizio alla morte. O vita umana, vita mortale, vita moribonda, fallacissima e fugacissima vita! Memento dunque quia pulvis es. – A voi l’intimo o boriosi, a voi, o superbi: a voi, che siete polvere innalzata dal vento, e vi agitate per l’aria. con tanti giri, e rigiri, ah che quanto. prima sarete polvere abbattuta! in pulverem. reverteris.

VII Il Memento, che con le parole della Chiesa ho intimato sin ora ai vivi: Memento homo, quia pulvis es, non è quello, che mì spaventa; tutto il mio timore l’ho riserbato per il memento, che ho da intimare ai morti, e sì rinchiude in quelle parole: et in pulverem reverteris. Ai vivi ho rammentato, che la prima polvere è de vivi: Pulvis es. La seconda polvere è polvere de’ morti: et in pulverem reverteris. Ai vivi ho rammentato che sono polvere sollevata, e quanto prima saranno polvere abbattuta. Ai morti devo rammentare, che sono polvere abbattuta, e quanto prima saranno polvere sollevata. Ai vivi dissi: Memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Dissi all’uomo, ricordati. uomo; che sei polvere, perché fosti polvere, ed hai da ritornare in polvere. Adesso dico alla polvere, ricordati polvere che sei uomo, perché fosti uomo, ed hai a ritornare ad esser uomo: Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris. Or qui discorriamola familiarmente: o noi crediamo, che la nostra polvere ha da ritornare ad esser uomo, o non lo crediamo? Se l’uomo finisce col solo ridursi in polvere, non ho più che dire: a che servono le prediche, a che le quaresime? Usciamo pur di chiesa,perché tutto è perdimento di tempo: ma se vostra polvere ha un dì a risuscitare e ritornare ad esser uomo, io non saprei ciò che mai vi abbia a dire. Ah dilettissimi, alme non fa paura la polvere, che ho da essere, mi fa paura quel che ha da esser lamia polvere: non temo la morte, temo l’immortalità,temo il pericolo d’una morte immortale, che non finirà mai (ed oh quanto è più importante la prima questa feconda verità!) Non temo il giorno delle ceneri,temo il giorno di Pasqua, in cui mi si ricorda la mia risurrezione ad una vita, o una morte immortale che non muore mai: Scio enim quod Redemptor meus vivit, et in novissimo die de terra surrecturus sum. Scio, non dice credo, ma scio, perché la verità è certezza dell’immortalità dell’uomo, è non solo di fede, ma anche scientifica.Per scienza, e ragion naturale la conobbero e Aristotele, e molti altri filosofi gentili: e pure a parlar con ingenuità, se rifletto al nostro modo di vivere, ritrovoche noi non siamo né come mortali, né come immortali. Non come mortali perché trattiamo le cose: di questa vita, come se questa vita fosse eterna Non come immortali, perché amo con tal dimenticanza della vita eterna, come se non vi fosse. Or qui sì, che mi sento accendere di un santo zelo, e non posso trattenermi, che a tutta voce non esclami: miseri mortali a che pensate voi? che scempiaggine è mai la vostra! sapete pure che avete a morire? sapete pure che dopo la morte avete a risuscitare e sapete pure che vi aspetta un’eternità che non ha fine? come dunque non temete una morte immortale? una morte che non finirà mai? Chi vi ha tolto il senno, dilettissimi? In che impiegate voi i vostri pensieri, le vostre sollecitudini? di che si tratta qui? dite dite, di che si tratta? non si tratta dell’anima? E di un’anima che è vostra, anziché è di voi? E di un’anima che è unica, e di un’anima che è immortale, e di un’anima, che se una volta si perde, la perdita è irrecuperabile? e di quest’anima immortale voi mostrate sì poca premura? ahimè! memento, vi dirò col Grisostomo, memento quod de anima loqueris: Che vogliate mettere a risico la roba, la sanità, la vita, l’onore, e tutto il resto, ve le passo: ma l’anima, ma l’anima che è eterna, perché cimentarla al pericolo di una morte immortale, di una morte, che non finirà mai? Deh aprite gli occhi, carissimi, e vi serva di freno quest’esempio moderno per trattenervi, e non lasciarvi andare al precipizio.

VIII. Una Principessa di grande stima avea un Paggio di buonissima indole da lei amato a tal segno, che più volte l’aveva onorato col titolo di figlio. Questo paggio avendo assistito alla mensa una mattina, in cui erano in palazzo molti convitati, finita la tavola, invece di andare a reficiarsi, si ritirò nella sua stanza, e così vestito si gettò sul letto. I Padroni stavano dopo la tavola in conversazione, e la servitù era tutta applicata a godersi gli avanzi di quel lauto convito, e il povero paggio solo con terribili convulsioni di stomaco stava ravvolgendosi per il letto in miserabil tormento; e perché il male consisteva in umori maligni come poi si scoprì con l’istesso rivolgersi gli giunse più facilmente al cuore; lo soffocò, e senz’anima, che comparisse mai ad ajutarlo, ne morì. Erano già passate alcune ore, il paggio non si vedeva comparire; andato un suo compagno alla stanza, lo vede disteso sul letto con le braccia qua e là in abbandono; lo scuote, credendo, che dormisse, ma il sonno era della morte. Ohimè! è morto, è morto, si sparge la nuova per il palazzo. La Principessa corre in persona a quello spettacolo, e vede il povero giovane età di quindici anni, quello, che tre ore prima aveva servito a tavola; lo vede colla livrea ancora indosso senza parola, e senza fiato. A quella a cominciò a bollire nel cuor della padrona una confusione di affetti, di dolore, di compassione tenerissima, di spavento orribile di sé medesima, di timor panico della morte, e lo mostrò la mattina seguente, in cui ordinati molti suffragi per quell’anima, mandò a chiamare un confessore dei più accreditati, e si confessò. Il confessore dalla qualità del caso, dal modo del racconto, e dal sentimento in cui la principessa si confessò, conobbe in lei una straordinaria mozione di affetti, e però le disse: Vorrei che V. Eccellenza questa mattina, comunicata che sarà, domandasse a Dio che cosa pretende da lei con averle fatto vedere un tale spettacolo. Lo farò. Comunicata che fu, si ritirò in sé stessa, e fatto un atto di viva fede disse: Signore mio, che pretendete da me con un avviso così terribile? parlate, Signore, perché, se sono stata sorda per l’addietro, non sarà così per l’avvenire. Stette così alquanto in silenzio, e con voce interna chiarissima si sentì dire: Vorrei vederti più apparecchiata alla morte di quello che non sei; quando si deporranno tanti capricci di testa? Quando  sì riformerà un vestir sì immodesto? Quando  si farà la pace tra te, e me tuo Dio? di che ti fidi? della gioventù? il paggio era più giovane di te; della sanità? Più sano e più robusto di te vera il paggio. Aspetti l’avviso di qualche lunga malattia? ecco, che anche senza malattia si muore? se la morte coglieva te, come ha colto il paggio, adesso dove ti troveresti con quel gruppo di coscienza non ancora sciolto, con quei debiti non soddisfatti, con quelle tante colpe personali, e tante altre, che sono a tuo carico, per esserne stata tu l’occasione? è possibile, che non temi una morte immortale, una morte che non morirà mai? Inorridì a questa scoperta la principessa, e piangendo a calde lagrime tornò a’ piedi del confessore, e le disse: Padre, non partirò dai vostri piedi, se non accordiamo questi due punti; l’uno un’esatta confession generale di tutto il passato; l’altro è un’esatta regola di vivere, e sedere, di trattare per l’avvenire. L’uno e l’altro si fece, e l’eseguì. con tanta esattezza, che dopo alcuni anni avvisata della morte, rispose ridendo; lodato sia Dio: sono già tanti anni, che aspetto questa nuova ogni dì.

IX. Via su, carissimi, risvegliatevi tutti; e seguitate l’esempio di questa savia principessa, che riformò sì bene la sua vita, che le fruttò un sommo contento in punto di morte, e lasciate che di bel nuovo v’intimi: memento pulvis, quia homo es, et in hominem reserteris. Polvere che fosti uomo, ricordati che sei uomo, e caduto a terranon hai da rimaner sempre polvere, ma la resurrezione della carne t’ha da impastareun altra volta in uomo: in hominem reverteris.Vi è per te un’altra nascita, vi è perte un’altra vita, vi é per te un altro mondo: Credis hoc? lo credete, Cristiani miei?e se lo credete, perché non mettete al confrontol’uomo momentaneo che siete, con l’uomo eterno che sarete? La vita istantaneache vivete, la morte che passa, con lamorte che non muore mai? Deh per le viscere di Gesù non vi vogliate più lungamente ingannare, riscuotetevi, ed abbiate pietà (ve ne prego con le braccia incrocicchiate sul petto) pietà, pietà delle povere anime. vostre, e per cominciar la quaresima con frutto, fate quel tanto che fece l’accennata. principessa, che ubbidiente al consiglio del confessore si ritirò in se stessa udì la voce di Dio, apprese il pericolo di una morte immortale che non muore mai, e fece quella bella conversione, che le raddolcì tutte le amarezze della morte. E per venire alla pratica, ecco la prima grazia che vi chieggo:in ogni giorno di questa quaresima ascoltate con divozione la santa Messa. Non me la negate, e in tempo della Messa raccogliete un poco in voi, e ognuno di voi a solo asolo con Dio pensi per quella mezz’ora e alla morte vicina, ed alla sua vita passata.Lasciate pure per quel tempo ogni altravozioncella, e ponderate questi due punti per impiegar bene questi due quarti d’ora:nel primo quarto, quanto son io vissuto,come son io vissuto nel tempo addietro? Oh quanta materia di pianto troverete qui!…Nel secondo quarto, quanto mi resta da vivere, e come ho io da vivere in avvenire! oh che bei proponimenti concepirà il vostro cuore… ve li replico quanto son io vissuto, e come son io vissuto per il passato nel primo quarto. Quanto mi resta da vivere, e come io ho da vivere per l’avvenire nel secondo. Oh benedetta quaresima, se ogni giorno per mezz’ora vi atterrete in questo gran pensiero, Allora sì che apprendendo quanto presto sparisca il volo, anzi il lampo d’una vita sì fallace, al tuono del Memento homo, quia pulvis es; et in pulverem reverteris, disprezzerete il presente, apprezzando il pericolo d’una morte immortale, che non muore mai al fulmine del Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris, assicurerete il futuro. – Riposiamo.

Motivo per l’Elemosina, ed altri avvisi

X. Thesaurizate vobis thesauros in Cœlo, i tesori detestati dal Vangelo sono ceneri; volete che siano veri tesori, metteteli nelle mani dei poveri, (Il detto di S. Lorenzo a Valeriano.) Per altro eccomi, popolo mio dilettissimo, venuto a voi per vento, per nevi, per ghiacci, e molti altri incomodi e disagi. Chi mi ha qui condotto? Sapete chì? un desiderio vivo di mettere in salvo le anime vostre; e mi protesto, che  non quæro vestra, sed vos, non quæ mea sunt, sed quæ Jesu Christi. Una grande impresa è la mia, e un grande affare è il vostro. Sarà mio ufficio additarvi la via della salute, sarà vostro impegno il camminare per essa, ed oh che affare di somma premura è per voi il salvarvi! Dilettissimi si tratta di salvare un’anima, anima sola, anima immortale, anima, che se una volta si perde, la perdita è irrimediabile; e per salvare quest’anima qual è il mezzo più essenziale, il più comune, di cui si serve Dio? Eccolo. La predicazione evangelica; e tanto basta per farvi capire l’obbligo immenso; e strettissimo, che avete di venire a sentire tutte le Prediche. Dissi, tutte, perché, come notano gravissimi autori, la salute dell’anima pende talvolta da un lume, da un tocco interiore da una ispirazione accettata; né voi potete sapere a quale delle prediche di questa quaresima sia annessa quella ispirazione efficace che ha da far il colpo nel vostro cuore; se a quelle Dei giorni festivi, o quelle dei giorni feriali; e però chi ha zelo di salvarsi vede benissimo, che senza un gran rischio di perdersi non ne deve lasciare neppure una. – Ma non basta venire. alla predica, bisogna anche attendere a ciò che si dice nella predica, e qui notate, che mentre si predica, parlano due, Dio è l’uomo. Dio come capo, e principale; l’uomo come mezzano e suo ministro. Sicché la predica è un complesso di umano, e di divino. Due cose vi concorrono a ben formarla, la voce di Dio e la voce dell’uomo; la voce di Dio è l’istessa in tutti i Predicatori, e per sentir questa dovete venire alla predica, perché questa è che ammollisce il cuore, dà la spinta al bene, e con virtù efficace trionfa del cuore dell’uomo; conforme dice il Salmista: Dabit soci suæ vocem virtutis. La voce poi dell’nomo è varia nei Predicatori, chi l’ha più elegante, più bizzarra, e fiorita; chi rozza, e disadorna. Sia però come si voglia, è sempre, dice Paolo: Æs sonans, et cymbalum tinniens. Ed ecco perché la maggior parte non profittano della predica, perché vengono per sentire la voce dell’uomo, non la voce di Dio, per notare lo stile, le arguzie, le figure. No no chi verrà alle mie prediche non si aspetti fiori; un tronco aspro, rozzo qual mi vedete, è incapace di bella verdura. Venite dunque per sentir, la voce interna di Dio, che in ogni predica picchierà alla porta del vostro cuore, e in questo modo spero che ne caverete un gran profitto. –  Padre, verremo ma con patto, con patto! che patto? con patto che non siate tanto lungo e lasciate certe invettive, o esagerazioni… già intendo: quel che tengo preparato in ogni predica è per trattenervi un’oretta in circa, ma perché io non sto attaccato alla carta, se talvolta lo spirito di Dio animerà la lingua dell’uomo, volete che tronchi il filo? non tornerebbe bene né a me, né a voi; tanto più, che l’esperienza m’insegna che quelle cose, che Iddio ispira nel fervor del dire, sono quelle, che riportano la vittoria. Voglio dire, se qualche volta a quell’oretta si facesse una piccola aggiunta non sarà lunghezza, ma condiscendenza allo spirito del Signore, che così disporrà. In quanto poi all’inveire, Isaia m’intima: Clama, ne cesses, quasi tuba exalta vocem tuam. Vuole, che la lingua del Predicatore faccia l’officio di tromba, non di lira; e S. Paolo mi fa intendere: Argue, obsecra, increpa. Non mi vuole adulatore, ma Predicatore, e Predicatore apostolico, voglio dire, che contro il vizio converrà gridare, ma sempre con rispetto al vizioso. Sgriderò, riprenderò la malizia dei peccatori, ma con quella venerazione somma, che si deve ad una udienza sì cortese. Quello che vi potete aspettar di buono si è, che tutto quello che vi dirò, lo dirò con un buon cuore, e di cuore, e potrete dire liberamente: quest’anno ci è toccato un Predicatore, che dice le cose all’apostolica, alla buona, ma dice col cuore, e di cuore; e direte il vero. Son povero Religioso, ma uomo: di parola, e quel che vi prometto, l’attenderò, dirò di cuore; e però venite, perché spero, che il mio Gesù con la sua grazia guiderà ai cuori quel che mi uscirà dal cuore.

Seconda Parte

XI. Fedeli cari, circa il punto massimo e fondamento del ritornare in polvere, e del dover morire sbagliano pochi, circa il quando sbagliano tutti, e giovani, e vecchi, e infermi, e sani, e gracili, e robusti. Ognuno pensa, e tutti muojono prima di quello che pensano, sapete perché? Perché nell’oriuolo della lor vita non considerano, né la polvere che è caduta, né la polvere che cade, ma considerano solo quella, che resta a cadere, e perché di questa non vedono il fine, si sognano tutti una vita lunga, come se fossero eterni. Oh inganno, oh inganno! la polvere che rimane nel nostro oriuolo è pochissima, cari peccatori, è pochissima breves dies hominis sunt. Ma fingiamo, che sia moltissima: quante volte accade che in un oriuolo da polvere, che si attraversi un piccolo atomo, una tenuissima scheggia, e voi vedete, che nel più bello del correre, e quando men si pensa perde il corso e si arresta? così avviene sovente a; una goccia che d’improvviso assale il cuore, una spina, che sì attraversa in gola, un impensato accidente ferma il corso alla vita, e si muore; ce lo dice pure a chiare note il S. Evangelo; cioè, che la morte. Ci sorprenderà, quando meno ce lo aspettiamo … Qua hora, ohimè, dicesse almeno quo anno, dicesse almeno quo mense, dicesse almeno quo die saressimo sicuri almen di un giorno. No no, qua hora non putatis, Filius hominis veniet. In quell’ora, in quel momento che meno ce lo aspetteremo, ci sorprenderà la morte, morte impensata, e però morte mala, morte pessima per noi, se non ci risvegliamo una volta. Da questa morte improvvisa, benché fortunata, e corroborate dai Sacramenti, fu sorpreso un giovine fresco e robusto di età, uno di questi per appunto, che si promettono molti anni divita; e successe il caso in una processione di penitenza, che facevasi in certa missione con grandissimo concorso, e commozione di popolo, in cui portavansi inalberati a vista di tutti alcuni stendardi. Fra questi uno ven’era, che rappresentava la morte in alta e gigantesca corporatura, la quale con una ano reggeva già bassata al taglio la falce, e con l’altra mostrava un orologio, che trasmetteva da un vetro all’altro gli ultimi granelli di polvere col motto sopra volante preso da Isaia: Finitus est pulvis. Il padre missionario sopra un palco. si fece collocare da un fianco quello stendardo, e additandola morte in quell’atteggiamento della falce in moto e dell’orologio sul finire, caricò con grande spirito il seguente pensiero. Peccatori miei dilettissimi, all’entrar, che facciamo in questo mondo, si volta l’orologio di nostra vita, e siccome. vi sono orologj diun quarto, di mezz’ora, di un’ora, di tre,e di sei ore, così la nostra vita si misura con orologj di 20, di 21, di 30, di 40 anni,la morte sta attenta: quando finitus est pulvis, e all’ultimo granellino scarica il colpo,e tronca la vita. Or chi di voi può sapere, quanta polvere ancor gli resti? Non mi state a dire; il tale ha sessant’anni, che vive, el’orologio suo ancor fila; se tutti gli orologj fossero uguali direste bene, e sarebbe ragionevole il vostro discorso; ma se vi sono orologj di pochi, e orologj di molti anni, perché volete voi argomentare dall’uno all’altro? a voi parlo, peccatore ostinatissimo:a che termine sta l’orologio di vostra vita?che ne sapete voi? chi sa che non siamo vicini all’ultimo granellino, chi lo sa?Quel giovane, che si trovava presente a questo discorso, prese per se queste parole,si partì col capo basso, andando seco stesso dicendo: Che so io, di qual misura sial’orologio di mia vita, e quanto di polvere mi resti a scorrere? e se fossi verso il fine?che sarebbe di me? Attuffato in questo pensiero entrò in una chiesa, si dispose alla confessione di cui aveva gran bisogno, e portatosi ai piedi di un confessore non solo si confessò con grande esattezza, e contrizione, ma persuasissimo, che gli restava poca polvere. per compire il corso di sua vita, si risolse a mutar totalmente costumi, e modo di vivere. Volete altro? Il  pensiero, che Dio gli mandò della brevità di sua vita, fu sì vero, che in quell’istesso giorno, in cui si confessò, nell’istesso se ne morì.

XII. Or qui contentatevi che io rubi a quel buon Missionario le parole, e tutto fuoco di zelo mi rivolgo a voi col dire: Dilettissimi peccatori, a che termine sta l’orologio di vostra vita? chi sa, che per molti di voi non sia sul finire? chi mi assicura che alcuni di voi prima di arrivare a casa non caschi morto per la via? e quando ciò non accada, chi mi assicura che per molti di voi non termini l’orologio prima di arrivare a Pasqua? In tutti i luoghi, nei quali ho predicato la quaresima, sempre è morto qualcheduno di quel popolo, dunque probabilmente in questo luogo ancora, prima che siamo a Pasqua, morirà alcun di voi; e a chi toccherà? sapete a chi? a chi meno se lo aspetta, a chi meno ci pensa. Che si fa dunque, e che più s’indugia a fare una vera e soda conversione? Deh contentatevi; che mi abbracci col mio Gesù Crocifisso, e con le ceneri in capo, e col Crocifisso alla mano, vada girando per le piazze, per le case, per le botteghe; entri là, dove si trattengono quei drappelli degli sfaccendati, quei circoli dei litiganti, quelle radunanze dei giocatori, e quivi a gran voce gridi penitenza, fratelli, penitenza! Deh lasciate i giuochi, o giovani, le liti, o pretendenti; le pratiche, o sensuali; non più amori, non più balli, non più veglie, o scapestrati, non più specchi, o donne vane, non più rancori, o vendicativi, non più furti, non più ingiustizie, o interessati. Penitenza, dilettissimi, penitenza. Ecco la trista nuova, questa mane con le parole di santa Chiesa: Pulvis es, et in pulverem reverteris. Siete polvere, e ritornerete in polvere,per ora polvere sollevata, sarete tra poco polvere abbattuta, dunque non più si tardi a smorbar tante oscenità, non più si tardi a sradicar tante oscenità, non più si tardi a sradicar tanti odj, non più si tardi a piangere amaramente i nostri peccati. Lacrime di compunzione esigono da noi gli apparati mesti di questa Chiesa. Le voci flebili dei Sacerdoti, e tante cerimonie sacre, che tutte  spirano compunzione, pentimento, e dolore, non ci invitano a piangere le nostre scelleratezze? Dunque ai piedi di questo Cristo non voci di un cuor contrito chiediamogli tutti umilmente perdono. Come! Avete avete voi ripugnanza a farlo? Ah se così. è, a quelle ceneri mi appello, a quelle ceneri che avete in capo; discopritele pure, manifestatele. Non le veggio io questa mane egualmente sparse, e su ì capi canuti, e su i crini biondi? E vecchj, e giovani non avete tutti le ceneri in capo? e che vi dicono quelle ceneri? Penitenza vi dicono, popolo mio dilettissimo, penitenza; pianti amari, dolor dei peccati, lacrime di vera compunzione. Ah mio Dio, che facciam noi! Avremo a viver sempre ostinati, sempre induriti nel mal fare? No, dilettissimi, no; deh, ubbidite tutti alla voce di Dio, tutti picchiatevi il petto, tutti rivolti a questo santo Crocifisso ditegli con le lagrime agli occhi; ah Gesù mio è venuto una volta per me il tempo di una vita santa; lo protesto; lo prometto e tutto contrito ai vostri piedi. Ah peccator, mio; lo dite di cuore? Ecco Gesù che vi abbraccia, ecco Gesù che vi consola, e per venire a capo del vostro proponimento, promettetegli una mezz’ora il dì in tutti i giorni di questa quaresima, meditando in tempo della messa quei due punti: quanto son io vissuto, e come son io vissuto. per l’addietro; quanto mi resta da vivere, e come ho da vivere in avvenire, e cavatene per frutto stabile di non commettere mai peccato mortale, ma particolarmente in questa quaresima. Ecco, popolo mio dilettissimo la gran grazia che vi chieggo questa mane, non peccate in questi santi giorni, rimirate tutti questo santo Crocifisso, promettetelo tutti a Gesù di non commetter peccato alcuno in questa quaresima, e vi riuscirà, se vi fisserete bene in capo il disinganno di S. Chiesa: Memento homo, quia pulvis es; et in pulverem reserteris, riflettendo, che la vostra vita è una vita moribonda, che sempre muore, e si risolve in cenere; e molto più, se v’imprimerete nel cuore, che questa cenere ritornerà ad essere uomo: Memento pulvis, quia homo es, et in hominem reverteris, con bene apprendere il pericolo di una morte immortale, che non muore mai. Ed ecco che, armati di queste due belle verità, troverete in pratica, che per voi la memoria è un gran tesoro, tutto resto è, che poca polvere, che poca cenere.

LE VIRTÙ CRISTIANE (17)

LE VIRTÙ CRISTIANE (17)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C., Roma – Tournay MDCCCXCVIII

PARTE IIIa

CAPO VI.

LA QUINTA BEATITUDINE.

La virtù della misericordia

La misericordia che è uno dei più soavi attributi di Dio, procede in Lui, a nostro modo d’intendere, da infinita bontà e da infinito amore, o piuttosto è la stessa bontà, e lo stesso amore infinito, in quanto si volgono ai miseri. Da ciò segue che la bontà e l’amore di Dio rifulgano particolarmente nella creazione; intanto che la misericordia, frutto dell’una e dell’altro, riluce soprattutto nella redenzione, che illumina i ciechi, rialza i caduti, libera gli schiavi, consola tutt’i miserabili, e restituisce un regno di eterno godimento ai figliuoli del pianto e del dolore. Così si comprende perché la misericordia di Dio sia celebrata ad ogni tratto nella Bibbia, e Iddio stesso prenda diletto di essere chiamato Padre delle misericordie; così è chiaro perché San Tommaso insegni, che il Signore provi una cotal gioja nell’usare misericordia alla famiglia dei suoi figliuoli. (Deus voluptuose familia suæ miserebitur. – Sum. I, 21, 43; III, 112, 34).. – Che dire poi della misericordia infinita e dolcissima, usataci da Gesù, durante la sua vita terrena? Misericordiosissimo fu il nostro Gesù verso di Matteo gabelliere, della Maddalena famosa peccatrice, di Zaccheo pubblicano, dell’adultera, del buon ladro, di Pietro che lo negò, di Paolo persecutore e di tutti i peccatori. Miracolo di misericordia Gesù nel redimere il genere umano con la morte di Croce, Egli effigiò dolcissimamente questa virtù della misericordia nelle parabole del re, che rilascia diecimila talenti al debitore, del Samaritano, del buon pastore e del figliuol prodigo. Infine in uno dei suoi più commoventi miracoli, avvenuto allorché risuscitò il figliuolo unico d’una vedova, il quale era portato al sepolcro; l’Evangelista nota che lo fece per misericordia inverso la madre, alla quale, accostatosi, amorevolmente disse : “Non piangere,” (Luc. V, 13)  tosto le restituì vivo il figliuolo. Quanta pietà, quanta compassione, quanta misericordia in questo fatto! Ora il medesimo Gesù, dopo che sul monte delle beatitudini, ci ebbe parlato della giustizia, uscì a discorrere della misericordia, che tempera e raddolcisce la virtù particolare della giustizia, e prende un nobilissimo posto in quell’insieme di virtù, che pur chiamiamo giustizia. Gesù dunque disse così: Beati i misericordiosi, perciocché essi conseguiranno misericordia. – La misericordia cristiana è un affetto santo, che si desta nel cuor dell’uomo alla vista delle altrui miserie, e lo muove a sentirne pietà e a soccorrerle. Da questa definizione si vede che la misericordia nostra non solo rassomiglia alla divina misericordia e la specchia, ma mette capo in essa, come il tralcio nella vite. Noi siamo misericordiosi verso i nostri fratelli, perché Iddio è stato ed è infinitamente misericordioso verso di noi, e anche perché nei nostri fratelli la miseria, il dolore, l’infortunio, non che cancellino o adombrino la divina immagine, piuttosto la perfezionano, e ce la rendono più cara. Infatti, i miserabili e i pazienti non somigliano forse a Cristo, molto più che i ricchi e i gaudenti? E poiché qui avanti mi accadde di dire che, a nostro modo d’intendere, la misericordia in Dio è frutto di bontà e di amore: è giusto considerare, che, anche in noi, la misericordia deriva da bontà e da amore. Perché Iddio ci ha fatto naturalmente buoni e propensi ad amare; noi ci sentiamo spontaneamente inchinati alla misericordia verso i miserabili. Però accade che anche il miscredente o il paganeggiante, seguendo la naturale propensione, usi talvolta misericordia al suo prossimo. Quando poi la naturale bontà e la naturale capacità d’amore sono eccitate e nobilitate dalla grazia, allora queste due naturali capacità non solo fruttificano largamente, ma si centuplicano, si nobilitano e si perfezionano. La storia del Cristianesimo, messa a confronto della storia pagana, ci mostra evidentemente come la misericordia dei tempi antichi non fosse neanche il millesimo di questa dei tempi cristiani. Quella era come un piccolo ruscelletto, che trovava intoppi continui nelle umane passioni vigoreggianti: questa è come un ricco e limpido fiume, che vince gli ostacoli, e corre a rallegrare tutte le genti. Non per ciò dico che di misericordia ce ne sia oggidì tanto che basti. Mai no. Quella che c’è, non basta; riesce anzi assai scarsa al bisogno; perché il Cristianesimo non è diffuso quanto è desiderabile, né è compreso e praticato come e quanto si dovrebbe. Grande è il bisogno che il genere umano ha di questa virtù della misericordia; tanto grande, quanto è grande il numero delle umane miserie. Che mesta parola è mai questa, umana miseria, la quale talvolta ci oscura l’animo anche nei momenti più belli e soavi della vita! E intanto di coteste umane miserie, chi potrebbe mai dirmi quante ve ne siano nel mondo, in un sol giorno o anche in una sola ora della vita? Chi ha mai ingegno o capacità bastante a numerarle? Quante mai ve ne ha tra i barbari e i semibarbari! Quante anche nel mondo civile! Mi piange il cuore al pensarvi; e se il pensiero vi si ferma un po’ a lungo, un’ombra di tristezza vela il mio animo, e o mi raccolgo taciturno in me stesso o, adorando i divini misteri, prego. I maestri in divinità indicano sei differenti gradi di misericordia, i quali sono, come sei diversi scalini, per i quali l’uomo ascende verso il monte della perfezione. E beato veramente chi li ascende tutti, e ha tanto di forza da arrivare all’ultimo, che è proprio solo dei perfetti, e che solo dai perfetti è compreso e desiderato. Il primo grado della cristiana misericordia è compatire ai miserabili, i quali talvolta anche dal solo compatimento purché sia sincero e cordiale, traggono un qualche bene; e chi anche solo compatisce, in ciò imita Cristo, del quale insegna S. Paolo che, sebbene grandissimo e vero Dio, pure, in quanto uomo, compatisce alle nostre infermità. (HEBR. IV, 14). – Poi si sale un po’ più in alto: ed ecco che il Cristiano misericordioso viene largamente in ajuto, per quanto è in suo potere, a tutte le miserie corporali, che pur son molte e, talvolta, egualmente gravi o più gravi delle spirituali. Da qui facilmente sorge un vivo desiderio di portare rimedio anche alle miserie dello spirito, di lor natura peggiori di quelle del corpo, e assai più degne di compassione; perciocché lo spirito è molto più nobile del corpo, e le miserie tanto più sono gravi, quanto è più alta la natura del paziente. Però il Cristiano misericordioso soccorre, secondo il poter suo, alle anime ignoranti con l’istruzione dei veri religiosi e morali, alle anime afflitte con le consolazioni della pietà e della carità, alle anime peccatrici, sforzandosi di ritrarle dal loto delle colpe loro. Il misericordioso secondo Gesù Cristo non si appaga ancora. Ascende più in alto, e sale un altro scalino nella scala della misericordia. Imitando Gesù Cristo, va Egli stesso in cerca della miseria corporale e spirituale per compatirle e soccorrerle; e fa bene, perciocché molte e gravissime miserie del corpo e dello spirito sono occulte, e non si conoscerebbero mai, se la cristiana misericordia non s’ingegnasse di scovarle dove sono celate, e di sanarle col suo balsamo. Né basta. Evvi ancora una perfezione maggiore di misericordia, e si ha, quando taluno sottrae a sé ciò che gli è comodo, utile o necessario, per soccorrere gli altri. Infine l’ultimo scalino in questa via fiorita della misericordia è il dare tutte le cose proprie e anche tutto se stesso per venire in ajuto del prossimo. Così fece, tra gli altri, il grande san Paolino da Nola; il quale, da ricchissimo che era, volle, per amore dei poveri, diventar povero lui. Onde egli e la sua diletta moglie Terasia ebbero grazia da Dio di desiderare di vivere l’uno accanto dell’altro castissimamente; monaco Paolino, monaca Terasia. Così vissero molti anni come fratello e sorella, uniti soltanto nella pietà, nella virtù e in una carità, che celestialmente si confondeva in essi con l’amore di sposi. – Di queste varie parti della misericordia cristiana non tutte appartengono all’essenza della virtù stessa. Alcune, e massimamente l’ultima, sono proprie soltanto dei Santi e dei perfetti. Nondimeno tutt’i Cristiani è bene che le conoscano, le stimino, secondo il dovere, e si sforzino almeno di desiderarle. Certo, sono tutte lucenti e bellissime, e tutte si trovano in piena armonia con i sentimenti più nobili, più gentili e più delicati del cuore umano, Se il cuore umano, tra i figliuoli della Città del mondo, a poco a poco questi sentimenti li ha smarriti o quasi, gli è perché le stesse cupidità, che, come spine, lo pungono, e lo eccitano ai piaceri, attutiscono nell’uomo quanto vi ha di più nobile e generoso. In qualche caso anzi le passioni non solo spengono nell’animo ogni luce di misericordia, ma lo rendono ferino; sicché le storie ci narrano di uomini, che, diventati più crudeli delle belve, han preso diletto delle miserie altrui. Chi il crederebbe? Gli uomini, che pur son tutti figliuoli d’un Padre infinitamente misericordiosissimo, son giunti sino a banchettare, a gavazzare a danzare oscenamente tra gli orrori delle stragi e delle morti barbaramente inflitte a creature innocenti! Ma questi cotali uomini pajon mostri piuttosto che uomini; mostri, i quali ci possono insegnare quanto sia terribilmente infocata la fiamma delle passioni, allorché non s’abbia cura di spegnerla a tempo. – L’Apostolo san Paolo, in tutta la sua vita e nelle sue lettere, ci dà esempj stupendi della cristiana misericordia. Ma nella seconda sua lettera ai Corinti si trova una misericordia così nobile, affettuosa, tenera e gentile, che mi par bene di ricordarla a chi legge. San Paolo dunque, non pago di usar misericordia a tutti, afferma che, se qualcuno soffre, ed egli per compassione e misericordia del dolore altrui, soffre egualmente: se alcuno è infermo, la malattia dell’altro quasi par che gli si infiltri e penetri nel sangue suo: se alcuno inciampa o è in pericolo di cadere in peccato, egli si sente ardere di zelo; o per sollevarlo caduto, o per sorreggerlo pericolante o per togliere di mezzo lo scandalo. (Quis infirmatur, et ego non infirmor, quis scandalizatur, et ego non uror?) (2 ad Corinz. XI, 29). – Ma, ritorniamo alle parole, con cui il divino Maestro ci annunzia la beatitudine dei misericordiosi, per chiarirne l’ultima parte. Egli disse: Beati i misericordiosi, perciocché conseguiranno misericordia. Qual è mai la misericordia che essi conseguiranno? È la vita eterna. Quel medesimo premio, che Gesù aveva promesso prima ai poveri di spirito, ai mansueti, agli afflitti, agli affamati di giustizia, ora lo promette ai misericordiosi, e lo chiama non più regno o terra o consolazione o satollamento; ma misericordia, e con ottima ragione. – Il premio eterno della visione beatifica di Dio è detto nelle Scritture, a volte giustizia, a volte misericordia. In verità esso è l’uno e l’altra cosa, secondo che si consideri in uno o in un altro aspetto. San Paolo, per darci animo ad operare il bene, insegna che il premio di esso ci è dovuto, ed è giustizia. “A me è riserbata una corona di giustizia, che mi darà il Signore giusto giudice”. Ed è giustizia; perché, avendo Iddio promesso il premio a chi crede in Lui e lo ama; il tenere la promessa è in Dio vera e propria giustizia. Nonpertanto, quasi sempre, questo medesimo premio è detto nella Bibbia e presso i Padri misericordia. Anzi il regno eterno del Paradiso non è solo una misericordia di Dio verso degli uomini, ma è come un tesoro di molte misericordie. sue verso di noi. Fu misericordia il redimerci, misericordia il farci nascere nel seno della Chiesa, misericordia il farci bere le prime aure della grazia celeste, misericordia il darci tutte le altre grazie abituali e attuali, misericordia il perdonarci tante e tante volte dopo le nostre colpe, misericordia il farci perseverare nel bene sino alla morte. Qual cosa abbiamo noi che non ci sia stata data da Dio o per bontà o piuttosto per misericordia sua? – Il frutto dunque dolcissimo ed eterno di tutte queste misericordie non può essere che un’infinita ed inenarrabile e dolcissima misericordia, che ci rallegrerà in eterno. Perciò giustamente nei Salmi è detto che il beato in cielo canterà in eterno le misericordie del Signore. – Da ultimo in questa beatitudine, meglio forse che in tutte le altre, possiamo affermare che un saggio del premio eterno lo sentiamo pure durante la vita terrena. Invero anche nella vita presente le misericordie divine e le umane si diffondono assai largamente sui misericordiosi. Vive forse un solo uomo al mondo che non abbia bisogno della misericordia divina, di quella misericordia, dico, che perdona, soccorre la povertà, lenisce i dolori e consola l’anima? E della misericordia umana non sentiamo noi parimente bisogno? O dobbiamo assolutamente negare la terribile e angosciosa realtà del dolore, o ci è forza di ammettere che sentiamo tutti un grandissimo bisogno della misericordia altrui. Forse che vanno esenti da questo bisogno o i ricchi o i potenti o gli scienziati o i giovani o i forti o gli ingegnosi? Certo no; perciocché non uno di questi è scevro sempre dalle miserie dell’ anima e del corpo: e dovunque è miseria, ivi è bisogno di misericordia, a quel modo che dovunque evvi terreno arido e bruciato, ivi è necessità di pioggia benefica. Or l’una e l’altra misericordia, cioè la divina e l’umana, il Signore ce le promette, a condizione che siamo misericordiosi anche noi verso del prossimo. Ed è giusto; perché Iddio e gli uomini non hanno alcuna ragione di aver misericordia di coloro che chiusero il cuore ai sentimenti di misericordia verso i proprj fratelli. D’altra parte è altresì giusto che il Signore versi particolarmente i tesori delle sue misericordie sopra coloro che sono misericordiosi, e che gli uomini facciano il medesimo. – Se alcuno di quei che leggono in questo libro, ora non sente bisogno della misericordia (non dico di Dio, perché ciò è impossibile) ma di quella del prossimo, non lasci di usare misericordia agli infelici suoi fratelli. Anzi se volesse ascoltare un mio consiglio, questo è proprio il tempo di raddoppiarla. Verrà anche per lui l’ora in cui avrà bisogno della misericordia altrui; verrà anche per lui l’ora oscura del dolore. Se non fosse altro, è mai possibile che non venga per lui l’ora terribilmente paurosa e difficile della morte? E allora, se egli sarà stato largo in misericordia verso i suoi fratelli, facilmente gli occorreranno alla memoria le parole onde Gesù, come è detto nei Vangeli, giudicherà le anime uscenti dai proprj corpi: “Ebbi fame, e mi deste mangiare, ebbi sete e mi deste bere, fui pellegrino e mi ricettaste, ignudo e mi rivestiste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a me… Ogni volta che avete fatto (ciò) o qualche cosa di bene per uno dei più piccoli miei fratelli, l’avete fatto a me.