IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (2)

G Dom. Jean de MONLÉON

Monaco Benedettino

Il Senso Mistico

dell’APOCALYSSE (2)

Commentario testuale secondo la Tradizione dei Padri della Chiesa

LES ÉDITIONS NOUVELLES 97, Boulevard Arago – PARIS XIVe

Nihil Obstat Elie Maire Can. Cens. ex. off.

Imprimi potest: t Fr. Jean OLPHE-GALLIARD Abbé de Sainte-Marie

Imprimatur A. LECLERC.

Lutetiæ Parisiorum die II nov. 1947

Copyright by Les Editions Nouvelles, Paris 1948

Prima visione

PRIMA PARTE

APPARIZIONE DEL CRISTO A SAN GIOVANNI

Capitolo I, 9-20

“Io Giovanni vostro fratello, e compagno nella tribolazione, e nel regno, e nella pazienza in Gesù Cristo, mi trovai nell’isola che si chiama Patmos, a causa della parola di Dio, e della testimonianza di Gesù. Fui in ispirito in giorno, di domenica, e udii dietro a me una grande voce come di tromba, che diceva: Scrivi ciò, che vedi, in un libro: e mandalo alle sette Chiese che sono nell’Asia, a Efeso, e a Smirne, e a Pergamo, e a Tiatira, e a Sardi, e a Filadelfia, e a Laodicea. E mi rivolsi per vedere la voce che parlava con me: e rivoltomi vidi sette candelieri d’oro: e in mezzo ai sette candelieri d’oro uno simile al Figliuolo dell’uomo, vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d’oro: e il suo capo e i suoi capelli erano candidi come lana bianca, e c0ome neve, e i suoi occhi come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi simili all’oricalco, qual è in un’ardente fornace, e la sua voce come la voce di molte acque: e aveva nella sua destra sette stelle: e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli: e la sua faccia come il sole (quando) risplende nella sua forza. E veduto che io l’ebbi, caddi ai suoi piedi come morto. Ed egli pose la sua destra sopra di me, dicendo: Non temere: io sono il primo e l’ultimo, e il vivente, e fui morto, ed ecco che sono vivente pei secoli dei secoli, ed ho le chiavi della morte e dell’inferno. Scrivi adunque le cose che hai vedute, e quelle che sono, e quelle che debbono accadere dopo di queste: il mistero delle sette stelle, che hai vedute nella mia destra, e i sette candelieri d’oro: le sette stelle sono gli Angeli delle sette Chiese: e i sette candelieri sono le sette Chiese”.

San Giovanni passa ora al racconto delle straordinarie visioni che ebbe sull’isola di Patmos dove l’imperatore Diocleziano lo aveva relegato. Abbiamo appena letto il racconto della prima. L’Apostolo racconta come una domenica si trovò improvvisamente in estasi, mentre si sentiva dietro di lui una voce, brillante come il suono di una tromba, dicendo: “Quello che stai per vedere, scrivilo in un libro e portalo alle sette Chiese d’Asia”, cioè alle sette sedi episcopali dell’Asia Minore, che sono elencate nel resto del racconto. Allora San Giovanni si voltò per vedere chi gli stava parlando in questo modo, e questa è la vista inaspettata che si presentò ai suoi occhi: “Vidi sette candelabri d’oro, e in mezzo ad essi stava uno simile al Figlio dell’Uomo, vestito con la veste sacerdotale e cinto di una fascia d’oro sulla parte superiore del petto. E il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana bianca e come neve; e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco; e i suoi piedi erano come l’auricalco in una fornace ardente, e la sua voce era come la voce delle grandi acque. E aveva nella sua mano destra sette stelle; e dalla sua bocca usciva una spada affilata da entrambi i lati; e la sua faccia era come il sole, quando brilla nella sua potenza. È ovvio che l’autore non accumulerebbe dettagli così strani come quelli appena ascoltati se non avessero un significato profondo, e cercassero di tradurre in linguaggio immaginario delle realtà di ordine trascendentale. L’Apostolo, inoltre, nel corso del suo racconto, avrà cura di togliere ogni dubbio che possa rimanere a questo riguardo, esponendo lui stesso, qua e là, il significato mistico delle descrizioni che ha appena fatto. Così dirà, per esempio, un po’ più avanti: Le sette stelle sono gli Angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese. Ma egli solleva solo in alcuni punti il velo che nasconde ai nostri occhi il vero significato di ciò che dice: lascia alla profezia la sua forma misteriosa, per colpire più profondamente gli spiriti ed invitare coloro che lo ascoltano a cercare il campo che egli dà loro. Per scoprire i tesori di verità e di saggezza nascosti sotto queste apparenze sconcertanti, seguiamo le orme dei Padri della Chiesa: solo loro sono in grado di darci qualche luce su questi misteri. Impareremo da loro che i sette candelabri indicano senza dubbio la Chiesa stessa. La Chiesa è, infatti, il candelabro che porta Cristo, la luce del mondo. Il suo numero è “sette” perché vive dei sette sacramenti e dei sette doni dello Spirito Santo; perché possiede sette virtù fondamentali: le tre teologali e le quattro cardinali; perché ordina tutta la sua attività alla pratica delle sette opere di misericordia corporale e delle sette opere di misericordia spirituale. Si dice che sia fatta d’oro massiccio, per mostrare che la sua sostanza si identifica con la carità, di cui l’oro è il simbolo; mentre, invece, le sette dissidenti hanno solo la brillantezza esterna e lo scintillio dorato delle loro seducenti ma false teorie. Fu in mezzo ai sette candelabri che San Giovanni riconobbe il Figlio dell’Uomo, perché Cristo sta in mezzo alla Chiesa ed è impossibile trovarlo fuori di essa. Notiamo qui che l’apostolo dice di aver visto non il Figlio dell’uomo, ma qualcuno che era come il Figlio dell’uomo. In senso letterale, questa restrizione indica che durante tutto il corso di questa visione fu in realtà un Angelo che prese il posto di Cristo. In senso mistico, suggerisce che il Salvatore risorto non porta più nella gloria il peso che durante la sua vita terrena dedicò la sua carne di Figlio dell’Uomo alla sofferenza e alla morte. E San Giovanni, pur riconoscendo molto bene Colui che aveva così spesso visto con i suoi occhi e toccato con le sue mani (I Ep., I, 1), lo trovò tuttavia molto diverso da quello che era al tempo in cui si affannava a viaggiare per la Palestina e a predicare tutto il giorno. Il Salvatore indossava una veste che arrivava fino ai talloni, del modello chiamato poderis, e simile a quella usata dal Sommo Sacerdote sotto l’Antica Alleanza: questa veste simboleggia sia la carità di Cristo, che lo avvolge dalla testa ai piedi, sia il suo sacerdozio, poiché Egli è il sacerdote per eccellenza, il Sommo Sacerdote, e l’unico vero Sacerdote. Ed era stretto sul petto con una cintura dorata. In una visione molto simile a questa, un Angelo apparve a Daniele, anch’esso con le sembianze del Figlio dell’Uomo, e anche lui con una cintura d’oro: ma questo era posto più in basso, all’altezza dei lombi, perché l’Antico Testamento prescriveva solo la mortificazione della carne; la visione di San Giovanni era cinta sulla parte superiore del petto, perché il Nuovo Testamento ordina anche la mortificazione dei desideri, e chiede non solo la purezza del corpo, ma anche la purezza del cuore, Ecco perché Nostro Signore disse agli Giudei: « Avete sentito che fu detto agli anziani: Non commetterai adulterio ». Questa è la cintura che si mette intorno ai lombi, la proibizione del peccato di lussuria. Per me, io vi dico che chi guarda una donna con lussuria ha già commesso adulterio: questa è la cintura da serrare sul proprio cuore. (Matt. V, 27). La sua testa e i suoi capelli, continua l’Apostolo, erano bianchi come lana bianca e come neve. Attribuendo a Cristo una testa bianca, l’autore afferma implicitamente la sua natura divina: perché era già sotto questo simbolo che lo Spirito Santo, per bocca dello stesso profeta Daniele, aveva espresso l’eterna sapienza di Dio: l’Antico dei giorni si sedette, disse; i capelli della sua testa erano come lana bianca (VII, 9). Sul suo esempio, ci invita ad avere anche noi capo bianco, cioè uno spirito pieno di prudenza e di saggezza; bianco come la lana, perché la lana è qualcosa di morbido, bianco, caldo: per assomigliargli, i nostri pensieri dovrebbero essere tutti di indulgenza, immacolati nella loro innocenza, ardenti dello zelo della carità; il che non impedirebbe loro di essere allo stesso tempo come la neve, cioè di rimanere gelidi di fronte alle suggestioni della carne, del mondo e del diavolo. – I suoi occhi erano come una fiamma di fuoco: gli occhi del Verbo non sono, come i nostri, recettori di luce, ma sono piuttosto creatori di luce; quando si posano su un’anima, la purificano dalle contaminazioni da cui è infetta, la illuminano con i raggi della Verità eterna, la infiammano con l’ardore dell’Amore divino, di quell’amore di cui Nostro Signore disse: Sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra (Lc. XII, 49). E i suoi piedi erano come l’auricalco che esce da una fornace ardente. L’auricalco è una specie di bronzo che viene portato al colore dell’oro dall’azione del fuoco e da varie operazioni. I piedi di Cristo, immersi in una fornace ardente, rappresentano la sua Passione. I piedi, poiché sostengono, continuamente e senza indebolirsi, tutto il peso del corpo, rappresentano la forza dell’anima, che sostiene l’uomo in tutte le sue prove e difficoltà: e la forza dell’anima di Cristo fu messa alla prova al momento della Passione, che è rappresentata dalla fornace ardente. E lì, lungi dallo sciogliersi e dal dissolversi, si dimostrò duro come il bronzo, poiché la sofferenza non poteva strappare alla vittima divina il minimo mormorio; al contrario, non aveva altro effetto che fargli prendere il colore dell’oro, cioè far apparire la sua carità in una luce radiosa. E la sua voce era come il suono di grandi acque. La voce di Cristo, portata dagli Apostoli, fu udita in tutto l’universo. È paragonato alle grandi acque perché ha coperto tutto il mondo come un nuovo diluvio; ma questo diluvio non era più, come ai tempi di Noè, lo straripamento dell’ira divina che spargeva ovunque terrore e morte: questa volta era un diluvio di misericordia, un diluvio di grazia, un diluvio di vita, che doveva ripulire la terra dall’infezione del peccato e renderla integra. Più sopra la parola di Cristo è stata paragonata al suono di una tromba, perché eccita i Cristiani in battaglia, riempiendoli del timore di Dio, mostrando loro la ricompensa promessa al vincitore; ora l’autore la paragona all’acqua, perché eccelle nell’ammorbidire la durezza del cuore umano e nel renderci teneri. – E teneva nella sua mano destra sette stelle. San Giovanni stesso spiegherà poco più avanti il significato di questa figura: le sette stelle rappresentano i prelati che sono incaricati di governare la Chiesa. Come stelle spirituali, infatti, devono brillare nella notte di questo mondo per guidare gli uomini verso la Gerusalemme celeste. Devono lanciare sia la luminosità della dottrina che quella dei loro buoni esempi. Ma essi sono nella mano di Cristo, come lo strumento è nella mano dell’operaio, o il segnale nella mano del guardiano. Quando un uomo vuole chiamare i suoi compagni smarriti in una notte buia, non ha niente di meglio da fare che accendere una luce e agitarla, per mostrare loro la direzione da seguire. Gli altri non vedono il loro amico, ma vedono il segnale che dà loro, vedono la luce che brilla nell’oscurità, e camminano verso di essa, e così tornano da colui che li sta aspettando. Allo stesso modo il Salvatore innalza i pastori della Chiesa come segni di luce nella notte del mondo presente: gli uomini devono solo seguire i loro insegnamenti, e sono sicuri di camminare nella retta via, nella via che li condurrà direttamente a Cristo. Per questo ha detto, parlando di coloro che Lo rappresentano sulla terra: Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me. (Lc. X, 16). – E dalla sua bocca uscì una spada affilata su entrambi i lati. La parola di Nostro Signore è rappresentata da una spada, per mostrare che è dotata di un potere irresistibile e che può trionfare sulla resistenza più tenace. Essa è affilata da entrambe le parti, perché il suo potere si esercita con lo stesso rigore, anche se con risultati molto diversi, su quelli di destra e su quelli di sinistra, sui buoni e sui cattivi. Separa i primi dalla carne e dal mondo; taglia senza indebolire i loro affetti più legittimi, quello del figlio per suo padre, della figlia per sua madre (Luc. XII, 53); arriva a dividere in loro l’anima e lo spirito, le giunture e il midollo (Hebr. IV. 12). Quanto ai malvagi, al contrario, verrà il giorno in cui li separerà impietosamente dal corpo di Cristo, li scaccerà dalla società degli eletti, li rigetterà senza appello nell’inferno. Chiunque avrà lasciato la sua casa, i suoi fratelli, le sue sorelle, suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli e i suoi campi per amore del mio nome, riceverà il centuplo e avrà la vita eterna. (Matt. XIX, 29). – Questo è il primo fil della spada, quello della mano destra; e questo è l’altro, quello della mano sinistra: « Partite da me, maledetti, e andate al fuoco eterno, che è preparato per il diavolo e i suoi angeli. » (Id. XXV, 41). E il suo viso brillava come il sole nella sua potenza. Questo paragone è lo stesso usato dagli evangelisti per esprimere lo straordinario splendore con cui il volto di Cristo fu illuminato sul monte Tabor. Il Libro della Sapienza dice allo stesso modo che nel giorno del giudizio, i giusti brilleranno come il sole (III, 7). L’immagine è ulteriormente rafforzata dall’espressione: nella sua potenza, segna per il sole l’ora del mezzogiorno, l’ora in cui è in tutto il suo splendore. In senso allegorico, il volto di Cristo designa qui la sua santa umanità, che è sorta sul mondo come un sole di giustizia, e che ha gettato la sua luce più brillante quando ha dispiegato tutta la sua virtù, cioè nell’ora della sua passione. E quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Così San Giovanni, che per anni ha vissuto nella più stretta familiarità con Nostro Signore, che ha spinto la fiduciosa semplicità fino al punto di appoggiare il suo capo sul cuore del suo Maestro nell’Ultima Cena; San Giovanni, vedendolo ora di nuovo nello splendore della sua gloria celeste, cade come morto. Daniele, nella visione di cui abbiamo già parlato, dice, per esprimere il terrore con cui si sentiva penetrato, che il volto del Figlio dell’Uomo era come un fulmine. Alla sua vista, aggiunse, tutte le mie forze vennero meno, divenni « un altro uomo, mi inaridii e non rimase più alcuna forza in me. » (X, 6-8). – Tale è l’effetto che produce sull’essere umano la visione della Maestà divina. Improvvisamente intravede l’abisso della sua immensa debolezza, e sente un bisogno irresistibile di annientarsi, di dissolversi e di sparire. Ecco perché Abramo, quando fu portato davanti a Dio, si prostrò con la faccia contro il sole e si dichiarò cenere e polvere. (Gen. XVII. 3) Ecco perché ancora una volta la Sacra Scrittura mostra Ester che cade in priva di sensi alla vista di Assuero (XV, 10); e ci insegna altrove che nessuno può vedere Dio senza morire (Es. XXXIII, 20). Dicendo che è caduto come morto, San Giovanni ci fa inoltre capire che la contemplazione di Dio ci fa morire al mondo e ci rende insensibili alle sue attrattive e alla sua inquietudine. Prendendolo come meta della nostra ricerca, anche noi saremo come morti, ma non morti; vivremo una vita interiore molto più intensa, la vita di Dio stesso. San Paolo aveva detto allo stesso modo: Mostriamoci come moribondi, ed ecco che siamo vivi (II Cor. 9). – E posò la sua mano destra su di me come segno della grazia che Dio dà a coloro che si umiliano. E disse: « Non abbiate paura. » Cosa c’è da temere? Chi può farci del male, quando siamo ai piedi del Signore del mondo, colui che ha tutto il potere in cielo, in terra e negli inferi? Non temere, perché io sono il primo e sono l’ultimo. « Io sono l’unico Figlio di Dio, il primogenito di tutte le creature, il Re degli Angeli e degli uomini; e sono l’ultimo; nessuno è stato trattato con più ignominia di me, nessuno è stato abbeverato dagli oltraggi e dagli affronti simili a quelli come ho ricevuto io. » Già Isaia, prevedendo in una visione profetica lo stato pietoso in cui sarebbe stato ridotto il glorioso Messia atteso da Israele, lo aveva chiamato: l’ultimo degli uomini (LIII, 3). Per quanto miserabili possiamo essere, non saremo mai più abbandonati di Lui; per quanto crudeli siano le persecuzioni scatenate contro di noi, non raggiungeranno mai la violenza di quelle che si abbatterono su di lui. « Io sono – continua – colui che vive di una vita senza inizio e senza fine. Non temere, dunque nulla, anima che ho scelto, anima che amo, anima che voglio condurre al banchetto di nozze eterno, ma per la via che Io stesso ho seguito, che è la via della croce. Perché sono stato morto: la mia anima ed il mio corpo si sono veramente separati sul Calvario. Ma poi sono risorto, ed ecco, sono vivo nei secoli, una vita che nulla può togliermi. E io ho le chiavi della morte e dell’inferno. Posso resuscitare chi voglio, posso strappare chi voglio dall’inferno, così come dalla morte del peccato. E affinché la verità di ciò che dico sia intesa, ascoltata, scrivi ciò che hai visto. Scrivi quello che hai visto tu, Giovanni, quando ero sulla terra con te, e quello che hai visto con i tuoi occhi, quando mi hanno catturato nell’orto del Getsemani, quando mi hanno trascinato da tribunale in tribunale, quando mi hanno schiaffeggiato, picchiato, coperto di sputi, coronato di spine; quando mi hanno trafitto i piedi e le mani con i chiodi, quando mi hanno aperto il costato con la lancia; ma scrivi anche quello che hai visto la domenica mattina, quando sei corso al sepolcro con Pietro, e poi la sera, nel cenacolo, e i giorni seguenti. .. Racconta i misteri della mia Passione e della mia Resurrezione, di cui sei stato testimone. Poi scrivi ciò che sta accadendo ora, cioè le sofferenze che stanno sopportando quotidianamente la Chiesa e le anime giuste; scrivi ciò che accadrà dopo, la persecuzione dell’Anticristo, e la fine dei tempi. Scrivi il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia mano: mostra il significato nascosto di questi simboli, e spiega che le sette stelle sono gli Angeli – cioè i Vescovi – delle sette Chiese, e che i sette candelabri sono le sette Chiese.

Prima Visione

LA RIFORMA DELLE CHIESE

(SECONDA PARTE)

LA LETTERA ALLE SETTE CHIESE

Capitolo II, 1-29

“All’Angelo della Chiesa d’Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua destra le sette stelle, e cammina in mezzo ai sette candelieri d’oro: So le tue opere, e le tue fatiche, e la tua pazienza, e come non puoi sopportare i cattivi: e hai messo alla prova coloro che dicono di essere Apostoli, e non lo sono: e li hai trovati bugiardi: e sei paziente, e hai patito per il mio nome, e non ti sei stancato. Ma ho contro di te, che hai abbandonata la tua primiera carità. Ricordati per tanto donde tu sei caduto: e fa penitenza, e opera come prima: altrimenti vengo a te, e torrò dal suo posto il tuo candeliere, se non farai penitenza. Hai però questo, che odii le azioni dei Nicolaiti, le quali io pure ho in odio. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dica alle Chiese: Al vincente darò a mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al Paradiso del mio Dio.

‘E all’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, il quale fu morto, e vive: So la tua tribolazione e la tua povertà, ma sei ricco: e sei bestemmiato da quelli che si dicono Giudei, e non lo sono, ma sono una sinagoga di satana. Non temere nulla di ciò che sei per patire. Ecco che il diavolo caccerà in prigione alcuni di voi, perché siate provati: e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti quel che lo Spirito dica alle Chiese: Chi sarà vincitore, non sarà offeso dalla seconda morte. –

E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che tiene la spada a due tagli: So in qual luogo tu abiti, dove satana ha il trono: e ritieni il mio nome, e non hai negata la mia fede anche in quei giorni, quando Antipa, martire mio fedele, fu ucciso presso di voi, dove abita satana. Ma ho contro di te alcune poche cose: attesoché hai costì di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a mettere scandalo davanti ai figliuoli d’Israele, perché mangiassero e fornicassero: Così anche tu hai di quelli che tengono la dottrina dei Nicolaiti. Fa parimenti penitenza: altrimenti verrò tosto a te, e combatterò con essi colla spada della mia bocca. Chi ha orecchio, oda quel che dica lo Spirito alle Chiese: A chi sarà vincitore, darò la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca: e sulla pietra scritto un nome nuovo non saputo da nessuno, fuorché da chi lo riceve.

E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità, e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa aduterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri dì Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dica alle Chiese.”

Questo capitolo II e il seguente contengono le lettere alle chiese dell’Asia che appena annunciate. Il Figlio di Dio ordina all’amato Apostolo di scrivere successivamente a ciascuno dei sette Vescovi che occupano le sedi in Asia Minore. Queste lettere sono un modello di correzione fraterna: l’autore mescola abilmente lodi e rimproveri per incoraggiare e stimolare i suoi lettori, indicando loro i punti in cui sono in difetto e i pericoli a cui si espongono. Al di là dei Vescovi che ne sono i destinatari, esse si rivolgono a tutte le anime cristiane che si preoccupano del loro progresso spirituale: ed è a loro che San Benedetto allude nel Prologo della sua Regola quando ci esorta ad ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Essi richiamano i punti essenziali della perfezione evangelica e ci offrono un esatto adempimento di questa profezia del Salvatore ai suoi discepoli: Quando lo Spirito Santo verrà, rimprovererà il mondo sul peccato, sulla giustizia e sul giudizio (Jo., XVI, 8.). Infatti, esse rimproverano ciascuno per i peccati in cui cade, gli mostrano la rettitudine che deve praticare, gli ricordano il giudizio che dovrà subire un giorno. Il loro numero sette evoca chiaramente i doni dello Spirito Santo, che in ognuno di loro possiamo riconoscerne a turno, in modo più particolare, seguendo Ruperto di Deutz, la voce di uno dei sette spiriti che stanno davanti al trono di Dio. È lo spirito di timore che apre la lista, insieme alla Chiesa di Efeso, perché è esso l’inizio della via che conduce a Dio. Perché tutti sanno che il timore di Dio è l’inizio della sapienza. Dopo di questo  sentiremo successivamente quello della pietà, quello della scienza, quello della fortezza, quello del consiglio, quello dell’intelletto comprensione, quello della sapienza.

§ 1 Lettera alla Chiesa di Efeso.

All’Angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua mano destra le sette stelle, che cammina tra i sette candelabri d’oro. Le sette stelle rappresentano, come abbiamo detto prima, i prelati delle sette chiese. Dio li tiene in mano, per dirigerli e per dirigere gli altri per mezzo di loro; e anche per evitare che cadano, come cadde quella stella del mattino, quel Lucifero che, nel primo giorno del mondo, era apparso sfavillante di gloria e di bellezza, poi improvvisamente cadde sulla terra, e divenne un demone, perché si gloriò nel suo cuore, e dimenticò che doveva tutto a Dio (Isa. XIV, 12 e segg.). Si ricordino dunque, le sette stelle, si ricordino bene, i prelati della Chiesa, che tutta la loro autorità, tutto il loro prestigio, tutta la considerazione di cui godono sono opera della mano di Dio che li tiene, e non lascino che l’orgoglio si impossessi dei loro cuori! – Non solo Dio porta così le stelle che governano il suo popolo, ma cammina anche tra i candelabri d’oro. Questi rappresentano le Chiese, cioè la massa dei fedeli, in opposizione ai prelati, come ci ha insegnato San Giovanni poco più in alto. Dio cammina in mezzo a loro, nel senso che abita con loro, secondo la promessa fatta ai suoi discepoli: Ecco, io sono con voi fino alla fine dei secoli (Matt. XXVIII, 20). Egli abita nei loro cuori. Egli li visita con la sua grazia. Li circonda con la sua sollecitudine. Segue le loro orme. Egli accompagna tutti i loro passi. Ma allo stesso tempo Egli vigila attentamente su questi candelabri, per vedere se la loro luce non è fumosa, se non è in pericolo di spegnersi, se non emana il bagliore della carità. “Io conosco le tue opere”: Dio, è vero, conosce tutte le cose in virtù della sua conoscenza infinita. Ma Egli conosce i suoi, come dice San Paolo (II Tim. II, 19), in quanto li approva e li considera con benevolenza, mentre al contrario ignora i malvagi. (Matt. VII, 23). – « Conosco dunque le vostre opere di carità e la fatica che fate per salvaguardare l’integrità della fede; conosco la pazienza che dimostrate in mezzo alle prove, con gli occhi fissi sul premio eterno; conosco la vostra avversione ai vizi e lo zelo con cui perseguite i malfattori. » Non ti sei lasciato ingannare dai bei discorsi di coloro che pretendono di essere inviati da Dio, come Ebione, Marcione, Cerinto, ecc. Tu li hai messi alla prova, come sta scritto: “Mettete alla prova gli spiriti, per vedere se sono da Dio”,(I Giov. IV, 1) e hai riconosciuto dai loro frutti, come vuole il Vangelo, cioè dalle loro opere, che erano bugiardi. Sei stato paziente con gli eretici; hai sopportato coraggiosamente i loro attacchi, preoccupandoti più dell’onore del mio nome che del tuo interesse; e non hai ceduto alla collera. Tutto questo è molto buono: tuttavia, non è sufficiente per la perfezione che mi aspetto da te, e ho alcuni avvertimenti da farvi intendere: vi rimprovero di aver abbandonato la vostra prima carità. Non vegli più su quella perfetta unione di cuori che era il segno distintivo della Chiesa nascente, e che aveva come corollario la messa in comune di tutti i beni (Act. IV, 32). Non pratichi più le opere di misericordia con il fervore di una volta, ti lasci conquistare dalla tiepidezza. Ora, non dimenticare che la carità è e rimane il segno dal quale i miei veri discepoli si riconoscono; anche se aveste fede per trasportare le montagne, anche se consegnaste il vostro corpo alle fiamme, se non avete questa carità, tutto il resto non vi serve a niente. Riconosci, allora, la tua colpa: ricorda da dove sei caduto, ricorda la generosità che ti ha animato all’inizio della tua conversione, e fai penitenza. Non accontentarti di desideri o promesse: agisci, comportati come facevi allora (Alcuni commentatori, confrontando queste parole con un passo della Seconda Lettera a Timoteo, in cui l’Apostolo invita Timoteo a far risorgere la grazia di Dio in lui (I, 6), hanno pensato che il destinatario della lettera all’Angelo della Chiesa di Efeso non fosse altri che il famoso discepolo di San Paolo, che era in effetti Vescovo di quella città, e che si sarebbe lasciato per un momento sopraffare dalla moltitudine di prove che doveva affrontare.). – Altrimenti verrò da te e sentirai il peso della mia ira. Toglierò il tuo candelabro dal suo posto, cioè darò il tuo posto ad un altro; o ancora spegnerò la luce che brilla nella tua Chiesa e che fa di essa un faro di verità, come è spesso accaduto durante le grandi eresie, quando la caduta di un Vescovo trascina con sé tutto il suo gregge. – « Tuttavia, hai dalla tua, che odi le azioni dei Nicolaiti, che anch’io odio. » Dio non dice che odia i Nicolaiti; parla solo delle loro opere, per farci capire che non dobbiamo mai odiare gli uomini, per quanto malvagi essi siano; sono le loro imprese che dobbiamo avere come un abominio in quanto sono contrarie alla legge di Dio e al bene delle loro anime. San Benedetto rimarca questa discriminazione quando dice nella sua Regola che dobbiamo odiare i vizi e amare i fratelli. Chi erano esattamente questi Nicolaiti di cui stiamo parlando? Alcuni degli antichi Padri concordano che la loro origine può essere fatta risalire al diacono Nicolas, uno dei sette diaconi scelti dagli Apostoli per assisterli nel loro ministero, tra i quali dobbiamo annoverare anche Santo Stefano. D’altra parte, questi stessi Padri differiscono nel modo in cui raccontano come sia successo. Se crediamo a San Clemente di Alessandria, questo Nicolas, che aveva sposato una donna di rara bellezza, sarebbe stato rimproverato dai discepoli per la sua gelosia nei suoi confronti. Pieno di indignazione l’avrebbe poi condotta dagli apostoli, dicendo: « Ecco mia moglie. Che sia di chiunque! » Ma egli ha continuato a vivere una vita santa. Ma alcuni Cristiani malintenzionati si sono impadroniti di questa parola poco saggia e hanno affermato che le donne, come tutti gli altri beni, devono essere messe in comune. (1 Stromatæ, L. III, cap. IV – Patr. Gr., T. 8, col. 1130. – Rufino e Theodoreto danno versioni simili). – Secondo Sant’Epifanio, al contrario, la cui alta autorità è nota come testimone della tradizione, Nicolas, dopo aver preteso la continenza assoluta, ad imitazione degli Apostoli, non ebbe il coraggio di perseverare in questo sforzo, e « ritornò al suo vomito ». Ma per rimediare alla sua sconfitta, immaginò di insegnare che chi vuole assicurarsi la salvezza deve compiere ogni giorno l’opera della carne, e, mettendo in pratica la propria dottrina, sprofondò in vergognosi disordini (Adversus Hæreses, L. I, vol. 2, heres. 25. – Patr. Gr. T. 41, col. 322). Questa seconda versione era molto più diffusa della prima; se giudichiamo dall’autorità di San Tommaso, possiamo dire che essa ha prevalso nella tradizione. (Contra gentes, c. 24) « Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese ». Questa formula, che sarà ripetuta alla fine di ogni lettera, ricorda quella che Nostro Signore stesso usava quando predicava: Chi ha orecchio, ascolti (Mt. XIII, 9). Notiamo che ogni volta lo Spirito si rivolgerà alle Chiese, e non alla Chiesa di Efeso, o alla Chiesa di Sardi, ecc., per mostrare la portata generale dei suoi avvertimenti, che interessano tutti i Cristiani. – « Al vincitore, cioè a colui che saprà trionfare sulle tentazioni del demonio, sulle sollecitazioni del mondo, sulle proprie passioni: Darò da mangiare dall’albero della vita, che è nel paradiso del mio Dio ». Quest’albero è Cristo stesso, che fu emendato duramente e potato nelle sofferenze che precedettero la sua morte, ma che portò un magnifico rigoglio dopo la sua risurrezione. Il suo frutto ci è dato nel sacramento dell’Eucaristia. Cresce solo nel paradiso del mio Dio, cioè nella santa Chiesa, al di fuori della quale non c’è cibo sostanziale, non c’è vita per l’anima. Il nostro Signore dice: del mio Dio, perché parla come un uomo. Vuole mostrare l’ardente amore che la sua Santissima Umanità porta a Dio, insieme alla perfetta obbedienza che gli mostra. Queste parole ci fanno sentire che dobbiamo prepararci a ricevere la Santa Eucaristia con una vita pura. Anche se tutti i Cristiani possono avvicinarsi alla Santa Tavola, Nostro Signore dà questo frutto di vita solo a coloro che sanno superare se stessi. Notiamo, inoltre, che non dice: questo frutto, ma … di questo frutto, per indicare che la partecipazione di ciascuno alla grazia di questo sacramento sarà maggiore o minore, secondo le sue disposizioni. Questa prima lettera ha lo scopo di ispirarci soprattutto, come detto, lo spirito di timore. Per non aver dato ascolto a questo spirito, Adamo ed Eva erano stati cacciati dal paradiso terrestre e condannati a morte; coloro che saranno docili alle sue sollecitazioni meriteranno di ricevere il frutto del nuovo Eden e, in esso, il valore della vita eterna.

§ 2 – Lettera alla Chiesa di Smirne.

« E all’angelo della Chiesa di Smirne, scrivi. » Ora è lo spirito di pietà a parlare. Poiché si rivolge ad una Chiesa già coinvolta nella persecuzione e che il sangue dei martiri arrosserà; non gli fa alcun rimprovero, mostrandoci così come noi stessi dobbiamo comportarci nei confronti di coloro che soffrono; al contrario, la esorta con dolcezza ed indulgenza; e per darle coraggio, inizia offrendole l’esempio del Salvatore: « Questo è ciò che dice il primo e l’ultimo, colui che è morto e colui che è vivo morti. » Il primo, perché è il Figlio di Dio, il più bello dei figli degli uomini; e l’ultimo, perché è stato ridotto all’ultimo grado dell’angoscia e del disprezzo.  Egli è passato attraverso la morte per mostrarci la via; ma è risorto e ora vive una vita che non avrà fine; e quelli che lo seguono nella morte lo seguiranno nella vita. « Conosco le tue prove, e non ignoro nulla di quello che devi soffrire. E se non lo impedisco, è per il tuo bene; perché ti ricompenserò più tardi. Conosco la povertà alla quale ti sei ridotto volontariamente, distribuendo ai poveri, per amore mio, tutto quello che avevi. Ma sta tranquillo: ci sono ben altri beni che l’oro e l’argento, e se ti mancano questi, sappi che sei ricco di beni spirituali, ricco di virtù, ricco di meriti, ricco di cielo. So che sei calunniato, come io stesso sono stato calunniato da coloro che si dicono Giudei. Essi mi rimproveravano di non rispettare il sabato, di essere un agente di Belzebù, un posseduto dai demoni. Essi, al contrario, si lusingano di mantenere la fede alla lettera; si definiscono il popolo santo, il popolo di Dio, si vantano di essere gli autentici figli di Abramo: ma si sbagliano. Se, secondo la carne, essi discendono effettivamente dai Patriarchi, hanno perso completamente lo spirito di questi santi personaggi; non sono più il mio popolo, sono solo un’accozzaglia, una sinagoga che esegue la volontà di satana. Non cedere alla paura, non temere nessuna delle prove che dovrai attraversare, non paventare la povertà, gli insulti, le sofferenze, le tentazioni. Io so in anticipo che tutto questo deve venire, e lo permetto per il tuo bene. Tra non molto il diavolo farà mettere alcuni di voi in prigione dai suoi adepti, affinché siate messi alla prova, affinché abbiate l’opportunità di mostrare la vostra pazienza, e perché siate purificati dalla ruggine dei vostri peccati. Voi sarete perseguitati per dieci giorni, cioè: limitata e di breve durata (Per la maggior parte dei commentatori antichi, il numero dieci è qui un’allusione al Decalogo, e i dieci giorni rappresentano tutto il tempo che l’uomo vive sotto il suo giogo, cioè tutta la vita presente). Sii fedele fino alla morte, resta attaccato al tuo Dio come una moglie a suo marito, come un soldato al suo capo, come l’amico al suo amico; non abbandonarmi lungo il cammino, non lasciare la mano che ti tiene, e riceverai la corona della vita, cioè il possesso di Me stesso, nella beatitudine essenziale (Cf. Isaia, XXVIII, 5). – Chi ha orecchio, ascolti, non quello che dice il diavolo, non quello che dicono la carne, né il mondo, i tre che ci invitano al rilassamento; ma quello che lo Spirito dice alle chiese, esortandole a combattere: chi vince i tre nemici di cui abbiamo appena parlato, non subirà la seconda morte. Chi saprà accettare per il suo Maestro la prima morte, cioè la separazione dell’anima e del corpo, alla quale ogni uomo è condannato dal peccato di Adamo, sfuggirà alla seconda, la separazione definitiva dell’anima da Dio, cioè la dannazione. »

§ 3 – Lettera alla Chiesa di Pergamo.

E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice Colui che ha la spada a due taglienti. Ecco lo spirito della scienza che parla: rivolgendosi ad una città particolarmente infestata dall’idolatria, una Chiesa minacciata da molteplici e perfide eresie, Egli predica sopra ogni cosa la virtù della discrezione, che insegna come riconoscere e mantenere la vera dottrina in mezzo agli errori. Si illumina con l’insegnamento di Cristo che penetra, ci dice San Paolo, fino alla divisione dell’anima e dello spirito (Hebr. IV, 12), evocata qui da una spada che esce dalla bocca dell’apparizione (Cfr. supra I, 16). Distingue, sotto le apparenze di cui si avvolgono l’amor proprio e le passioni, ciò che nei nostri desideri, nelle nostre intenzioni, nelle nostre imprese, è la parte dell’uomo animale e la parte dell’uomo spirituale. Perché il primo eccelle nel mascherarsi ed essere preso per il secondo. « Io so dove abiti: la tua dimora è tra i malvagi, dove è più difficile e più meritevole mantenere la giustizia che tra i buoni; in una città così malvagia che può essere chiamata il trono di satana. » – [È infatti a Pergamo, scrive il P. Allô, che fu eretto il primo tempio del culto imperiale provinciale, già nel 29 a.C.; un secondo ed un terzo [vi] furono consacrati in onore di Traiano e Settimio-Severo. Le quattro grandi divinità poliadiche erano Zeus Soter, Atena, Niceforo, Asklepios Soter e Dioniso Kathegemon. Il pellegrinaggio dei malati al santuario di Asklepiade, dove si praticava l’incubazione e si credevano miracolose le guarigioni, i misteri di Dyonisio con la confraternita dei Boûxoloi, soprattutto il colossale altare a cielo aperto di Zeus con la sua Gigantomachia, un grandioso fregio dove i greci avevano eternizzato il glorioso ricordo della loro resistenza all’invasione celtica del III secolo… tutto questo gli assicurava un incomparabile splendore religioso. Questi vari culti erano alleati e più o meno fusi insieme, e si armonizzavano molto bene con quello dei Cesari. Il sacerdote di Zeus Soter era anche un sacerdote del “divino Augusto”. Dioniso-toro fraternizzava con Asklepios-serpente… E tutto questo fece di Pergamo il trono di satana, poiché in nessun luogo il paganesimo mostrò la sua forza con più orgoglio (Apoc. di San Giovanni, Exc. VI, P. 30.)]. – « Tuttavia – continua San Giovanni – nonostante questo, tu esalti il mio nome, ti dimostri degno del tuo titolo di Cristiano, e la paura non ti ha fatto rinnegare la fede che mi hai dato. Siete rimasti fedeli a Me anche quando infuriava la persecuzione, anche quando Antipa fu martirizzato in mezzo a voi, in questo regno di satana, per aver testimoniato il Mio Nome ». La tradizione riferisce che Antipas fu il predecessore del destinatario di questa lettera alla sede di Pergamo, e che fu bruciato in un toro di bronzo, durante il regno di Domiziano. (R. P. Allô, op. cit., p. CCIX, nota.).  – « Ma ho alcune mancanze da rimproverarvi: perché ci sono in voi alcuni che conservano la dottrina di Balaam, che insegnò a Balac a mandare davanti ai figli d’Israele occasioni di caduta – cioè: donne di vita malvagia, – per indurli al peccato, per incitarli a mangiare carne consacrata agli idoli, e per far loro rendere ai falsi dei un onore adulterino. » – Balaam era un indovino che viveva sulle rive dell’Eufrate al tempo dell’Esodo. Quando Balac, re dei Moabiti, vide avanzare verso il suo paese, sulla via della Terra Promessa, il popolo ebreo che aveva appena schiacciato successivamente l’armata degli Amorrei e quella del re di Bashan, gli ordinò di avvicinarsi e lo pregò di invocare la maledizione del cielo su questo nemico che nulla sembrava poter fermare. Balaam, dopo molte esitazioni, perché non ignorava che Dio fosse con Israele, cominciò ad obbedirgli; ma, per permesso divino, le sue labbra potevano solo pronunciare parole di benedizione invece delle maledizioni che avrebbe voluto pronunciare. – Il libro dei Numeri, che riporta questa storia, (XXII, XXIV) non parla esplicitamente della doppiezza a cui allude l’Apocalisse. Ma si può facilmente indovinare sotto il resto della storia. Desideroso di compiacere Balac e di assecondare i suoi disegni, malgrado il miracolo con cui Dio gli aveva appena notificato la sua volontà, Balaam consigliò a questo principe di inviare agli ebrei, di cui conosceva gli istinti passionali, delle donne armate di tutti i loro mezzi di seduzione. Queste donne riuscirono a conquistare il cuore dei figli d’Israele; li condussero alle loro feste religiose, fecero loro mangiare carne consacrata agli idoli, e li iniziarono persino al culto di Beelphegor, il più turpe di tutti gli dei (XXV, I, 3). S, Gregorio ci riporta nei suoi Dialoghi un episodio simile. Il diacono Florenzio era violentemente geloso di San Benedetto, e cercò di avvelenarlo. Non essendoci riuscito, decise almeno di perdere le anime dei suoi discepoli. « Allora mandò nel giardino del monastero sette fanciulle nude che, tenendosi per mano e danzando a lungo davanti ai loro occhi, dovevano accendere nelle loro anime la perversione del piacere. ». – I sostenitori della dottrina di Balaam di cui Nostro Signore parla qui sono da identificare con i Nicolaiti. « Tu hai dunque anche nella loro persona, come il Vescovo di Efeso, dei sostenitori dell’eresia di Nicolas, cioè persone che si permettono le più grandi libertà, sia per quanto riguarda la partecipazione ai sacrifici pagani che nelle loro relazioni con l’altro sesso. Te lo dico come a lui: fate penitenza. Altrimenti verrò da te all’improvviso e farò sentire a te e al tuo popolo tutto il peso della mia ira. Combatterò contro questi eretici con la spada della mia parola, cioè li convincerò del peccato, ridurrò a nulla i loro propositi, anche con le parole penetranti, irresistibili come una spada. Io li punirò come un tempo ho punito Balaam e i Madianiti; tutti gli uomini furono messi a fil di spada, compreso questo falso profeta, le città e villaggi furono dati al fuoco, le donne ed i bambini furono condotti in schiavitù (Num., XXI, 7 e seguenti).mMa se, al contrario, saprai correggerti, ti mostrerò la mitezza della mia misericordia. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: A colui che sa trionfare sulle perfide sollecitazioni della setta di Nicolas, darò la manna nascosta e gli darò una pietruzza bianca. E riceverà il pane di vita, il Cristo velato sotto le specie sacramentali, una volta rappresentato dalla manna; e avrà in sé le primizie della vita futura, quando gusterà le dolcezze segrete, quelle ineffabili delizie di cui il Signore rende partecipi solo i suoi amici prediletti. E per aver conservato il suo corpo puro dal peccato della carne, gli darò, nel giorno della risurrezione, una pietra bianca, cioè un corpo scintillante ed impassibile. ». Il corpo glorioso che sarà quello degli eletti è paragonato qui ad una pietra, perché la corruzione e la sofferenza non avranno più alcuna presa su di esso; a una pietra bianca, o meglio ancora, a una pietra scintillante (candidum), a causa dello splendore luminoso di cui sarà dotato. E su questa pietra è scritto un nome nuovo, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Questo nuovo nome designa la nuova personalità che gli eletti godranno dopo la risurrezione. Infatti, in questo stato glorioso, la carne non congiurerà più contro lo spirito, la lussuria sarà completamente placata, l’uomo non sarà più soggetto all’ira, né ad alcuna passione, né ad alcun disordine: il corpo sarà perfettamente sottomesso all’anima, e tutto l’essere vivrà in un sentimento di pace, d’armonia ed equilibrio impossibile da descrivere. Per questo l’autore aggiunge che nessuno conosce questo nome se non colui che lo riceverà, perché, come dice San Paolo, ciò che occhio d’uomo non ha visto, il suo orecchio non ha sentito, il suo cuore non ha immaginato ciò che Dio ha in serbo per coloro che ama. Nessuno può avere un’idea di questa felicità se non chi l’ha già assaggiata.

§ 4 Lettera alla Chiesa di Thyatira,

E scrivi all’Angelo della Chiesa di Thyatira. È lo spirito di fortezza che parlerà ora per riprendere un Vescovo, colpevole di aver mancato di energia nella pratica della correzione fraterna. Quest’opera di carità spirituale è infatti uno dei primi doveri dei prelati verso il loro gregge, e la loro negligenza in questo compito è per le loro chiese la fonte dei mali più gravi: la Scrittura ce lo mostra con l’esempio di Eli, il sommo sacerdote di Shiloh, che, per non aver saputo reprimere la cattiva condotta dei suoi figli, vide l’ira di Dio cadere con estremo rigore sulla sua famiglia e su tutto il popolo (cf. I Reg., II-IV). « Scrivi dunque all’Angelo della Chiesa di Thyatira: Queste cose dice il Figlio di Dio, Egli che ha gli occhi simili ad una fiamma di fuoco, perché il suo Cuore è divorato da uno zelo ardente, perché lo sguardo dei suoi occhi penetra i segreti più profondi: illumina le intelligenze ed infiamma le volontà che si lasciano toccare da Lui. E i suoi piedi assomigliano al bronzo dorato: pronti per tutti i percorsi, per tutte le fatiche per salvare le anime, hanno allo stesso tempo la brillantezza dell’oro per la carità che li sospinge, e la resistenza del bronzo per la loro sopportazione. Conosco le tue opere, la tua fede e la tua carità; conosco lo zelo che effondi nel tuo ministero e la pazienza che dimostri in esso; io non ignoro che le tue opere sono più numerose oggi di quanto lo fossero in passato. Ti hai fatto progressi, la cosa è evidente, ma questo non mi impedisce di avere qualche rimostranza contro di te: mentre ti dedichi alla tua santificazione, trascuri i tuoi doveri di pastore. Tu permetti ad una donna, questa Jezebel, che si fa chiamare profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi. Ella insegna loro a commettere adulterio e a mangiare carne consacrata agli idoli, come fanno i Nicolaiti. E tu la lasci fare, invece di armarti contro di lei con lo zelo e la santa indignazione del profeta Elia! » – Cos’era quella Jezebel? È una personalità concreta o è solo una figura simbolica? Alcuni commentatori sostengono che il rimprovero era diretto alla moglie del vescovo di Thyatira, che in realtà si chiamava Jezebel, e la loro testimonianza è corroborata dal fatto che diverse versioni dicono, invece di “ad una donna”, “la tua donna”, cioè tua moglie. Altri vogliono vedere in lei qualche profetessa, qualche donna Nicolaïta che si ispiraba ad un personaggio ispirato, per rivaleggiare con la Sibilla di un tempio clialdeo eretto in città, il Samba-theion. È più probabile che il nome abbia qui un valore simbolico: evoca il ricordo della moglie del re Achab, una delle donne più criminali della storia dell’umanità. È lei che introdusse il culto di Baal tra i Giudei; fece uccidere Naboth perché non voleva cedere la sua casa; ingaggiò un’aspra lotta contro Elia ed i servi del vero Dio, durante la quale ne massacrò un gran numero (III Reg, XVIII, 4; XIX, 2; XXI, 5 e seguenti). In quest’ultima veste, è la figura degli eretici, che introducono l’errore tra i fedeli, per sedurli e scatenare le loro passioni contro la Chiesa. – In senso morale, Jezebel rappresenta la mollezza sensuale che si insinua tra i Cristiani come risultato della mancanza di vigilanza e di fermezza dei loro pastori. Si definisce una profetessa, perché pretende di saperne di più su Dio dei maestri di teologia. Dice, per esempio, che Dio è troppo buono per dannare qualcuno e che non c’è fuoco all’inferno; che il digiuno è una pratica obsoleta e la vita di clausura un detestabile egoismo. « Gli ho dato il tempo di fare penitenza – continua il Salvatore – perché non voglio che il peccatore muoia; al contrario, voglio che si converta e viva; ma ella non vuole rinunciare alla sua dissolutezza. » – L’espressione: non vult, non vuole, deve essere sottolineata. Segna l’ostinazione della volontà umana, che rifiuta di inchinarsi di fronte alla volontà divina e rende inefficaci tutti i suoi sforzi. “Ecco, io sto per ridurla nel suo letto, cioè: colpirla con una malattia grave, che la porterà all’inferno. Lì troverà il luogo del suo riposo, perché lì non avrà più i mezzi per scuotere il mondo: lì incontrerà lo sposo che ha liberamente scelto per la sua anima, il principe delle tenebre. E tutti coloro che partecipano ai suoi disordini, se non fanno penitenza per le loro azioni malvagie, saranno precipitati giù con lei nella peggiore delle tribolazioni, cioè nell’inferno. Ed Io distruggerò i suoi figli, intendete: quelli che lei ha generato, con i suoi esempi ad una vita di lascivia e di empietà; e li piomberò con lei alla morte eterna, come ho distrutto i figli della vera Jezebel al seguito della madre per mano di Jehu. (IV Reg., X 7). Questo esempio servirà da lezione alle varie chiese: tutti sapranno che io sono Colui che è, e che scruta i reni ed i cuori. Non mi accontento di segni esteriori di penitenza; non ho accettato il pentimento di Achab né quello di Giuda, perché questi empi, nel manifestarlo, obbedivano solo a motivi puramente umani; ma ho spalancato le braccia a Davide, quando ho visto il suo profondo dolore per avermi offeso; perché in tutto ciò che gli uomini fanno, è alla loro intenzione che Io guardo. Darò a ciascuno di voi secondo le sue opere: non lascerò nessuna azione meritoria senza ricompensa, nessuna colpa senza punizione. Perciò, miei fedeli, non temete. Io vi dico a voi, a voi e a tutti i membri della Chiesa di Thyatira che sono rimasti fedeli alla fede: Tutti coloro che non sono stati sviati dall’empia dottrina di questa donna, ma che mi sono rimasti fedeli, come i settemila che rifiutarono di piegare il ginocchio davanti a Baal e di cui rivelai l’esistenza a Elia (II Reg., XX, 18).Tutti coloro che non hanno conosciuto i misteri di satana, che essi chiamano loro abominazioni; Io non metterò nessun altro peso sulle loro teste, non imporrò loro il giogo delle osservanze legali, non esigerò da loro nessuna pratica supplementare, come pretendono questi eretici. Vi chiedo solo di essere fedeli ai precetti del Vangelo che voi conoscete. Quelli almeno, conservateli fedelmente, finché non verrò a ricompensare ciascuno secondo i suoi meriti. Colui che saprà vincere le sue passioni e praticare fino alla fine le virtù che mi sono gradite, come la carità, la povertà, la dolcezza, l’umiltà, ecc. gli darò potere sulle nazioni. » Perché Dio assicura ai suoi servi, anche qui sulla terra, una grande autorità sui loro simili, perché chi è capace di autocontrollo può governare a buon diritto anche gli altri. « Essi giudicheranno gli uomini con una regola di ferro », non nel senso che la loro giustizia sarà esercitata in modo spietato e brutale, ma perché né le simpatie né le antipatie, né alcuna influenza o pressione potranno farli deviare dalla loro rettitudine. E li frantumeranno come il vaso del vasaio: avranno una grazia meravigliosa nel toccare i cuori dei loro ascoltatori e trasformarli in uomini nuovi, proprio come il vasaio cambia la forma del blocco di argilla che tiene tra le sue mani a suo piacimento. E coloro che non vorranno ascoltarli saranno frantumati in un altro modo: porteranno all’inferno i cocci del loro essere, privati per sempre della loro unità. Il loro potere sarà come quello che Io, come uomo, ho ricevuto dal Padre mio. E io darò loro come ricompensa, la stella del mattino. » Quest’ultima figura si riferisce essenzialmente a Cristo. È Lui che è la prima ricompensa di tutti gli eletti; è Lui che il frutto dell’albero della vita e la manna nascosta già evocavano misticamente poc’anzi; è Lui che ora è chiamato la stella del mattino. Questo astro, infatti, quando appare nel cielo, annuncia l’alba: allo stesso modo Cristo, sorgendo all’alba, ha annunciato al mondo il grande giorno dell’immortalità, che cominciava con Lui e che non avrà fine. Per la Sua Santissima Umanità, i corpi di tutti gli eletti, divenuti puri e radiosi come stelle, andranno ad illuminare il cielo con il loro splendore. – La stella del mattino designa anche la Santissima Vergine, come mostrano le sue Litanie, e questo per molte ragioni: perché la sua apparizione sulla terra pose fine alla notte del peccato; perché il suo corpo risorto partecipa in modo molto speciale allo splendore della Santissima Umanità del Figlio; perché Ella fu radiosa, serena e pura fin dal principio della sua esistenza: comparati a Lei, gli altri Santi sono stelle della sera: si sono liberati delle ombre del peccato solo con sforzi laboriosi, e hanno brillato di uno splendore assolutamente puro solo alla fine della loro esistenza: la Santissima Vergine, invece, preservata dal peccato originale, piena di grazia nel suo stesso concepimento, ha brillato, fin dal mattino della sua vita, di uno splendore incomparabile. – Inoltre, promettendo di dare ai suoi fedeli la stella del mattino, Nostro Signore vuole far capire che concederà loro la luce interiore della contemplazione, e quindi li eleverà ad un modo di conoscenza trascendente. Questo è anche ciò che San Pietro intende quando ci invita ad aspettare che i vespri del mattino appaiano nei nostri cuori (I Piet. II, 19). Questa conoscenza è detta mattutina, perché è precedente ad ogni studio, in opposizione alla conoscenza ordinaria, che si acquisisce attraverso il lavoro, e che costituisce la luce della sera. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

IL SENSO MISTICO DELL’APOCALISSE (3)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.