COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (7)

Cavalli con la coda di leoni.

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (7)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO TERZO

COMINCIA IL LIBRO TERZO

Ricapitola dalla nascita di Cristo, dicendo in altro modo le stesse verità.

[1] Dopo aver concluso con le sette chiese, divise a somiglianza della settimana di questo mondo, e dando loro diversi nomi simbolici, fa nuovamente conoscere ciò che ha visto: allora ho avuto – dice – la seguente visione: una porta è stata aperta in cielo (cap. IV). Dopo tanta manifestazione di chiarezza, contemplata con mente fedele, gli si aprono i segreti del cielo e gli viene mostrato il mistero divino celato. Lo interiorizza così nel suo spirito e medita i segreti di Dio con la riflessione della fede. Intravede davanti a sé una porta aperta attraverso la quale arrivare con mente avida alla conoscenza di una così grande maestosità. Ricapitola tutto il tempo della Chiesa nelle varie figure, dicendo: Ho visto una porta aperta nel cielo. La porta aperta è riferita a Cristo, che è nato ed ha patito, e quindi è Egli la porta. Chiama la Chiesa il cielo, in cui vediamo noi stessi, come la Scrittura in precedenza ci ha anticipato. La Chiesa è giustamente chiamata cielo, perché è la dimora di Dio, è là dove si compiono i misteri celesti. Per questo chiediamo che la volontà di Dio sia fatta in cielo. A volte chiama la Chiesa cielo e terra, quando cioè la carne terrena aspira per mezzo della fede al cielo. A volte il cielo e la terra sono la Chiesa ed il popolo. Infatti la terra è sia il bene che il male. Secondo dice l’Apostolo, « … e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli. » (Col. I, 20). Nel cielo non c’erano scandali, però tra il cielo e la terra c’era discordia. In Giudea la Chiesa è sempre stata unita a Dio, ma in spirito, non in un corpo rinnovato. Tuttavia, sulla terra c’era discordia tra il popolo giudeo ed i gentili. Per questo lo stesso Apostolo dice che entrambi sono rinnovati e riconciliati con Dio. E mentre i gentili erano nel mondo senza Dio, ora essi sono con Cristo. « Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace … Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. » (Ef. II, 13-14 e 18). Come dice S. Luca, « gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà » (Lc. II, 14). « Convoca il cielo dall’alto e la terra al giudizio del suo popolo » (Psal. XLIX, 4). Alcuni confermano in vari modi, che omettiamo per brevità, che il cielo e la terra siano la Chiesa, perché si ritiene che il cielo sia l’anima dell’uomo e la terra la sua carne terrena: anima e carne unite, entrambe spiritualmente consenzienti. Per questo diciamo che il cielo è la Chiesa e la terra pure è la Chiesa.

TERMINA LA SPIEGAZIONE DELLA PORTA

COMINCIA LA SUA STORIA NEL LIBRO TERZO

(Ap. IV, 1-6)

Post hæc vidi: et ecce ostium apertum in cœlo, et vox prima, quam audivi tamquam tubæ loquentis mecum, dicens: Ascende huc, et ostendam tibi quae oportet fieri post hæc. Et statim fui in spiritu: et ecce sedes posita erat in caelo, et supra sedem sedens. Et qui sedebat similis erat aspectui lapidis jaspidis, et sardinis: et iris erat in circuitu sedis similis visioni smaragdinæ. Et in circuitu sedis sedilia viginti quatuor: et super thronos viginti quatuor seniores sedentes, circumamicti vestimentis albis, et in capitibus eorum coronae aureæ. Et de throno procedebant fulgura, et voces, et tonitrua: et septem lampades ardentes ante thronum, qui sunt septem spiritus Dei. Et in conspectu sedis tamquam mare vitreum simile crystallo.

(Dopo di ciò vidi, ed ecco una porta aperta nel cielo, e quella prima voce che udii come di tromba che parlava con me, dice: Sali qua, e ti farò vedere le cose che debbono accadere in appresso. E subito fui rapito in ispirito: ed ecco che un trono era alzato nel cielo, e sopra del trono uno stava a sedere. E colui che stava a sedere era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardio e intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. E intorno al trono ventiquattro sedie: e sopra le sedie sedevano ventiquattro seniori, vestiti di bianche vesti, e sulle loro teste corone di oro: “e dal trono partivano folgori, e voci, e tuoni: e dinanzi al trono sette lampade ardenti, le quali sono i sette spiriti di Dio. E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo.).

[2] La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva. Si vuol dire che non sentiva distinta nessun altra cosa, se non quella voce che aveva già sentito con l’apertura della porta del cielo; e mentre il Signore, come ad un ignorante, si accingeva a rivelargli qualche suo segreto, spaventato dalla manifestazione della sua potenza, cadeva ai piedi della Maestà. Affinché non si intendesse che la voce sentita in precedenza fosse quella di una bocca carnale, la assimila ad una tromba, che emette il suono una volta che, raccolta l’aria, la si espelle producendo il suono all’esterno; così è per chi, ricevuta la Parola del Signore, percepisce con l’ispirazione del suo spirito senza suono, ciò che poi manifesta all’esterno. Ma si deve anche comprendere, attraverso quella porta aperta, che essa sia la rivelazione del Vangelo; la voce che dice di aver già sentito in precedenza, sono le parole della Legge e dei Profeti, che mettono in accordo ciò che è nuovo con il vecchio per produrre ciò che dice il salmista: « Una parola ha detto Dio, due ne ho udite: il potere appartiene a Dio, tua, Signore, è la grazia; » (Psal. LXII, 12), vale a dire, si premurò che fossimo istruiti in ciò che manifestò ai nostri padri attraverso le Sacre Scritture. Questo può essere inteso in modo ancor più sottile, e cioè che il Padre abbia generato il suo Figlio unigenito, eguale a Se stesso. Infatti il parlare di Dio, significa aver generato il Verbo. Parlare una volta sola, è non avere altro Verbo oltre l’Unigenito. Dopo l’inspirazione delle anime, dopo la rivelazione del mistero, dice: venite quassù, vi mostrerò cosa succederà dopo. L’ascesa che indica qui è quella, una volta disprezzato il mondo, di venire alla Chiesa, come sta scritto: « Venite, andiamo a Sion il monte del Signore » (Is. II, 3). Questo è ciò che la Scrittura dice ai credenti: « Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion. » (Psal. LXXXIII, 8). Entrando nel “sancta sanctorum“, dove per primo è entrato nostro Signore Gesù Cristo, fatto Pontefice in eterno con il sangue della sua passione, il santo è qui invitato a meritare il godimento della presenza stessa del Signore, ed a conoscere non solo quel che sapeva della verità del passato, ma anche quello che accadrà in futuro. In quell’istante, dice, sono caduto in estasi. Chi non comprende che non parla di alcunché di carnale, colui che descrive il suo essere rapito nello spirito? San Giovanni, il più caro al suo Dio, non avvertì nulla di corporeo, nulla di terreno, ma cadde in estasi per contemplare il Dio nella maestosità, che vedeva in spirito e non contemplava nella carne. Poi dice: Ho visto che c’era un trono in cielo e uno stava seduto sul trono. Il trono che c’era è il regno sopra il regno, cioè il potere, la forza e la verità della Divinità che risiede nella Chiesa. E colui che stava a sedere – dice – era nell’aspetto simile ad una pietra di diaspro e di sardio ed intorno al trono era un’iride, simile d’aspetto a uno smeraldo. La pietra di diaspro irradia un bagliore verde molto intenso, affinché si possa capire che la carne dell’uomo assunta da Cristo e ricevuta senza macchia di peccato, risplenda con la forza della purezza eterna e per la presenza della potenza divina. Il Sardio pure, è una pietra rossastra, ma è poco appariscente per una sua certa opacità, cosicché si possa comprendere la purezza della carne immacolata, ricevuta dalla Vergine, vereconda ed umile; ed ancor perché si possa comprendere un altro significato di queste due pietre, ascoltate: il diaspro è il colore dell’acqua, e il sardio è quello del fuoco: questi due giudizi sono stati stabiliti fino alla consumazione del mondo sul tribunale di Dio. In esso si manifestano due tipi di giudizi: uno è già stato consumato nel diluvio per mezzo dell’acqua, l’altro sarà consumato per mezzo del fuoco. Queste comparazioni sono legate alla Chiesa della quale si è rivestito il Signore. L’iride circondava il trono. L’iride che circonda il trono ha gli stessi colori. L’iride è chiamato anche arcobaleno; di esso il Signore parlò a Noè ed ai suoi figli, perché non temessero Dio nei loro discendenti: ho messo il mio arco nelle nuvole (Gen. IX,13), perché non temereste più l’acqua, bensì il fuoco. Perché nell’arco appare contemporaneamente il colore dell’acqua e del fuoco, poiché in parte è verdastro ed in parte rossastro, a testimoniare entrambi i giudizi: di questi uno è da eseguirsi con il fuoco, l’altro è stato già eseguito con l’acqua. Anche in un altro modo l’arcobaleno, con il fuoco e l’acqua, è segno dello Spirito Santo e del Battesimo, perché dopo la venuta di Cristo sul genere umano ha brillato la forza dello Spirito Santo che ha lavato con l’acqua del Battesimo gli eletti di Dio, e li ha illuminati con il fuoco dell’amore divino. Secondo dice la Verità: « … chi non è rinato d’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio » (Gv. III, 5). Questo arco poi è tra le nuvole nei giorni di pioggia, nuvole che sono la carne di Cristo, la cui pioggia sono le parole della predicazione. Infatti è nell’Incarnazione del Signore che si manifesta la rugiada della predicazione, perché attraverso il perdono del Signore i cuori dei credenti si volgano alla riconciliazione. Di questa nube è stato scritto: « … fai delle nubi il tuo carro », (Psal. CIII, 3). Il Signore fa della nube il suo veicolo ascensionale, perché Colui che come Divinità è in ogni luogo, è salito al cielo con la carne. Ezechiele un tempo lo ha visto « … come di elettro, con l’aspetto di fuoco, e con la forma dell’arco che si forma nelle nubi in un giorno di pioggia » (Ez. I, 27, 28). Nell’elettro, l’oro e l’argento si mescolano, in modo da far emergere un’unica realtà formata dai due metalli, nella quale la luminosità dell’oro viene attenuata per mezzo dell’argento, e l’aspetto dell’argento viene illuminato mediante la luminosità dell’oro. Nel nostro Redentore entrambe le nature, quella divina e quella umana, sono unite tra loro in modo indiviso ed inseparabile, cosicché attraverso la sua umanità sia temperata ai nostri occhi la radiosità della sua divinità, e per la sua divinità risplenda in Lui la natura umana. Possiamo anche chiamare « nuvole » i santi predicatori, perché fanno piovere con le loro parole, e brillano per i loro miracoli. Di quelli si dice … si muovano come le nuvole, perché, anche se vivono sulla terra, tutto ciò che hanno fatto è stato ultraterreno; infatti, camminando nella carne, hanno combattuto non con la carne, ma con lo spirito. Ho visto ventiquattro troni intorno al trono, e seduti sui troni, ventiquattro anziani in vesti bianche, con corone d’oro sulla testa. Ecco come abbia chiaramente manifestato il coro dei Patriarchi e degli Apostoli, seduti sulla Cattedra della santa dottrina. Li chiama anche anziani, cioè padri, e son rivestiti con abiti bianchi, cioè con la giustificazione della grazia e della purezza. Indossando poi corone d’oro sulla testa, sono stati proclamati vincitori tra i presenti. Trucidato che fu il diavolo, il nemico malvagio, ricevettero le corone del Signore. A proposito di queste corone, Paolo – il vaso d’elezione – ha commentato: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. » (2 Tm. IV, 7). Pertanto, anche la Chiesa, come le dodici tribù di Israele, è fondata sul numero dodici, che è un giorno. E come il giorno, racchiuso tra giorno e notte, ha ventiquattro ore e si chiama un giorno, così la Legge, prima della venuta del Signore, risplendeva solo nei Patriarchi e nei Profeti, mentre negli altri c’era notte. Ma nel Nuovo Testamento, che presenta Cristo nella carne, la sua manifestazione è chiamata luce e giorno. Il sole è Cristo secondo il profeta: « per voi che temete  il Signore, sorgerà il sole della giustizia » (Mal. IV, 2); e scelse i suoi Apostoli in numero di dodici, come le ore del giorno. Di loro disse: « voi siete la luce del mondo » (Mt.  V, 14). E a questi dodici Apostoli unì l’intero corpo episcopale. E a tutto il corpo episcopale aggiunse tutto il popolo cristiano, perché il sesto giorno Dio fece Adamo, e comandò che la donna gli fosse sottomessa come un aiuto. Questa donna era il simbolo di tutto il popolo cristiano, mentre Adamo prefigurava tutti i sacerdoti. Così, i Cristiani spirituali saranno sottomessi ai santi sacerdoti, come la moglie al marito. I sacerdoti devono adoperarsi nei confronti di coloro che sono meno perfetti, affinché, attraverso il latte della predicazione, e man mano fino al cibo solido, possano anch’essi conoscere il Padre ed il Figlio e lo Spirito Santo. Riguardo a ciò che abbiamo detto, l’Apostolo dice: la testa della donna è l’uomo. Il capo dell’uomo è Cristo, il capo di Cristo è Dio (1 Cor. XI, 3). Osservate come i membri non siano separati, ed infatti attraverso i sacerdoti tutta la Chiesa rimane unita a Cristo. In quei dodici si indicano gli Apostoli, e per essi, il corpo intero dei santi Vescovi. È questo quanto ritroviamo nella descrizione della città di Gerusalemme che scende dal cielo, da Dio all’uomo Cristo, da Cristo agli Apostoli, dagli Apostoli ai Vescovi, dai Vescovi ai presbiteri, dai Vescovi e presbiteri al restante popolo. Attraverso questi gradi, la città di Gerusalemme scende sulla terra; e attraverso questi stessi, risale in cielo ogni giorno. Questi ventiquattro troni, che rappresentano la distinzione delle funzioni, sono dodici, perché anche i presbiteri provengono dalle dodici tribù di Israele. E i dodici troni, nell’accezione spirituale del numero, sono un unico trono, che è appunto la Chiesa. Su di esso siederà il Signore Gesù Cristo – Egli solo – per il giudizio. Siederà anche e giudicherà le dodici tribù di Israele, la Chiesa stabilita nel numero dodici, cioè in Cristo, con il Quale è tutt’uno: siederà e giudicherà tutti i membri, ma in uno e solo capo, cioè Cristo. Come possono infatti i Santi sedere in giudizio, in piedi alla destra del Giudice? – Dal trono procedono fulmini, grida e tuoni, e sette lampade di fuoco che bruciano, che sono i sette spiriti di Dio. Si voleva qui che si capisse che tutta la predicazione degli antichi Apostoli, ed anche la dottrina celeste e santa, procede dal giudizio di Dio e dall’ispirazione di Dio. Il fulmine sono le parole di tutti i Santi, ed ugualmente i tuoni si comprende siano le voci dei predicatori. Proclamiamo che tutto questo procede da un unico Autore, Dio. Di questi fulmini e turbini si dice: « Il fragore dei tuoi tuoni nel turbine » (Psal. LXXVI, 19). Il turbine è la Scrittura, poiché dice: « Le sue folgori rischiarano il mondo: vede e sussulta la terra. » (Psal. XCVI, 4). Tutto questo non ha un’origine propria, ma è dichiarato essere proveniente dal trono di Dio, che è la Chiesa; dalla Sua volontà, cioè dalla potenza del Creatore o dai Suoi ordini. Le sette fiaccole che bruciano davanti al trono sono i settiformi doni dello Spirito Santo, di cui abbiamo già parlato diffusamente in precedenza. Si indica che essi assistano al trono in quanto sono congiunti a Dio; e coloro ai quali questi doni sono dati per grazia, sono con Dio; come si dice altrove: « … essi, che si avvicinano ai suoi piedi, ricevono la sua dottrina. » (Dt. XXXIII, 3). Anche Ezechiele parlava apertamente di questo fuoco e di queste torce quando diceva: « Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro » (Ez. I, 13). Il suo aspetto è come i carboni accesi con il fuoco e le torce; chiunque tocca i carboni brucia: infatti chiunque aderisce ad un sant’uomo con la frequenza della sua visione e della sua parola, ne riceve l’esempio dalla sua condotta, cosicché si accenda nell’amore della verità, faccia fuggire le tenebre dei suoi peccati, brilli di desiderio della luce, e bruci con vero amore ciò che, morto e come freddo, giaceva in precedenza nell’iniquità. Le torce diffondono da lontano la loro luce e, trovandosi in un luogo, ne illuminano anche altri. – In colui che è animato dallo spirito di profezia, dalla parola della sua dottrina, dalla grazia dei miracoli, la propria opinione si irradia in lungo ed in largo, come la lampada. E coloro che ascoltano le sue buone disposizioni, per così dire, si elevano all’amore delle cose celesti e sprigionano luce come una torcia, perché si manifestino con le buone opere. È così che i Santi, per coloro che li avvicinano e li toccano, illuminandosi con l’amore della patria celeste, sono dei carboni ardenti; e sono pure torce perché danno luce a coloro che sono lontani, in modo che sulla loro strada non incorrano nelle tenebre del loro peccato. La differenza tra i carboni e le torce è che i carboni ardono, ma non dissipano l’oscurità oltre lo spazio in cui si trovano. Ma le torce, poiché brillano di una maggiore fiamma di luce, scacciano il buio che si diffonde intorno a loro. Da questo fatto si deve notare che ci sono molti Santi, semplici e nascosti, rinchiusi da un grande anonimato in luoghi angusti, tanto che gli altri possano a malapena conoscerne l’esistenza: cosa sono questi se non carboni ardenti? Infatti, pur possedendo il fuoco dello spirito per il loro fervore, non hanno la fiamma dell’esempio, né cacciano le tenebre del peccato dal cuore degli altri, perché impediscono totalmente che la loro vita sia conosciuta. Certo, possiedono il fuoco, ma non servono come modello di luce per gli altri. Invece, coloro che rendono evidenti gli esempi delle loro virtù e mostrano la luce della loro buona condotta ai viatori, con la loro vita e la parola sono chiamati giustamente torce: infatti scacciano le macchie del peccato e gli errori delle tenebre con il fuoco del desiderio e con la fiamma della parola. Colui che vive rettamente in solitudine, ma non reca beneficio in alcun modo ad un altro, è carbone. Ma colui che, con l’esempio di santità, si pone come luce di giustizia per molti, è torcia, poiché possiede il fuoco e dà luce agli altri. – Davanti al trono c’è come un mare di vetro, come un cristallo. Il mare vitreo, cioè trasparente, manifesta il dono del Battesimo. Esso dimostra come sia stata data un’acqua pulita e calma, non increspata dal vento, non torrenziale come lungo un pendio, ma immobile appunto come un dono di Dio. E quando dice che ci sono lampade intorno al trono, che sono gli spiriti ed un mare di vetro intorno al trono, mostra che lo spirito è nel luogo dove si trova la fonte del Battesimo. Perché il mare è acqua che non è dolce, ma amara. Cos’è questo mare se non il Battesimo e la penitenza? Egli dice: davanti al trono c’è un mare vitreo, come il cristallo. Il vetro si rompe facilmente; così anche il Battesimo in noi si infrange facilmente ed messo in pericolo. La vita di questo mondo è infatti scivolosa e soggetta ad una glaciale iniquità: quando viene sciolta dal calore di una lieve concupiscenza, ne è più facile la caduta e la rovina per i miseri. Geremia è sommerso nelle profondità di una cisterna, sotto il potere di un re iniquo; questo è la giustizia sommersa nel fango dei peccati quando viene sconfitta dal diavolo. Ma il fedele etiope, il peccatore convertito alla penitenza, lo fa uscire dal fango e lo riporta alla luce con trenta uomini – cioè o con l’aiuto della Santa Trinità, o con il lavoro dell’anima, dello spirito e del corpo – e lo estrae dalle profondità del pozzo (Ger. XXXVIII. 6) con il lanciargli strisce di stoffa, cioè riportando alla sua memoria le azioni degli antichi padri, che, caduti per il peccato, sono risaliti dalle profondità del male – con la penitenza – alle cose celesti … « antichi esempi nascosti »; e con le corde, cioè con le testimonianze delle Scritture. Si soddisfa così anche la Legge di Mosè: l’asino di tuo fratello è caduto sotto il peso – cioè la carne è stata sopraffatta dal peccato – inchinati, umiliati e alzati da terra (Dt. XXII, 4). Non vergognatevi di sottomettervi ad un uomo peccatore.

FINISCE LA SPIEGAZIONE

COMINCIA LA STORIA DEI QUATTRO ANIMALI

(Ap IV, 6-11; V, 1-14)

…. Et in medio sedis, et in circuitu sedis quatuor animalia plena oculis ante et retro. Et animal primum simile leoni, et secundum animal simile vitulo, et tertium animal habens faciem quasi hominis, et quartum animal simile aquilæ volanti. Et quatuor animalia, singula eorum habebant alas senas: et in circuitu, et intus plena sunt oculis: et requiem non habebant die ac nocte, dicentia: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus omnipotens, qui erat, et qui est, et qui venturus est. Et cum darent illa animalia gloriam, et honorem, et benedictionem sedenti super thronum, viventi in sæcula sæculorum, procidebant viginti quatuor seniores ante sedentem in throno, et adorabant viventem in sæcula sæculorum, et mittebant coronas suas ante thronum, dicentes: Dignus es Domine Deus noster accipere gloriam, et honorem, et virtutem: quia tu creasti omnia, et propter voluntatem tuam erant, et creata sunt.

Cap. V.

Et vidi in dextera sedentis supra thronum, librum scriptum intus et foris, signatum sigillis septem. Et vidi angelum fortem, prædicantem voce magna: Quis est dignus aperire librum, et solvere signacula ejus? Et nemo poterat neque in cælo, neque in terra, neque subtus terram aperire librum, neque respicere illum. Et ego flebam multum, quoniam nemo dignus inventus est aperire librum, nec videre eum. Et unus de senioribus dixit mihi: Ne fleveris: ecce vicit leo de tribu Juda, radix David, aperire librum, et solvere septem signacula ejus. Et vidi: et ecce in medio throni et quatuor animalium, et in medio seniorum, Agnum stantem tamquam occisum, habentem cornua septem, et oculos septem: qui sunt septem spiritus Dei, missi in omnem terram. Et venit: et accepit de dextera sedentis in throno librum. Et cum aperuisset librum, quatuor animalia, et viginti quatuor seniores ceciderunt coram Agno, habentes singuli citharas, et phialas aureas plenas odoramentorum, quae sunt orationes sanctorum: et cantabant canticum novum, dicentes: Dignus es, Domine, accipere librum, et aperire signacula ejus: quoniam occisus es, et redemisti nos Deo in sanguine tuo ex omni tribu, et lingua, et populo, et natione: et fecisti nos Deo nostro regnum, et sacerdotes: et regnabimus super terram. Et vidi, et audivi vocem angelorum multorum in circuitu throni, et animalium, et seniorum : et erat numerus eorum millia millium, dicentium voce magna: Dignus est Agnus, qui occisus est, accipere virtutem, et divinitatem, et sapientiam, et fortitudinem, et honorem, et gloriam, et benedictionem. Et omnem creaturam, quae in caelo est, et super terram, et sub terra, et quæ sunt in mari, et quae in eo: omnes audivi dicentes: Sedenti in throno, et Agno, benedictio et honor, et gloria, et potestas in sæcula sæculorum. Et quatuor animalia dicebant: Amen. Et viginti quatuor seniores ceciderunt in facies suas: et adoraverunt viventem in sæcula sæculorum.

(E in faccia al trono come un mare di vetro somigliante al cristallo: e in mezzo al trono, e d’intorno al trono, quattro animali pieni di occhi davanti e di dietro. E il primo animale (era) simile a un leone, e il secondo animale simile a un vitello, e il terzo animale aveva la faccia come di uomo, ed il quarto animale simile a un’aquila volante. E i quattro animali avevano ciascuno sei ale: e all’intorno e di dentro sono pieni d’occhi: e giorno e notte senza posa, dicono: Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente, che era, che è, e che sta per venire. E mentre quegli animali rendevano gloria, e onore, e grazia a colui che sedeva sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro seniori si prostravano dinanzi a colui che sedeva sul trono, e adoravano colui, che vive nei secoli dei secoli, e gettavano le loro corone dinanzi al trono, dicendo: Degno sei, o Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore, e la virtù: poiché tu creasti tutte le cose, e per tuo volere esse sussistono, e furono create.

(V, 1-14)

E vidi nella mano destra di colui, che sedeva sul trono, un libro scritto dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un Angelo forte, che con gran voce gridava: Chi è degno di aprire il libro, e di sciogliere i suoi sigilli ? E nessuno né in cielo, né in terra né sotto terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. E io piangeva molto, perché non si trovò chi fosse degno di aprire il libro, né di guardarlo. E uno dei seniori mi disse: Non piangere: ecco il leone della tribù di Giuda, la radice di David, ha vinto di aprire il libro, e sciogliere i suoi sette sigilli. E mirai: ed ecco in mezzo al trono, e ai quattro animali, e ai seniori, un Agnello sui suoi piedi, come scannato, che ha sette corna e sette occhi: che sono sette spiriti di Dio spediti per tutta la terra. ‘E venne: e ricevette il libro dalla mano destra di colui che sedeva sul trono. E aperto che ebbe il libro, i quattro animali, e i ventiquattro seniori si prostrarono dinanzi all’Agnello, avendo ciascuno cetre e coppe d’oro piene di profumi, che sono le orazioni dei santi: E cantavano un nuovo cantico, dicendo: Degno sei tu, o Signore, di ricevere il libro, e di aprire i suoi sigilli: dappoiché sei stato scannato, e ci hai ricomperati a Dio col sangue tuo di tutte le tribù, e linguaggi, e popoli, e nazioni: E ci hai fatti pel nostro Dio re e sacerdoti: e regneremo sopra la terra. E mirai, e udii la voce di molti Angeli intorno al trono, e agli animali, e ai seniori: ed era il numero di essi migliaia di migliaia, i quali ad alta voce dicevano: È degno l’Agnello, che è stato scannato, di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione. E tutte le creature che sono nel cielo, e sulla terra, e sotto la terra, e nel mare, e quante in questi (luoghi) si trovano: tutte le udii che dicevano: A colui che siede sul trono e all’Agnello la benedizione, e l’onore, e la gloria, e la potestà pei secoli dei secoli. E i quattro animali dicevano: Amen. E i ventiquattro seniori si prostrarono bocconi, e adorarono colui, che vive pei secoli dei secoli.)

INIZIA LA SPIEGAZIONE DEI QUATTRO ANIMALI

[3] E vidi in mezzo al trono e intorno al trono quattro animali, pieni di occhi davanti e dietro. I quattro animali sono la figura dei quattro Evangelisti. Sono essi presentati pieni di occhi davanti e di dietro, il che indica o che contengono i misteri passati e futuri di Dio, o che manifestano i segreti di entrambe le Leggi. E con la contemplazione delle cose spirituali proclamano la fede completa della santa Divinità rendendo manifesto il mistero dei segreti celesti. Poi si descrive la forma di ciascuno: il primo è come un leone; il secondo, come un giovane toro; il terzo, come un uomo; il quarto, come un’aquila. Nel Vangelo troviamo nell’ordine dapprima Matteo, perché è stato il primo a scrivere; ma nel Ministero i nostri maggiorenti hanno messo Marco al primo posto, perché inizia con Giovanni, il precursore che prepara la via a Cristo. Questo Marco, pieno di Spirito Santo, ha scritto il Vangelo in Italia in lingua greca, come discepolo al seguito di S. Pietro. Egli inizia con spirito profetico, dicendo: « Voce di uno che grida nel deserto, preparate la via del Signore », per indicare che Cristo, dopo aver assunto la nostra carne, aveva predicato il Vangelo nel mondo. Infatti Cristo stesso è stato chiamato profeta, come sta scritto:« Io ti ho stabilito profeta delle nazioni » (Ger. I, 5). I nostri maggiorenti descrivono giustamente la figura del leone come rappresentante dell’Evangelista Marco. E questo in verità è spiegato chiaramente e giustamente, perché il suo libro inizia così: « Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, secondo quanto è scritto nel profeta Isaia: Guardate, mando il mio angelo, che guarderà (o preparerà) la via davanti a voi. » Ma non sorprende che qui sia citato Isaia al posto di Malachia – perché questa testimonianza è chiaramente nota nel libro di Malachia – poiché Isaia significa “la salvezza di Dio“; Malachia, “il messaggero“; ecco come all’inizio del Vangelo ha voluto citare al posto del “messaggero”, cioè Malachia, la salvezza del Signore, che è Isaia: perché è la fede nel Vangelo che ci conduce nell’eternità perenne della vita presente e futura. Ha poi riassunto ciò che il messaggero, che è l’Angelo, dice con le parole di Isaia: « Preparate la via del Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio » (Is. XL, 3), affinché, una volta offerta e promessa la salvezza, l’annuncio della verità sia reso manifesto ed il cuore degli uomini sia preparato a ricevere la grazia. Egli ha figura di un leone, perché presenta Giovanni che predica nel deserto, che ama il deserto, come dice: « Giovanni è apparso nel deserto battezzando e proclamando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati » (Mc. I, 4). – Il secondo animale, simile ad un vitello, si riferisce a Luca, che, tra tutti gli Evangelisti di lingua greca, era anche medico. Egli scrisse il Vangelo in Grecia, dedicandolo al Vescovo Teofilo, cominciando dallo spirito sacerdotale, col dire: Ai tempi di Erode, re della Giudea, c’era un sacerdote, Zaccaria, per indicare che Cristo, dopo la sua nascita nella carne e la predicazione del Vangelo, divenne vittima per la salvezza del mondo. Egli è il sacerdote di cui si diceva nei Salmi: « Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedec » (Psal. CIX, 4). Quando venne Cristo, il sacerdozio dei Giudei si estinse: la Legge ed i Profeti cessarono. Giustamente si paragona Luca ad un toro: perché il toro rappresenta la persona dei sacerdoti, come si dice in Isaia: « Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli e lascerete in libertà buoi e asini. » (Is. XXXII, 20): il seme è la parola, le acque sono il popolo, e tu … hai liberato il bue e l’asino, cioè il popolo giudeo ed il gentile. Al suo inizio mostra il sacerdozio di Zaccaria, per questo si dice: ai tempi del re Erode di Giudea c’era un sacerdote di nome Zaccaria. – Il terzo animale, che ha l’aspetto di un uomo, è riferito a Matteo, che fu il primo a scrivere il Vangelo in Giudea, in lingua e con espressioni ebraiche, iniziando il suo Vangelo dalla nascita umana di Cristo, col dire: « libro della genealogia di Gesù Cristo, Figlio di Davide, figlio di Abramo », cosa che indica che Cristo è disceso corporalmente dal lignaggio dei Patriarchi, come promesso dallo Spirito Santo nei Profeti: ecco perché Matteo ha voluto annunciare all’inizio del suo libro la genealogia del Signore secondo la carne. – E il quarto animale, somile ad un’aquila in volo, si riferisce a Giovanni, che ha scritto il Vangelo, l’ultimo, in Asia, partendo dal Verbo, per insegnarci che il Salvatore, che si è degnato di nascere e di soffrire per noi, è lo stesso Verbo di Dio di prima dei tempi, che è venuto dal cielo e che, dopo la sua morte, è tornato nuovamente in cielo. Questi sono i quattro Evangelisti, che lo Spirito Santo ha figurato in Ezechiele con i quattro animali. – Ecco perché la fede della Religione cristiana si è diffusa ai quattro angoli del mondo grazie alla loro predicazione. Essi sono chiamati animali perché il Vangelo di Cristo è predicato per la vita dell’uomo; erano pieni di occhi dentro e fuori, perché proclamano i Vangeli annunciati dai profeti e che Egli aveva promesso da tempo. I loro piedi erano dritti, perché non c’è nulla di malvagio nei Vangeli. E avevano sei ali che coprivano i loro piedi ed il loro volto: erano cioè velati, perché occultati fino alla venuta di Cristo. Vangelo è una parola greca, che in latino significa “buon annuncio“: perché in greco “eu” significa buono, e “àngel” significa notizia; ed anche Angelo significa messaggero. Giovanni è giustamente descritto come un’aquila in volo, perché non parla né dell’umanità del Signore, né del suo sacerdozio, né di Giovanni che predica nel deserto, ma, lasciando tutte le cose umili, si eleva fin alla stessa altezza del cielo; e alla maniera di un’aquila in volo parla propriamente di Dio stesso, dicendo: « In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. » Era in principio con Dio. – Ma sorge un problema: come si può dire che questi quattro animali siano in mezzo ed intorno al trono, pieni di occhi dentro e fuori, se non si comprende che la loro posizione non sia che nel modo spirituale? Infatti se si cercasse di capire la loro posizione in senso letterale, ciò sarebbe erroneo. Infatti è stato detto in precedenza che in mezzo al trono sedeva Cristo, ed intorno al trono c’erano gli anziani; e ora si dice che in mezzo al trono ci sono gli animali, ed intorno al trono ci sono gli stessi animali. Se però si usa l’orecchio del cuore, si comprenderà che tutte queste cose siano da intendere come spirituali, perché Egli parlava solo del Capo e dei membri. – Trono è una parola greca che in latino si interpreta come “sede”, e qui dove siede Cristo, una volta dice sede, altre volte trono. Questo trono è la Chiesa, sulla quale vien detto che siede Cristo. E questi animali, che si dice siano in mezzo ed intorno al trono, sono gli stessi animali, e questo indica che i Vangeli sono in mezzo alla Chiesa, mescolandosi in Essa e circondandola, e che tutto quindi non è che una cosa sola. Infatti non possono sussistere gli uni senza gli altri, i Vangeli senza gli animali, e gli animali senza i Vangeli. E come potevano stare gli animali, essendo stato già detto in precedenza che questo spazio era occupato dai ventiquattro seniori, se non per farvi capire che gli animali ed i seniori sono la stessa cosa? Quando dice “in mezzo al trono”, si intende la Chiesa unita al Corpo di Cristo, affinché si comprenda che il capo e le membra formano un solo uomo. Quando dice “pieni di occhi davanti e dietro”, si intende la Legge ed il Vangelo, oppure che lo Spirito Santo ispira i fedeli attraverso i comandamenti divini, e che vede tutto ciò che lo circonda davanti e dietro, vede cioè il passato ed il futuro. Il primo animale è simile a un leone. La forza della Chiesa si manifesta nel leone, così come dice: « ha vinto il leone della tribù di Giuda, » (Ap. V, 5).  Ma è nel secondo che si manifesta quanto sia forte la Chiesa: simile, dice, a un vitello, cioè ad una vittima: questa è la forza della Chiesa: essere immolata! Nel terzo ci insegna cosa siano il leone ed il bue: ha – dice – l’aspetto di un uomo. Si riferisce all’umiltà della Chiesa che, pur possedendo l’adozione a figlia di Dio, sembra un uomo che non possiede nulla al di fuori della sua umanità, proprio come si diceva del Signore: « … il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » (Fil. II, 6-8). E conclude nel quarto animale quello che sono i tre esseri viventi, dicendo: come un’aquila in volo. Qui nell’aquila non ha nominato nulla di ciò che sia terreno, se non che sia stata forte nella passione, come nel leone; e colui che una volta si è offerto in sacrificio è rappresentato nel toro; colui che è stato razionale, cioè che ricorda il passato, ordina il presente, prevede il futuro, in modo da riconoscere quel Padre per mezzo del quale è stato creato, e che brilla per la sua condotta, è rappresentato nell’uomo; tutto questo non serve a nulla però se, come un’aquila, non si hanno sempre gli occhi fissi verso il cielo, nel volo della contemplazione. Questo è sempre stato fatto dalla Chiesa dei Patriarchi e dei Profeti prima dell’Incarnazione della divinità. Quando il Sole della giustizia non aveva ancora manifestamente brillato nel suo corpo finché non fosse arrivato il giorno, essi indubbiamente brillavano nella notte di questo mondo come stelle nel cielo, cioè nella Chiesa. Ma quando risplendette il sole della verità, Egli manifestò con l’Incarnazione la luce della sua divinità, ed essendo soggetto alla legge si mostrò come un servo; scelse dodici Apostoli, affinché il giorno risplendesse; ed in queste quattro animali congregò tutta la Chiesa. E quando qualcuno ha compiuto i tre animali, a modo d’aquila ne completa il quarto in cielo, là dove scorge andare il suo cadavere, fissando continuamente gli occhi della contemplazione libero dalla terra, appoggiandosi sempre sulla testimonianza dei due Testamenti. Questo viene fatto dai membri che desiderano rimanere uniti con il loro capo. – Di questi quattro animali, ognuno di essi aveva sei ali intorno a sé. E in questi quattro animali mostra i ventiquattro seniori: le sei ali dei quattro animali sommate tra loro sono ventiquattro ali. E intorno al trono ho visto gli animali, dove aveva detto aver visto i seniori. Ma come può un animale con sei ali essere come un’aquila, dal momento che l’aquila ne possiede due, o come si può dire che quei tre esseri viventi, il leone, il vitello e l’uomo, abbiano le ali, giacché vediamo che queste specie non ne hanno? Ciò non è da prendere alla lettera, ma per quanto si realizza nel mistero. Egli dice che hanno sei ali, perché nei sei giorni della settimana presente, che è la lunghezza del mondo, si diffondono le parole della loro profezia. Che i quattro si dice abbiano sei ali, e due volte dodici sommano ventiquattro, cioè due dozzine, ciò indica la santa dottrina dei Patriarchi e dei Profeti, che hanno insegnato al mondo con l’annuncio della loro profezia. In questa stessa dottrina si annuncia la lode alla Trinità e si proclama instancabilmente per tre volte il nome Sanctus. E questa lode, rivolta ad un solo Onnipotente, manifesta un Dio Trino dall’unica sostanza. La dottrina dei Profeti summenzionata aveva già insegnato che Essa esiste prima di tutte le età, e lo sarà per tutti i secoli ed anche dopo tutti i secoli, ed alla stessa, nel giudizio si uniranno le voci di tutti i perfetti. Siccome abbiamo detto che l’aquila è la Chiesa, è giusto che, interpretando le sue due ali, si dica che queste siano i due Testamenti, attraverso i quali si vede come la Chiesa si involi verso il cielo. Così, dunque in quest’aquila tutto si conclude, e dopo i tre animali, l’aquila ha posto per ultima. E poiché i primi tre non volano, ma solo si reggono in piedi, si riconosce chiaramente che le cose che si fissano nell’anima con la contemplazione si riferiscano alla stessa Chiesa. In Ezechiele, per mezzo dello Spirito Santo della profezia, questi animali pennuti sono descritti con grande sottigliezza, e sono figura della persona degli Evangelisti, di modo tale che la sottigliezza della descrizione ce li fa conoscere e non lascia dubbi sulla parola di Dio; infatti così sono descritti: « Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezza d’uomo; poi fattezza di leone a destra, fattezza di toro a sinistra e, sopra dei quattro, fattezza d’aquila » (Ez I: 10). Che queste quattro animali pennuti siano la figura dei quattro Evangelisti è attestato dall’inizio di ciascuno dei libri del Vangelo. Quegli infatti che inizia con la genealogia umana, Matteo, è giustamente rappresentato da un uomo. Quegli che inizia con colui che grida nel deserto, Marco, è giustamente rappresentato da un leone; Luca, che inizia con un sacrificio, è rettamente rappresentato da un vitello. E colui che inizia con la divinità del Verbo, Giovanni, è giustamente identificato nell’aquila, perché dice: « In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio, e il Verbo era Dio. » Quando confessò la sostanza stessa della divinità, fissò i suoi occhi sul cielo, alla maniera di un’aquila. Ma poiché tutti gli eletti sono membri del nostro Redentore, essendo il nostro stesso Redentore Capo di tutti gli eletti – che dunque sono membri di Lui in figura – nulla impedisce che sia rappresentato in questi nomi degli animali: l’unigenito Figlio di Dio si è fatto veramente uomo; nel sacrificio per la nostra redenzione si degnò di morire come un vitello; con la forza della sua Resurrezione, si rialzò come un leone. E si manifesta come il leone che dorme ad occhi aperti, perché nella sua morte, secondo la sua natura umanità, il nostro Redentore avrebbe dormito, ma nel contempo è rimasto vigile permanendo immortale per la sua divinità. Salendo verso il cielo dopo la sua resurrezione poi, si innalza come un’aquila. Egli è per noi, quindi, tutto questo allo stesso tempo: essendo nato è diventato un uomo, morendo un vitello, resuscitando un leone ed infine un’aquila che sale verso il cielo. E poiché abbiamo già detto prima che i quattro Evangelisti sono rappresentati da questi animali, e sotto la loro figura sono rappresentati nel contempo gli uomini perfetti, ci resta da spiegare come ognuno degli eletti sia rappresentato in queste visioni dagli animali. Ogni eletto, perfetto sulla via del Signore, è allo stesso tempo uomo, vitello, leone ed aquila. Infatti l’uomo è un essere razionale; il vitello viene solitamente immolato in un sacrificio; il leone è un animale forte, come è scritto: « … il leone, il più forte degli animali, che non indietreggia davanti a nessuno » (Prov. XXX: 30). L’aquila vola verso l’alto e si libra verso i raggi del sole senza che gli occhi siano abbagliati. Chiunque sia perfetto nella sua ragione, questi è un uomo. È pure un vitello, perché si sacrifica ai piaceri del mondo presente. È un leone, perché dalla sua volontaria mortificazione trae forza di sicurezza contro ogni male. Perciò è scritto: « … il giusto è sicuro come un giovane leone, ma il leone giusto è salvo e non si allontanerà da nulla »  (Prov. XXVIII, 1). Sicuramente questi è un leone! E dal momento che contempla acutamente ciò che è terreno e ciò che è celeste, è pure un’aquila. Ecco che, poiché ogni giusto è: – uomo per la sua ragione, – vitello per il sacrificio della sua mortificazione, – leone per la fermezza della sua sicurezza, e diventa aquila per la contemplazione, così ogni uomo perfetto può essere giustamente rappresentato da questi santi animali. Ma ci sorge una domanda sugli stessi Evangelisti e sui santi predicatori: perché i quattro animali sembrano avere a destra volto di un uomo e volto di leone? E non meno ammirevole è il motivo per cui si dice che due siano a destra (uomo e leone), ed uno a sinistra. E ancora una volta dobbiamo chiederci: perché l’aquila non è né a destra né a sinistra, ma è descritta come se fosse sopra gli stessi quattro? Così ci poniamo due domande che dovrebbero essere risolte alla luce del Signore. L’uomo e il leone sono rappresentati a destra, e il vitello a sinistra, perché a destra abbiamo la gioia ed a sinistra la tristezza. Per questo diciamo che per noi è sinistro ciò che giudichiamo essere contrario. E, come abbiamo detto, l’incarnazione è rappresentata dall’uomo, la passione dal vitello, e dal leone la resurrezione del nostro fondatore. Tutti gli eletti hanno gioito dell’incarnazione del Figlio unigenito, dal quale siamo stati redenti. I santi Apostoli, che furono i primi prescelti, furono rattristati dalla sua morte; gli stessi poi si rallegrarono nuovamente per la sua risurrezione. Perché la sua nascita e la sua resurrezione hanno portato gioia a coloro che erano rattristati dalla sua passione: si descrive essere a destra l’uomo ed il leone, e a sinistra il vitello, perché erano gli stessi santi Evangelisti, rallegrati della sua nascita e resi forti dalla sua resurrezione, che erano stati nella tristezza per la sua passione. L’uomo ed il leone sono dunque a destra, perché l’incarnazione del nostro Redentore ha dato loro vita, e la sua resurrezione li ha rafforzati. Ma il vitello è a sinistra, perché la sua morte li ha fatti sprofondare nello sconforto per un breve periodo di tempo. È giustamente poi rappresentata la situazione dell’aquila che non è di lato, ma al di sopra: infatti questo è segno della sua ascensione oppure perché si manifesta che il Verbo del Padre è Dio accanto a suo Padre; Giovanni ha superato nella sua potenza di contemplazione gli altri Evangelisti che come lui si occupano della sua divinità; tuttavia, egli la contempla in modo più sottile di tutti gli altri. Ma se si dice che l’aquila insieme agli altri tre animali è nominata tra i quattro animali, fa meraviglia come poi sia descritta esserne al di sopra. La spiegazione è che Giovanni, per il fatto di aver posto il Verbo all’inizio, è passato anche sopra se stesso. Infatti, se non fosse passato oltre, non avrebbe visto il Verbo fin dall’inizio. Chi passò dunque oltre se stesso, non passò solo sopra gli altri tre, ma aggiuntosi, pure sopra tutti e quattro.  – Continua: E le loro facce e le loro ali erano spiegate in alto (Ez. I,11). I loro volti e le loro ali sono descritti come levati in alto, perché ogni intenzione ed ogni contemplazione dei Santi è diretta sopra se stessi per realizzare ciò che si desidera delle cose celesti. Sia con un’opera buona che in una meditazione contemplativa, ciò che si fa è veramente buono, quando si vuole compiacere Colui al quale si appartiene. Perché chi sembra fare del bene, ma in questo non intende piacere a Dio bensì agli uomini, dirige il volto della sua intenzione all’indietro. E quando si studia nella parola divina ciò che appartiene alla divinità, in modo solo che con la sua comprensione possa soddisfare alle  domande, e se non si vuole essere sazio della dolcezza della santità ma apparire un uomo colto, certamente non si stendono le ali della propria intelligenza verso l’alto, ma, mirando con lo sforzo dell’intelligenza agli appetiti terreni, si battono le ali senza stenderle verso l’alto e senza riuscire a salire. In questo fatto dobbiamo considerare che tutto il bene che viene fatto deve sempre nascere con l’intenzione alle cose celesti. Chi desidera la gloria terrena nel bene che fa, dirige indietro le sue ali e guarda verso il basso. Per questo si dice di alcuni attraverso il profeta: « e foste una fossa profonda » (Osea V: 2). Che altro sono le lacrime della preghiera se non le offerte della nostra preghiera, così com’è scritto: « il sacrificio gradito a Dio è uno spirito contrito »? (Psal. L, 19). Alcuni nella preghiera si affliggono fino alle lacrime per ottenere beni materiali o per apparire Santi agli occhi degli uomini. Cosa fanno questi se non essere vittime nel profondo? Dirigono in giù il sacrificio della loro preghiera, e cercando cose materiali rimangono nell’amore terreno. Invece gli eletti, che cercano di compiacere Dio onnipotente con la loro buona condotta e desiderano già gustare l’eterna beatitudine mediante la grazia della contemplazione, protendono il volto e le ali verso l’alto. – Continua poi: Ognuno aveva due ali che si toccavano tra loro e altre due ali che coprivano il loro corpo. Aveva detto precedentemente: le loro facce e le loro ali erano dispiegate verso l’alto, e poi ha soggiunto ciò che abbiamo detto, … che ognuno aveva due ali che si toccavano; in questo si comprende chiaramente che le ali si erano levate in alto e si toccavano, mentre le altre due coprivano i loro corpi. Quali sono le penne dei vivi se non quelle che si chiamiamo ali? Qui dobbiamo chiederci con molta attenzione: quali siano le quattro ali dei Santi, due delle quali si distendono e si toccano, e le altre due coprono i loro corpi? Se guardiamo più da vicino, ci accorgiamo che quattro sono le virtù che sollevano con le ali l’uomo vivente dagli atti terreni fino alle cose future, cioè l’amore e la speranza, il timore e la penitenza per le cose del passato. Le due ali si spiegano verso l’alto unite l’una all’altra, perché l’amore e la speranza sollevano l’uomo – animale alato – verso le cose celesti. E si dice pure giustamente che siano unite, perché gli eletti amano indubbiamente le cose celesti che sperano, e sperano in quelle che amano. Altre due ali coprono i loro corpi, perché il timore e la penitenza nascondono agli occhi dell’onnipotente Dio le proprie malvagie azioni del passato. Le due ali, come già detto, sono unite in alto quando l’amore e la speranza negli eletti sollevano i loro cuori a volare verso i beni celesti; le altre due ali coprono invece i loro corpi quando il timore e la penitenza nascondono agli occhi del Giudice eterno le loro azioni malvagie passate. Poiché essi hanno riconosciuto di aver peccato, temono e piangono: cos’altro coprono se non il corpo, coloro che nascondono le loro opere carnali per mezzo di opere buone sovrapposte, mediante un esame diligente? Sta scritto: « Beati quelli i cui peccati sono perdonati e le cui iniquità sono nascoste » (Psal. XXXI, 1). Si coprono i peccati quando si sovrappongono le buone azioni alle cattive. Tutto ciò che si copre, infatti è posto sotto, e ciò con cui si copre, lo si mette al di sopra. Quando si discacciano i mali fatti e ci si propone di fare il bene, si mette come una specie di copertura su ciò di cui ci si vergogna. Per quanto grandi siano i Santi in questa vita, essi tuttavia hanno delle cose da nascondere agli occhi di Dio, perché è del tutto impossibile che non abbiano mancato mai neanche una volta in parole o in azioni. Per questo il beato Giobbe, che aveva parlato bene di tutti, quando udì la voce di Dio, rimproverandosi il suo eloquio imperfetto, diceva: « Mi coprirò la bocca con la mano » (Giob. XL, 4). Nella mano sono rappresentate le opere; nella bocca, le conversazioni. Coprire la bocca con la mano significa coprire i propri peccati in parole attraverso la virtù dell’opera buona. Mi piace – cari fratelli – citare s. Paolo, maestro dei gentili, a testimonianza di questo, come santo imitante quell’animale sul quale si basa la visione delle quattro ali, mediante due delle quali si vola verso l’alto, e mediante le altre due si copre il corpo nascondendo le opere compiute nel passato. Vediamo infatti quale grande amore abbia (s. Paolo) per le cose celesti, quando dice: « Cristo è la mia vita, e morire è il mio guadagno » (Fil. 1, 21). Conosciamo poi con quale speranza egli si elevi verso l’alto nel dire: « siamo cittadini del cielo, dal quale attendiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo » (Fil. III, 20). Vediamo pure come ancora tema, nonostante sia adorno di tante virtù: « … Io batto il mio corpo, dice, e lo schiavizzo, perché non accada che, predicando agli altri, io stesso non sia squalificato » (1 Cor. IX, 27). Vediamo come si penta di aver fatto il male: « … io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno del nome di Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio » (1 Cor. XV, 9). E, cos’altro si denuncia in queste parole, se non la durezza della nostra mente? Ecco che egli si riferisce a ciò che aveva commesso prima del Battesimo; mentre noi che abbiamo commesso molti mali dopo il Battesimo, pure ci rifiutiamo di piangere. I Santi viventi usano quattro ali, perché con l’amore e la speranza si elevano alle cose celesti e piangono per i mali che hanno fatto con il timore e la penitenza. Ma poiché è detto che le due ali si toccano l’un l’altra, da questo si capisce, che non si uniscono le proprie ali se non quando volano, e che l’una delle ali sia unita all’altra, allorquando allungate si uniscono alternativamente tra loro. In questo ci si pone una domanda: se le due ali che si dispiegano verso l’alto designano l’amore e la speranza, e le altre due che coprono il corpo, il timore e la penitenza, perché si dice che le due che si alzano siano unite, e invece quelle che coprono il corpo non si dice essere unite? Eccone il motivo molto semplice, con l’aiuto di Dio: le ali dei Santi unite sono l’amore e la speranza; invece le due ali che coprono i corpi, non unite tra loro, sono il timore e la penitenza. Così Davide, a causa della colpa del suo crimine, fece penitenza con timore, con il sacrificio e con le lacrime; Pietro pianse amaramente per la sua perfida caduta; Paolo si rammaricò per la crudeltà delle sue passate persecuzioni. Tuttavia, tutti desiderano la medesima patria e sono pronti a raggiungere l’Autore unico di tutti. Due ali sono dunque unite l’una all’altra, mentre le altre due non lo sono: infatti ciò che l’amore e la speranza desiderano è la stessa cosa, mentre il timore e la penitenza son diversi per ciò che deplorano. – Continua: E ognuno di loro marciava alla sua presenza. Prima aveva detto: ognuno di loro ha marciato davanti a sé; ora, invece, dice: … marciava in sua presenza. Così sembra la stessa frase ripetuta. Ma poiché la preposizione latina coram significa “in presenza di”, possiamo discernere indagando più sottilmente la differenza tra marciare “in avanti” e marciare “in presenza di”. Marciare in avanti è cercare ciò che sta davanti (cioè il futuro); ma marciare “in presenza” è il non essere assente da se stesso. Ogni persona giusta che consideri premurosamente la propria vita e mediti diligentemente su quanto cresca ogni giorno in virtù o forse quanto in essa diminuisca: è questi che sta davanti a se stesso e cammina alla sua presenza, perché osserva attentamente di quanto si elevi o si abbassi. Ma chi trascuri la vigilanza sulla propria vita, e la disprezzi o non sappia riflettere sulle proprie opere, parole e pensieri, non cammina in sua presenza, perché nei suoi atti, attende ad altro. Così accade spesso che consideriamo i nostri peccati gravi come se fossero leggeri, perché per il nostro amor proprio, chiudendo i nostri occhi e blandendoli, ci inganniamo. Così pure giudichiamo esser lievi i nostri peccati gravi, ed i peccati leggeri dei nostri prossimi essere gravi. Sta così scritto: « ci saranno uomini che amano se stessi » (2 Tm. III, 2). E sappiamo con quale veemenza l’amor proprio chiude l’occhio del cuore. Per questo motivo noi non giudichiamo seriamente ciò che facciamo, e il più delle volte giudichiamo che ciò che fa il nostro prossimo sia molto detestabile. E come mai ciò che giudichiamo di lieve conto in noi, ci sembra grave nel nostro prossimo, e perché non ci vediamo come nostro prossimo, e il nostro prossimo come noi stessi? Se guardassimo a noi stessi come guardiamo il nostro prossimo, considereremmo con rigore i nostri difetti; ed anche, se guardassimo al nostro prossimo come a noi stessi, il suo comportamento ci sembrerebbe tollerabile, perché spesso forse ha compiuto la stessa azione con cui noi consideriamo non aver fatto nulla di intollerabile al nostro prossimo. Mosè si sforzò di correggere, per mezzo di un precetto della legge, questo giudizio erroneo della nostra mente, quando disse « Avrete bilance giuste, pesi giusti, efa giusto, hin giusto. » (Lv. XIX, 36). Così dice Salomone: « Doppio peso e doppia misura sono due cose in abominio al Signore » (Prov. XX, 10). Sappiamo che i mercanti hanno un doppio peso, uno maggiore e uno minore: hanno un peso per la merce che prendono, e un altro per quella che vendono al prossimo. Nel dare, i pesi sono più leggeri; nel ricevere, sono più pesanti. Pertanto, ogni uomo che giudica diversamente ciò che appartiene al suo prossimo e ciò che appartiene a sé, ha due pesi. Dio odia entrambe le cose. Perché se uno amasse il prossimo come se stesso, lo amerebbe nel bene come se stesso. E se vedesse se stesso come suo prossimo, si giudicherebbe negativamente come fa appunto con il suo prossimo. Dobbiamo, quindi, esaminarci attentamente e, come detto, porci davanti a noi stessi: in modo che, imitando ininterrottamente gli animali con le ali, possiamo comprendere cosa stiamo facendo e camminare di conseguenza sempre alla presenza di noi stessi. D’altra parte, i malvagi, come abbiamo già detto, non marciano in presenza di se stessi, perché non riflettono mai su ciò che fanno: essi camminano verso la morte, si gloriano di azioni malvagie come è scritto: « … godono nel fare il male, gioiscono dei loro propositi perversi » (Prov. II, 14). A volte il giusto che li osserva, se ne lamenta; ma questi freneticamente piangono e ridono. Alcuni danno gran parte dei loro beni ai bisognosi; ma quando se ne presenta l’occasione, li opprimono, e chi prima li ha aiutati, li deruba poi con rapina. Mettono davanti ai loro occhi il bene che fanno, e non mettono davanti ai loro occhi il male che operano. È chiaro che questi non marciano in presenza di se stessi: perché se fossero in presenza di se stessi, vedrebbero con diligenza tutto ciò che fanno, e saprebbero come le loro opere buone si perdano a causa delle azioni malvagie, come sta scritto: « … l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato » (Agg. I: 6). Quello che esce da una borsa rotta vien disperso. Ed ecco che le menti sconsiderate non vedono come il premio che acquisiscono per le loro buone azioni si disperde a causa delle loro cattive azioni. Si osserva così la castità del corpo, e la si esamina diligentemente, per non accettare dall’esterno qualcosa di riprovevole: ci si accontenta del proprio, non si porta via ciò che appartiene agli altri; ma forse nel proprio cuore si conserva odio verso il prossimo, come sta scritto: « … Chiunque odia il proprio fratello è omicida » (1 Gv. III, 15); si pensa di essere limpidi nella propria condotta, e non si esamina quanta crudeltà ci sia nella mente. Che cos’è questo, se non l’essere saggio ai propri occhi, mentre si cammina nelle tenebre del cuore senza saperlo? Un altro non si appropria di ciò che è altrui, tiene il suo corpo lontano dalla impudicizia, ma non ama più il prossimo con la mente limpida; nelle sue preghiere si contrista con ardore, consapevole dei suoi mali passati, ma una volta finito di pregare, cerca quelle cose di cui gioire in questo mondo ed abbandona il suo spirito ai godimenti temporali e non cerca di impedire che le gioie smodate superino la misura delle sue lacrime: e accade che, ridendo troppo, perda poi il bene che ha conquistato piangendo. Non si cammina in presenza di se stesso, quando ci si rifiuti di osservare le cose cattive alle quali si acconsente. Sta scritto: « … Il cuore dei saggi è in una casa in lutto ed il cuore degli stolti in una casa in festa. » (Eccl. VII, 4). In tutto ciò che facciamo dobbiamo esaminare noi stessi con diligenza, dentro e fuori, affinché, imitando gli “animali alati”, possiamo essere presenti a noi stessi e camminare sempre davanti alla nostra faccia. – Qual è allora la voce di grande commozione che il profeta sente alle sue spalle, se non quella alla quale, conseguente alla parola della predicazione con la quale si riesce a scacciare il peccato dal cuore, seguono i lamenti dei penitenti? Invece i malvagi, quando fanno il male, non ascoltano i retti consigli dei giusti, non sapendo quanto siano gravi i loro peccati, e nella loro ignoranza si ritengono al sicuro nella loro ottusità e riposano stando comodamente sdraiati nella loro colpa. Si diceva di un popolo peccaminoso e fiducioso: « … riposa nei suoi escrementi » (Ger. XLVIII, 18), perché si sdraiava sicuro nei suoi peccati. Quando i malvagi cominciano a sentire la parola della predicazione, e a conoscere quali siano i tormenti eterni, quale sia il terrore del giudizio, e diligentemente esaminano ogni loro peccato, subito tremano, si riempiono di gemiti e, non trattenendosi, si affliggono con sospiri, e mossi da grande paura, erompono in lacrime e pianto. La voce di un grande tumulto segue il Profeta, perché dopo la parola della predicazione, si sentono lamenti dai convertiti e dai penitenti: chi prima giaceva tranquillo nella infermità, toccato come dalla mano di una medicina, torna con dolore alla salvezza. Un altro Profeta dice di questo tumulto dei penitenti: « … essi emetteranno sospiri e la terra si commuoverà » (Zac. XIV, 4). Infatti quando le vestigia della verità si imprimono nella mente di chi ascolta, la stessa mente turbata dalla riflessione su di sé, si commuove. Per questo il salmista dice, pregando a nome dei peccatori: «…  Il Signore regna, tremino i popoli; siede sui cherubini, si scuota la terra » (Psal. XCIX,1). Così pure, pregando per gli afflitti ed i penitenti, dice: « Hai scosso la terra, l’hai squarciata, risana le sue fratture, perché crolla » (Psal. LX, 4). La terra scossa e sbriciolata è il peccatore afflitto dal conoscimento della propria colpa e condotto alle espiazioni della penitenza. All’uomo peccaminoso è stato detto: « tu sei polvere ed in polvere ritornerai » (Gen. III,19). Pregate, dunque, affinché il dolore della terra, che si sta sbriciolando, sia guarito, affinché il peccatore che piange i suoi peccati sia confortato dalla gioia della misericordia celeste. Questa è infatti la voce della grande commozione, quando esaminando ognuno i propri atti ci si commuove nel pianto della penitenza. Ma sentiamo questa voce dire: « Benedetta sia la gloria del Signore nel luogo in cui si trova (Ez. III, 12). Le sedi dello spirito maligno erano i cuori dei penitenti; ma quando, contriti, ritornano alla vita attraverso la penitenza, diventano il luogo della gloria di Dio: ora dunque si ribellano contro se stessi, e accompagnano le lacrime della penitenza ai peccati commessi. Per questo si sente la benedizione di gloria e la lode di Dio, là dove prima si sentivano offese al Creatore per l’amore del mondo presente. Ed i cuori dei penitenti diventano per il Signore la sua dimora che in precedenza, abitata dai peccati, era stata dimora di altri. Tutti coloro che si convertono dai loro peccati al Signore, non solo cancellano con le loro lacrime i mali che hanno fatto, ma si elevano in alto con opere meravigliose e diventano i Santi viventi di Dio Onnipotente, che si esaltano con meravigliose virtù, lasciando completamente la terra e, ricevuta la grazia di Dio, si slanciano col desiderio verso i beni celesti. Di questi si aggiunge ancora: « Era il rumore delle ali degli animali che battevano l’una contro l’altra » (Ez. III, 13). – Il Profeta sente dietro di sé la voce di un grande tumulto, perché, come abbiamo detto, il grido dei penitenti segue alla parola della predicazione. Sente dietro di sé il suono delle ali degli animali, perché dallo stesso dolore dei penitenti scaturiscono le virtù dei Santi, tanto più avanzati nella santa preghiera quando più riconoscono di non aver lavorato in precedenza che in modo dissoluto con la loro vita depravata. Ma c’è un grande dubbio in queste parole, perché il Profeta non dice chiaramente se ogni animale batta le proprie ali tra di loro, o se questi stessi animali battano le proprie ali alternativamente, in modo che l’ala dell’uno tocchi l’altro, e viceversa. Ma poiché molte volte nella parola divina qualcosa viene esposto in modo confuso, e con l’aiuto di Dio, si intende invece in modo meraviglioso e molteplice, dobbiamo spiegare alla vostra carità entrambe le cose con la grazia di Dio. Abbiamo spesso detto che le ali degli animali sono le virtù dei Santi. Perché allora ogni animale batte le ali l’una contro l’altra, se non per farci capire chiaramente che, se diventiamo Santi viventi, la virtù eccita altra virtù, l’una cioè  spinge l’altra alla perfezione? Per esempio, quando si ha la scienza della parola di Dio, si impara per mezzo della stessa scienza a conseguire anche le viscere della misericordia. Attraverso la scienza si conosce la parola di Dio: « fate l’elemosina e tutto sarà puro per voi » (Lc. XI, 41). Quando si comincia ad essere misericordioso nell’elemosina, leggendo le parole della santa verità, ciò che in esse si dice sulla misericordia, lo si comprende in modo più fecondo attraverso l’esperienza. Là è scritto: « Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto; (Giob. XXIX, 16). Che cosa significa, dunque, che questi animali con le ali si colpiscano l’un l’altro, se non che tutti i Santi si eccitino l’un l’altro con le loro virtù, e si stimolino l’un l’altro ad avanzare considerando le virtù degli altri? Le virtù non sono concesse tutte ad uno solo, perché non si possa vantare e soccombere all’orgoglio. Ma ad uno viene dato ciò che non viene dato ad altri. E a voi è dato ciò che è negato ad un altro: cosicché nel considerare il bene che voi avete, e che altri non possiede, questi possa preferirvi nel suo pensiero a se stesso. E viceversa, nel vedere ciò che l’altro ha, e che voi non avete, vi portiate a lui nel vostro pensiero, secondo che sta scritto: « … ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso » (Fil. II, 3). Per dire qualcosa per quanto si può, ad esempio: a quest’uomo è concessa la virtù di un’ammirevole astinenza, eppure non possiede la parola della scienza. A questi viene data la parola della scienza, mentre cerca di imparare, senza riuscirci, la virtù dell’astinenza perfetta. A quest’altro è data la facilità nel suo eloquio, cosicché, usandone a favore di alcuni oppressi, parli liberamente in difesa della giustizia; e tuttavia, possedendo ancora molti beni in questo mondo, cerchi, senza riuscirvi, di abbandonare tutti i beni. A tal altro è già stato concesso di lasciare tutti i beni terreni, e di non voler possedere nulla in questo mondo; eppure non è in grado di esercitare l’autorità della sua voce contro coloro che peccano. E colui che meglio potrebbe parlare liberamente, perché non ha più nemmeno un posto dove sdraiarsi in questo mondo, si rifiuta di parlare liberamente contro gli altri, per non perdere la propria tranquillità. A questi ancora è stata concessa la virtù della profezia: egli vede in anticipo molte cose che stanno per accadere, e pur vivendo e compatendo l’infermità del suo prossimo che è presente, non è in grado di soccorrerlo. È stata data ad un altro la grazia delle guarigioni, e con le sue preghiere toglie dal corpo del prossimo i malanni che ha in quel momento; eppure non sa cosa gli accadrà un po’ più tardi. Dio onnipotente, con una disposizione ammirevole, distribuisce i suoi doni tra i suoi eletti, in modo tale da concedere all’uno ciò che nega all’altro e all’uno dare più o meno che ad un altro: affinché, quando questi ultimi vedono di avere o di non avere, o pensano che altri abbiano ricevuto di più o di meno di quanto pensino di possedere essi stessi, possano ammirare i doni di Dio l’uno nell’altro, vale a dire alternativamente e, come risultato di questa reciproca ammirazione, possano  umiliarsi l’uno rispetto all’altro, e pensino, nei confronti di coloro che vedono non avere ciò che essi possiedono, di essere stati preferiti a loro nel pensiero divino. Gli animali, quindi, battono alternativamente le ali quando le anime sante sono eccitate dalle virtù altrui, sono stimolate al loro contatto e desiderano essere stimolate ad avanzare. Si toccano con le ali, perché siano alternativamente stimolati a progredire là dove gli altri già volano. Dio onnipotente fa nel cuore degli uomini, ciò che fa pure nel cuore dei popoli della terra. Egli avrebbe potuto dare ad ogni regione tutti i frutti che le abbisognavano; ma se una regione non avesse bisogno dei frutti di un’altra regione, non avrebbe comunicazione con essa. Per questo Egli dà il vino a questa regione e l’olio in abbondanza ad un’altra; dà un gran numero di bestiame a questa regione, e a quest’altra una grande fecondità di frutti. Come sono le regioni della terra, così sono anche le anime dei Santi: che quando si toccano alternativamente, diventano come le regioni che distribuiscono ad altre regioni i loro frutti, affinché tutti siano uniti nella stessa carità. Ma in tutto questo bisogna sapere che gli eletti, che considerano sempre negli altri ciò che hanno ricevuto da Dio essere di maggior perfezione, e preferiscono gli altri nel loro pensiero a se stessi, si inchinano davanti a loro in umiltà; così anche l’anima del reprobo non considera mai ciò che l’altro possiede di meglio di se stesso; né pensa a quali beni spirituali abbia ricevuto e a ciò che gli manca, ma ritiene che tutte le cose buone siano in lui, mentre le cose cattive siano possedute dagli altri. E come Dio onnipotente distribuisce a ciascuno le virtù affinché si umili nel suo pensiero davanti ad un altro, i reprobi si esaltano per i beni che hanno ricevuto, cosicché si perdono nella vanità considerando sempre i beni che possiedono e gli altri no, e non si preoccupano mai di esaminare quanti beni abbiano gli altri che essi non hanno. Ciò che, quindi, la pietà divina dispone per il progresso nell’umiltà, le anime dei reprobi lo trasformano in un aumento della vanità. E per la diversità dei doni, si allontanano da tutto ciò per cui avrebbero dovuto crescere nella virtù dell’umiltà. Perciò, cari fratelli e sorelle, dovete sempre vedere in voi stessi ciò che avete di meno, e nei vostri vicini ciò che essi hanno ricevuto in misura maggiore di voi: affinché, quando li vedrete al di sopra di voi stessi per il bene che possiedono e che voi non avete, possiate crescere nell’umiltà per raggiungerlo anche voi. Se dunque voi considerate in loro le cose buone che hanno ricevuto, ed essi riconoscono in voi le cose buone che possedete, allora vi toccate alternativamente con le ali, così che, stimolati, voliate in alto sempre verso i beni celesti. – Pieni di occhi dal di dentro: ha detto … dal di dentro, perché la luce del Vangelo è nascosta ai malvagi, poiché solo i Santi vedono con gli occhi della fede, ed i Santi stessi, protetti dall’umiltà, si preservano per una futura chiarezza. Per questo motivo i corpi degli animali sono descritti come pieni di occhi, perché l’azione dei Santi è prudente in ogni situazione, vegliando anelanti sui loro beni, ed evitando accuratamente il male. E questo è ancora più difficile quando le anime dei Santi vigilano con ardore, affinché i loro occhi non si fissino, e nascondano il male sotto l’apparenza del bene. La vita dei Santi è quindi attenta a non essere così liberale da diventare superba; poiché la superbia è spesso celata nelle parole, e cerca di apparire come liberalità che dà integrità. E non sia [la vita] così umile da essere timorosa; perché talvolta la paura soffoca lo spirito, tanto che non osa dire ciò che sia giusto, ma con lo stesso timido pensiero dissimula umiltà. E che non sia sobria in modo da essere avara; perché il più delle volte l’avarizia desidera essere considerata come moderazione, in modo che appaia voler possedere ciò che sia giusto e necessario, mentre in realtà non si vuole condividere con il prossimo bisognoso. Né sia misericordiosa quando invece è dissipativa, affinché a volte lo spreco si possa giudicare misericordioso. Una cosa è dare ciò che sia necessario al prossimo per pietà; un’altra cosa è sperperare ciò che si possiede senza l’intenzione di guadagnare. Tutto ciò che facciamo deve essere considerato alla luce dell’intenzione alla quale si attribuisce il merito davanti al giudizio del Creatore. Come ci dice il Salvatore: « se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà luminoso » (Mt. VI, 22). L’occhio indica l’intenzione ed il corpo l’azione. Se la nostra intenzione davanti a Dio è sana, a Suo giudizio la nostra azione non sarà tenebrosa. I corpi degli animali sono pieni di occhi quando esaminano attentamente in ogni direzione. Queste predicazioni, anche se sono quattro, in realtà ne sono davvero una sola, perché provengono da una sola bocca, come il fiume in Paradiso che, pur essendo uno, è diviso in quattro corsi. Gli animali hanno occhi dentro e fuori; cioè l’annuncio del Nuovo Testamento mostra una speciale provvidenza, che scruta il più segreto del cuore, vede ciò che sta per accadere, ciò che è dentro e ciò che è fuori. Le sei ali sono la testimonianza dei libri dell’Antico Testamento. Ecco perché i ventiquattro si sommano con figura identica a quella degli anziani seduti sui troni. Ma siccome gli animali non possono volare senza ali, così la predicazione del Nuovo Testamento non trova alcun credito se non possiede le predette testimonianze dell’Antico Testamento, con le quali si distacca dalla terra e vola in alto. Ogni qual volta che troviamo realizzato in seguito ciò che era stato già preannunciato in precedenza, si rende la fede indiscutibile. D’altra parte, se gli animali non sono adesi alle loro ali, non hanno da dove attingere la vita. Se ciò che i Profeti avevano predetto non si fosse realizzato in Cristo, la loro predicazione sarebbe stata vana. Questo è ciò che la Chiesa Cattolica sostiene: ciò che è stato dapprima annunciato dai Profeti, è ciò che si è poi realizzato in Cristo. L’animale vola e giustamente si stacca dalla terra. Gli eretici, invece, che non utilizzano la testimonianza profetica, hanno gli animali davanti a sé, ma non volano, perché sono della terra. I Giudei che non accettano la predicazione del Nuovo Testamento, hanno le ali, ma non sono viventi, cioè comunicano agli uomini una predicazione vuota, non conformando le loro azioni alle loro parole. Ci sono ventiquattro libri dell’Antico Testamento, che sono accettati: li si trovano anche nelle epitome di Teodoro; infatti ad entrambi compete, come detto – ai ventiquattro Padri e agli Apostoli – giudicare il loro popolo. Agli Apostoli, che chiedevano e dicevano: « Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, cosa ne riceveremo in cambio? » (Mt. XIX, 27), il Signore rispose: « Quando il Figlio dell’uomo siederà sul suo trono nella gloria, anche voi siederete su dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele. » E ai Padri che giudicheranno, il patriarca Giacobbe dice: « Dan giudicherà il suo popolo tra i suoi fratelli, come qualsiasi tribù d’Israele » (Gen. XLIX, 16). – Dal trono escono lampi e voci e tuoni, e bruciano sette lampade di fuoco (Apoc. IV, 5). La predicazione, le promesse e le minacce di Dio: i ‘‘lampi’’, infatti, sono l’annunzio della venuta del Signore; le ‘‘voci’’ sono la predicazione del Nuovo Testamento. E il ‘‘tuono’’ è la tromba che indica come le parole dei predicatori siano celestiali. Le ‘‘fiaccole’’ di fuoco ardente sono il dono dello Spirito Santo, che ci è stato restituito con l’albero della Passione. E ogni volta che facevano questo: i ventiquattro anziani – dice – si prostravano e adoravano il Signore, con gli animali che davano gloria ed onore, e questa è l’azione evangelica del Signore, cioè la dottrina, il compiersi della parola da essi preannunciata. Con ragione e giustamente essi si rallegrano, sapendo di essere stati al servizio dei misteri e della parola di Dio. In conclusione, quindi, era venuto Colui che vince la morte e che solo è degno di ricevere la corona dell’immortalità. Tutti avevano a lor gloria le corone delle loro ottime opere, e gettarono le loro corone davanti al suo trono, cioè: davanti della splendida Vittoria di Cristo, tutte le loro vittorie furono gettate ai suoi piedi. Questo è accaduto già nel Vangelo – come insegna lo Spirito Santo – quando gli uscirono incontro, alcuni stendendo le loro vesti sul suo cammino, altri le palme e i rami d’albero. Ci hanno mostrato in tal modo i due popoli: l’uno dei Patriarchi e l’altro dei Profeti, dei grandi uomini, che hanno gettato tutte le palme delle loro vittorie sul peccato, ai piedi di Cristo conquistatore degli uomini. – La palma e la corona sono la stessa cosa, perché vengono date solo ad un vincitore. Allora quelli che gettavano le loro corone gridavano dicendo: Tu sei degno, Signore e nostro Dio, di ricevere gloria, onore e potere, perché hai creato l’universo, e per tua volontà è stato creato ciò che esisteva. Esisteva – dice – ed è stato creato. Esisteva secondo Dio, che possiede tutte le cose già prima che esse siano fatte, e furono create per essere viste da noi, come dice Mosè: « Non è lui il Padre che ti ha creato, che ti ha fatto e ti ha costituito? » (Dt. XXXII, 6). Ti ha conosciuto nella preveggenza, ti ha fatto in Adamo e ti ha creato da Adamo.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DE LIEBANA (8)