COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (4)

La palma, simbolo della vita del giusto

Beato de Liébana:

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE (4)

Migne, Patrologia latina, P. L. vol. 96, col. 893-1030, rist. 1939, I, 877

[Dal testo latino di H. FLOREZ – Madrid 1770]

LIBRO SECONDO

COME CONVIVONO LA CHIESA E LA SINAGOGA

[9] Chiesa e Sinagoga sono lo stesso nome, perché ciò che noi chiamiamo Chiesa, i Giudei chiamano Sinagoga. Tuttavia, questi nomi hanno la loro origine negli Apostoli, che chiamarono la Sinagoga « congregazione » e diedero alla Chiesa il nome di « assemblea ». Perché mentre l’una si riunisce, l’altra convoca, dal momento che la Chiesa invita tutti, buoni e cattivi, a farne parte. Ecco perché nelle Sacre Scritture essa è designata con molti nomi. A volte viene chiamata fornicatrice e meretrice, a volte vergine, a volte sorella, a volte sposa; a volte moglie, a volte madre, a volte figlia; a volte regina, a volte concubina, a volte fanciulla, vicina, amica … Cosa significa meretrice, se non che è alla portata di tutti? A tutti quelli che vengono da essa, la Chiesa non nega la fede, ma si prostra a tutti quelli che vengono. Ecco perché Rajab, la prostituta, era figura della Chiesa. Ella legò un cordone scarlatto alla finestra, di modo che quando di nascosto arrivò Giosuè, figlio di Nave, vedendo il segnale scarlatto, si potessero salvare sia la stessa Rajab che tutti quelli della sua casa. Così Gesù Cristo, Figlio di Dio, quando verrà a bruciare questo mondo con il fuoco, mediante il segnale scarlatto, salverà la Chiesa e coloro che Egli riterrà essere rimasti in essa, cioè i martiri ed i penitenti. – Essa è vergine, perché annovera le vergini del corpo e dello spirito, come sta scritto: « … le vergini saranno portate al re » (Psal. XLIV, 15). È una sorella, come si legge nel Cantico dei Cantici sulla Chiesa che doveva essere costituita tra i popoli, allorquando non avevano ancora un Testamento: « Abbiamo – dice  una sorella più piccola, ed ella non ha ancora seni (Cant. VIII, 8). È chiamata fidanzata, perché Cristo le si è legato con l’anello della fede, secondo dice Egli stesso nel Vangelo: « Tutte quelle vergini si sono alzate, hanno acceso le loro lampade e sono uscite per incontrare lo sposo e la sposa » (Mt. XXV, 1). È chiamata sposa, perché attraverso i figli che predicano, Cristo genera da Essa, come sta scritto: « … tua moglie sarà come una vite feconda in mezzo alla tua casa, ed i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua tavola » (Psal. CXXVIII: 3). Si chiama madre, perché è perfetta, come sta scritto: “Lei sola è la mia perfetta“. Lei è l’unica di sua madre (Cant. VI: 9), e ogni giorno allatta i suoi figli con i due seni del Testamento, come si dice: « i vostri due seni, come due gemelle gazzelle che pascolano tra i gigli » (Cant. VII: 3). Allatta queste due giovani gazzelle, cioè i due popoli, che vengono dalla circoncisione e dalla incircocisione. Si chiama figlia, perché riconosce un padre proprio, secondo sta scritto: « ascolta, figlia, e vedi; inclina l’orecchio e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre – cioè il diavolo – e il re amerà la tua bellezza, perché egli stesso è il Signore tuo Dio e lo adoreranno » (Psal. XLIV, 11). – Fino a questo punto lo Spirito Santo ha parlato al Re stesso attraverso la  bocca del profeta, che paragona ad un calamo che scrive velocemente, chiamandolo guerriero, Dio e sposo. Da qui ci viene presentata la Persona del Padre che parla alla Sposa di suo Figlio e la esorta, disprezzando l’antico errore del gentilesimo e dell’idolatria, per cui è chiamata figlia e non estranea; ascolta prima di tutto ciò che le viene detto; poi contempla o ciò che le viene detto o l’intero creato; e comprendendo l’invisibile per mezzo delle cose visibili e per mezzo delle creature che conoscono il Creatore, inclina l’orecchio diligentemente a conservare nella memoria tutto ciò che viene detto. E quando avrai udito, visto e inclinato l’orecchio, e ti sarai data completamente alla dottrina ed alla comprensione di tutto ciò che ti viene detto, dimentica il tuo primo padre e, come Abramo che lasciò la Caldea, lascia la terra della tua nascita e dei tuoi simili. Nessuno può dubitare che nostro padre, prima di essere adottati da Dio, fosse il diavolo, di cui il Salvatore dice: voi siete figli del diavolo (Gv. VIII, 44). Quando, dunque, avrai dimenticato il tuo antico padre, e ti mostrerai in modo tale che, eliminate le immondizie, sarai vestito di bianco e cavalcherai tuo fratello Cristo, e il Figlio mio potrà amarti, allora il Re amerà la tua bellezza. Ciò che è nella figura della sposa alla quale abbiamo paragonato la Chiesa, congragata tra i popoli, ognuno può riferirlo a se stesso: cioè l’anima che crede rettamente, che si allontana dai vizi di un tempo, è subito adottata da Dio come figlia. E se, come figlia, è adottata, deve inclinare l’orecchio, dimenticare la vecchia dimora e, come un apostolo, abbandonare il padre morto e rendersi degna di essere amata dal Re. Questi è pure il suo Signore, davanti al quale deve inginocchiarsi e, deposto l’orgoglio, deve prendere il giogo dell’umiltà. È una regina, perché ha uno sposo Re, come è scritto: « alla tua destra una Regina, con un indumento dorato, vestita con colori variopinti » (Psal. XLIV: 10). E quali sono le figlie di re tra le tue preferite? Figlie di re sono coloro che si preparano all’abbraccio dello sposo, il cui trono rimane per sempre. Questi sono quelli le cui « vesti son tutte mirra, aloè e cassia, dai palazzi d’avorio ti allietano le cetre, figlie di re stanno tra le tue predilette » (Psal. XLIV, 9-10). Per mirra si intendono tutti coloro che mortificano i loro corpi, perché i corpi dei morti vengono imbalsamati con la mirra. Per la cassia, noi siamo il buon odore di Cristo. E lo sposo Cristo parla alla Chiesa sua Sposa: mirra e aloe con tutti i migliori unguenti (Cant. IV,14), e lei risponde: « le mie mani hanno distillato la mirra, una goccia delle mie dita » (Cant. V, 5). La mirra è lo stesso che la goccia. Perché il gambo è il fiore della mirra, e il gambo è chiamato la goccia, o ciò che è distillato. Quello che segue, la cassia, è lo stesso che altri chiamano fistula [La canafistula è un albero ed anche il nome di una specie di flauto]; è la lode sonora di Dio, che brucia con il suo calore tutti gli umori, i dolori dei piaceri. La Chiesa Cattolica è fondata sulla pietra di Cristo ed ha radici stabili: è una sola, la colomba perfetta, e vicina; … e sta sulla destra e non c’è nulla di sinistro in essa; è ornata d’oro, vestita di vari colori. È quindi Regina, e regna con il Re, le cui figlie possiamo considerare in generale le anime dei credenti ed in particolare, i cori delle vergini che adorano lo sposo. Le figlie di Tiro con i doni (Psal. XLIV, 13), cioè le figlie del più forte, o Essa la più forte, perché ha imitato il più forte, il cui volto, con vari regali, sarà sollecitato dai ricchi del popolo. Li chiama ricchi, o di questo mondo, o di coloro che conoscono le Scritture. – Comprendiamo anche come [possa essere dichiarata] donna e concubina, dal Cantico di Salomone, come una che non possa stare senza sposo o marito. È chiamata anche vicina e amica, perché sempre per un patto di amicizia, cioè per la fede e le opere, e nella torre di contemplazione, quanto più desidera, tanto più è vicina. Questo è quanto chiamiamo con molti vocaboli, ma non dubitiamo che sia una sola. Sicuramente si dice poi che le vergini la seguiranno, saranno condotte alla gioia e nell’esaltazione, entreranno nel palazzo del Re. Il Cantico dei Cantici mostra che ci sia molta diversità nelle anime che credono in Cristo; è scritto infatti: sessanta sono regine, ottanta sono concubine e innumerevoli sono fanciulle. L’unica è la mia colomba, l’unica mitica, di cui si dice: le fanciulle che la vedono sono felici, le regine e le concubine la lodano (Cantico dei Cantici VI, 7). Colei che è perfetta e santa nel corpo e nello spirito merita di essere chiamata colomba e vicina. Questa è la figlia di cui si è detto sopra: alla tua destra una Regina in veste dorata. Quelli che disprezzavano i sei giorni del mondo e desideravano i regni futuri, sono chiamati Regine. Quelli che hanno la circoncisione dell’ottavo giorno, ma non sono ancora arrivati al matrimonio, si dicono concubine. Le diverse moltitudini di credenti che non possono ancora essere circondati dall’abbraccio dello sposo e non possono ancora generare figli per Dio, sono chiamati fanciulle. Penso a queste vergini che seguono la Chiesa, e che sono citate nel primo punto, che sono tutti coloro che perseverano nella verginità del corpo e dell’anima. Le vedove e i continenti coniugati sono i vicini e gli amici: tutti con gioia e letizia sono portati al tempio e al talamo del Re (Psal. XLIV, 16). Al tempio, come sacerdoti di Dio; al talamo, come mogli del Re e dello sposo. Spiegheremo meglio che cosa sia questo tempio alla fine di questo libro, se il Signore ce lo permette. – Spieghiamo ora ciò che abbiamo iniziato. Quelli che prima abbiamo chiamato essere molti membri, ma un solo corpo, sono l’unica vita di tutti i Santi; ma, secondo i loro sforzi, i meriti delle ricompense sono diversi. O Chiesa, i tuoi figli, che a te hai generato, diventeranno i tuoi padri, facendo sì che diventino da discepoli, maestri, e saranno messi nell’ordine sacerdotale a testimonianza di tutti. Voi li genererete come figli: li renderete principi su tutta la terra: cioè sacerdoti santi in tutto il mondo. « A te son nati figli, li costituirai principi su tutta la terra ». Questi sono i santi sacerdoti in tutto il mondo, « memori saranno del tuo nome in ogni progenie e generazione », e questa è tutta la Cristianità, che rimane nella Chiesa, per cui confesseranno e loderanno il Signore per sempre ed in eterno e nei secoli dei secoli, e affinché, una volta iniziate le ostilità, Egli non li abbandoni e, camminando vittorioso sulle devastazioni dei nemici, preparerà per sé un regno in coloro che, salvandosi dal potere del diavolo, si sono uniti al suo comando dicendo: « Sono stato fatto re da Lui sul suo santo monte di Sion » (Psal. II, 6). Nessuno esita a chiamare Cristo verità, umiltà e giustizia, perché dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv. XIV, 6), e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore (Mt XI, 29), e Colui che Dio ha reso per noi giustizia, redenzione e santificazione (1 Cor. I, 30). Tutte queste cose si riferiscono al corpo per esigerlo dai suoi membri. La Vittoria del Signore è il trionfo dei suoi servi. La saggezza del Maestro, è il progresso dei discepoli. Ma si chiede: come è il più bello di tutti i figli degli uomini, colui di cui leggiamo in Isaia: « non lo vedevamo in apparenza, né in bellezza, ma in apparenza era spregevole, e come un rifiuto degli uomini: l’uomo dei dolori, e conoscitore del dolore, davanti al quale si nasconde il suo volto? » (Is. LIII: 2). E non crediate avventatamente che la Scrittura sia in contraddizione: perché lì si ricorda la bruttezza del corpo, a causa dei flagelli e degli sputi, degli schiaffi e dei chiodi, degli insulti del patibolo; e qui invece è la bellezza delle virtù, nel Corpo sacro e degno di venerazione. Non che la divinità di Cristo, comparata agli uomini, sia di maggiore bellezza, – perché non c’è paragone -, ma, senza tutte le sofferenze della croce, è la più bella in assoluto: è Vergine da una Vergine, poiché non è nato per volontà della carne, ma è nato da Dio (Gv. I, 13). Se non avesse avuto qualcosa di celeste nel volto e negli occhi, gli Apostoli non l’avrebbero seguito subito; né sarebbero stramazzati a terra coloro che erano venuti a catturarlo. Infine, per la citata testimonianza in cui si dice: l’uomo del dolore e conoscitore del dolore, diede il motivo per cui ha patito queste cose: … perché ha nascosto il suo volto, cioè ha nascosto e coperto un po’ la sua divinità, lasciando il corpo all’ingiurie. Alcuni hanno unito questo versetto ai precedenti, in modo che il più bello dei figli degli uomini non si riferisca a Cristo, ma al calamo: è stato versata la grazia sulle tue labbra. Possiamo capire in che senso sia stato detto che la grazia è stata versata sulle tue labbra: cioè tutta la moltitudine della Grazia è stata versata sulle labbra del Salvatore, che in breve tempo ne ha riempito il mondo intero. « Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale, esulta come prode che percorre la via. Egli sorge da un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore. » (Psal. XVIII, 6). Infatti anche Maria, che ha concepito Colui in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2, 9), è salutata  come “la piena di grazia” (Lc. I, 28). E avverte che tutto ciò che viene detto debba essere riferito con intelligenza alla Persona di Colui che è stato assunto dalla Vergine, perché si dice che per la grazia delle sue labbra è benedetto per sempre. Di lui è stato detto dal Profeta: “La tua sede è Dio nei secoli dei secoli; la verga della giustizia è la verga del tuo regno“. Tu amavi la giustizia e odiavi l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con l’olio della letizia più di tutti i tuoi compagni. Quello che noi chiamiamo un seggio, i Giudei lo chiamano un trono. Quello che dice qui: Dio, il tuo Dio, ti ha unto, si comprende che si riferisce a due persone, questi che è unto come Dio e Colui che lo ha unto. Certo, l’Angelo l’ha annunciato anche a Maria: « il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre ed Egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine » (Lc. I, 32). E non pensiamo che questo sia contrario a quanto l’Apostolo dice per iscritto ai Corinzi: « E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. » (1 Cor. XV, 24). Perché non ha detto di sottomettersi al Padre, come se il Figlio sia separato, ma di sottomettersi a Dio, cioè a quel Dio che abita nel corpo assunto, per essere tutto in tutti. E Cristo, che prima era nei singoli per poche virtù, dimora così in tutti con tutte le virtù. La verga della giustizia, è la verga del tuo regno. La verga e lo scettro sono i simboli di colui che regna, come dice il Profeta: « una verga uscirà dal ceppo di Iesse, e un virgulto uscirà dalle sue radici » (Is. XI, 1). Si intende che si tratti dell’uomo che è stato assunto, al quale viene offerto il comando e che si dice che regni, perché amava la giustizia e perché odiava l’iniquità; che è stato unto con l’olio della gioia più di tutti i suoi compagni; che lo riceverà nell’unzione come ricompensa dell’amore e dell’odio. Ci viene insegnato che in noi sono i semi di entrambe le realtà, dell’amore e dell’odio: perché Colui medesimo che ha innalzato al cielo le primizie del fango del nostro corpo, ha amato la giustizia ed ha odiato l’iniquità. Per questo David dice: « Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici. » (Sal CXXXVIII, 21). I compagni sono gli Apostoli e i credenti, che Egli ha designato con la parola dell’unzione, perché dall’unto viene l’unto, cioè il Cristiano. Ecco il Capo unito ai membri: esso sono Cristo e la Chiesa Apostolica in cui crediamo, e che proclamiamo sempre con una sola voce con tutti i Cristiani in comune, dicendo:

IL SIMBOLO

[10] Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, e in Gesù Cristo, suo Figlio, che per la nostra salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria, ha patito, è morto ed è risorto il terzo giorno dai morti. È salito al cielo, siede alla destra del Padre e il suo regno non avrà fine. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio; nella Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica, e speriamo di ottenere per suo mezzo il perdono dei peccati, mediante l’unico battesimo della Trinità. Crediamo che, con questa carne risorgeremo nel giorno del giudizio, quando Cristo verrà a giudicare i vivi ed i morti, e a dare ai giusti la ricompensa ed ai malvagi i tormenti della punizione eterna. Questa è la fede apostolica che la Chiesa professa in tutto il mondo, illuminata dal sole, da Cristo e, lungo la durata delle dodici ore del giorno, dagli Apostoli. Infatti la Chiesa, per la purezza della sua fede, si chiama luce e giorno, come dice il Salmista: « Questo è il giorno fatto dal Signore, esultiamo e gioiamo in esso » (Psal. CXVII, 24). – La Sinagoga, invece, per l’ignoranza del suo errore, si chiama notte e tenebre, come è scritto: « il giorno al giorno comunica il Verbo, e la notte alla notte ne trasmette la scienza » (Psal. XVIII, 3). Giorno dopo giorno, cioè, gli Apostoli predicano il Salvatore ai credenti. La notte invece trasmette la scienza alla notte, cioè Giuda, colui che ha tradito Cristo, ai Giudei. Ecco cosa è in una medesima congregazione il giorno e la notte, e ciò che è stato fatto crediamo sia stato fatto non senza ragione. Infatti, tutto ciò che è scritto nel Vangelo, dice l’Evangelista, è stato fatto dal Signore in un anno. E se questo fosse avvenuto solo perché Cristo soffrisse e gli altri lo abbandonassero, a cosa servirebbe l’essere scritto nel Vangelo e letto nella Chiesa, se non fosse figura del futuro, e quindi diventasse un modello ed un’autorità per il futuro? Solo allora c’erano i Farisei, di cui Egli diceva ai discepoli: « fate quello che essi dicono, ma non fate quello che fanno » ? (Mt. XXIII, 3). Solo allora c’era forse la Sinagoga della quale si era detto, attraverso il Profeta, quel che era stato fatto per mezzo degli Apostoli, col dire: « Signore: che libello di ripudio è quello con cui ho ripudiato la vostra madre? … Ecco, che voi per le vostre scelleraggini siete stati venduti, e per le vostre scelleraggini ho io ripudiato la vostra madre. » (Is.  L, 1). Se dobbiamo credere che ciò sia accaduto solo in quel tempo e non adesso, perché si legge nella Chiesa la profezia, o l’Apostolo o il Vangelo? E se si debba solo leggere e non fare, perché allora il Signore ha detto nel Vangelo: « In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un apex dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. »? (Matth. V, 18-20). E come aveva detto in precedenza: « … non sono venuto ad abolire la legge, ma a compierla »: vedasi che quello che insegnava, lo faceva, e lo insegnava non solo con le parole, ma altresì con gli esempi, come quando ha lavato i piedi dei discepoli ed altro ancora. E se non l’ha abolita e non ha ordinato ai discepoli di abolirla, è perché i Farisei hanno fatto delle opere giuste, anche se non con lo spirito, ma solo con il corpo, dicendo: « se la vostra giustizia non è più grande di quella degli scribi e dei farisei… ». E  penso che le loro opere venissero dalla sapienza degli scritti; tuttavia, la santità che manifestavano al mondo esterno serviva loro solo per essere ammirati dagli uomini, dei quali prendevano le decime, secondo quanto dice il Signore: « sfigurano il loro volto con il digiuno, perché gli uomini se ne accorgano »  (Mt. VI, 16). “Farisei” è una parola che significa separati, perché erano in contrasto con i Sadducei: essi sono gli scribi. I farisei sono chiamati “separati” perché preferiscono la giustizia delle tradizioni e delle osservanze, quella che chiamavano “deuterosi”, e per questo erano per la gente “separati”, come per giustizia. Sadducei significa giusti: essi rivendicavano per se stessi ciò che non erano. Ecco come tuttora anche nella Chiesa possiamo verificare, conformemente a questo Vangelo ricevuto da Cristo, come questi Farisei esistano ancora nella Chiesa. Sono i sacerdoti che cercano le prime cattedre, affinché gli uomini li chiamino maestri; che lavorano se non per essere onorati dagli uomini. E ricercano lucro nel mondo, non per conquistare le anime, ma per soddisfare la loro avidità. C’è anche la Sinagoga nella Chiesa: perché se non ci fosse stata, il Salvatore non ci avrebbe avvertiti, dicendo: « vi consegneranno ai tribunali e vi frusteranno nelle loro sinagoghe » (Mt. X, 17). Vi è nello stesso luogo la Sinagoga e la Chiesa, separate nell’essere e nell’operare. E come chiamiamo la Chiesa “giorno” con la sua fede e con la sua condotta, così chiamiamo la sinagoga “notte” per l’ignoranza del suo errore; il sole splende di giorno e nella manifestazione delle opere buone, come sta scritto: « Lascia che la tua luce risplenda davanti agli uomini, perché vedano le tue opere buone e rendano gloria al Padre tuo che è nei cieli » (Mt. V, 16). E poiché l’ignoranza è tenebra, all’inizio della creazione si diceva: « … le tenebre coprivano la faccia dell’abisso » (Gen. I, 2). Abbiamo già dimostrato che l’abisso è un pozzo oscuro, cioè sono gli uomini ignoranti. Sulla superficie infatti dell’abisso vi erano le tenebre, cioè la cecità del peccato ed il buio dell’ignoranza: … e la sera ed il mattino erano il primo giorno. Si vede la sera e il giorno uniti, ma l’uno dà la luce e l’altra le tenebre. Uno prepara il cammino, l’altra la quiete, o, se si è in viaggio, non offre luce agli occhi. E cos’è la notte se non l’assenza del sole, e cos’è il giorno se non la presenza del sole? In questo giorno e questa notte si dice che si compiono ventiquattro ore, fino a quando il giorno e la notte concludano nella diversità del cielo gli spazi del loro corso da alba ad alba. In modo riduttivo, quindi, il giorno è lo spazio dall’alba al tramonto. Si dice che vi sia un giorno, ma esso passa attraverso la luce e le tenebre. La Chiesa e la Sinagoga sembrano giustamente lavorare nello stesso luogo, e si dice che abbiano la stessa fede; ma si manifestano diversamente nelle loro opere. Perché come la presenza del sole è il giorno, e l’assenza del sole è tenebra, così Cristo è luce per i suoi, e il demonio, che è l’autore della morte, è tenebra per i suoi. Pertanto, la Scrittura chiama giustamente gli uomini santi “giorni” ed i peccatori “tenebre”. E non parliamo solo di peccati quando parliamo di tenebre, perché ci sono tenebre anche in coloro che non comprendono le Sacre Scritture ed insegnano tutt’altro, come sta scritto: « Si avvolgeva di tenebre come di velo, acque oscure e dense nubi lo coprivano » (Psal. XVII, 12), ed infatti è oscura la scienza dei profeti. Questo giorno e questa notte sono considerati come un unico giorno, dall’alba del sole all’alba successiva, perché sono racchiusi nello spazio di ventiquattro ore; ma chi non ha la luce, sia di giorno che di notte, non vede nulla. Così la Chiesa e la Sinagoga sembrano lavorare in comune, e gli ignoranti non riescono a vedere quale sia la luce della Chiesa; e sia i sacerdoti che il popolo che li segue, sembrano avere una dottrina comune. L’unica Chiesa li tollera entrambi, perché con la sua benevola pietà ne attende pazientemente il pentimento, e attraverso di essa ed in essa concede gratuitamente il perdono dei peccati. Solo Egli conosce chi stia in piedi e chi sia caduto. Solo Lui sa perché o per quale scopo siano stati scelti per il popolo sacerdoti nefandi. E benché la Chiesa abbia zelo, la malizia è sempre superiore. Ma ciò che essa non si spinge a condannare, lo riserva al giudizio divino, e tremando, nel dubitare, esclama con l’Apostolo: « O abisso della ricchezza, sapienza e conoscenza di Dio, quanto sono insondabili i suoi disegni e le sue vie! » (Rm. XI, 33).  Quindi, ascoltate attentamente il motivo per cui si parla di una sola Chiesa e cosa ci sia da sapere su di essa, perché questo scrupolo rode molti. E per ritenere qualcosa dalle Sacre Scritture, venite con piacere e preparatevi con tutto il vostro essere ad ascoltare, e comportatevi non con arroganza, ma con umiltà. – L’arca di Noè era modello della Chiesa, come dice l’apostolo Pietro: « nell’arca di Noè, alcune, cioè otto anime, sono state salvate dall’acqua; figura questa del Battesimo che oggi vi fa salvi » (1 Pt. III, 20). Come colà c’erano animali di tutti i tipi, così in questa Chiesa ci sono uomini di tutte le nazioni e di tutti i costumi; come là c’erano leopardi, capre, leoni, lupi e agnelli, così ci sono qui giusti e peccatori, cioè vi dimorano vasi pregiati d’oro ed argento, insieme a vasi di legno e di coccio. E come l’arca aveva i suoi nidi, anche la Chiesa ha molte abitazioni. Otto anime di uomini sono state salvate nell’arca: e l’Ecclesiaste ci comanda: « … occupatevi di sette e anche di otto » (Ecclesiaste XI, 2), cioè credete ad entrambi i Testamenti. Ecco perché alcuni salmi sono scritti “pro octava” ed ogni strofa è di otto versi. Il salmo centodiciotto, considerato perfetto, è alfabetico, perché ogni ottava comincia con una lettera (dell’alfabeto). Così anche le beatitudini che Gesù ha annunciato ai suoi discepoli sulla montagna e che ha proclamato attraverso la Chiesa, sono otto. Ed Ezechiele nell’edificio del tempio si basa sul numero otto. E troverete molte altre cose, simboleggiate in questo modo dalla Scrittura. Un corvo viene mandato dall’arca e non ritorna; e poi la colomba annuncia la pace sulla terra. Attraverso il Battesimo della Chiesa, infatti, il terribile uccello, cioè il diavolo, viene espulso, e la colomba dello Spirito Santo annuncia la pace alla nostra terra. L’arca è costruita partendo da trenta cubiti di altezza e diminuisce progressivamente fino a raggiungere un cubito. Allo stesso modo, la Chiesa, che contiene molte categorie, ha il suo vertice nei diaconi, nei presbiteri e nei Vescovi. L’arca è in pericolo nel diluvio; la Chiesa è in pericolo nel mondo. Noè è uscito, ha piantato un vigneto, ne ha bevuto e si è inebriato. Nato anche nella carne, Cristo ha piantato la Chiesa ed ha sofferto. Il figlio maggiore rideva del padre nudo mentre il figlio minore lo copriva. I Giudei ridevano anch’essi di Dio crocifisso, mentre i gentili lo onoravano. Mi manca il tempo di spiegare e confrontare tutti i simbolismi dell’arca con la Chiesa. Vi spiego brevemente, perché appartiene alla presente trattazione, chi sono le aquile, le colombe, i leoni, i cervi, i vermi, i serpenti tra noi. Nella Chiesa non vivono solo le pecore, ed in essa non volano solo gli uccelli puri, così come avviene per il grano seminato nei campi tra le cui verdi piantine ci sono erbacce e cardi e l’avena sterile. Cosa farà il contadino? Userà la falce, ma in tal modo tutto il raccolto sarà distrutto. Ogni giorno il contadino si ingegna a spaventare gli uccelli rumoreggiando o con gli spaventapasseri; cosicché da un lato fa rumore con la frusta, dall’altro li spaventa con la vista. Tuttavia nel suo campo entrano capre veloci ed onagri lussuriosi, i topi asportano il grano nei depositi sotterranei, mentre le formiche numerose devastano con intenso lavorio il raccolto. Ed invero nessuno possiede un proprio campo sicuro. Mentre il padre di famiglia dormiva, l’uomo nemico seminava la zizzania (Mt. XIII, 28). Quando i discepoli proposero di sradicare tutto, nostro Signore lo proibì, riservando a se stesso la separazione del grano dalla zizzania. Sono questi i vasi d’ira e di misericordia che l’Apostolo predice essere nella casa del Signore. Verrà il giorno in cui, dopo aver aperto il tesoro della Chiesa, il Signore mostrerà i vasi della sua ira (Rm. IX, 22). I Santi diranno di quelli che saranno cacciati fuori: « … sono usciti di tra noi, ma non erano dei nostri. Se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi » (1 Gv. II, 19). Nessuno può attribuire a se stesso la vittoria di Cristo. Nessuno prima del giorno del giudizio giudichi gli uomini. Se la Chiesa fosse già mondata, cosa sarebbe riservato al Signore? « C’è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte. » (Prov. XIV, 12). In questo errore di giudizio, quale sentenza potrebbe essere certa?

L’ANTICRISTO.

IN QUAL MODO ELIMINERÀ L’IMPERATORE ROMANO PER ASSUMERE L’IMPERO EGLI STESSO

[11] Il beato Agostino, nel suo libro “La Città di Dio”, commenta la frase dell’Apostolo Paolo, quando corregge i Tessalonicesi, in quanto essi pensavano, al tempo dell’Apostolo Paolo, che fosse giunto il giorno del giudizio; egli scriveva loro nella prima lettera, parlando della venuta del Signore: « … noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, ad un ordine, alla voce dell’Arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo: prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria… » (1 Tess. IV, 15 e 17). Per questo scrive loro una seconda lettera, commentando la quale, il beato Agostino dice quanto segue: « Vedo che devo trascurare le molte affermazioni evangeliche ed apostoliche su questo ultimo giudizio divino, per non rendere troppo voluminoso questo libro; ma in nessun modo l’apostolo Paolo deve essere trascurato, quando scrive ai Tessalonicesi e dice loro: « Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. »  (2 Tess. II, 1-12). Nessuno dubita che queste cose le abbia dette dell’Anticristo, e che abbia così anticipato che il giorno del giudizio (che egli chiama il “giorno del Signore”) non sarebbe arrivato prima che colui che chiama “l’empio”, abbia preceduto il Signore Dio. Se questo si può dire di tutti i malvagi, quanto ancora più di costui; ma in quale tempio di Dio egli si siederà? … non sappiamo se siano le rovine del tempio costruito da re Salomone oppure della Chiesa. L’Apostolo, infatti, non chiamerebbe  il tempio di alcun idolo o demone: santuario di Dio. Ecco perché alcuni vogliono intendere che qui l’Anticristo non sia il principe in sé, ma in un certo senso tutto il suo corpo, cioè la moltitudine di tutti coloro che gli appartengono, insieme allo stesso loro principe. Essi credono anche più precisamente che, sia in latino che in greco, si dice che “egli siederà nel tempio di Dio”, proprio come se fosse tempio di Dio la Chiesa, e così come noi diciamo: si siede da amico, o come un amico, o un qualcosa di simile impiegato solitamente in questo genere di espressioni. Ed ancora dice: sapete cosa lo trattiene ora, cioè sapete perché ritarda, qual sia la causa del ritardo, per manifestarsi a tempo debito? E quello a cui si riferiva, essi già lo sapevano chiaramente, per cui non credette oppotuno ridirlo. E così noi, che non sappiamo quello che essi sapevano, cerchiamo di arrivare con fatica a ciò che l’Apostolo pensa, ma non possiamo. Soprattutto, ciò che ha aggiunto rende questo senso più oscuro: perché cos’è? Confesso che sono completamente all’oscuro di ciò che ha detto. Pertanto riporterò le interpretazioni umane che ho sentito o letto. Alcuni pensano che questo sia stato detto dell’Impero Romano, ed è per questo che l’Apostolo Paolo non ha voluto scriverlo chiaramente, per non incorrere nella calunnia, dando una cattiva opinione dell’Impero Romano considerato eterno. Altri dicono che: perché il mistero dell’iniquità è già in opera, ci si riferisca a Nerone, le cui gesta erano già note come quelle dell’Anticristo. Ecco perché alcuni pensano che sarà lui a risorgere come futuro Anticristo. Altri pensano che non sia stato eliminato, ma piuttosto rimosso, in modo che sembri che sia stato ucciso; e che sia nascosto vivo nel vigore della sua stessa epoca, in cui si crede che sia stato ucciso, finché non si manifesti, a suo tempo, e sia posto nel suo regno. Ma trovo questa interpretazione dei commentatori molto improbabile. Tuttavia, ciò che dice l’Apostolo: … solo quando viene allontanato colui che ora lo trattiene, si crede, non senza ragione, che questo sia fino a quando non verrà tolto da mezzo, cioè rimosso dal suo posto. E allora l’iniquo si manifesterà, il che si riferisce senza dubbio all’Anticristo”.

                                                        (Sant’Agostino, La città di Dio, lib.20, cap.19).

[Questo capitolo dell’Anticristo è qui nei Codici dell’edizione riveduta del 786 e ripetuto nel libro VI, 7, pp. 500-501; nel libro VI, 7, nell’edizione del 786, è omesso nelle edizioni del 776 e 784].

COMINCIA IL LIBRO SECONDO:

LE SETTE CHIESE

QUESTO LIBRO CONTIENE I QUATTRO VIVENTI, I QUATTRO CAVALLI, LE ANIME DEGLI UCCISI, I QUATTRO VENTI E I DODICIMILA.

(Ap. II, 1-7)

Angelo Ephesi ecclesiæ scribe: Hæc dicit, qui tenet septem stellas in dextera sua, qui ambulat in medio septem candelabrorum aureorum: Scio opera tua, et laborem, et patientiam tuam, et quia non potes sustinere malos: et tentasti eos, qui se dicunt apostolos esse, et non sunt: et invenisti eos mendaces: et patientiam habes, et sustinuisti propter nomen meum, et non defecisti. Sed habeo adversum te, quod caritatem tuam primam reliquisti. Memor esto itaque unde excideris : et age pœnitentiam, et prima opera fac: sin autem, venio tibi, et movebo candelabrum tuum de loco suo, nisi pœnitentiam egeris. Sed hoc habes, quia odisti facta Nicolaitarum, quæ et ego odi. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Vincenti dabo edere de ligno vitæ, quod est in paradiso Dei mei.

[“All’Angelo della Chiesa d’Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene nella sua destra le sette stelle, e cammina in mezzo ai sette candelieri d’oro: “So le tue opere, e le tue fatiche, e la tua pazienza, e come non puoi sopportare i cattivi: e hai messo alla prova coloro che dicono di essere Apostoli, e non lo sono: e li hai trovati bugiardi: e sei paziente, e hai patito per il mio nome, e non ti sei stancato. Ma ho contro di te, che hai abbandonata la tua primiera carità. Ricordati pertanto donde tu sei caduto: e fa penitenza, e opera come prima: altrimenti vengo a te, e torrò dal suo posto il tuo candeliere, se non farai penitenza. “Haì però questo, che odi le azioni dei Nicolaiti, le quali io pure ho in odio. Chi ha orecchio, oda quel che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincente darò a mangiare dell’albero della vita, che è in mezzo al Paradiso del mio Dio.”]

TERMINA LA STORIA

INIZIA LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA DELLA CHIESA PRECEDENTEMENTE DESCRITTA NEL SECONDO LIBRO

[1] Scrivi all’Angelo della Chiesa di Efeso. Sotto il nome di un solo Angelo, si designa il numero di tutti i santi. Efeso, che significa: “mia volontà” o “mio consiglio“, indica, come abbiamo già detto sopra, la Chiesa Cattolica, alla quale si dice: « Questo dice colui che tiene le sette stelle nella mano destra, che cammina tra i sette candelabri d’oro. » Questi è Colui che tiene in mano le anime dei santi, e cammina in mezzo alle sue chiese con i miracoli, si muove con le sue virtù  meravigliose, e vive nella grandezza della sua potenza. Alla stessa chiesa dice: Conosco la tua condotta, le tue fatiche e la tua pazienza. Afferma cioè di conoscere l’effetto delle sue buone opere e la cura nel lavoro e nello studio spirituale, e la pazienza nel sopportare la tentazione e superarla. Egli loda anche la purezza della sua Chiesa in relazione ai dettami della verità, Chiesa di cui parla anche Isaia: « Grida di gioia, sterile che non partorisci, ed irrompa in grida di gioia e di letizia colei che non ha mai avuto i dolori: perché sono più i figli degli abbandonati che quelli della donna sposata » (Is. LIV, 1). Del lavorio di questa Chiesa si dice: « beati quelli che piangono, perché saranno consolati » (Mt. V, 5). Anche qui nel presente testo, il Signore dice alla Chiesa: « … che non puoi sopportare i malvagi e che hai messo alla prova coloro che sono chiamati apostoli senza esserlo e hai scoperto il loro inganno; hai pazienza nella sofferenza: hai sofferto per il mio Nome senza stancarti. » Noi interpretiamo che questo sia stato detto senza dubbio degli eretici, ché si credono maestri della verità e sono invece autori della menzogna. Essi dicono di essere buoni ma si comprova che siano invece peggiori dei demoni. Però le loro menzogne e le loro perversioni le scopre la fede Cattolica, e … con tolleranza hai sopportato gli innumerevoli mali che ti hanno inflitto. Hai sopportato tutto per il mio Nome e non venisti meno. A questa stessa Chiesa il Profeta parla degli eretici: « Nessun vaso formatosi contro di te prospererà; e tu rimprovererai ogni lingua che si leverà contro di te » (Is. LIV, 17). Li avete messi alla prova, dice: non sono messi alla prova se non quelli che sono all’interno. Quelli che sono all’esterno, sono chiaramente fuori senza necessità di alcuna prova. Pertanto non è necessario metterli alla prova se non sono dentro la Chiesa: è qui li si riconosce dai loro frutti, non dal posto che occupano. Di questi il Signore dice: « Li riconoscerete dai loro frutti, perché l’albero malvagio non può dare frutti buoni » (Mt. VII, 16). Il frutto si riferisce al comportamento e le foglie alle parole. Qualora vengano scoperti nell’operare in tal fatta, appaiono chiaramente malvagi. Infatti sono questi coloro di cui si dice che si considerano apostoli senza esserlo, poiché si dimostrano apostoli che sembrano servire il Signore; mentre nella loro condotta servono se stessi e non il Signore. Dobbiamo chiederci allora con intelletto: chi sono coloro che servono il Signore? Ebbene, non tutti quelli che leggono, non tutti quelli che predicano, non tutti quelli che distribuiscono i loro beni, non tutti quelli che puniscono il loro corpo con la penitenza della carne, servono il Signore. Coloro che leggendo e predicando cercano la propria gloria, coloro che nelle loro elemosine e nelle punizioni del corpo fatte per penitenza, cercano le lodi degli uomini, questi servono se stessi e non il Signore. Contro questi il Signore dice con il Salmista: « chi cammina sulla via senza macchia sarà mio servo » (Psal. CI, 6). Ha macchie nella sua via, chi nell’opera buona che compie intende ricevere la ricompensa della gloria terrena; chi cerca di ricevere la ricompensa in questo mondo, macchia agli occhi di Dio la sua opera buona a causa dell’intenzione malvagia. Adunque, chi è diligente nello studio della dottrina distrugge i peccati dei peccatori; ma chi è portato a fare queste cose non dall’amore di Dio Onnipotente, ma dall’amor proprio, questi serve se stesso e non il Signore. Un altro, per non essere ritenuto aspro, tollera facilmente molte cose che di contro causano un aggravio. Infatti, chi non vuole essere considerato tiepido dal Signore, con lo zelo della propria tiepidezza serve se stesso e non il Signore. È necessario, quindi che, sia che lavoriamo al servizio della parola, sia che distribuiamo i nostri beni ai poveri, sia che dominiamo la nostra carne con la penitenza, o che ci lasciamo trascinare dallo zelo, sia che con pazienza sopportiamo i nostri mali delicatamente, con grande diligenza cerchiamo di scoprire la nostra intenzione in tutto ciò che facciamo, di modo che non accada che nelle nostre azioni serviamo noi stessi più che il Signore. Infatti non serviranno il Signore, ma se stessi, quelli di cui S. Paolo ha detto: « Tutti cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo » (Fil. II, 21). Paolo stesso con i suoi fratelli eletti corse a servire non se stesso ma il Signore nella vita e nella morte, appunto dicendo: « Nessuno di noi vive per se stesso, nessuno muore per se stesso. Sì, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. Quindi, sia che viviamo o che moriamo, siamo del Signore  » (Rm. XIV, 7). I Santi non vivono né muoiono per se stessi, perché in tutte le loro azioni cercano il bene spirituale, e con la preghiera, la predicazione e la perseveranza nelle opere sante, desiderano moltiplicare i cittadini della patria celeste. Infatti agli occhi degli uomini, essi glorificano con la loro morte Dio, al quale tendono morendo. Pensiamo, allora – alla morte dei Santi – a quanti insulti essi abbiano subito dagli infedeli, ma pure a quante lodi abbiano elevato a Dio dai cuori dei fedeli. Se avessero cercato la loro gloria, avrebbero certamente temuto di subire tanti insulti nella loro morte; ma nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, dal momento che non cerca la propria gloria, né in vita né in morte. Non è certo una testimonianza di lode quella di Colui che dice: So che non puoi sopportare i malvagi, bensì una testimonianza di debolezza. C’è invece una lode quando ha detto: non puoi, … e hai sopportato per amore del mio Nome; ha lodato la debolezza umana nel tollerare i falsi fratelli e nel mantenere con l’umiltà della carità la virtù della pazienza che proviene dal timore di Dio, affinché, secondo il comando del Signore, sapesse a chi attendere. E dice che ha avuto pazienza nel sopportare, nel pianto e nella tristezza, tutti quelli che operano “secondo la cattedra di Mosè”, vale a dire i preti falsi e mondani, che siedono sulla cattedra di Mosè non per amore di Dio, ma solo per l’onore del mondo, e desiderano occupare i primi posti e le prime cattedre della Chiesa. La Verità nel Vangelo di solito li chiama “farisei”, e ordina di ascoltare e di fare ciò che essi dicono, ma di astenersi dai loro frutti. Così pure l’Apostolo comanda di mettere alla prova i malvagi, e di astenersi dalle loro opere, quando dice: « Esaminate ciò che è gradito al Signore e non prendete parte alle opere infruttuose delle tenebre, ma denunciatele, cioè non tacete; poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare » (Ef. V, 10). Questo è ciò che l’Apostolo comanda nei confronti dei falsi apostoli. Per altro verso, l’Angelo dice ancora: Ma io ho contro di te, che hai perso il tuo amore di un tempo. Ha così rappresentato tutti i peccatori che, posti nella Chiesa Cattolica, sono legati a vari errori. E insegna che da questo origina il fatto che, dimentichi dell’amore primitivo della fede, si vedono avvolti in numerosi lacci viziosi. In nessun modo, però, è possibile che Egli dica: “Ho contro di te …” , a colui che loda, dicendo: “Tu hai pazienza, e hai sofferto per il mio nome, e non sei venuto meno“. Infatti è certo e conveniente che chi ha pazienza e non si perde d’animo non può dimenticare l’amore, perché è Dio l’amore. È chiaro, quindi, che si insegni qui che ci sono due parti nello stesso corpo, una che persevera, l’altra che trasgredisce, e a questa dice: renditi conto di dove sei caduto, pentiti, e torna alla tua condotta precedente. Allo stesso modo il Signore dice – attraverso il Profeta – : « fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu per giustificarti. » (Is. XLIII, 26). Volendo che ricordiamo, ci mette in guardia dalle occasioni nelle quali siamo già caduti, per non cadere di nuovo. E per purgare i vizi in cui si incorre, Egli indica la via da seguire, dicendo: fate penitenza, cioè purificate i vostri peccati con le lacrime. Allo stesso modo quella peccatrice, figura della Chiesa, bagnò i piedi di Cristo con le sue lacrime e li asciugò con i suoi capelli. E fatta penitenza, li persuade e consiglia loro cosa fare: … tornare alla condotta primitiva: cioè o alla bontà precedente, o a quelle cose che nell’ardore della prima conversione avevano mostrato, per non fare che si dica: se cadesti in qualcosa, renditi conto da dove sei caduto; come se con questo fosse detto chiaramente: Guarda da dove sei caduto, o quale peccato hai commesso oggi, se per la tua condotta, se per i tuoi discorsi, se per il tuo ventre, se hai avuto voracità di gola, se sei stato incitato alla fornicazione dal desiderio della carne, se dall’avidità, se sei stato infatuato dall’ardore dell’avidità, se hai messo nel segreto della tua coscienza un simulacro, cioè un idolo; se, portato dalla rabbia e dal furore contro tuo fratello, le tenebre ti sono rimaste nel cuore; se hai levato la mente alla vanagloria, se hai contratto il cancro della superbia. Se riconosci di essere caduto in qualcosa di quanto detto, e che ti si rimprovera e si ripete sempre, allora … renditi conto da dove sei caduto. Chi cade, cade dall’alto, ecco perché dice “da dove”. Non c’è rovina più grande di quella di chi si separa dalla carità; perché come l’orgoglio è il principio di tutti i mali, così la carità ha il primato in tutto il bene. Chi non ha la carità, anche se sembra fare del bene, non ha nulla di buono in sé. Per questo ha detto: da dove sei caduto. Perché sempre, fino alla morte, si devono fare opere di carità: questo è il comandamento principale, senza il quale nessun Cattolico vedrà mai Dio. Se le desiderate, o siete fortemente attratti da alcune di queste cose dette sopra, tutto si vede abbassato e la carità viene sminuita: « perché l’amore copre una moltitudine di peccati » (1 Pt. IV, 8). E a cosa serve fare penitenza, praticare la misericordia, ringraziare sempre Dio, ricorrere spesso alla preghiera? Non serve a niente, se osservate una cosa e su di un un’altra chiudete gli occhi. E a cosa serve che tutta la città sia con cautela presidiata contro gli attacchi dei nemici, se viene lasciata aperta anche una sola breccia dalla quale entra il nemico? A cosa serve la vigilanza che viene posta all’intorno, se tutta la città viene lasciata aperta ai nemici, avendo trascurato anche una singola postazione? Dite dunque a voi stessi: ricordate da dove siete caduto. Perché nella Chiesa tutta la legge è riassunta in un unico insegnamento che ha un duplice contenuto, cioè l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Chi dunque è assillato da pensieri malvagi, si dice che si sia allontanato dall’amore di Dio; e chi fa qualcosa di male al fratello, si dice che si è allontanato dall’amore del prossimo; e in entrambi i casi si dice che sia caduto dall’alto. Ed ancora: … donde sei caduto, fa penitenza e torna alla tua primitiva condotta, come se si dicesse chiaramente: ogni giorno cominciate sempre da capo a fare penitenza, in modo che si dica che cominciate allorché abbiate finito. … Altrimenti, se non vi pentirete, verrò da voi a spostare il vostro candeliere. Cosa vuol dire rimuovere, spostare il candeliere, se non nascondere il suo volto e toglier loro la protezione? Perché senza lo sguardo dell’Altissimo, senza la protezione di Dio, la nostra fede non può rimanere stabile. Per questo il Profeta dice: « Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato. » (Psal. XVII, 37). E poco prima ancora: « ha addestrato le mie mani alla battaglia, le mie braccia a tender l’arco di bronzo. Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza, » (Sal. XVII, 35-36). Ed ancora: « Se il Signore non fosse il mio aiuto, in breve io abiterei nel regno del silenzio.» (Psal. XCIII, 17). Si cambia dunque di posto il candeliere della nostra lode e si spegne la lampada della nostra lode, quando Egli allontana da noi il suo volto. E quando dice: … se non ti penti, quale penitenza farà volentieri l’uomo se non riceve aiuto dal Creatore? Chi può fare sgorgare dall’aridità della carne l’umido delle lacrime, se, per la misericordia di Dio, la venuta dello Spirito Santo non irrora il cuore contrito? Certamente Colui che dice di rimuovere il candeliere è Colui che comanda la penitenza. Abbiamo già detto nel primo libro che l’Angelo e il candeliere sono la medesima cosa. Non dice qui che gli toglierà la sua parte, ma che ne cambia posto, e cioè che una parte perderà tutto quel che ha, così che a colui che ha sarà dato ancor più; mentre a chi non ha, ed anche a colui che sembra avere, gli sarà tolto quel che ha, ed il servo inutile sarà mandato nelle tenebre esteriori (Mt. XXV, 29). Con questo “servo inutile” ci si riferisce a tutto il corpo dei prepositi, cioè dei Vescovi malvagi, dalla cui vigilanza dipendono tutti i membri della sua chiesa; come si dice anche in altro luogo dello stesso servo, « … che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l’incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto, beato – dice – quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così … gli affiderà l’amministrazione di tutti i suoi beni » (Mt. XXIV, 45-47). Riconosce, quindi, ancor sempre in questo monito, che ci siano due parti nella Chiesa: una parte che, pur essendo dentro di essa fin quando non se ne separi, ha tuttavia perso la propria salvezza e tutta la luce del candelabro; e, se pure onorata con i carismi della grazia, è morta in se stessa e ciò che vive in essa le è alieno. Questa parte è quella che viene rimproverata ogni volta. L’altra parte, invece, è quella lodata: è la Chiesa che abbiamo già detto fondata sulla pietra, alla quale si dice: tu hai invece a tuo favore che detesti i misfatti dei Nicolaiti, che anch’io detesto. Nicolaita significa “effusio”, o la stoltezza della Chiesa che languisce, di cui è detto, non senza motivo, degli eretici, che, tracimati [effusi] dal vaso della verità, sono caduti nella melma della menzogna. È scritto nella Legge di questa dispersione: « Effuso e come acqua, tu non avrai preminenza, » (Gen. XLIX, 4). È questa chiaramente anche la stoltezza della Chiesa che langue nel dogma perverso degli eretici, perché questi non si prendono cura della salute del popolo, ma si infiltrano in esso con i peggiori malanni, dicendo stoltezze di Dio, e preoccupandosi di questioni sciocche, come è scritto: « Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: “Pace, pace!” ma pace non v’è, » (Ger. VI, 14). Poiché, come può, colui che ha abbandonato l’amore, cioè Dio stesso, odiare la condotta dei Nicolaiti? Le gesta dei Nicolaiti sono idolatria e fornicazione: infatti Nicolas fu nominato diacono, con Stefano e gli altri, dagli Apostoli, e lasciò la moglie a causa della sua bellezza, per lasciarla prendere a chi volesse; e mutando questa consuetudine in stupro, gli sposi si scambiavano l’un l’altro. Egli inventò e predicò cose così vergognose e nefande che da quella radice nacque poi l’eresia dei “neofiti”, cioè dei sacerdoti e dei leviti non istruiti; l’Apostolo li rimprovera e ammonisce il suo discepolo a non lasciarli accedere al sacerdozio, dicendo: « Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui » (1 Tm. V, 22). E cosa significa l’affrettarsi nell’imporre le proprie mani, se non il concedere l’onore sacerdotale a chi non sia prima maturato, attraverso un tempo di prova, con il merito del proprio lavoro, onde sperimentarne la disciplina? E che cosa anche vuol dire diventare partecipe dei peccati altrui, se non un Vescovo che ordini una persona tanto ignorante, come è colui che non merita di essere ordinato? Perché così come si compara al frutto di una buona opera, il giusto giudizio nella elezione del sacerdote, così si produce un grave danno quando si costituiscono sacerdoti che non siano meritevoli. Pertanto dice con ragione: … che hai detestato il peccato dei Nicolaiti, che anch’io detesto. Qui apertamente si disconosce come amico di Dio, chiunque si compiaccia del suo nemico. Infine, per indicare che ha narrato questo mistero in segreto, dice: chi ha orecchie, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Il Signore dice infatti nel Vangelo: le parole che vi ho detto sono spirito e vita (Gv. VI, 63). Ecco, quindi, che chi ha l’orecchio della fede aperto, chi con buona fede usa l’orecchio finissimo dell’uomo interiore, potrà ascoltare le parole del messaggio divino che lo Spirito Santo comunica. Al vincitore darò da gustare dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio.  – Avendo pronunciato la sofferenza della Chiesa, descritta la perversità degli eretici, esortato i peccatori alla penitenza, dopo la lotta, promette la ricompensa ai vincitori; coloro che entrano nel Paradiso, ricevono, per mangiarne in totale libertà, l’albero della vita, cosa per la quale Adamo fu espulso dal Paradiso, non potendone mangiare affatto. Dice così: chi è nel Paradiso del mio Dio, dove le brezze infondono la vita, dove i misteri infondono la virtù, dove il pomo dell’albero della vita fornisce l’eternità incorruttibile. Ecco perché così opportunamente dice: Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel Paradiso del mio Dio. Il Paradiso è la Chiesa in cui nessuno entra se non colui che con anima candida ha conosciuto Cristo e ne imita le orme dei passi con tutta l’anima, con tutto il cuore, con tutte le forze, ed ama il prossimo come se stesso. Il Paradiso è, quindi, figura della Chiesa. E il primo uomo, Adamo, è l’ombra del futuro. E il secondo Adamo, Cristo, è il sole della giustizia, che illumina l’ombra della nostra cecità. E come il primo Adamo – dice l’Apostolo – è terreno perché viene dalla terra, così il secondo Adamo è celeste perché viene dal cielo (1 Cor. XV, 47).  Pertanto, nella Chiesa ci sono due “Adamo”: il terrestre ed il celeste; « Qual è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. » (1 Cor. XV, 48). Per questo Adamo è duplice: c’è il vecchio ed il nuovo. Il vecchio è quello a cui non era permesso raggiungere l’albero della vita, perché non voleva spogliarsi dell’uomo vecchio, cioè dell’uomo carnale. Il nuovo Adamo è colui che è unito a Cristo vincente e che ha la potenza dell’albero della vita, che Egli ha sempre avuta, e se non è ancora unito a Cristo nel suo corpo, è tuttavia unito a Lui nello spirito. Infatti, se ai vincitori è promesso l’albero della vita, molti hanno già vinto in Cristo; non tutti infatti sono morti, « … se non coloro che hanno peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo  » (Rm. V, 12); dei rimanenti, o di quelli che sono rimasti essere ad immagine e somiglianza di Dio, si dice che vivono. Essi vivono, perché « Egli non è un Dio dei morti, ma dei vivi » (Mt. XXII, 32). Due parti, dunque, sono prefigurate in Adamo come monito per il futuro: l’una che ha confessato il peccato e vive; un’altra che non sfugge al laccio del diavolo (2 Tm. II, 26) che l’ha sottomessa, e per la quale la via dell’albero della vita è preclusa. Dal momento stesso in cui Adamo cominciò a generare entrambe le parti, vediamo che entrambe offrono sacrifici a Dio; ma l’una offre sacrifici graditi, non graditi sono quelli dell’altra. L’una, prostrata e semplice che offre il sacrificio con umiltà, muore per mano del fratello; l’altra, ottusa, cioè insensata, offerente con invidia, e che dopo l’omicidio del fratello è rimasta ostinata. La prole e la progenie di entrambe le parti appaiono nella Scrittura manifestate in Caino e Abele. Infatti così dice il Signore: « Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. » (Gen. IV, 11). Egli chiama “terra” l’uomo che, come Caino, accetta di eseguire e compiere ancora parricidi ed odia il fratello. Si riconoscono in Caino ed Abele entrambi i popoli che costituiscono la Chiesa: l’uno buono, l’altro cattivo; l’uno che ingiuria, l’altro che subisce le ingiurie. Questa è la città che ha fondato con il nome di suo figlio? Cosa significa che Caino abbia costruito una città con il nome di suo figlio, se non che gli empi che ha prefigurato si siano radicati in questa vita? Essi hanno un inizio ed una fine terrena, dove non ci si aspetta nulla se non ciò che si vede. I Santi, però, sono ospiti e pellegrini sulla terra. Ecco perché Abele, come pellegrino sulla terra, cioè come popolo santo, non costruisce una città: superiore è la loro città, anche se qui appaiono cittadini di quelle città nelle quali son pellegrini fino all’avvento del loro regno. Ma si dice alla progenie di Abele: « Dio mi ha dato un altro discendente al posto di Abele, perché Caino lo ha ucciso » (Gen. IV, 25). Questo discendente si riferisce alla Chiesa. Egli vede, quindi, che Dio non ha proibito ad ogni “Adamo” di mangiare dall’albero della vita, ma solo ad una parte. Poiché Adamo vive per sempre: cosa che non poteva essere senza aver egli assaggiato di quell’albero. Ne gustò, infatti, confessando il suo errore, ed infatti se fosse stato solo l’uomo Adamo e non una figura del futuro, perché il Signore, dopo la sua sentenza di morte, lo privò dell’albero della vita, affinché vivesse per sempre senza gustarne? Perché il Signore non temé che – contro la sua sentenza – potesse vivere, anche mangiando tutto l’albero della vita; se non perché questo si realizzasse in figura, e si manifestasse a noi la verità nella Chiesa? Infatti il corpo ed il sangue del Signore è la vita, come Egli stesso dice: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna » (Gv. VI, 5). Tutti coloro che ricevono la Comunione hanno la vita eterna? No, perché è scritto: « chi mangia e beve indegnamente il corpo ed il sangue del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor. XI, 29). Il numero di coloro che si esaminano e che sanno in qual modo mangiare, questo solo mangia dall’albero della vita. Il numero di coloro che sono accecati, e non si avvicinano a Cristo – luce della vita – anche se mangia di questo pane, si tiene indubbiamente separato dall’albero della vita. Così infatti Dio dice a Giobbe: « Non hai sottratto ai malvagi la luce? » (Giob. XXXVIII: 15). A questi, quindi, che inseguono i beni terreni, o che certamente conducono una vita tiepida, Dio nasconde l’albero della vita, cioè la vera croce, perché, come è scritto, « … non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito ». (Is. VI, 10). Contro costoro il Paradiso di Dio è chiuso da un muro di fuoco, come dice la Chiesa in Zaccaria: « Io sarò per lei – dice il Signore – … muro di fuoco all’intorno e sarò una gloria in mezzo ad essa. » (Zac. II, 5). L’albero della vita che si trova nella Chiesa è chiaramente indicato in questo libro, nella descrizione della Chiesa. E che il Paradiso e la Chiesa e l’albero della vita, sono una degna penitenza, cioè sono la croce di Cristo, che molti sembrano portare, ma senza che seguano il Signore. « Sulle due sponde del fiume, dice, l’albero della vita porta frutti dodici volte all’anno, per ognuno dei mesi » (Ap. XXII); il Signore darà questo Paradiso e il suo albero ai vincitori. Il paradiso è la Chiesa. L’albero della vita è Cristo crocifisso. Con le due sponde del fiume, si intendono: o i due Testamenti, quello della Legge e quello del Vangelo; o l’acqua del Battesimo. I dodici mesi sono i dodici Apostoli. Egli dà queste cose ai vincitori; ma ai nemici della sua croce, « il cui dio è il loro ventre » (Fil. III,19), e che adorano nei loro nascondigli un altro Cristo  – e non so chi sia, perché non è il nostro crocifisso – ma adorano nella bestia, quello che ha la sua testa come uccisa, cioè quasi come fosse Cristo crocifisso, il cui nome hanno in comune con noi, mentre lo « rinnegano con le loro azioni » (Tt. I, 16); a loro questo albero della vita è completamente nascosto.

COMMENTARIO ALL’APOCALISSE DI BEATO DI LIEBANA (5)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.