DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE (2020)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredita come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.).

Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII: 14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV:1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal Padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV: 3; 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto por ruiua e per risurrezione di molti in Israele, eper bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, esi fortificava pieno di sapienza: el a grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

Gesù modello dei figli

[Mons. A. Feruglio, Vescovo di Vicenza: Omelie di Natale – Soc. An. Tipogr. fra Cattolici Vicentini, 1914 – imprim. 1913]

(NATALE 1905)

Parvulus natus est nobis. —

Pastores invenerunt Mariam et Joseph et

Infantem positum in præsepio.

Un pargoletto è nato a noi.—

I pastori trovarono Maria, Giuseppe e

l’Infante posto in una mangiatoia.

Is. IX, 6 – Luc. XI, 16.

SOMMARIO: Per darci esempio delle più perfette virtù famigliari:

a) Gesù si diporta da vero figlio di Maria e di Giuseppe;

b) Maria e Giuseppe trattano con lui da veri genitori.

Non è mio intendimento intrattenervi quest’oggi sui santi motivi che devono eccitare in noi sentimenti di ammirazione, di gioia, di amore e di gratitudine, alla considerazione del portentoso avvenimento della nascita del Salvatore. Già i vostri cuori ne sono altamente compresi. L’immensa carità per cui un Dio si abbassa alla condizione di uomo, e, a costo di indicibili umiliazioni e patimenti, viene a trarci dalla schiavitù di satana, dall’abisso tenebroso dell’ignoranza e della corruzione, all’ammirabile sua luce, alla speranza dell’immortale felicità, non può non riempirci di stupore e di tenerezza. – Ma se ci arrestassimo a questi, affetti, ben poco corrisponderemmo all’immensa sua carità ed alla sua Redenzione pur sì copiosa. — Giacché se, a dir di San Cirillo, Egli ci è vita perché ci santifica, verità pel dono della fede, ci è pur via per gli esempi che ci ha dati. Est nobis via per vitæ actionem, veritas per fidei rectitudinem, vita per sanctificationem. Saremmo sommamente ingrati all’amor suo perché non raggiungeremmo la nostra santificazione e salute, se paghi di credere alle sue parole e di ammirare le sue opere, non ci curassimo d’imitarne gli esempi. E poiché anche le minime circostanze della vita del Salvatore sono ammaestramenti per noi, e come nota Sant’Agostino: Ei ci fu maestro perfino col nascere — etiam nascendo magister extitit (Aug. contra Faustum, lib. 24, c. 64) — non ci sia grave rilevare gli insegnamenti che ci porge il neonato Messia. — Questi, a dir vero, sono innumerevoli, noi però fisseremo il pensiero su quella circostanza predetta da Isaia, che Egli cioè apparve pargoletto — parvulus natus est nobis (Is. IX, 6) — e ricordata da San Luca allorché scrive che i pastori trovarono Maria e Giuseppe e l’infante posto in una mangiatoia. Invenerunt Mariam et Joseph et infantem positum in præsepio.

1. Gesù si diporta come vero figlio di Maria e di Giuseppe.

A chi chiedesse perché mai il Redentore abbia voluto comparire bambino, per passare gradatamente nei diversi stadi della vita umana, sarebbe facile il rispondere che così era decretato dall’infinita sapienza dell’Eterno. Però, se è vero che Iddio, di alcune sue disposizioni ne tiene occulti i motivi e perciò sarebbe temeraria stoltezza il volerli scandagliare, è vero eziandio che di altre si compiace renderli accessibili all’umano intelletto, affinché invitati a considerarli, ci sentiamo attirati ad ammirare la sua sapienza, potenza e bontà, ed a seguirne i pietosi disegni. E tale appunto è la grande opera dell’Incarnazione del Verbo. Nessuna necessità, osserva S. Agostino, costringeva il Verbo a nascere di donna, per farsi vero uomo (Aug. contra Faust, lib. 26, c. 7). Che, se diciamo che era conveniente s’incarnasse nel seno della Vergine, per assumere un corpo come gli altri uomini derivante dal comun padre Adamo, qual necessità v’era che venuto alla luce non comparisse tosto uomo di età matura? Perché presentarsi impotente bambino, bisognoso di tutto, incapace di muoversi e di parlare? Perché insomma assoggettarsi a tutti gli inconvenienti che circondano l’età infantile? Così ci diede esempio, è vero, di umiltà e di pazienza, ma tali esempi poteva darceli, come ce li diede, in età perfetta. Sembrerebbe dunque inesplicabile il motivo per il quale ci apparve bambino, tanto più che la sua anima sarebbe già stata adatta ad un corpo nel suo pieno sviluppo, capace di tutti gli atti d’un uomo giunto a perfetta età. Difatti mentre gli altri bambini sono in istato di perfetta ignoranza che andrà man mano dileguandosi, Egli fin dal suo concepimento fu sì ricolmo di tutti i tesori della sapienza e della scienza, che, a suo confronto, il più dotto tra gli uomini sarebbe un povero ignorante. Perché dunque volle comparire in tale condizione? – La fede c’insegna che Gesù venne al mondo per restaurare ogni cosa. Instaurare omnia quæ in terris sunt (Eph. 1, 10). Il peccato aveva guastata l’opera di Dio sotto ogni rapporto. Era quindi necessario che il Redentore, come coi suoi meriti e colla sua dottrina così col suo esempio, risanasse tutto l’uomo. Perciò non bastava si rendesse modello delle virtù riguardanti l’uomo individualmente considerato, ma poiché l’uomo è per natura socievole, conveniva che Gesù col suo esempio gli si facesse maestro di virtù anche nei suoi rapporti con la società. Conveniva insomma che coll’individuo risanasse la società stessa. Ora, o dilettissimi, perché l’uomo viva rettamente qual membro della società, è requisito essenziale l’ossequio alla autorità. — Ed oh! quali e quanti solenni esempi ci ha dato il Redentore in età adulta, di sommissione all’autorità dichiarando che essa viene da Dio. Ma poiché la società fondamentale, da cui dipende il benessere di ogni altra società, è la famiglia, il Verbo fatto uomo dispose di essere membro d’una famiglia dalla quale dispensa gli esempi delle più perfette virtù domestiche e sociali. — Volle pertanto convivere con Maria, sua vera Madre, sino al tempo della sua vita pubblica; e benché la sua generazione fosse per opera dello Spirito Santo e non di padre terreno, volle tuttavia che l’autorità paterna dirigente la sua famiglia fosse un nomo, non avventizio, ma congiunto per intimo naturale legame alla medesima, perché San Giuseppe fu vero marito dell’intemerata e purissima tra le Vergini. Fu dunque per nostro ammaestramento che il Salvatore si degnò di apparir pargoletto, di passare dall’infanzia ai successivi stadi della vita umana, come pure di richiedere le cure della sua santissima Madre e del suo putativo Padre. Infatti qual necessità vi era che essi gli procurassero l’alimento, mentre Egli è Colui che dà l’essere, la vita e l’alimento a tutte le creature? Forse non era sua quella provvidenza per cui Giuseppe e Maria trovavano di che nutrirlo e vestirlo? Qual bisogno aveva Egli della loro tutela? Non poteva Egli, come fece in altra età, sottrarsi prodigiosamente ai suoi nemici persecutori? Non poteva comandare ai venti ed alle procelle, camminar sulle onde, frenare gli spiriti d’abisso, disporre a suo piacimento di tutto il creato? — Qual bisogno che altri lo guidasse, se Egli è la Sapienza increata che infonde l’intelligenza e l’accorgimento in quelli che devono dirigerlo? — Ah! sì, è un tratto d’immensa carità, che ben meditato non può non riempirci d’indicibile stupore, l’abbassarsi di Gesù alla condizione di bambino, di figlio di famiglia, per essere nostro modello. – Né si pensi, soggiunge Sant’Agostino, che di tale abbassamento abbia solo in apparenza mostrato di provare, ma provò in realtà la debolezza, le privazioni, le ripugnanze e tutti gli inconvenienti che ne conseguono. Humanæ conditionis affectus non simulavit sed exhibuit, non necessitate conditionis, sed magisteri voluntate (Aug. contra Faust, lib.26, c. 7). Pertanto, con vera dipendenza, quale si addice a figlio verso i genitori, s’assoggetta a Maria e a Giuseppe. — È da sottrarsi alla persecuzione di Erode, o, defunto quest’empio dopo sette anni, è da far ritorno a Nazareth? Gesù non fa cenno, non parla. Un Angelo illuminerà Giuseppe il capo della famiglia, e da questi dipenderà la fuga ed il ritorno. Né questa soggezione ha fine coll’infanzia. Ben poco ci narrano gli Evangelisti della vita di Gesù fino alla sua predicazione. Ma la risposta data a Maria e a Giuseppe quando, a dodici anni, rimase a loro insaputa nel tempio, ben ci fa comprendere ch’Egli non voleva disporre di sé, ma dipendere in tutto dai loro cenni. Non sapevate, disse, che dove mi chiama il Padre mio, io devo trovarmi? Nesciebatis quia in iis quæ Patris mei sunt oportet me esse?(Luc. II, 49). — Quasi dicesse: la straordinarietà stessa di quest’incidente doveva rendervi accorti che una volontà superiore mi obbligava a derogare alla rigorosa soggezione che costantemente vi professo. — E perché da tal fatto non si potesse pensare che la sua dipendenza da Maria e Giuseppe non fosse perfetta, l’Evangelista s’affretta a soggiungere che ritornò con loro a Nazareth e se ne stava soggetto ad essi. Et erat subditus illis (Luc. II, 51). Deh! qual lezione, o dilettissimi! Il Padrone dell’universo, per insegnarci il rispetto all’autorità, s’assoggetta per tal modo a coloro ai quali Egli stesso comunica l’autorità. Qual confusione per quei figli che non si conformano a questodivino esemplare, mentre è assoluta disposizione di Dio che devano star soggetti ai loro genitori; per figli, dico, tanto bisognosi di direzione, perché non hanno quell’esperienza che s’acquista solo coll’avanzar degli anni, e perciò sono tanto esposti alle illusioni ed alle seduzioni. — Qual rimprovero per tutti coloro che acciecati dalla superbia non venerano nei superiori l’autorità di Dio, ma se vi si adagiano, lo fanno solo per motivi umani, pronti a trasgredirne i comandi per quanto giusti, ed a ribellarsi alla legittima podestà, appena il possano senza danno. Deh! quanti guai non affliggono ai dì nostri la società e ne minacciano la rovina, appunto perché si disconosce il fonte dell’autorità che è Dio. — Contro quegl’infelici il mitissimo San Bernardo indicando l’esempio di Gesù fanciullo esclama: Confonditi, o uomo, confonditi, superba polvere. Un Dio si umilia e tu ti esalti? Un Dio si assoggetta agli uomini e tu anelando a sollevarti sopra gli uomini, t’innalzi al di sopra del tuo Facitore? O uomo, se sdegni d’imitare un altro uomo, non deve sembrarti cosa indegna imitare il tuo Creatore (S. Bern. Hom. I super Missus).Ma fissiamo ancora il pensiero sul fanciullo Gesù. Se in tutte, anche le minime cose, Egli pende dai cenni di Maria e di Giuseppe, quando tale dipendenza è in opposizione alla volontà del celeste Padre, non la osserva. — Un atto di sublime missione affidatagli dal Padre, richiede la sua presenza nel tempio. Egli allora s’apparta da Maria e da Giuseppe, permettendo l’affanno che ne deriverebbe a quei santi Personaggi, appunto per dimostrare come ogni terreno affetto deve farsi tacere di fronte alla certa e precisa volontà dell’Eterno. Ah! non sia mai che la soggezione all’uomo ci porti a violare i voleri di Dio. Ciò non sarebbe un assoggettarsi alla autorità di Dio che risiede nell’uomo, ma un turpe assoggettarsi alla creatura in onta al Creatore. Quindi Pietro e Giovanni al Sinedrio, che ingiungeva loro di smettere l’esercizio dell’apostolato, rispondevano: Giudicate voi stessi se dinanzi al Signore sia giusto l’obbedire a voi anziché a Dio (Act. IV, 19).Non sia mai che i figli trascurino una manifesta vocazione di dedicarsi interamente a Dio, o senza vocazione si avventurino in uno stato al quale Egli non li ha destinati, per non contristare i genitori. Dell’amore ai parenti, che fa preferire la loro volontà a quella di Dio, Gesù Cristo ha pronunciata questa terribile sentenza: Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me: non est me dignus (Matth. X, 37). Eccovi, o figli dilettissimi, le splendide lezioni che ci porge il divin Salvatore, il quale per darcele si degnò di cominciare coll’infanzia la sua mortale carriera. Ecco perché, come predisse Isaia ci apparve pargoletto e, come scrive S. Luca, fu trovato bambino circondato dalle cure della sua Genitrice e del suo padre putativo. Invenerunt Mariam et Joseph et ìnfantem positum in præsepio Luc. II. 16 — Non si creda tuttavia che colle considerazioni fatte finora si sieno posti in rilievo tutti gli esempi e gli ammaestramenti che risultano dalla circostanza che ha dato argomento ai nostri riflessi. Ben altri ne rimangono, e della più alta importanza: noi contentiamoci di considerarne un altro ancora.

2. Maria e Giuseppe trattano con Lui da veri genitori.

Il Redentore volle sulla terra essere membro d’una famiglia, perché da quella emanassero gli esempi di tutte le domestiche virtù. In essa Egli offrì sé stesso perfetto modello di figlio, rispettoso ed ossequente ai genitori. — Ma quali poi dovevano essere gli uffici ed i rapporti di Maria e di Giuseppe verso di Lui? — Dovevano alimentarlo, vestirlo, circondarlo di tutte quelle cure, che richiede il benessere corporale di un figlio. Così han fatto con la più affettuosa ed instancabile sollecitudine. Ma ciò che maggiormente attira la mia attenzione e che mi infonde quasi un senso di sgomento, è che sopra di Lui quei santi personaggi esercitavano veramente l’autorità paterna. E come mai, si potrà dire, essi per quanto grandi, per quanto santi, sapendo chi era Gesù, osavano sorvegliarlo quasi che ne abbisognasse, tenerlo soggetto e comandargli? – Ah! dilettissimi, se l’uomo ragiona con le sue corte vedute, si troverà dinanzi un inesplicabile mistero. Ma se per poco ci eleviamo a superiori considerazioni, troveremo che appunto perché illuminati e santi, appunto perché conoscevano bene Gesù, facevano così. — Essi, ripieni delta Spirito divino, compresero che, posti a capo di una famiglia di cui Gesù volle essere figlio, era nei disegni dell’Eterno che con Lui esercitassero le parti di genitori, facendo tacere la ripugnanza derivante dalla profonda venerazione che per Lui nutrivano. Non erano guidati da umane considerazioni, per quanto nobili e plausibili, ma dalla sola volontà di Dio manifesta, e per l’ufficio cui furono assunti e per la condizione in cui il divin Figlio si degnò di figurare. Per questo non esitano a sottoporlo alla dolorosa ed umiliante cerimonia della circoncisione. Nessuno meglio di loro sapeva che Egli non vi era soggetto, ma sapevano pure che il loro Gesù, si degnò d’apparir figlio di quella nazione nella quale i pargoletti per legge divina dovevano sottostare a tale cerimonia. — Per la stessa ragione, pargoletto di quaranta giorni, lo presentano al tempio per offrirlo al Signore e quindi riscattarlo, come per tutti i primogeniti prescriveva la legge mosaica, legge che certamente non poteva riguardare l’Uomo-Dio. – E che dirò poi della vigilanza e dell’impero esercitati da Maria e da Giuseppe sul fanciullo Gesù? L’Evangelio ci dice tutto con dire che se ne stava soggetto a loro. — Che a Nazareth s’occupasse di questa o di quella cosa, che si recasse in questo o quel luogo, pendeva dai loro cenni. — E poiché è compito dei genitori di educare i figli alle osservanze religiose, giunto ai dodici anni, lo conducono al tempio per la solennità della Pasqua, come era prescritto dalla legge per tutti i maschi, incominciando da quell’età. Vi era forse tenuto? Sarebbe follia ed empietà il pensarlo. Ma tant’è; la volontà di Dio, per rapporto ai genitori è tale, ed essi vi si conformano con tutta esattezza. — Quanto poi s’interessassero di averlo sempre in custodia, lo dicono le affannose ricerche, quando di ritorno a Nazareth, per un inevitabile equivoco, non lo trovarono in loro compagnia. Lo dicono le dolci ma accorate rimostranze della Vergine, allorché finalmente lo ritrovarono nel tempio. – Ma basti, o dilettissimi. Ora sia lecito domandare: Se a sì scrupolosa vigilanza si tennero obbligati Maria e Giuseppe, non perché Gesù ne abbisognasse, ma solo perché lo richiedeva il loro officio secondo i voleri del Cielo, quale sarà il dovere dei genitori verso i figliuoli? Ve ne sono molti di quelli che sanno sacrificarsi pel benessere fisico e materiale dei figli, perché civilmente educati ed istruiti riescano a ben figurare nel mondo, ad occupare posti luminosi e lucrosi, ad acquistare rinomanza e vantaggi terreni, ma quanto pochi si curano della vera educazione che consiste essenzialmente nell’indirizzarli al gran fine per cui furano creati, che è quello di servire il Signore e salvare l’anima. — Quanto raramente parlano ai figliuoli di Dio e dei loro doveri verso di Lui! — Quanto poco si curano d’infervorarli nelle pratiche di religione e di metterli in guardia contro i pericoli e le seduzioni del mondo: — Quanto spesso, per una stolta fiducia, rallentano la vigilanza massime per riguardo a certi ritrovi, a certe compagnie, a certe letture di libri e di giornali, allora più funesti, quando sotto la larva di Cattolicismo e di pietà, nascondono il veleno dell’empietà! — E non si tratta già del figlio di Maria, impeccabile, ricolmo di tutti i tesori della grazia, vero Dio. Si tratta di miseri figli d’Adamo colle conseguenze della colpa d’origine, inclinati al male, accessibili a tutte le seduzioni dell’errore e del vizio. Mio Dio! quale spaventoso rendiconto al tribunale di quel Gesù che, se oggi consideriamo pargoletto, è pur giudice supremo degli uomini. Di quel Gesù che a costo di tanta pena, per la sua santissima Genitrice e per il casto Sposo di Lei, volle che per nostro ammaestramento esercitassero su di Lui scrupolosamente l’autorità e la vigilanza di genitori. Che risponderanno coloro che nell’educazione dei figli si prefiggono viste puramente mondane, e non l’adempimento della volontà di Dio, e quindi la vita religiosamente morale dei medesimi? Deh! piaccia al Signore che a quanti m’ascoltano sia dato di fissare a cuor tranquillo la capanna di Betlemme, nella coscienza di aver ricopiati gli esempi derivanti dalla condizione del Pargolo divino. — Piaccia al Signore che tali esempi vengano imitati da tutti. Per tal modo la società, funestata da tanti guai, perché il giusto concetto dell’autorità è troppo spesso disconosciuto e da chi deve esercitarla e da chi deve sottostarvi, mentre si dimentica che essa è da Dio e non da altri, la società, dico, si risanerà col vero culto della autorità nel fondamento della medesima che è la famiglia. Ed a questi miei voti infonda efficacia la benedizione coll’indulgenza plenaria che a nome e per concessione del Sommo Pontefice sto per impartirvi ….

  Credo …

IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (141)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA

Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (8)

FIRENZE DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE VIII

Il Regno temporale de’ Papi.

46. Prot. Accordo dunque che al Papa veramente appartengono tutte quello sublimissime prerogative che egli si attribuisce come Capo Supremo visibile di tutta la Chiesa; ma egli non è di tutto questo contento: vuol’esser per di più anche Re temporale! Con ciò fa conoscere non esser più egli il degno vicario di Gesù Cristo, il quale non era al certo Re temporale, avendo chiaramente detto: « Il mio regno non è di questo mondo. » (Giov. XVIII, 36)

Bibbia. È scritto: « Quando (Gesù) fu vicino alla scesa del monte Oliveto, tutta la turba de’ discepoli cominciò lietamente a lodare il Signore,… dicendo: Benedetto il Re che viene nel nome del Signore. Ed alcuni de’ Farisei mescolati col popolo gli dissero: Maestro sgrida i tuoi discepoli. Ma egli rispose loro: « Vi dico che se questi taceranno grideranno le pietre. » (Luc. IX, 37 e segg.) E quelli che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro sclamavano dicendo: Osanna: Benedetto colui che viene nel nome del Signore: benedetto il regno che viene del padre nostro Davide.3» (Marc. XI, 9-10). E una gran turba di gente…. gridavano: Osanna: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele.» (Giov. XII. l2. 13.). – « Avendo i Principi de’ sacerdoti, e gli Scribi veduti i fanciulli che gridavano nel tempio: Osanna al figliuolo di David, arsero di sdegno, e dissero a lui: Senti tu quel che dicon costoro? E Gesù disse loro: Si certamente. Non avete mai letto: dalla bocca dei fanciulli, e dei bambini di latte hai renduta perfetta laude? » (Matt. XXI, 10, 13, 16). – Ora è certo che gli Ebrei aspettavano il Messia come restauratore del trono di Davidde, del regno d’Israele: cosicché i medesimi Apostoli, anche dopo la risurrezione del Redentore, erano persuasi che Egli ciò far dovesse per compimento della sua divina missione. «Unitisi insieme gli domandavano dicendo: Signore, renderai tu, adesso il regno ad Israele? » (Att. I. 6.) Quindi è certo, che qual Re temporale fu acclamato dai discepoli, dalle turbe, e dai bambini nel tempio. 2.° Che in questo senso reclamarono i Scribi e i Principi dei sacerdoti. 3.° Che Gesù nel senso Medesimo approvò quelle acclamazioni (non avendo fatto dichiarazione in contrario), e rintuzzò le grida de’ suoi nemici. Tutto questo chiaramente apparisce dai testi citati. Come poteva dunque Gesù diportarsi in tal modo, se non fosse stato realmente quale era da tanti acclamato? Poteva mai egli approvare, ratificare una falsita? No certamente. Ma egli ha detto: « Il mio regno non è di questo mondo. » Ciò avrebbe forza se lo avesse detto quando fu acclamato Re d’Israele; ma l’averlo detto davanti a Pilato, rende il caso molto diverso. Quindi per conoscere il vero senso di queste parole, è d’uopo riandare il fatto colle sue circostanze.

47. « Lo condussero a Pilato, e. cominciarono ad accusarlo dicendo: Abbiamo trovato costui che seduce la nostra gente, e proibisce di pagare il tributo a Cesare, e dice di esser egli il Cristo Re. » (Luc. XXIII, 1, 2, 3) « Entrò dunque di nuovo Pilato nel pretorio, e chiamò Gesù e gli disse: Sei tu dunque il Re dei Giudei? » (Giov. XVIII, 33 e segg.).

Ognuno vede dalla qualità dell’accusa, che la domanda fatta da Pilato non riguardava il diritto di Gesù, tanto più che era noto a tutti, né l’ignorava Pilato, esser egli il discendente di Davide, ma riguardava unicamente il fatto di cui era accusato, cioè se fosse vero che avesse tramato di togliere a’ Romani il regno dei Giudei, per mettersi Egli stesso in trono come loro Re. Questo e non altro dichiara Gesù non esser vero, essere una pretta calunnia dei suoi nemici, dicendo a Pilato: « Dici tu questo da te stesso, ovvero altri te lo hanno detto di me? » Vedendo Pilato la falsità dell’accusa, ne rovescia tutta la responsabilità sopra li accusatori, dicendogli: « Son’io forse Giudeo? La tua nazione, e i Pontefici ti hanno messo nelle mie mani: che hai tu fatto? » Sventata cosi la calunnia, Gesù risponde: « Il mio regno non è di questo mondo: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri certamente contrasterebbero, affinché non fossi dato in poter dei Giudei: ora poi il mio regno non è di qua. » Con tal dichiarazione primieramente Gesù torna a negare il fatto di cui era accusato, adducendo la forte ragione che, se ciò fosse vero; avrebbe avuto ministri in sua difesa contro i Giudei. Secondariamente conferma di nuovo il suo diritto, di esser cioè vero Re temporale; poiché non dice: Il mio regno non è in questo mondo, non è qui – ma dice – non è dì questo mondo, non è di qua: il che vuol dire che non appartiene al mondo, non lo ha, non lo riconosce dal mondo: nel modo stesso che se uno ti dicesse, questo libro, per esempio, non è di te, da te, verrebbe a dire che non è tuo, non lo riconosce da te, non te ne ha obbligo alcuno. Ed infatti, Gesù Cristo considerato come Dio è il Signore assoluto dell’universo, tutto è suo: e considerato come uomo il suo regno lo ha come discendente di Davide, il quale non lo ebbe dagli uomini, ma unicamente immediatamente da Dio; onde non ne ha verun obbligo al mondo. Che Gesù in questo senso parlasse è tanto vero, che Pilato medesimo così precisamente l’intese, e perciò tornò a dirgli: « Tu dunque sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici che io sono re. La qual risposta nella parola di Dio è affermativa, ed equivale a questa: Tu hai colto nel segno, è così. – Oltre a ciò è scritto : « Si accostarono a Pietro quelli che riscuotevano le due dramme, e gli dissero: Il vostro Maestro non paga egli le due dramme?… Ed entrato (Pietro) in casa, Gesù lo prevenne, e gli disse: Che te ne pare, o Simone? Da chi ricevono il tributo, o il censo i re della terra? Da’ propri figliuoli. o dagli estranei? Dagli estranei, rispose Pietro: E Gesù soggiunsegli: Dunque esenti sono i figliuoli. Con tutto ciò, per non recare ad essi scandalo, va’…. e paga per me e per te.1 » ( Matt. XVII, 23 e segg.). Ecco dunque che Gesù dichiara nel modo più preciso e formale di non essere obbligato a pagare il tributo, appoggiandosi alla ragione che a ciò obbligati non sono i figliuoli dei re non estranei, ossia i figliuoli dei re esistenti nel proprio regno; e per tal modo formalmente dichiara che Egli è figlio di re, e quindi che è vero Re temporale, e che ivi era nel proprio suo regno. Che poi col fatto non abbia voluto esser Re, ciò non impedisce che possa esserlo il suo Vicario; poiché non solo non ne ha fatto proibizione di sorta, che anzi volle a questo regno espressamente alludere, allorché dopo l’ultima Cena, comandò agli Apostoli di prender seco loro due spade, (Luc. XXII, 51), le quali, se ben rifletti, non poterono avere altro oggetto, altro significato che il doppio regno della sua Chiesa, spirituale, cioè, temporale. ,,

48. Prot. Ad ogni modo, se Gesù Cristo non volle esser Re, il Papa non può esserlo, se deve rappresentar Gesù Cristo.

Bibbia. Questa ragione a nulla vale; perché il Papa non rappresenta Gesù Cristo mortale, paziente, ma lo rappresenta già glorioso, trionfante, che « ha scritto sulla veste e sopra il suo fianco: Re de’ Re e padrone di coloro che imperano: » (Apoc. XIX, 16) Quindi non vi è inconvenienza di sorta, e molto meno peccato, anzi è del tutto conveniente che il suo Rappresentante sottoposto non sia agli umani capricci, che abbia un piccolo regno per la necessaria sua indipendenza. Di più, se questo regno è di vantaggio per la Religione, non solamente può averlo, ma avendolo non lo può rinunziare, perché è obbligato a profittare pel vantaggio della fede di tutti quei mezzi che la Divina Provvidenza gli somministra.

49. Prot. In verun modo può dirsi somministrato dalla Provvidenza Divina un mezzo indecente al sacerdozio, incompatibile col sacro Ministro, e del quale, perciò, mai si è dato esempio.

Bibbia. Davvero? Melchisedech, rappresentante in figura Gesù Cristo, era Gran Sacerdote e Re temporale.2 (Gen. XIV, 18). Noè, Giobbe. Abramo, Isacco, Giacobbe presiedevano ai loro sottoposti nello spirituale e nel temporale. Mosè fu sovrano temporale e Sommo Pontefice. (Esod. XVIII, 13 – XX. 11. e seg. – Levit. VIII. 1. e seg). Heli Sommo Pontefice « fu giudice d’Israele per quarant’anni » (I. Re, IV, 18) cioè fin che visse. Lo stesso dicasi di Giuda Maccabeo, e di tutti i suoi successori sino ad Erode, e di moltissimi altri prima di essi. Nel principio della Cristiana Chiesa, quando i fedeli mettevano i loro beni in comune, portandone il prezzo a’ piedi degli Apostoli. S. Pietro, che certamente ben conosceva gli insegnamenti e le intenzioni del Redentore, ne era il supremo depositario e dispensatore, governava i fedeli anche nel temporale, e con tale un’autorità, che col soffio potente di sua parola colpì di morte Anania e Saffira, perché convinti di menzogna circa il prezzo di un loro podere venduto. (Act. IV, V) Sicché, sebben S. Pietro non fosse in rigor di termine re temporale,, stando però al fatto, alla sostanza, è certo che sopra i fedeli temporalmente regnava, e quindi in qualche modo può dirsi che il primo Papa dei Cristiani ne fu anche il primo Re.

50. Prot. Io mi ritratto: la penso come voi: eccovi adesso i veri miei sentimenti. « Qualunque sia l’opinione che si possa avere sul governo ecclesiastico nello Stato della Chiesa, non si può tuttavia negare il fatto che da oltre mille anni tutti gli sforzi, e tutte le lotte de’ Bisantini e dei Longobardi, degli Imperatori di Germania e dei Re di Francia, dei Crescenzi e de’ Cola di Renzo; tutte le occupazioni di Roma fatte da eserciti stranieri, tutte le rivoluzioni aristocratiche e democratiche succedute in quella città, e gli esilii, e gli imprigionamenti, e le uccisioni de’ Papi, non hanno recato mutamento radicale nello Stato del Patrimonio di S. Pietro: lo hanno aumentato, non già diminuito. » Ferrara, per esempio, è un acquisto piuttosto recente dello Stato Pontificio. Questo cotanto mirabil carattere di durazione dello Stato della Chiesa, si spiega molto facilmente mercé il carattere storico e universale della Chiesa Romana. Questa Chiesa non può esser dipendente da un Monarca laico, come lo è la Chiesa Bizantina. Accadde da ciò, che durante il medio evo, fino a tanto che non vi era che aa solo Imperatore, essa si trovava in opposizione con lui. Ma dacché accanto dell’Impero Germanico la Francia, e più tardi la Spagna si elevarono al grado di grandi potenze Cattoliche indipendenti, egli divenne affatto impossibile di secolarizzare lo Stato della Chiesa, e dì far del Papa un suddito di un principe laico, perché se l’uno avesse tentato di renderlo suo suddito, li altri non lo avrebbero permesso. – Né lo Stato Pontificio può essere essenzialmente diminuito e circoscritto alla città di Roma e contorni, perché allora sarebbe assolutamente troppo debole riguardo ai suoi vicini. Ora siccome lo Stato della Chiesa è una condizione dell’esistenza dell’UNITÀ CATTOLICA, e poiché alcune grandi potenze e popoli latini quasi senza eccezione, i tedeschi in gran parte, e gli slavi, sebbene in minor numero, sono Cattolici ed appartengono a quella UNITÀ INCROLLABILE, perciò lo Stato della Chiesa continuerà ad esistere ad onta delle idee … ad onta di tutti i congressi, ad onta di tutti i MAZZINI e i GARIBALDI…. e ad onta di tutte le LAGNANZE degli ACATTOLICI TEDESCHI e INGLESI. » (Il protestante signor Volfango Menzel, nel sao Giornale di Letteratura: n. 90. Vedi il Cattolico (giornale) di Genova. 8 Genn. 1860. n. 3038). « Se tutti gli imperatori, re, principi e cavalieri della cristianità dovessero far valere i titoli, per cui giunsero al potere, il gran Pontefice di Roma ornato della sua triplice corona potrebbe benedirli tutti, e dir loro: Senza di me voi non sareste divenuti ciò che siete. I Papi hanno salvato l’antichità, e Roma merita di restare il Santuario pacifico, dove si conservano tutti i preziosi tesori del Papato. » (Herder, Filosofia della Storia). – « Gli avvenimenti dello Stato Pontificio…. toccano gli interessi ecclesiastici di tutto il mondo. La Chiesa Cattolica non è Chiesa provinciale, né nazionale: più antica di qualsiasi, formazione di Stati  dell’antico e del nuovo mondo, le sue istituzioni si sentono superiori ai confini ed ai poteri degli Stati, ed onorano nel Vescovo di Roma il loro Capo Supremo. La dipendenza di questo Vescovo da qualsiasi potenza temporale, porrebbe in pericolo la stessa indipendenza della Chiesa Cattolica. Le più importanti cose da essa operate, qual potenza religiosa e incivilitrice, sono dovute alla sua indipendenza dal poter temporale. La Chiesa non può abbandonare tale indipendenza, se non vuol esser tratta in mezzo a’ mutabili avvenimenti, principii ed aspetti politici, e risentire danni incalcolabili. La residenza del Capo Supremo della Cristianità in paese che non è unitario, ed il potere temporale del Papa sono le guarantigie dell’indipendenza di questo Capo Supremo, e di tutta la Chiesa Cattolica. » (Cosi il giornale protestante La Spener’sehe zeit: 1830. Ved, La Civiltà Cattolica: 19 Novemb. 1839. nella nota.).

61. Bibbia. Mi hanno fatto non buona impressione quelle tue prime parole: – Qualunque sia l’opinione che si possa avere sul governo ecclesiastico, etc. Forse il Papa governa male i suoi sudditi?… Che ne dice il mondo? Tu che ne pensi?

Prot. « Ho letto la settimana passata’ ne’ pubblici fogli che gli Stati del Papa sono i peggio amministrati di tutta l’Europa. Questa proposizione l’aveva letta già per lo innanzi moltissime volte, ma in che consista precisamente questa cattiva amministrazione, o come si dice – questo dispotismo papale, – e sin dove si estenda, ecco, vel confesso, ciò che non riesco a ben capire. – I nostri editori di giornali, e i nostri pubblicisti che si danno pena d’illuminarci, non si degnano poi di scendere alle particolarità che chiamano volgari. Tuttavia dee esser permesso ad un uomo del volgo d’indirizzar loro qualche domanda. – Domanderò adunque, in che consista definitivamente questo dispotismo del governo papale? Si è forse perché gli ecclesiastici vi compiono funzioni pubbliche? Ma durante parecchi anni vi ebbero in Roma assai meno ecclesiastici in funzione che in alcuni Stati della nostra Unione Americana, e i loro stipendi erano di molto inferiori a quelli dei secolari. – Si è forse perché il governo spende troppo? Ma il governo Pontificio è uno dei più economici di Europa. Gli stipendi degli alti funzionari non oltrepassano i 3mila dollari per anno, e tutta la lista civile ascende a circa 600mila dollari. – Il popolo vi e forse aggravato d’imposte? A Roma le imposte sono molto inferiori a quelle d’Inghilterra, di Francia e di Nuova York. – I Romani sono privi de’ benefizi dell’educazione? Gli Stati del Papa, con una popolazione minore di tre milioni, possiedono parecchie università, e fatta la proporzione col numero degli abitanti, la città di Roma ha essa sola più scuole libere che quelle di Nuova York. E d’altra parte, ciò che più importa, queste scuole frequentate sono da un numero ben più grande e considerabile di fanciulli. – Forse in Roma non si ha cura del povero, e non si bada ad alleviarne le pene e le miserie? A Roma, fatta sempre la proporzione colla popolazione, gli ospedali pubblici per gli ammalati, per gli indigenti, pei vecchi, per gli infelici di ogni specie, sono più numerosi e meglio tenuti che in qualunque altra città del mondo. Per ospitare le persone in queste case non si chiede loro né la patria a cui appartengono, né la religione che professano. – Ma forse questo detestabile governo papale ha ridotto il popolo alla povertà? A questo io rispondo che l’Olanda, la Francia e qualche altra nazione libera e illuminata racchiudono da tre a dieci volte più poveri che Roma. – Dove è dunque questo detestabile dispotismo? Il governo è una monarchia elettiva: vi si trova un regime dolce, pesi leggieri, pochissimi poveri, un’amministrazione economica, un’istruzione libera e a buon mercato per tutte le classi della società; infine gran numero d’istituzioni caritatevoli destinate ai bisognosi ed ai sofferenti. – Ardisco affermare che la sola città di Nuova York paga più imposte, prova maggiori perdite per l’infedeltà dei suoi funzionari, ha più di poveri da soccorrere, racchiude più figli senza istruzione, dee subire il triste spettacolo di più persone che si danno all’ubriachezza, al vizio, ad ogni maniera di depravazione, che noi chiamiamo rowdyism, in una parola, più di delitti che non ve ne siano in mezzo a tre milioni incirca degli abitanti degli Stati della Chiesa. » (Lettera del protestante sig. Taylor, stampata teste nel giornale americano il New York Mercuri. Vedi l’Armonia, etc. di Torino, 2 Agosto 1860. n. 179)

52. Bibbia. Se così è, perché mai tante grida, tante insidie, tante rivoluzioni, calunnie e persecuzioni contro il governo temporale del Papa?

Prot. « La persecuzione ordita contro la Chiesa per mano di apostati, tra cui ve ne ha di tali che si vorrebbero eziandio spacciare per credenti! va pigliando tuttora incrementi novelli, e se nulla veggiamo negli indizi che ci porgono i tempi, questa persecuzione riuscirà tosto o tardi ad un macello spaventevole. La rivoluzione non è mai che pigli di mira le cose temporali soltanto, ma tiene inteso l’occhio perpetuamente all’ordine divino. Inoltre ella dirige da principio li suoi assalti contro la Chiesa, e solo più tardi fulmina colle sue batterie i re, i principi, i ricchi e le classi dei possidenti.  

« Ma in genere i possenti della terra sono ciechi in quel che si attiene a questi primi cominciamenti della rivoluzione, e tale accecamento spingono tant’oltre da favorire la rivolta, scavandosi così una tomba che tranghiottirà i loro propri diritti. Si direbbe talvolta, vedendoli tenere una simile condotta, che per mezzo di cotali favori intendono rifarsi presso la rivoluzione della perdita dei loro diritti medesimi. I più furiosi assalti dei rivoluzionari han sempre per segno quel potere tra i poteri temporali che invoca, mentre pur vi si appoggia, il diritto del Dio vivente che ammette i diritti della Chiesa del Cristo.

« Volgiamo primieramente gli sguardi all’Italia. La persecuzione quivi, già son molti anni, organata dal governo Piemontese contro la Chiesa, ha soprattutto, io nol niego, per iscopo la forma esteriore di essa Chiesa, cioè, i beni ecclesiastici, il dominio temporale del Papa; ma in verità l’assalto è mosso contro il potere spirituale nascosto sotto quella estrinseca forma. Ora pelle genti cattoliche il potere spirituale dimora in questo segnatamente, che il Papa è Vicario del Cristo. E contro appunto il dominio del Cristo si scatenano i nostri cattolici (?) nell’irrompere che essi fanno contro la dominazione del Papa, eziandio temporale. Chiunque ripudia il Papa, ripudia il Cristo: adunque nessun’altra alternativa più rimane ai Cattolici, se non l’ammettere il Papa e il Cristo, o il non ammettere né Papa, né Cristo.

« Chi pigli la norma dalle condizioni presenti, quali lo han partorite, i capi politici dappoi mille anni, non che indotto, si trova irresistibilmente necessitato a non riconoscere come depositario della piena autorità apostolica un Papa, che dipendesse politicamente da un altro Monarca.

« …. E collo scopo medesimo di tutelare il dominio temporale del Papa, vediamo levarsi come un sol uomo non l’alto Clero soltanto, ossia l’Episcopato, ma pur anco (fatte pochissime eccezioni) il Clero in universale, armato del soccorso delle lettere pastorali e della preghiera; per questo medesimo fine il popolo dico prende così a petto l’opera del Danaro di S. Pietro; e per questo ancora drappelli di guerrieri magnanimi, con a capo il valoroso Lamoricier, tolgono in mano la spada della difesa.

« La Chiesa Cattolica, e nessuno lo disconosce, geme per ora in una profonda costernazione. Se nondimeno il Papa esce da strette così difficili, aiutatovi dai propri suoi mezzi, e da quelli che il mondo cattolico gli ha spontaneamente fornito, gioverà questo a dare all’elemento rivoluzionario una tale disfatta, quale non ha egli sofferto mai da tutte le violenti repressioni adoperate dopo il 1848, e d’altra parte un simile evento sarà per la Chiesa un mezzo di consolazione sì viva che altrettanta ella non ne ha più sentito da cinquecento anni al dì d’oggi.

« Quanto a noi troppo saremmo lontani dall’esultare per la decadenza del Papa e del suo poter temporale, perché non è già la Chiesa protestante quella in cui prò tornerebbe una tal caduta, ma unicamente la sua caricatura, la negazione, la mogia incredulità, e la folla stupida di coloro, che nel voler essere in voce di uomini di fede, si precipitano nelle braccia della crassa empietà e del suicidio morale, nelle braccia degli insensati protestanti dell’Inghilterra, dell’alleanza evangelica, degli iscritti al partito della Gazzetta Ecclesiastica, e di tutta la borra e il pattume della stessa specie. – Se anche qui e colà, alcuni membri della Chiesa protestante, benché animati dal vero spirito clericale, han manifestato la speranza che il decadimento del Papa recherà il trionfo della Chiesa protestante (nel che ci muovono a pietà del fatto loro), essi ci porgono in questo una prova d’imbecillità politica e religiosa, la quale è tutt’altro che convenevole per la nostra Chiesa. » (Cosi il celebre protestante prof. Leo d’Halle, nel suo giornale intitolato: Volh’shlat zur stadt und land, 1860. Vedi l’Armonia suddetta, 6 Ottobre 1860. n. 233.). « L’integrità degli Stati Romani deve essere considerata come l’elemento essenziale dell’indipendenza politica della penisola italiana. Nessuna invasione del territorio di questi Stati potrebbe avvenire, senza condurre a risultati di grande gravità e di’ grande importanza. » (Lord Palmerston Ministro Inglese; Nota a Lord Ponsomoby ambasciatore a Vienna – 11 sett.1847). « Qualunque cosa avvenga, il Papa ci sarà sempre imposto dall’Europa, sotto qualunque titolo si sia. Gli uomini di stato d’Inghilterra non accetteranno mai l’esautorazione del Papa. (Il medesimo, Risposta alla repubblica romana nel 1849, che domandava l’intervento dell’Inghilterra per distruggere il regno temporale del Papa. Vedi il Cattolico di Genova, 3 dic. 1859).