SANTO NATALE (2020): MESSA DEL GIORNO

MESSA DI NATALE (2020) TERZA MESSA DURANTE IL GIORNO.

Staz. a S. Maria Maggiore.

« In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio. Tutte le cose sono state fatte da Lui » (Vang.). «Tu, o Signore, in principio hai creato la terra: i cieli sono opera delle tue mani » (Ep.). « Tuoi sono i cieli e la terra, sei tu che hai creato l’Universo e tutto ciò che contiene » (Off.). L’uomo, che è stato creato da Dio, da Lui sarà ristabilito nella primitiva dignità. Cosi « il Verbo si fece carne ed abitò in noi” (Vang.). «Iddio, in questi ultimi tempi (cioè nei giorni messianici) ci ha parlato nella persona del Figlio, che è lo splendore della sua gloria » (Ep.). Così la Chiesa canta oggi che una gran luce è discesa sulla terra (Allel.). Questa luce ha brillato nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta, perché il Verbo è venuto nel mondo, ma i suoi non l’hanno ricevuto. A quelli invece che l’hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio (Vang.). « È infatti per liberarci dalla schiavitù del peccato, per purificarci dalle nostre colpe (Secr.) e per farci nascere alla vita divina (Poste.) che l’Unigenito di Dio è nato secondo la carne » (Ep.). Più di settecento anni prima di questa nascita, Isaia esaltava già la potenza dell’Uomo-Dio. «Un bambino ci è nato, egli porterà i segni della sua regalità. E i prodigi ch’Egli operò sono raffigurati in quelli che Dio fece quando liberò gli Ebrei dalla schiavitù d’Egitto (Vers. Dell’Intr.). Cosi, oggi come allora, «tutti i confini della terra sono testimoni della salvezza che Dio operò per il suo popolo » (Grad. Comm.). – La salvezza che Cristo ha realizzato nel suo primo avvento, la compirà alla fine dei tempi. « Dopo che Gesù ebbe operato la purificazione dai peccati, spiega l’Apostolo Paolo, sali in Cielo, dove è assiso alla destra della Maestà divina » (Ep.). La sua umanità glorificata partecipa dunque del trono dell’Eterno: « Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli: lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia » (Ep.). « La giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono » (Offerì.). « E un giorno, dice S. Luca, il Figlio dell’Uomo verrà nella sua gloria e in quella del Padre e degli Angeli suoi, per rendere a ciascuno secondo le proprie opere ». Quando Dio manderà di nuovo (cioè alla fine del mondo) il suo Primogenito sulla terra dirà: « tutti gli Angeli lo adorino » (Ep.). E ci sarà allora una trasformazione di tutte le creature, perché il Figlio di Dio, che non muta, rinnoverà le creature come si fa di un vestito vecchio (Ep.). E l’Apostolo in una settima citazione delle Sacre Scritture, che segue quelle che troviamo oggi nell’Epistola, aggiunge che « Iddio farà allora dei nemici di Cristo uno sgabello ai suoi piedi ». Sarà il trionfo finale del Verbo incarnato che punirà, nella sua seconda venuta, quelli che non l’avranno accolto nella prima; mentre farà partecipi della sua immortalità quelli che saranno nati da Dio, avendo questi accolto con fede e con amore il Verbo incarnato, come lo hanno accolto i Re Magi, venuti da lontano per adorarlo (Vangelo dell’Epifania, letto come ultimo Vang.). Ed essendo Gesù presente anche nell’Eucarestia, cosi come lo era a Betlemme, adoriamolo sull’Altare, vera mangiatoia, dove si trovò il Bambino Gesù, perché in questo tempo di Natale la liturgia grazie al Messale, ci rappresenta l’Ostia nel quadro di Betlemme. È nella gran Chiesa della Vergine, che a Roma rappresenta Betlemme, che si celebra la Messa del giorno di Natale, come vi si è celebrata quella di mezzanotte.

Incipit

In nómine Patris, ☩︎ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Àngelo del buon consiglio.]

Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum, quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un càntico nuovo: poiché ha fatto cose mirabili.]

Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un Bambino e ci è stato dato un Figlio, il cui impero poggia sugli òmeri suoi: il suo nome sarà Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem Natívitas líberet; quos sub peccáti jugo vetústa sérvitus tenet.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitù tiene sotto il gioco del peccato.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebraeos.
Hebr 1: 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus loquens pátribus in Prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et saecula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántia? ejus, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram majestátis in excélsis: tanto mélior Angelis efféctus, quanto differéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit Primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum omnes Angeli Dei. Et ad Angelos quidem dicit: Qui facit Angelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium autem: Thronus tuus, Deus, in saeculum saeculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti justítiam et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera mánuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu autem permanébis; et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu autem idem ipse es, et anni tui non defícient.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929 – imprim.]

[A più riprese e in molte maniere, parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni; ha parlato a noi per mezzo del suo Figliuolo, che egli ha costituito erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha anche creato il mondo. Questo Figlio che è lo splendore della gloria del Padre e la forma della sua sostanza, e che sostiene tutte le cose con la sua potente parola, compiuta che ebbe l’espiazione dei peccati; s’è posto a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli, fatto di tanto superiore agli Angeli, di quanto più eccellente del loro è il nome da lui ereditato. Infatti, a quale degli Angeli disse mai. Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generata? E ancora: Io gli sarò Padre, ed Egli mi sarà Figlio? E quando introduce di nuovo il primogenito nel mondo dice: E l’adorino tutti gli Angeli di Dio. Agli Angeli, poi, dice: Colui che fa dei suoi Angeli i venti, e dei suoi ministri guizzi di fuoco. Al Figlio, invece dice: Il tuo trono, o Dio sta in eterno: lo scettro del tuo regno è scettro di rettitudine. Hai amato la giustizia, e hai odiato l’iniquità; perciò, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di allegrezza a preferenza dei tuoi compagni. E tu in principio, o Signore, hai creato la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi passeranno, ma tu rimarrai, e tutti invecchieranno come un vestito, e tu li cambierai come un mantello, ed essi saranno cambiati. Ma tu sarai sempre quello, e i tuoi anni non finiranno mai.”].

S. Paolo era venuto a conoscenza delle persecuzioni che subivano i Cristiani palestinesi, convertiti dal giudaismo, e non gli sfuggiva i l pericolo che correvano di abbandonare la Religione cristiana per far ritorno a quella ebraica. A confortarli nella loro tribolazione, e a confermarli nella religione abbracciata manda loro dall’Italia una lunga lettera. In essa è dimostrata la grande superiorità del Nuovo Testamento su l’antico, e se ne deducono pratiche esortazioni. Il principio di questa lettera forma l’Epistola di quest’oggi. — Premesso che Dio ci ha parlato, un tempo, per mezzo dei profeti, in molti e vari modi, e, ora, per mezzo del proprio Figlio, prova, con diversi argomenti che il Figlio di Dio è molto superiore agli Angeli. Guidati dagli insegnamenti dell’Apostolo, portiamoci davanti alla culla di Gesù a venerare Colui che è:

1. La luce fra le tenebre,

2. Il Salvatore del mondo,

3. Il dispensatore delle grazie.

1.

Quando nasce il figlio di un re si fa festa in tutto il regno. Il giorno della sua nascita è considerato un giorno di letizia. La nascita di Gesù Cristo si festeggia in tutto il mondo: il giorno di questa nascita è il giorno del gaudio universale. Tutti vi prendono parte: adulti e piccini, fortunati e infelici. E perché tanto gaudio, da 19secoli, si rinnova di anno in anno davanti alla culla di Gesù? Chi è quel bambino che vagisce nella mangiatoia, che non balbetta una parola? Egli è l’interprete della volontà di Dio, egli è colui che rivela pienamente le verità che riguardano l’Altissimo. Nell’Antico Testamento erano state fatte al popolo ebreo divine rivelazioni: e questo tesoro delle divine rivelazioni rendeva quel popolo grandemente superiore a tutti gli altri popoli. Con l a nascita di Gesù Cristo comincia una nuova rivelazione. Udiamo S. Paolo:

A più riprese e in molte maniere parlò Dio un tempo ai padri per mezzo dei profeti: ultimamente, in questi giorni, parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo. Fin dal tempo deiprimi patriarchi Dio manifesta i suoi oracoli a uomini, che si è scelti come strumenti per manifestare la sua volontà. Non tutto è rivelato ai profeti, né a tutti è rivelata la stessa cosa. Una cosa è rivelata ai nostri progenitori, altra a Noè, altra ad Abramo. A Isaia è rivelato il parto della Vergine e la passione di Cristo. A Daniele il tempo della nascita del Messia; a Michea il luogo. La rivelazione è fatta come a frammenti, a più riprese, in modo che s’accresce col succedersi dei tempi.Orbene, il fanciullo che noi contempliamo nella culla di Betlemme, è strumento di rivelazione divina molto più completa di quella fatta per mezzo dei profeti, attraverso tanto volgere di secoli. Quel Bambino ci istruirà non solamente intorno a qualche verità, ma intorno a tutte le verità. Non ci istruirà in modo confuso, ma chiaro. Quel Bambino è il riflesso della gloria di Dio e l’impronta della sua sostanza; è il Verbo fatto carne. La dottrina che Egli insegna l’ha attinta nel seno del Padre. «Tutto quello che intesi dal Padre — dirà un giorno agliApostoli — l’ho fatto sapere a voi» (Giov. XV, 15). E la sua rivelazione non è riservata ai soli Ebrei: è fatta per tutti i popoli della terra. Questo profeta di tutti i tempi e ditutte le verità è anche il profeta di tutte le genti». « È la luce che splende fra le tenebre» (Giov. I, 5) dovunque esse si stendano. La luce che questo Bambino è venuto a portare porterà un nuovo ordine, che andrà estendendosi a tutto il mondo.

2.

Il Fanciullo che contempliamo nella culla è colui che si porrà, compiuta  l’espiazione dei peccati, a sedere alla destra della maestà nel più alto dei cieli.

Sofonia aveva predetto:« In quel giorno si dirà in Gerusalemme: … Il Signore, il Dio tuo forte sta in mezzo a te » (Sof. III, 16-17). Quel giorno è venuto. Il Fanciullo che vagisce è il Dio forte venuto a salvarci, espiando per noi i peccati. Attorno a lui l’occhio umano non scorge nulla che indichi chi strapperà i popoli al potere dei nemici. Dalle pareti tra cui vagisce non pendono i ritratti di antenati guerrieri. Alla soglia non vegliano soldati armati. Le sue mani non stringono la spada. Egli è avvolto nelle fasce, debole come tutti i fanciulli appena nati. Crescerà non in una scuola di guerra, ma in una bottega di falegname. Un giorno si assocerà dei discepoli, che non avranno mai combinato piani di battaglia, ma unicamente tese le reti nel lago di Genesaret, E se un giorno, uno di loro, in un momento di zelo, sfodererà la spada per difendere il Maestro; questi lo richiamerà prontamente: «Rimetti la spada al posto, perché tutti coloro che si serviranno della spada, periranno di spada» (Matth. XXVI, 52). – Gesù, come predisse l’Angelo a S. Giuseppe, «salverà il popolo dai suoi peccati» (Matth. I, 21). ma non per mezzo di eserciti. Egli combatterà non sterminando i nemici col ferro e col fuoco, ma consegnando se stesso alla morte come mite agnello. «E l’Agnello li vincerà, perché Egli è il Signore dei Signori e il R e dei Re» (Apoc. XVII, 14). Questo Bambino nella natura umana che ha assunto ha deposto la maestà divina, ma non il potere» (S. Zenone, L. 2 Tract. 9, 1). – I tiranni sorgono e scompaiono. I regni da loro fondati si dilatano, poi vanno restringendosi, e poi non sono che ricordi. Ma il tiranno, contro cui prende a lottare Gesù Cristo, regna da secoli. Ha posto il suo giogo sul primo uomo, e continua a porlo sopra i suoi discendenti. Il suo regno, che è il regno del peccato, si estende a tutto il mondo. Non c’è nazione, non c’è individuo che se ne possa sottrarre. « In vero tutti hanno peccato, e sono privi della gloria di Dio » (Rom. III, 23).Gesù Cristo sarà il liberatore di tutti. – Quel Bambino, è l’innocente, è il segregato dai peccatori. Egli è sfuggito al dominio di satana, e sulla croce lo infrangerà completamente. Da Adamo fino a Gesù Cristo ha dominato il peccato. Con la venuta di Gesù Cristo si inizia il dominio della grazia. L’impero di satana andrà perdendo terreno ogni giorno. I tempi dedicati agli idoli cadranno a mano a mano, e al loro posto sorgeranno chiese, in cui si innalzeranno preghiere al vero Dio, e a Lui si faranno sacrifici accetti, l’uomo è ora destinato alla morte eterna, e Gesù gli aprirà le porte della vita beata. Egli salirà al cielo a ricevere il premio della sua vittoria, e dietro di Lui saranno continuamente i suoi seguaci. Come aveva ragione l’Angelo di dire ai pastori: «Vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore che è il Cristo Signore» (Luc. II, 10-11).

3.

In principio hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani.

È la preghiera che il popolo d’Israele, schiavo in Babilonia, rivolge a Dio, perché lo liberi, e faccia risorgere Gerusalemme. Egli può farlo: è onnipotente (Salm. CI, 26). Lo stesso possiam dire Con S. Paolo del fanciullo di Betlemme. Egli è padrone del cielo e della terra: l’universo e quanto vi si contiene è suo. Egli può ricolmarci di tutti i beni. Non sconfortiamoci se non lo vediamo in una culla dorata, se non è difeso da cortine di seta, se il suolo della sua abitazione non è coperto di ricchi tappeti. « La povertà di Cristo è più ricca che tutta la roba, che tutti i tesori del mondo » (S. Bernardo. In Vig. Nat. Serm. 4, 6). Questo povero Fanciullo un giorno darà abbondanza di pane alle turbe affamate. Darà il camminare agli storpi, l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la loquela ai muti, la liberazione agli indemoniati. – Padrone della vita e della morte, ascolterà la preghiera delle sorelle di Lazzaro, e richiamerà dalla tomba, ove è già in preda alla corruzione, il loro fratello; scuoterà dal sonno della morte la figlia di Giairo, fermerà la bara che porta alla sepoltura il figlio unico della vedova di Naim; e, ridonata la vita al giovinetto, lo consegnerà alla madre. – Chi giace privo di tutto nella mangiatoia è il dispensatore dei regni. Un giorno dirà agli eletti : « Venite, o benedetti dal Padre mio; prendete il regno che vi è stato preparato dalla fondazione del mondo » (Matth. XXV, 34).Egli richiamerà i peccatori dalla morte alla vita spirituale. La peccatrice, il paralitico, ascolteranno dalla sua bocca la consolante parola: « Va, ti sono rimessi i tuoi peccati » (Luc. V, 20; VII, 48). S. Giovanni racchiude tutto in una frase: E della pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia » (Giov. I, 16). E intanto gli uomini cominciano a godere il dono della pace. Poco lontano dalla sua culla uno stuolo dell’esercito celeste canta: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Luc. II, 14). La pace tra Dio e l’uomo è stata inaugurata con la nascita del Redentore. Il Bambino di Betlemme è la vittima destinata a placare la divina giustizia offesa. La culla in cui piange è come un altare su cui comincia per noi il sacrificio che deve riconciliarci al Padre. Su questo altare versa lagrime; sulla croce verserà sangue, e sarà compiuto l’ultimo atto del sacrificio. L’opera è cominciata con l’offerta di pace; non respingiamola. È un dono che non troveremo altrove, perché, nessuno può dare quel che non ha. Togliamo prontamente tutto ciò ch’è d’ostacolo a questa pace, e godremo pienamente di questo giorno. Oggi dev’essere giorno di letizia. « Non è lecito dar luogo alla tristezza quando è il giorno natalizio della vita» (S. Leone M. Serm. 21, 1). Non potremo sottrarci alla tristezza se avremo il peccato su l’anima: via, dunque, il peccato. E se vogliamo gustare appieno la letizia, procuriamo di stringere al nostro cuore, sotto le specie eucaristiche, quel Bambino che contempliamo nella culla di Betlemme. – È commovente la storia del piccolo Giorgio, nipote del celebre ebreo convertito, Ermanno Cohen. Per obbligarlo ad abiurare la religione cattolica, che il fanciullo aveva abbracciato con la madre, il padre, ebreo, lo separa da questa, e lo conduce in un paese protestante, lontano quattrocentocinquanta leghe da lei. Si era fatto Cristiano per poter ricevere Gesù nella S. Comunione, e ora ne è severamente impedito. Era questo il suo maggior tormento. All’avvicinarsi di Natale può far pervenire allo zio i suoi lamenti: « Siamo alla vigilia di Natale, ed all’approssimarsi di questa solennità la sorveglianza si raddoppia per impedirmi di ricevere il mio Dio. Ahimè! Dovrò dunque passare queste belle feste nel digiuno e privo del pane di vita? Prego il Santo Bambino Gesù che il mio digiuno presto finisca ». Il non rimaner digiuno del pane di vita sarà appunto il modo migliore di assaporare tutta intera la gioia che ci reca la nascita di Gesù.

Graduale

Ps XCVII: 3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: tutta la terra acclàmi a Dio].

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizia. Allelúia, allelúia.]

V. Dies sanctificátus illúxit nobis: veníte, gentes, et adoráte Dóminum: quia hódie descéndit lux magna super terram. Allelúja.

[Un giorno sacro ci ha illuminati: venite, genti, e adorate il Signore: perché oggi discende gran luce sopra la terra. Allelúia.]

Evangelium

Joann 1:1-14
In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt. Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine. Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. (Hic genuflectitur) Et Verbum caro factum est, et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritátis.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di ciò che è fatto. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende tra le tenebre e le tenebre non l’hanno accolta. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne come testimonio, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, e il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio: a loro che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Genuflettiamo E il Verbo si fece carne Ci alziamo, e abitò tra noi: e noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigénito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]

OMELIA II

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la. sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII: 12; 15
Tui sunt cœli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli, e tua è la terra: tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: giustizia ed equità sono le basi del tuo trono.]

Secreta

Obláta, Dómine, múnera, nova Unigéniti tui Nativitáte sanctífica: nosque a peccatórum nostrórum máculis emúnda.

[Santifica, o Signore, con la nuova nascita del tuo Unigénito, i doni offerti, e puríficaci dalle macchie dei nostri peccati]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps XCVII:3
Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.

[Tutti i confini della terra hanno visto la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Præsta, quǽsumus, omnípotens Deus: ut natus hódie Salvátor mundi, sicut divínæ nobis generatiónis est auctor; ita et immortalitátis sit ipse largítor:

[Fa, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che il Salvatore del mondo, oggi nato, come è l’autore della nostra divina rigenerazione, così ci sia anche datore dell’immortalità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.