IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (8)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (8)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo VIII

COME LO SPIRITO SANTO OPERA LA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Come si realizzerà questo miracolo?

Come avverrà mai questo miracolo? Tale è il grido che parte dal cuore di Maria alla notizia del grande mistero che deve essere consumato nel suo grembo: la divinizzazione dell’umanità. Come posso essere madre, e Madre del mio Dio, io figlia di Adamo, costretta per voto irrevocabile alla sterilità perpetua? E se quello che nascerà da me è il Figlio di Davide, come può essere allo stesso tempo il Figlio dell’Altissimo? Se davvero possiede la natura umana come può possedere la natura divina? – Anche noi vediamo simili impossibilità quando ci viene annunciato il piano divino, che ci fa partecipare all’Incarnazione del Verbo di Dio. Perché, se proprio non c’è una perfetta somiglianza tra questi due misteri, c’è almeno un’intima analogia, ed entrambi sono superiori alle forze e alle esigenze della nostra natura. Possiamo anche chiedere come l’umile Vergine di Nazareth: Come può accadere questo? Alla nostra domanda, il messaggero dell’amore divino risponderà in un senso diverso, ma con la stessa verità, come l’Arcangelo rispose a Maria: « Lo Spirito Santo scenderà su di voi e la potenza dell’Altissimo vi coprirà con la sua ombra. E così il Santo che nascerà da voi sarà chiamato Figlio di Dio ».

Lo Spirito Santo verrà su di noi.

Lo stesso Spirito che è sceso nel grembo di Maria per prepararla a diventare Madre di Dio, è stato mandato nei nostri cuori per farci rinascere, per farci figli adottivi del Padre Celeste e fratelli e sorelle di Gesù Cristo: « Poiché Dio ha voluto farvi suoi figli – esclama San Paolo – ha mandato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida Abba Padre » (Gal. IV, 6). Queste due missioni, diverse nei risultati, sono ugualmente reali, e l’una è il complemento dell’altra. Lo Spirito di Dio è in noi, se abbiamo la felicità di essere in uno stato di grazia, come lo era Maria: come nel grembo di Maria Esso ha formato l’Uomo-Dio, così, unendoci a Gesù Cristo, ci rende uomini divini. A noi resta da capire, per quanto possiamo comprendere, in cosa consista la nostra divinizzazione. – Non è una divinizzazione per pura somiglianza, frutto della perfezione che un uomo può acquisire sviluppando le sue facoltà. Un abile pittore è in grado di riprodurre i lineamenti e l’espressione di un uomo vivo in modo tale che venga riconosciuto e si dica: è lui! Tuttavia, tra l’immagine della vita e la vita stessa c’è un abisso. Così l’uomo può rendere questa immagine sempre più simile, perfezionando la sua intelligenza con la conoscenza della verità, e la sua volontà con l’amore del bene. Alcuni uomini sono saliti a tal punto che sono stati chiamati divini: così si dice ad esempio “il divino Platone”. Nello stesso senso, si dice di un capolavoro d’arte, che è divinamente bello. Essendo Dio il modello sovrano di ogni perfezione, più divine sono le opere della natura e dell’arte, più si avvicinano alla perfezione. – È questa la natura della divinizzazione del Cristiano? Per niente! Supponiamo che l’uomo faccia, per secoli e per tutta l’eternità, un continuo progresso nella perfezione propria della sua natura; che la sua intelligenza penetri sempre più nella conoscenza della verità, e che la sua volontà si elevi altrettanto rapidamente sulla scala della virtù. Quando quest’uomo avesse raggiunto la vetta, sarebbe stato infinitamente al di sotto della perfezione conferita ad un bambino cristiano dal Battesimo. Perché la divinizzazione di quest’uomo sarebbe puramente metaforica, mentre quella del bambino cristiano è reale. – Quello che diciamo della natura umana lo possiamo dire anche della natura angelica. Secondo San Tommaso, tra gli spiriti puri ci sono tante specie diverse quante sono gli individui. Non c’è dubbio che le gerarchie celesti siano diverse l’una dall’altra, e che crescano nella perfezione dagli Angeli ai Serafini. – Ebbene, se il più eccellente di questi spiriti puri fosse stato lasciato nella sua condizione naturale, anche se la sua perfezione fosse stata incomparabilmente superiore alla perfezione naturale dell’uomo, sarebbe stato infinitamente inferiore al bambino battezzato. Quest’ultimo infatti è stato veramente elevato dal Battesimo all’ordine divino, che è infinitamente superiore a quello angelico.

La nostra divinizzazione non risultada un semplice contatto della divinità con l’anima.

La nostra divinizzazione non deriva dal semplice contatto della divinità con l’anima. Dobbiamo immaginare la santità dell’anima come il risultato di una sorta di contatto della santità divina? Supponiamo un bicchiere di ferro sporco e ammuffito. Un abile argentiere lo prende, e senza cambiarne la natura, anche senza toglierne la muffa, lo circonda con una placca dorata così ben aderente che assume tutte le forme del vaso e ne nasconde la bruttezza. Siamo santificati e divinizzati in questo modo? – Lutero la pensava così, ma il suo errore è stato anatemizzato dal Concilio di Trento. Secondo l’eretico, il peccatore può essere giustificato senza essere liberato dalla sua sporcizia e senza liberarsi del suo attaccamento al peccato: basterebbe che la giustizia di Gesù Cristo sia applicata per fede: da quel momento in poi l’uomo sarebbe giusto a causa di questa giustizia. Ed i suoi peccati quindi, senza essere distrutti, sono coperti. Dio non vede in lui le macchie dell’uomo colpevole, ma solo la santità del suo Figlio Divino. Così, per Lutero, Gesù Cristo, invece di distruggere i nostri peccati, non avrebbe fatto altro che nasconderli; invece di divinizzarci realmente, avrebbe coperto le nostre miserie con il mantello della sua divinità. Il Concilio di Trento ha definito che l’uomo peccatore riceve per la sua giustificazione una giustizia propria che, in luogo degli affetti colpevoli da cui lo libera, conferisce al suo cuore la carità divina e tutte le altre virtù soprannaturali. È di fede che l’uomo non è giustificato e divinizzato per il solo fatto di avere nel cuore la grazia e la carità increata, che è lo Spirito Santo. Affinché la nostra santificazione sia reale, deve essere posseduta da noi la santità; che le virtù naturali, che possiamo acquisire con il buon uso della nostra libertà, ci appartengono così come ci appartengono. La divinizzazione del Cristiano non deriva quindi dal contatto della divinità con l’anima, né dalla semplice somiglianza tra essa e la divinità. Le due spiegazioni peccano per difetto: la prima non attribuisce all’anima nulla di veramente divino; la seconda, avvicinando la divinità a noi, la lascia fuori di noi. Né l’uno né l’altro modo ci divinizza veramente.

La nostra divinizzazione non è unatransustanziazione, né l’unione divinadegli eutichiani. né l’unione ipostatica.

Per avere una certa idea di questa divinizzazione, dobbiamo concepirla come una sorta di transustanziazione? Siamo cambiati in Dio, o per grazia sulla terra, o per gloria in cielo, come il pane e il vino sono cambiati nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo con le parole della consacrazione? – Questo è stato apparentemente insegnato da alcuni falsi mistici del XIII secolo, secondo i quali l’anima che ha raggiunto la perfezione, si spoglia del proprio essere e si immerge nell’oceano dell’Essere divino. Interpretare in questo senso certe metafore dei Santi Padri, è cambiare la più sublime di tutte le verità in un’assurdità. Privarci del nostro essere non sarebbe divinizzarci, ma annientarci. D’altra parte, come può mai la creatura unirsi a Dio in modo tale che il suo essere limitato sia confuso con l’Essere infinito di Dio? Gettiamo allora questa assurdità fuori dalla nostra mente. La nostra divinizzazione non può consistere nella confusione del nostro essere con l’Essere di Dio. Né può consistere in quell’altro tipo di unione divina che alcuni discepoli di Eutiche avevano attribuito all’umanità del Salvatore e che Michele Server, bruciato vivo da Calvino, concedeva a tutte le anime giuste. Secondo questi eretici, la divinità anima e vivifica l’umanità, così come l’anima anima e vivifica il corpo. Così come l’anima e il corpo, sebbene diversi, formano in noi un’unica natura, così la divinità diventerebbe un’unica natura con l’umanità. Questo secondo errore è stato condannato dalla Chiesa, quando ha definito contro gli eutichiani che, anche nell’Uomo-Dio, non ci può essere confusione o mescolanza tra la natura divina e la natura umana. – C’è un terzo tipo di unione che non è impossibile, poiché è stata realizzata in Gesù Cristo, ma a cui gli altri uomini non possono aspirare, poiché è il privilegio esclusivo del Figlio di Dio: è quella per cui la natura umana, pur rimanendo distinta dalla divina, forma con essa una sola Persona. Basti dire che ciò che costituisce la grandezza di Gesù Cristo e che lo eleva, considerato come uomo, al di sopra delle nature create è che, in virtù di quell’unione, Gesù Cristo è vero Dio senza cessare di essere vero uomo. Il suo nome proprio, come abbiamo detto, è quello di Uomo-Dio, mentre il Cristiano è un uomo divinizzato.

Nel mezzo c’è la verità.

Le ultime tre spiegazioni peccano per eccesso, come le prime hanno peccato per difetto. La verità sta tra questi due estremi. Ma chi ce lo mostrerà? Due paragoni, familiari ai santi dottori e riprodotti dai due principali maestri della scuola cattolica: San Tommaso e San Bonaventura, spiegheranno questo dolce mistero. Il primo è preso dalla luce materiale. Due condizioni sono necessarie perché la terra sia illuminata: la prima è che il sole sia all’orizzonte; la seconda che invii i suoi raggi nell’atmosfera. Queste due cose sono diverse. La prova è che in un’eclissi, il sole, è sopra l’orizzonte, eppure siamo circondati dall’oscurità. L’illuminazione della terra richiede come prima condizione la presenza del sole; ma richiede che il sole irradi luce su tutta la natura. Così, secondo san Bonaventura, la giustificazione e la divinizzazione del Cristiano sono il risultato di due tipi di grazia: la grazia increata, lo Spirito Santo, che è come il sole, e la grazia creata che è l’irradiazione di quel sole divino sull’anima giusta. – San Tommaso usa un’altra immagine: quella del ferro fuso nel fuoco: « quel ferro non ha perso la sua natura, esso è ancora ferro, e senza dubbio viene privato delle qualità del ferro per essere rivestito da quelle del fuoco. Invece di essere scuro, freddo, resistente, è diventato duttile, splendente e bruciante come il fuoco. Non si è mutato in fuoco, ma è stata ignificato, bruciato. Così, il Cristiano al quale Dio si dona con la grazia santificante, conserva la sua natura umana e la sua personalità, ma acquisisce la forza e le qualità divine. Non diventa Dio, ma un uomo divino. Questa divinizzazione non è l’effetto di una somiglianza. È il risultato dell’intima unione dell’anima con la divinità, e dell’immediata influenza della divinità sull’anima: « Poiché, come il fuoco ha il potere di ignificare, così nessuna influenza può divinizzare l’anima se non quella della divinità, dando all’anima una partecipazione della sua somiglianza e natura » (I. II. Q. 112, a I). Questi paragoni non dissipano tutte le nebbie del mistero della nostra divinizzazione. Come tutti gli altri misteri, esso si vedrà chiaramente solo in cielo. Ma possiamo farci un’idea della divinità infinita che la grazia ci conferisce. Possiamo determinare il luogo che la nostra unione con Gesù Cristo ci segnala ad una distanza infinita dall’Uomo-Dio, ma ad una distanza altrettanto infinita da tutto ciò che è puramente creato. – Abbiamo trovato il giusto mezzo che cercavamo tra la divinizzazione puramente morale e figurativa, e quello che ci voleva spogli del nostro essere per rivestirci dell’essere di Dio; tra la semplice somiglianza e l’incarnazione. Così l’anima giusta possiede in sé una santità distinta dallo Spirito Santo; ma essa è inseparabile dalla presenza dello Spirito Santo in questa anima ed è quindi infinitamente superiore alla santità più alta che potrebbe essere raggiunta da un’anima in cui lo Spirito Santo non abitasse. Quest’ultima anima non potrebbe che essere divinizzata moralmente dalla somiglianza delle sue disposizioni con quelle di Dio. Il Cristiano, al contrario, è fisicamente e, in un certo senso, sostanzialmente divinizzato; poiché, senza diventare una stessa sostanza e una stessa persona con Dio, egli possiede in sé la sostanza di Dio e riceve la comunicazione della sua vita.

Dottrina di altri santi Dottori.

Abbiamo già visto i Padri cercare nella vera divinizzazione del Cristiano un argomento inconfutabile per dimostrare la divinità dello Spirito Santo, l’Autore di essa. Per corroborarla, essi studiano la natura di questa azione dello Spirito Santo nelle anime e sollevano il velo del grande mistero. Si servono per questo di diversi confronti per chiarire i due punti che abbiamo appena stabilito: l’unione, non solo morale ma anche fisica, dello Spirito Santo con l’anima del Cristiano e la somiglianza divina che ne risulta per l’anima di questa unione. – Ascoltiamo la comparazione proposta da San Basilio e ripresa da San Tommaso: « Come il ferro posto al centro di un braciere non cessa di essere ferro, ma quando viene bruciato e ignificato dalla forza della sua unione con il fuoco, assume il suo colore, la sua virtù e la sua natura: così gli spiriti santificati acquisiscono, mediante la loro unione con lo Spirito Santo per essenza, una santità che penetra nella loro sostanza e diventa la loro seconda natura. La differenza tra loro e lo Spirito Santo è che quest’ultimo è Santo per natura, mentre gli altri sono santi solo attraverso la comunicazione. (S. Basil. L. III, adv. Eunom. Max. MG: 29, 654). E qual è la santità che nello Spirito Santo è per natura e nella nostra anima lo è per comunicazione? È la vita divina – risponde San Basilio – che lo Spirito Santo possiede come sua propria, e che i Cristiani ricevono da Lui: « Perché la vita che lo Spirito Santo riversa nelle anime, distinte da Esso nella sostanza, non si separa da Lui; ma nella stesso modo  che – citando il fuoco che riscalda l’acqua o un altro corpo – lo stesso calore è parte del fuoco e parte dell’acqua, così lo Spirito Santo possiede in sé la vita divina, e chi la riceve giunge, proprio per questo, a questa vita divina e celestiale come conviene agli dei » (Ibid. p. 710). – Sant’Atanasio usa altri due paragoni: quello del balsamo che consacra re e sacerdoti, e quello del sigillo che incide la sua immagine nella cera: « Lo Spirito Santo – egli dice – è il balsamo con cui il Verbo consacra le anime, il sigillo con cui le segna: coloro che hanno ricevuto l’impressione di quel sigillo partecipano alla natura divina, come afferma San Pietro. Siamo fatti, per mezzo dello Spirito, associati di Dio, come ci insegna San Giovanni, da parte sua, quando scrive: “Sappiamo che abitiamo in Dio e Dio in noi, a causa del sigillo che ci ha dato dal suo Spirito.” Ma se la partecipazione dello Spirito Santo ci rende partecipi della natura divina, sarebbe una sciocchezza affermare che lo Spirito Santo non possieda quella natura e che è del numero degli esseri creati. Se ci rende divinità è evidente che la sua natura debba essere la natura di Dio » (S. Atanasio, MG: 26, 530). – San Cirillo di Alessandria ragiona allo stesso modo, e spiega il suo pensiero commentando le parole di San Paolo: “Siete segnati dal sigillo dello Spirito” (Efes. 1, 14). « Se il sigillo dello Spirito Santo ristabilisce la forma divina in noi, come può essere creato se attraverso di Esso, l’immagine dell’essenza increata si imprime nelle nostre anime? Lo Spirito Santo, infatti, non deve essere rappresentato come un pittore che traccia in noi l’immagine dell’essenza divina come qualcosa di diverso da Lui; ma, essendo Dio stesso e procedendo da Dio, Egli si imprime invisibilmente nel cuore di chi lo riceve, come un sigillo si imprime sulla cera; e da questa materia l’immagine di Dio si riforma nella natura umana in quanto entra per partecipare di Dio ». – Possiamo già vedere con quale cura questi santi Dottori distinguano la vera divinizzazione, prodotta nell’anima del Cristiano dalla sua unione fisica con lo Spirito Santo, dalla divinizzazione puramente figurativa che risulta da una semplice conformità di sentimenti. « Non basta – dice san Cirillo – la semplice conformità della nostra volontà con quella di Dio per formare in noi quell’immagine e somiglianza fisica; sono richieste la similitudine di natura e la perfetta conformità che viene dall’essenza stessa di Dio, presente in noi … Per essere veramente conformi a Dio, è necessario che la forma suprema, che è il Verbo di Dio, sia impressa dal suo Spirito sulle nostre anime » (S. Cirillo di Ales.: Dial. V. de Trinitate, MG: 75, 950). Questi sono i tesori che il Figlio di Dio è venuto a portarci e che sono stati la causa delle umiliazioni della sua incarnazione e della sua morte. Ora capiamo che se Dio si fosse fatto uomo e avesse versato il suo sangue per dare agli uomini una perfezione umana, sarebbe stato come abdicare alla sua sapienza, alla sua dignità e alla sua divinità; ma che un Dio si faccia uomo per divinizzare gli uomini, è un piano degno della sua sapienza oltre che del suo amore.

Capitolo IX

LA PARTE SPECIALE DELLO SPIRITO SANTO NELL’OPERA DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Cosa significa che « la nostra santificazione è l’opera dello Spirito Santo »?

Negli insegnamenti della Scrittura e dei Dottori sulla divinizzazione del Cristiano, c’è una formula che si ripete ad ogni passo e che potrebbe essere fraintesa, se non ne determiniamo con precisione il significato: quest’opera infatti è sempre attribuita allo Spirito Santo come sua opera speciale. La tradizione divide, tra le tre Persone della Trinità, le operazioni per mezzo delle quali siamo tratti dal nulla e condotti alla felicità eterna: la Creazione è attribuita al Padre, la Redenzione al Figlio e la Santificazione allo Spirito Santo. Questo significa che la nostra santificazione è veramente opera dello Spirito Santo, o che quest’opera gli si addice? Il lettore comprenderà presto il significato di queste due parole confrontando la parte attribuita allo Spirito Santo con quella delle altre Persone divine. Attribuiamo la Creazione a Dio Padre e la Redenzione a Dio Figlio. La differenza è così grande che chi sostiene che solo il Padre ci abbia creato o che nega che solo il Figlio ci abbia redenti merita di essere condannato come eretico. La fede cristiana ci insegna che l’onnipotenza, come gli altri attributi della divinità, è comune a tutte e tre le Persone. Tutti sono diventati parti uguali della creazione, ma poiché il Padre è in relazione alle altre due Persone della Trinità, il principio della Potenza e dell’Essere, gli attribuiamo soprattutto l’operazione per cui tutta la divinità è per gli esseri creati il principio di esistenza. Così attribuiamo a Dio Padre la Creazione, anche se non è esclusivamente sua. Nella Redenzione, al contrario, la fede ci dice che, se le tre Persone hanno lavorato insieme in quest’opera, creando la natura umana del Salvatore, una sola Persona, quella del Figlio, si è unita a quella natura, comunicandole la sua sussistenza, natura nella quale è nato, ha sofferto ed è morto, e con la sua morte ci ha salvati. Alcuni novatori dei primi secoli avevano negato questa verità. Dall’errata comprensione dell’unità della natura divina deducevano che Dio Padre avesse sofferto come Dio Figlio. Sono stati anatematizzati con il nome di patripasiani. – Cosa dobbiamo pensare allora dell’opera di santificazione? In che senso essa viene attribuita allo Spirito Santo? Deve questa essere paragonata all’opera della Creazione, o deve essere considerata come opera della terza Persona, allo stesso titolo per cui il riscatto è opera della seconda Persona? Non troveremo qui le stesse prove, né nella materia in sé, né nei monumenti della tradizione. Ci sono però cose che tutti ammettono e che non possiamo rifiutare senza separarci dalla fede.

Dottrina da tutti ammessa

Il cardinale Franzelin, nel suo Trattato De Trinitate, riassume in questo modo i punti che non danno adito al minimo dubbio: « la dottrina della Scrittura e dei Padri riguardo all’unione dello Spirito Santo con i giusti, dimostra con evidenza che, per quanto riguarda questa unione e la inabitazione santificante, c’è qualcosa di proprio e di personale dello Spirito Santo. Ma, d’altra parte, questa proprietà dello Spirito Divino non deve in alcun modo compromettere l’unità delle tre Persone nelle loro operazioni e nei loro rapporti con le creature. Alcune spiegazioni ci faranno sentire il senso e la verità di questa doppia affermazione. – Apriamo il Nuovo Testamento. Ovunque è attribuita allo Spirito Santo la stessa funzione: santificare le anime. È vero non di meno che il Padre e il Figlio non sono estranei a quest’opera. Il Sacramento che ci rigenera ci viene conferito a nome delle tre Persone. Tutte e tre vanno all’anima giusta e vi stabiliscono la loro dimora. Non si può negare, tuttavia, che una parte speciale sia costantemente riservata allo Spirito Santo. Come il Figlio di Dio fu inviato dal Padre per salvare il mondo, una volta terminata la sua missione, Egli promette di inviare il suo Spirito per completarla con la santificazione delle anime. Il Paraclito consolerà i discepoli addolorati per la partenza del loro amato Maestro. Egli li istruirà su tutto, ricorderà e farà loro capire ciò che Gesù Cristo ha insegnato loro. Non una volta, ma ben quattro volte, il Salvatore annuncia ai suoi discepoli questa invisibile missione dello Spirito Santo, destinata a succedergli nella sua missione visibile ed a completarla con successo. Infatti deve essere così reale e produrre così tanti frutti che, per goderne appieno, è opportuno che gli Apostoli siano privati delle gioie che danno i rapporti visibili con il loro Maestro. Non è forse questa l’espressione di un ruolo speciale affidato allo Spirito Santo nell’opera di santificazione delle anime? Dieci giorni dopo l’Ascensione del Signore, le promesse fatte agli Apostoli furono visibilmente mantenute. Lo Spirito Santo scende dal cielo sotto forma di lingue di fuoco, e non appena la Sua fiamma tocca la fronte degli Apostoli, questi si trasformano in uomini nuovi. La loro intelligenza è illuminata da luci sconosciute; il loro cuore brucia di ardore che non sarà mai spento. Una volta santificati, essi esercitano immediatamente il potere di santificare gli uomini. È impossibile non vedere in questo un intervento speciale dello Spirito Santo. Allo stesso modo San Paolo lo attribuirà costantemente allo Spirito di Dio. La sua teologia non è altro che la magnifica esposizione dell’unione dello Spirito Divino con l’anima del Cristiano. Ce lo mostra come abitante in essa come nel suo tempio, facendole vivere di una vita divina, le dà la forza di lottare contro le inclinazioni della carne, le comunica una sapienza infinitamente superiore alla sapienza di questo mondo, le ispira i sentimenti di Gesù Cristo, la brucia nelle fiamme della carità divina, prega in lei e le insegna a invocare Dio con amore filiale, deposita in lei il seme della vita eterna ed è per essa il pegno della felicità divina.

La Scrittura e la dottrina comune sono conformi alla tradizione.

Tutto ciò è ammesso dalla Tradizione e dalla Sacra Scrittura. Il nome stesso dello Spirito Santo, che la Chiesa ha dato alla terza Persona della Trinità, è la prova della sua azione santificante. Infatti, quel nome, perché è caratteristico e distingue esattamente la terza Persona dal Padre e dal Figlio, deve riferirsi ad una proprietà che è nello Spirito Santo in modo diverso rispetto alle altre due Persone. Ora, lo Spirito Santo non possiede in sé la santità in modo diverso dal Padre e dal Figlio. Questo nome può essergli particolarmente conveniente solo nella misura in cui ha una parte speciale nell’opera della nostra santificazione; poiché, come dice il Catechismo romano, « … Egli riversa in noi la vita spirituale e ci mette in condizione, attraverso le sue sante ispirazioni, di fare opere degne della vita eterna ». Egli è, secondo l’Apostolo, « lo Spirito di santificazione », e i Dottori della Chiesa gli attribuiscono « la virtù santificante ». Ci dicono, inoltre, che la sua caratteristica distintiva è quella di essere “il dono” per eccellenza. Come il Figlio procede dal Padre per mezzo della nascita – dice sant’Agostino – lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio per mezzo del dono. Non che sia essenzialmente dato alle creature, perché l’opera di santificazione delle anime è libera come quella della Redenzione e, di conseguenza, l’esistenza dello Spirito Santo è indipendente da essa. Ma poiché l’amore del Padre e del Figlio è il primo dono che fanno a se stessi coloro che si amano, è nella natura dello Spirito Santo essere dato a tutti coloro che sono oggetto dell’Amore divino. I Santi Dottori deducono la realtà della missione dello Spirito Santo dal fatto che Egli abiti in noi e che per mezzo di Lui il Padre e il Figlio dimorino ugualmente, come inseparabili da Lui. Essi ci dicono che, incidendo in noi la sua immagine, ci rende simili al Figlio che ce lo manda, e attraverso il Figlio al Padre; che unendoci a Sé, ci unisce al Padre e al Figlio. Da tutti gli insegnamenti dei Padri possiamo dedurre questa speciale partecipazione dello Spirito Santo all’opera della nostra divinizzazione. Il cardinale Franzelin ha quindi ragione nel presentare questo punto come indubbio. Non meno vera è la seconda affermazione dell’eminente teologo: « La parte propria e personale dello Spirito Santo nell’opera della nostra santificazione non può nuocere all’unità delle tre Persone in tutte le operazioni e relazioni esterne. – A volte ci lasciamo ingannare dal significato della parola “persona” applicata alle creature. Questo significato viene trasferito alla divinità e le tre Persone divine sono concepite come tre nature distinte, anche se simili. Rappresentiamo così il Padre come mandante del Figlio e il Figlio come obbediente al Padre. Quando i predicatori parlano del concilio della Divina Trinità, nel quale è stata decretata l’Incarnazione del Verbo, queste espressioni figurative sono prese alla lettera, e in quell’augusto concilio ogni Persona ha un ruolo diverso. Questo modo di concepire la Trinità non è altro che l’errore del “triteismo”; perché, se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo potessero dialogare tra loro, domandare e rispondersi, comandarsi e obbedirsi a vicenda, avrebbero tre intelligenze, tre volontà, tre nature distinte; sarebbero davvero tre dei. La loro unità non sarebbe altro che specifica, come quella di tre uomini che potrebbero essere simili in tutto e per tutto. Affinché le tre Persone non siano che un solo Dio, è necessario che siano non solo simili, ma anche identiche nelle loro proprietà naturali; che abbiano una sola e medesima intelligenza, una sola e medesima volontà e una sola e medesima operazione. Come possono quindi essere Persone diverse e in cosa consiste questa distinzione? Solo nel fatto che questa natura viene comunicata da una delle tre Persone e ricevuta dalle altre. Il Padre produce il Figlio, il Padre e il Figlio producono lo Spirito Santo. Produrre ed esser prodotto, sono due relazioni non solo diverse, ma anche opposte: in questa relativa opposizione, e solo in questo, consiste la distinzione delle Persone. Non cerchiamo di capire questo mistero, ammettiamolo con fede, come una verità innegabile. La teologia lo esprime con questo assioma: « in Dio tutte le cose sono una cosa sola, tranne i rapporti opposti delle Persone. »

Le opere delle tre Persone sono comuni a tutte e tre.

Da questa verità, ne scaturisce un’altra non meno vera. Poiché le relazioni delle Persone divine appartengono alla vita intima di Dio, la distinzione di cui esse sono causa, non può essere applicata alle opere che Dio vuole fare al di fuori di sé. Perché saranno necessariamente comuni a tutte e tre le Persone. Per questo motivo, abbiamo avvertito sopra dell’errore in cui saremmo caduti se avessimo attribuito la Creazione esclusivamente a Dio Padre. Tutti i teologi cattolici sono d’accordo nel sostenere questo assioma: tutte le operazioni esterne di Dio sono comuni a tutte e tre le Persone. Ma, stando così le cose, come può la Redenzione essere propria di Dio Figlio? Non è un’opera esterna di Dio? No, la Redenzione non è puramente e semplicemente esterna, perché, in un certo senso, è legata alla vita intima di Dio. La creazione dell’umanità del Salvatore, la sua conservazione, i suoi movimenti spirituali e corporei, appartengono all’ordine esterno della creazione ed è opera comune delle tre Persone. Ma ciò che è proprio del Verbo di Dio è l’unione, in virtù della quale Egli comunica a quella natura umana la sussistenza che riceve dal Padre suo, che lo rende Figlio di Dio. Attraverso questa unione la natura umana di Gesù Cristo penetra, in qualche modo, nella vita intima di Dio e partecipa alle relazioni delle Persone divine.

Applicazione della suddetta dottrina.

Nella divinizzazione del Cristiano possiamo considerare tre cose: la presenza di Dio nell’anima; l’unione dell’anima con Dio presente in essa, e il modo di essere che risulta per l’anima da questa unione. Che cosa può esserci in questo che sia esclusivo dello Spirito Santo? Non la prima delle tre condizioni, cioè la presenza di Dio nell’anima giusta; poiché essendo lo Spirito Santo inseparabile dal Padre e dal Figlio, non poteva abitare in un’anima senza le altre due Persone divine che coabitano con Lui. Questo è ciò che Gesù Cristo ci insegna quando promette di inviare il suo Spirito nelle anime dei suoi discepoli; poiché nello stesso tempo promette loro che, se osservano i suoi comandamenti, andrà da loro con il Padre suo e vi farà la sua dimora. Né si può attribuire allo Spirito Santo, come opera sua, il modo di essere soprannaturale che per l’anima deriva dalla sua unione con la Divinità, perché questa qualità, che abbiamo chiamato grazia creata, così come è stata creata, è opera delle tre Persone. Tutte le relazioni e le operazioni dell’ordine divino che sono, tuttavia, in essa, modificando le sue facoltà, sono il frutto della sua libera attività e hanno per loro causa primaria l’azione divina, comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo che produce, conserva, muove e governa l’intero universo. – Sia che la grazia sia considerata come la presenza di Dio nell’anima, o il modo soprannaturale di essere che distingue l’anima divinizzata, nessuno di questi effetti può essere attribuito allo Spirito Santo ad esclusione delle altre due Persone. Non c’è dubbio, però, che la grazia, considerata in questi due aspetti, è costantemente attribuita allo Spirito Santo dalla Sacra Scrittura e dai Santi Dottori. Per quale motivo? Due sono le ragioni addotte dal Cardinale Franzelin. In primo luogo, la divinizzazione delle anime è, tra tutte le opere di Dio, quella in cui il suo Amore si mostra più magnificamente e con più energia un’opera. Ora, lo Spirito Santo è l’Amore sussistente del Padre e del Figlio; è il termine sostanziale dell’atto, per mezzo del quale Dio ama la sua infinita bontà e in essa le sue creature. Perciò, per mezzo dello Spirito Divino, il Padre e il Figlio sono mossi ad operare la divinizzazione delle anime; Egli è, a titolo speciale, il principio della grazia. In secondo luogo, l’unione delle anime con Dio attraverso la grazia non è solo un principio ma anche un legame con l’Amore Divino; perché attraverso il suo amore Dio si unisce alla sua creatura e rispondendo a quell’amore, con un amore reciproco, la creatura accetta e consuma la sua unione con il suo Creatore. Poi, supponendo che il Padre e il Figlio si amino l’un l’altro per mezzo dello Spirito Santo, anche da Esso sono uniti alle anime. Egli è il legame sostanziale che li unisce a Dio e tra loro, così come in Dio si consuma l’unità delle Persone divine: « Il Padre e il Figlio – dice sant’Agostino – ci fanno comunicare con loro e tra di noi per ciò che è comune, cioè per lo Spirito Santo, Dio e dono di Dio » (Serm. XI, del Verbo Dom.).

L’unione dello Spirito Santo con le anime è personale.

Tutto quello che abbiamo appena stabilito è vero, ma è tutta la verità? Queste spiegazioni sono sufficienti a giustificare le affermazioni molto espressive della Sacra Scrittura e dei Dottori della Chiesa? L’unione dell’anima giusta con lo Spirito Santo non è forse più vicina e più reale? I due teologi moderni che più di tutti si sono applicati allo studio e all’esposizione della tradizione ecclesiastica, Petau e Tomassin, hanno accumulato numerose testimonianze dei Santi Padri, dalle quali sembra si possa dedurre che la santificazione delle anime sia veramente l’opera propria dello Spirito Santo, non nel senso che le altre Persone non cooperino a quest’opera, come cooperano all’Incarnazione, ma che, come tutta la Trinità divinizza sostanzialmente l’umanità di Gesù Cristo unendola alla Persona del Verbo, così tutta la Trinità divinizza accidentalmente l’anima giusta unendola alla Persona dello Spirito Santo. Come potrebbe lo Spirito Santo essere inviato dal Padre e dal Figlio, se non fosse stata una Persona diversa dall’altra? Una vera missione implica la reale distinzione tra chi invia e chi è inviato. Tutta la forza di questa argomentazione, come si vede, poggia sulla realtà della missione dello Spirito Santo alle anime che Egli santifica. Ma questa stessa missione presuppone che lo Spirito Santo abbia una parte speciale nella santificazione delle anime; che vi contribuisca in modo diverso dalle altre Persone. Supponiamo che non sia stato veramente inviato, e che questa missione non lo distingua veramente dal Padre e dal Figlio, ma nella misura in cui l’operazione per la quale è inviato sia reale in sé e diversa. – Il cardinale Franzelin distingue due tipi di missione quando parla delle Persone divine: quella visibile, che consiste nella manifestazione della loro presenza, e quella invisibile, che consiste in una speciale unione che Esse contraggono con le creature. Da questa nozione provata si può dedurre un argomento che ci sembra del tutto dimostrativo: la missione invisibile dello Spirito Santo verso le anime giuste è personale, posto  che serva a dimostrare la sua esistenza personale. Ecco allora, che se questa missione consiste nell’unione speciale della Spirito Santo con l’anima, allora questa unione è personale.

Come possiamo ammettere questa speciale unione dello Spirito Santo con l’anima giusta senza contraddire quanto detto sopra?

La difficoltà ci sembra irrisolvibile. Ricordiamo quanto è stato detto sull’Incarnazione che è anche, in un certo senso, l’opera esteriore di Dio e che non cessa di essere propria della Persona del Verbo. Non succede qualcosa di simile nell’opera di santificazione delle anime? In quest’opera abbiamo distinto tre cose: la presenza di Dio nell’anima, l’unione dell’anima con Dio e il modo di essere soprannaturale che deriva da questa unione. Abbiamo riconosciuto e dimostrato che il Padre e il Figlio sono veramente presenti, nell’anima giusta, con lo Spirito Santo; che cooperano ugualmente nelle abitudini e negli atti soprannaturali dell’anima; ma rimane un terzo punto che la maggior parte dei teologi perde di vista e dove si trova la soluzione alla difficoltà attuale. Tutti ammettono, nell’anima giusta, la grazia increata e la grazia creata. Ma si parla di santificazione delle anime come se consistesse solo nella grazia creata. Come se, tra il modo di essere dell’anima divinizzata e la presenza della Divinità in essa, non ci fosse unione. Tuttavia, gli insegnamenti della Scrittura e dei Santi Padri ci presentano la grazia creata come il risultato dell’unione dell’anima con lo Spirito Santo, che è una grazia increata: « La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm V, 5); « Da questo sappiamo che siamo in Lui e Lui in noi: perché ci ha dato il suo Spirito » (1 Gv IV, 13). Questi testi sembrano considerare l’anima giusta come accidentalmente unita alla divinità dallo Spirito Santo, come l’umanità del Salvatore è sostanzialmente unita alla divinità dalla Persona del Verbo. Questo non per attribuire allo Spirito Santo e al Verbo un’opera esterna che non tocca le altre due Persone allo stesso modo. Perché la prima di questa unione non è un’opera esterna più di quanto non lo sia la seconda.

Un’altra difficoltà.

Come può lo Spirito Santo comunicare all’anima giusta ciò che gli è proprio, senza comunicare la sua personalità? Questa difficoltà è più grave della prima, ma non è nemmeno essa irrisolvibile. È vero che lo Spirito Santo non ha altro che la sua personalità. Ma esercita nella divinità una doppia funzione, per mezzo della quale, fatta salva la sua intrinseca semplicità, può avere con le creature due relazioni diverse: è il termine della natura e della volontà divina; perché la terza Persona procede dalle altre due per volontà, come la seconda dalla prima per l’intelligenza. – Lo Spirito Santo è carità sussistente. Perché non ammettere allora che lo Spirito Santo si comunichi all’anima come carità, senza farne parte della sua sostanza? Perché la volontà del Cristiano non potrebbe essere fisicamente unita alla volontà di Dio per il termine sostanziale del suo atto, senza che la natura del Cristiano riceva la comunicazione della personalità divina? Non è questo da ammettere nel caso degli Angeli e dei Santi del cielo? Vedendo Dio così com’è, conoscendolo come Egli conosce se stesso, amandolo come Egli ama se stesso, ammessi alla partecipazione della sua vita intima, la loro intelligenza è immediatamente unita al Verbo, fine dell’intelligenza divina, e la loro volontà allo Spirito Santo, fine della volontà divina. – In questo mondo non vediamo il Verbo, lo possediamo solo per fede. Ma la carità della terra è della stessa natura di quella del cielo. Da ciò sembrerebbe che sia la prima che la seconda stabiliscano, tra la volontà del Cristiano e lo Spirito di Dio, un’unione speciale. Con questa unione, l’anima sarebbe divinamente santificata, posto che la santità consista essenzialmente nella carità, e la carità di cui essa sarebbe illuminata, sarebbe il risultato della sua  unione con la carità sussistente di Dio. Così, le parole di San Paolo sarebbero fedeli alla lettera: « La carità di Dio è stata riversata sull’anima giusta dallo Spirito Santo che le è stato donato. » La parte speciale attribuita allo Spirito Santo in quest’opera non danneggerebbe minimamente quindi l’azione comune delle tre Persone.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/26/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-9/

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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