DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Jer XXIX:11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.
[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis. [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Oratio
Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.
[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III:17-21; IV:1-3
Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

OMELIA I

[Mons. G. Bonomelli: Nuovo saggio di Omelie; vol. IV – Omelia XXI– Torino 1899]

“Fratelli, siate imitatori miei, e riguardate quelli che procedono nel modo, del quale avete l’esempio in noi. Perché molti, dei quali spesso vi parlavo, ed ora ve lo ripeto piangendo, operano da nemici della croce di Cristo; fine dei quali è la perdizione, il cui Dio è il ventre, e la gloria è a loro ignominia, che non amano che le cose terrene. Ma noi siamo cittadini del cielo, donde anche aspettiamo il Salvatore, Signor nostro Gesù Cristo; il quale trasformerà l’abiettissimo nostro corpo, modellandolo sul suo corpo gloriosissimo con quella operazione, con la quale può anche sottomettere a sé ogni cosa. Il perché, o fratelli carissimi e desideratissimi, mia gioia e mia corona, tenetevi così saldi nel Signore, o carissimi! Esorto Evodia e prego anche Sintiche a sentire lo stesso nel Signore. Prego te pure, compagno leale, le soccorri, come quelle che hanno combattuto per il Vangelo insieme con me e con Clemente e gli altri miei cooperatori, i nomi dei quali sono nel libro della vita. „ (Ai Filippesi, c. III, 17-21; c. IV, 1-3).

Anche queste sentenze sì piene d’affetto paterno si trovano nella Epistola di S. Paolo ai fedeli della Chiesa di Filippi. Ormai quella lettera quasi per intero nel corso dell’anno ecclesiastico è passata sotto i nostri occhi. Il metodo che noi teniamo di spiegare parola per parola le sentenze delle Lettere apostoliche, ha lo sconcio di dover ripetere non poche volte le stesse verità; ma ha pure dei vantaggi non lievi, tra gli altri quello di seguire passo passo l’Apostolo nelle sue esortazioni sì belle e sì eloquenti, di conoscere i bisogni, i mali ed i beni di quelle cristianità appena nate, che di poco si differenziano dai nostri, e di sentire, direi quasi, ad uno ad uno i battiti di quel cuore tutto zelo per la salvezza delle anime, e di addentrarci in ogni pensiero, anche minimo, di quell’altissima mente. Fu detto, ed a ragione, che il mezzo più facile e sicuro per conoscere un uomo, è quello di leggere le sue lettere: ciò si avvera singolarmente quanto all’Apostolo: la lettura e lo studio, anche ad intervalli, di queste lettere ammirabili, ci fanno entrare nei penetrali di quell’anima incomparabile e ce ne fanno sentire tutta la grandezza. Ma lasciamo da banda qualunque esordio, veniamo alla chiosa degli otto versetti che vi ho riportati. –  Il muratore, che costruisce il muro, prima di porre una nuova pietra, con la mano si assicura che quella già posta sia salda; così anch’io, prima di spiegarvi la lezione dell’odierna Epistola, debbo vedere alcune sentenze che le stanno innanzi, affinché apparisca il legame tra loro e l’armonia delle parti. S. Paolo, dopo aver esortati i Filippesi ad una santa letizia, e messili in guardia contro i giudaizzanti, i quali volevano legare il Cristianesimo alla legge mosaica; dopo aver detto che i veri circoncisi, i veri Israeliti sono i Cristiani, che hanno la circoncisione dello spirito, non quella inutile della carne; dopo aver detto che anch’egli fu addetto al giudaismo, ma che ora lo reputa fango per seguir Cristo che lo ha tirato a sè, prosegue esortando tutti a fare lo stesso, e scrive: “Fratelli, siate imitatori miei — Irnitatores mei estote, fratres. ,, Grande, o cari, è l’efficacia dell’esempio sugli animi nostri, e ben maggiore che non sia la efficacia della parola. Allorché noi vediamo un alto personaggio, il capo nostro affrontare pel primo i pericoli e superare i maggiori sacrifici, quasi nostro malgrado ci sentiamo spinti a seguirlo, e talvolta i codardi diventano eroi. Simone Maccabeo giunse coll’esercito sulla riva d’un torrente impetuoso: bisognava guadarlo: i soldati esitavano dinanzi al pericolo: Simone pel primo gittossi nel torrente e passò, e dietro a lui, pieno di entusiasmo, passò tutto l’esercito. Sulle rive della Beresina si accalcavano a migliaia i miserabili avanzi del grande esercito di Russia: il ponte era distrutto : i cosacchi incalzavano alle spalle: il fiume mezzo agghiacciato: i soldati, intirizziti dal freddo, atterriti, non avevano forza, sotto le palle nemiche, di ricostruire il ponte: un disastro irreparabile era imminente. Un generale si lancia nel fiume fino alle spalle: l’acqua gli gelava intorno alla persona, e vi stette alcune ore, di là incoraggiando i soldati e dirigendo i lavoranti alla ricostruzione del ponte, e salvò le reliquie dell’esercito (Il fatto è narrato coi colori più vivi dal Thiers nella sua storia dell’Impero; quell’intrepido generale del Genio francese era Eblé, che poco dopo morì). – L’esempio fa prodigi. Noi, uomini di Chiesa, dobbiamo camminare innanzi a voi, o laici, e guai se non lo faremo; ne renderemo conto strettissimo a questo Duce supremo; ma voi pure, o padri e madri, voi, o padroni, voi che tenete un’autorità qualunque, dovete precedere col buon esempio i vostri figli, i vostri dipendenti, i vostri soggetti in guisa da poter loro indirizzare le parole dell’Apostolo : “Fratelli, siate miei imitatori. „ – E non è questo orgoglio, o grande Apostolo? Pòrti innanzi come esempio di perfezione? Perché non dire piuttosto: Siate imitatori di Gesù Cristo? — No, non è orgoglio quello dell’Apostolo, che nelle sue lettere in faccia al mondo confessò tante volte le sue colpe; tre righe più sopra di queste parole egli confessa d’essere stato giudeo, ostinato persecutore della Chiesa: poi, il dire la verità, quando torni a bene altrui, benché ridondi a proprio onore, non è orgoglio, purché retta sia l’intenzione. Finalmente, se qui l’Apostolo propone se stesso in esempio, si associa tosto gli altri, scrivendo: “E riguardate a quelli che procedono nel modo, del quale avete l’esempio in noi; „ vedete cioè e seguite tutti quelli che tengono con me la stessa via: onde l’Apostolo conforta i fedeli ad imitare non solo sé, ma tutti quelli in genere che corrono la via della verità e della virtù. E d’avere buoni esempi, e seguirli animosamente, avevano bisogno anche i Filippesi, perché pur troppo avevano sotto gli occhi uomini, e non pochi, di scandalo. Udiamo S. Paolo. “Molti, dei quali spesso vi parlava, ed ora ve lo ripeto con le lacrime, operano da nemici della croce di Cristo. „ State sull’avviso, così l’Apostolo; se molti tra voi seguono la via retta, e potete e dovete imitarli, molti camminano per vie torte, e dovete fuggirli. E chi sono? Sono uomini che vi additai quando ero in mezzo a voi, e li conoscete: uomini, che con le perverse loro dottrine e prava loro condotta mi colmano di dolore e mi fanno versare lacrime amarissime; ve lo dico con una sola parola: “Sono nemici della croce di Cristo — Inimicos crucis Christi. „ Non dovete credere che con la parola croce l’Apostolo intenda significare la croce materiale: con la parola croce indubbiamente vuole indicare la dottrina di Cristo, come noi pure siamo soliti fare nel nostro linguaggio. Nondimeno vi deve essere una ragione speciale, per cui S. Paolo in questo luogo volle usare questa forma di dire, che non gli è famigliare, e deve essere questa: I giudaizzanti, che seguivano e perseguitavano da per tutto l’Apostolo con una rabbia implacabile, insegnavano doversi osservare la circoncisione e tutte le prescrizioni mosaiche, ma non si curavano gran fatto della mortificazione della carne e delle passioni: volevano tutto il bagaglio materiale della legge, ma del culto interno, della vita dello spirito, della crocifissione delle passioni, nulla o quasi nulla. Questi uomini S. Paolo li designa con la frase energica e felice di nemici della croce di Cristo; son gente, secondo san Paolo, che non vogliono patire, che non vogliono rinnegare se stessi, che non vogliono crocifiggere le malnate loro cupidigie, che respingono e combattono la dottrina di Cristo, che si compendia nella croce. – E di questi nemici della croce di Cristo quanti ne abbiamo noi pure, o carissimi! Nemici della croce di Cristo sono coloro che recitano, se volete, lunghe orazioni, che intervengono alle sacre funzioni, che ascoltano la S. Messa, che accettano tutto il simbolo, si dicono Cattolici, ma non vogliono rompere quella tresca nefanda, non vogliono restituire il mal tolto, ricusano di dar pace all’offensore, tengono mano a contratti usurai, si abbandonano all’ubriachezza ed ai bagordi, son pieni d’orgoglio, e se fosse possibile convertirebbero in oro le gocce di sudore dei loro operai, avidi solo di arricchire: ecco i nemici della croce di Cristo. Ricordino costoro la sentenza dell’Apostolo: “Quelli soltanto appartengono a Cristo, i quali hanno messo in croce la loro carne colle sue cupidigie e coi suoi vizi. ,, – E quale sarà la fine di questi nemici della croce di Cristo? Risponde l’Apostolo: “La perdizione eterna — Quorum finis interitus. Non ingannatevi, così nel vigoroso suo linguaggio S. Paolo: se fuggite la croce di Cristo, se l’odiate, se accarezzate la vostra carne, finirete nell’eterna perdizione. — Qui l’Apostolo, quasi sfavillante di nobile sdegno contro questi nemici della croce di Cristo, della quale sola egli si gloriava, ch’era tutta la sua sapienza, come protesta altrove, usa una frase piena di forza, ed esclama: “Questi uomini, il Dio dei quali è il ventre — Quorum Deus venter est. „ – Non vi è dubbio, la frase rovente cade su coloro, che per servire alla gola, col mangiare e col bere, a guisa d’esseri irragionevoli, non curano le leggi sante della temperanza, dimenticano e calpestano ogni dovere, e tutto sacrificano al ventre. Gran cosa! Grande è l’amore degli uomini al denaro, più grande forse ancora alla propria stima, all’onore: sommo poi è l’amore alla sanità ed alla vita del corpo; eppure, per saziare le voglie della gola si consuma il patrimonio, si disprezza il proprio onore e la stima del pubblico, e si fa getto persino della sanità del corpo e si accorcia la vita, tanta è la tirannia di questa passione animalesca. Che dico animalesca! Peggio che animalesca; perché non troverete animale, che, lasciato in balia a se stesso, ecceda i limiti del necessario e del conveniente: poiché ha spento il bisogno naturale di cibo, s’acqueta e cessa di nutrirsi, dove ché l’uomo già satollo ed ebro, ancora domanda cibo, ancora desidera il vino! Aveva ragione Crisostomo di scrivere, che ad alcuni fa più danno il ventre, cioè la gola sregolata, che il mare, allorché uscito dai suoi confini, inonda i campi vicini. Voi lo sapete, o cari, se il valicare alcun poco i confini della cristiana temperanza non è colpa grave, lo è sempre allorché si nuoce (e spesso ciò accade) alla salute del corpo, si perde la ragione, si reca scandalo e si fa soffrire la fame ai figli e alla moglie, e si corre pericolo di proferire bestemmie ed oscenità, e appiccar risse. È vergogna e somma per noi uomini e Cristiani, chiamati a servir Dio, servire al ventre! – Un’altra espressione aggiunge l’Apostolo per folgorare questi nemici della croce di Cristo: “E la gloria è a loro ignominia; „ e vuol dire: Costoro si fanno un vanto, una gloria di ciò che li dovrebbe far arrossire e vergognare: si vantano delle loro crapule, delle loro immondezze, dei loro vizi, mentre dovrebbero sentire la loro ignominia. È male il darsi in braccio alle passioni, quali che siano; ma il gloriarsi d’essere schiavi delle passioni e menarne quasi trionfo, è cosa intollerabile, è l’essere caduti in fondo al degradamento morale; e a tanta abiettezza e vergogna si giunge per alcuni Cristiani, i quali vanno con la fronte alta e portano in trionfo: i loro vizi! Quorum gloria in confusione est, grida S. Paolo. Davvero costoro, così continua l’Apostolo. “non amano, non gustano che le cose terrene — Qui terrena sapiunt. „ Vedeteli questi uomini, che non han gusto che per le cose materiali; parlate loro di Dio, della vita avvenire, della virtù, delle gioie della buona coscienza, della pace del giusto, della serenità dell’uomo, signore delle proprie passioni; essi si annoiano, si stancano, si offendono: essi non parlano che di passatempi, di affari, di teatri, di conviti, di balli, di piaceri sensuali; han perduto il senso delle cose dell’anima, e non gustano che le cose della terra: Terrena sapiunt. Ci vorrà un miracolo della grazia perché questi, tutto sensi e carne, si riducano ancora sulla via del cielo. A questi uomini, nemici della croce di Cristo, schiavi della gola, che non hanno gusto se non per le cose della terra, S. Paolo, con felice passaggio, contrappone la vita dei veri Cristiani, dicendo: ” Noi siamo cittadini del cielo, „ ossia, noi viviamo qui sulla terra come se già fossimo in cielo: Nostra autem conversatio in cœlis est. Codesti uomini dei quali vi ho parlato, son sempre fitti col pensiero e con l’affetto, con la mente e col cuore nelle cose misere e caduche di quaggiù: Terrena sapiunt; noi illuminati dalla fede, sorretti dalla speranza, portati sulle ali della carità, ci solleviamo in alto, viviamo in cielo. Come ciò si intende? Con tutta facilità. Noi abbiamo questo corpo, e finché viviamo, esso non può dimorare che sulla terra. Ma in questo corpo vive l’anima nostra: essa pensa ed ama, e non può non pensare ed amare, come il corpo non può non respirare. Il pensiero e l’amore sono le due perenni manifestazioni dell’anima nostra, sono le due ali, con cui vola là dove le aggrada. Dov’è l’anima nostra? Là dove è il suo pensiero e dove la ferma il suo affetto: il corpo è sempre qui sulla terra, ma l’anima è là dove vuole e come vuole e quando vuole la sua mente e il suo cuore. Vedete l’esule ebreo sulle sponde dell’Eufrate: il corpo  è là, l’anima sua s’aggira sui colli della sua Gerusalemme. Quante volte voi, che mi ascoltate, col corpo vi trovate lungi dalla patria, dal focolare domestico! E quante volte sorprendete il vostro pensiero e il vostro affetto che vagheggia le colline che circondano la patria, vi trovate in mezzo ai vostri cari! Si vive in un luogo col corpo, si può vivere altrove coll’anima, e si vive con essa là dove si pensa e si ama. Or bene, dilettissimi: noi siamo condannati a vivere col corpo qui sulla terra quanto piacerà a Dio: ma con l’anima possiamo e dobbiamo vivere là dove è la vera e stabile nostra patria, là dove sono i Santi, là dove è Dio, il Padre nostro, che ci aspetta, là dove staremo eternamente. Quando solleviamo la mente e il cuore a Dio, quando detestiamo il vizio ed amiamo la virtù, quando preghiamo, quando meditiamo le eterne verità, quando disprezziamo le cose della terra e sospiriamo quelle del cielo, allora noi viviamo in cielo, siamo cittadini del cielo: Nostra conversatìo in cœlis est. Quale felicità, o carissimi! Allora non si sentono, o si sentono più lievemente i mali della terra, e si pregustano le delizie, onde si saziano senza mai saziarsi i beati. In alto adunque, o cari, i nostri pensieri, in alto i nostri affetti e desiderii: Sursum corda! Cominciamo ora a vivere lassù, dove eternamente vivremo, ponendovi, come scrive S. Agostino, le primizie del nostro spirito. Seguitiamo l’Apostolo, il quale, dopo averci esortato a vivere fin d’ora in cielo, coglie l’occasione di rammentare un’altra verità fondamentale, che alla accennata si lega come l’effetto alla causa. Viviamo in cielo, ” donde aspettiamo il Salvatore Signor nostro Gesù Cristo. „ Gesù Cristo risorto e glorioso regna in tutta la sua divina maestà in cielo; nostro capo e modello lassù ci ha preceduto, di lassù guida i nostri passi con la fede, avvalora la nostra debolezza con la sua grazia, e di lassù alla fine dei tempi verrà a coronare i nostri sforzi e a compiere le nostre speranze. Come? “Trasformando l’abiettissimo nostro corpo, conformandolo o modellandolo sul suo gloriosissimo. „ Rallegratevi, gioite, esclama il nostro Paolo, riguardando il cielo: verrà giorno, nel quale Gesù Cristo, nella sua umanità, raggiante di luce, si mostrerà su questa terra: e come il sole, con la sua luce, riscaldando la terra, fa rigermogliare le piante e copre d’un verde ammanto tutta la natura, richiamandola ad una seconda vita, così Gesù Cristo, mostrando il suo corpo, quasi sole versante luce e calore di vita divina, farà risorgere dalla loro polvere i nostri corpi, li rivestirà di gloria, li riempirà d’una giovinezza fiorente ed immortale. Come doveva essere bello, sfavillante di luce e di gloria il corpo di Gesù Cristo, allorché l’anima sua fu ad esso ricongiunta e apparve alla madre e agli Apostoli! Ebbene: i nostri corpi in quel gran dì saranno forgiati sul corpo stesso di Gesù Cristo, come qui dichiara l’Apostolo, e “risplenderanno come il sole — Fulgebunt sicut sol.,, – “A che ti lamenti, così S. Bernardo parlava al suo corpo, a che ti lamenti? A che ricalcitri? A che combatti lo spirito? Se lo spirito ti umilia, ti castiga, ti assoggetta, lo fa Per il suo e per il tuo meglio… Pensa, che Colui, che ti ha fatto, ti trasformerà. „ Come potrà Egli, Gesù, trasformare il nostro corpo? ” Con quella operazione o con quella forza, con la quale può assoggettarsi ogni cosa, „ vale a dire, usando quella forza stessa, con la quale risuscitò il suo corpo, e con la quale signoreggerà a suo tempo ogni cosa. Gesù Cristo è uomo, ma anche Dio, e come Dio tutto può, e come con la sua parola trasse l’universo dal nulla, così con la stessa parola,  molto più facilmente, richiamerà alla seconda ed eterna vita i nostri corpi. – Ricordate queste sì alte verità, S. Paolo ad un tratto si rivolge ai suoi figliuoli spirituali, e scrive: “Perciò, o carissimi e desideratissimi fratelli, mia gioia e mia corona, tenetevi così saldi nel Signore, o carissimi! „ In queste affettuosissime parole si sente palpitare il cuore dell’Apostolo e del padre tutto tenerezza per i suoi figli. Uomo veramente ammirabile è il nostro Paolo! Scorrendo la sua vita e leggendo le sue lettere, noi troviamo in lui l’Apostolo intrepido, la tempra d’acciaio, il martire: ha pagine d’un vigore, d’una eloquenza irresistibile, rimproveri acerbi, parole di fuoco contro gli scandalosi, i seduttori, i corruttori della verità; e poi ad un  tratto il suo stile si muta, diventa dolce, insinuante, festivo, amabile, lo si direbbe il linguaggio, non d’un padre, ma d’una madre la più tenera. Egli riunisce in sé gli estremi, com’ è dei grandi uomini, e la sua parola veste tutte le forme con una rapidità e facilità singolare. Egli vuole raffermare nella verità insegnata i suoi Filippesi, e nella foga del suo dire per stringerli a sé e quindi a Dio, li chiama “sua gioia — gaudium meum; corona del suo apostolato — corona mea, desideratissimi; „ e quasi non trovasse più altre parole per versare la piena del suo affetto, ripete due volte la parola carissimi. Sembra di vedere questo uomo, già innanzi negli anni, logoro dalle fatiche e dai patimenti, carico di catene in fondo alla sua carcere di Roma, stringere al suo seno l’uno dopo l’altro i suoi neofiti e bagnarli delle sue lacrime. Un uomo, che con sì affocato affetto amava i suoi figli, doveva essere con eguale affetto da loro riamato, ed i Filippesi gliene diedero prova, mandandogli Epafrodito fino a Roma per consolarlo e soccorrerlo nella sua prigione e nei suoi bisogni. L’affetto vivissimo che legava Paolo ai suoi figli di Filippi, e questi a lui, dovrebbe essere il modello dell’affetto che deve stringere ogni pastore al suo gregge e il gregge al pastore. – La vera virtù è sempre graziosa, e non  manca mai di usare quei modi che sono voluti dalla buona educazione, e S. Paolo 1i osserva perfettamente nelle sue lettere, che si chiudono con molti saluti e cordialissimi auguri: “Io esorto Evodia e prego anche Sintiche a sentire lo stesso nel Signore. „ Evodia e Sintiche erano due ragguardevoli donne, e fors’anche signore, di Filippi, convertite probabilmente dallo stesso Apostolo, che avevano resi grandi servigi alla causa della fede, come tosto si dice; in qual modo lo ignoriamo; ma, secondo ogni verosimiglianza, con la parola e con i soccorsi materiali. S. Paolo non le dimentica, e poiché sembra che tra loro fosse sorto qualche dissidio (e dove non vi sono dissidi anche tra persone buone e virtuose?), soggiunge destramente : “Io le prego ambedue a sentire lo stesso nel Signore, „ che è quanto dire a ristabilire quella concordia, quella pace che deve sempre regnare tra le persone che servono al Signore, che camminano per le sue vie e sono informate dallo spirito di Gesù Cristo. Anche dissentendo tra loro in ciò che è lecito, non devesi mai rompere il vincolo della carità, a talché devesi sempre per amor di Dio avere un solo cuore. Poi, rivolgendo direttamente la parola ad un uomo, che doveva essere notissimo in Filippi, e che era stato suo leale compagno nell’apostolato, S. Paolo scrive: “E prego ancor te, o leale compagno, aiutale (cioè Evodia e Sintiche), come quelle che hanno faticato nel Vangelo con Clemente e cogli altri miei cooperatori. „ S. Paolo, come Apostolo, poteva certamente comandare; in quella vece prega, insegnandoci che è più conforme allo spirito cristiano, anche in quelli che tengono autorità, il pregare che il comandare, e meglio rispecchia la fratellanza e l’umiltà sì spesso e sì fortemente inculcata nel Vangelo. S. Paolo, tra gli altri suoi cooperatori, nomina Clemente, che può essere quello stesso, che poi tenne la cattedra di S. Pietro e scrisse le due magnifiche lettere ai Corinti, continuando l’opera pacificatrice del suo maestro, S. Paolo stesso. “I nomi di costoro, dice S. Paolo, sono scritti nel libro della vita. „ Certo nessuno di voi, o cari, penserà che Iddio tenga un libro, sia della vita, sia della morte, sul quale siano scritti i nomi, volete degli eletti, volete dei reprobi. Dio non ha bisogno di libri, Dio che tutto vede e conosce perfettamente: è un modo di dire che dobbiamo usare noi, uomini, parlando di Dio. Il libro di Dio è la sua scienza infinita, a cui nulla può sottrarsi, né in cielo, né in terra: e Dio conosce quelli che lo servono e lo amano, e questi sono chiamati alla vita eterna, e perciò si dicono scritti nel libro della vita. Carissimi! Viviamo in modo che i nostri nomi tutti siano scritti su quel libro della vita, a cui aspiriamo, libro che si scrive da ciascuno di noi con le opere sue, e dal quale nulla si scancellerà mai per tutti i secoli dei secoli.

 Graduale
Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.
[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]
In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja. [In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja. [Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

OMELIA II

[Mons. Bonomelli: ut supra – Omelia XXII– Torino 1899]

“Si accostò a Gesù, uno dei principali, e lo adorava, dicendo: Signore, la mia figliuola or ora è morta! deh! vieni, metti la tua mano sopra di lei e vivrà. E Gesù, alzatosi, lo seguiva con i suoi discepoli. Intanto una donna, che da dodici anni pativa flusso di sangue, venutagli alle spalle, toccò il lembo del suo vestito. Perché essa diceva tra sé: Se toccherò anche il solo lembo del suo vestimento, sarò guarita. Ma Gesù, rivoltosi, vedendola, disse: Confida, o figliuola; la tua fede ti ha guarita: ed in quell’istante la donna guarì. Intanto, venuto Gesù in casa di quel principale, vedendo i trombettieri e la turba che strepitava, disse: Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme: e si beffavano di lui. Ma come fu messa fuori la turba, egli, entrato, la prese per mano e la fanciulla si levò. E la fama ne uscì in tutto quel paese „ (S. Matteo, capo IX, 18-26).

Se avete posto ben mente al racconto evangelico, avrete rilevato che in esso si contengono due fatti, o piuttosto, due miracoli distinti, la guarigione d’una donna inferma da dodici anni e la risurrezione d’una fanciulla appena morta. I due fatti avvennero l’uno dopo l’altro quasi immediatamente, in Cafarnao, nel primo periodo della predicazione Gesù in Galilea. Questi due miracoli narrati da S. Matteo, si leggono pure nei Vangeli di S. Marco (c. V, 29 e di S. Luca (c. VIII, 41 seg.); la sostanza com’è naturale, è la stessa in tutti e tre gli Evangeli; ma vi sono alcune differenze circa i particolari, che sono degne di considerazione. – Il racconto fattone qui da S. Matteo è il più succinto: S. Marco e S. Luca notano alcune cose particolari, che non sono senza interesse. Io nella spiegazione mi terrò al racconto di S. Matteo, ma avrò cura di riempire le lacune, che vi si incontrano, con la narrazione più minuta di S. Marco e di S. Luca. – Gesù aveva guarito un paralitico; poi aveva chiamato alla sua sequela Matteo, che gli aveva imbandito un banchetto, al quale avevano preso parte molti pubblicani, della qual cosa, secondo il loro costume, si erano altamente scandalizzati i farisei. Il divino Maestro rispose alle loro accuse, e mentre parlava loro, ecco “Si accostò a lui uno dei principali (si intende di Cafarnao), e lo adorava. „ Matteo non dice chi fosse, né che ufficio tenesse, ma ce lo dicono Marco e Luca: egli si chiamava Giairo, che in nostra lingua significa splendente, ed era il capo della Sinagoga, ufficio onorevole, che portava seco la dignità di moderatore supremo delle adunanze. Giairo venne a Gesù e si gettò a’ suoi piedi, scrive S. Marco, e lo adorava, cioè gli si prostava innanzi in atto di grande venerazione. Forse lo credeva Dio-Uomo e come tale lo adorava? Non è verosimile. Lo doveva considerare, per la fama che ne correva, come un profeta, un santo, un operatore di miracoli, fors’anche il Messia, ma non poteva avere di lui un’idea precisa, come allora non l’avevano nemmeno gli Apostoli. Come dunque l’adorava? L’adorazione, mi direte, a Dio solo è dovuta. Certo l‘adorazione, che è il grado massimo del culto, si presta a Dio solo; ma nei Libri santi questa parola si trova usata talvolta anche per indicare un onore grande reso a personaggi ragguardevoli, onde leggiamo che Ester adorò Assuero e Abramo adorò gli Angeli, che furono suoi ospiti, e certo né Ester, né Abramo intesero adorare Assuero e gli Angeli come se fossero Dio. Presso gli Ebrei e gli orientali in genere v’era l’uso di prostrarsi e toccare la terra con la fronte dinanzi a grandi personaggi, e tale dovette essere l’atto compiuto da Giairo. Piacesse al cielo che i nostri Cristiani, che pur credono in Gesù Cristo, Dio-uomo, allorché entrano in chiesa, facessero a Lui nel divin Sacramento la metà di quell’onore e quella riverenza, che a Lui rese il buon Giairo! – Poiché quel capo della Sinagoga, che doveva essere fariseo, ebbe prestato a Gesù i suoi umili omaggi, gli manifestò lo scopo della sua venuta, e (qui metto la narrazione di Marco e Luca, per brevità omessa da Matteo), disse: “La mia figliuola è morente: deh! vieni e metti le mani sopra di lei, acciocché sia salva,- ed essa vivrà. „ Quest’uomo aveva fede, ma imperfetta e ben inferiore a quella del Centurione; credeva che Gesù potesse salvare la figliuola ancorché moribonda, ma reputava necessario la sua presenza, la sua preghiera, il tocco delle sue mani benedette.Se avesse avuto fede perfetta in Gesù, avrebbe dovuto dirgli: “Una tua parola, e la figlia mia sarà salva. „ Nondimeno Gesù non mostrò d’essere offeso, né tampoco ne fece cenno, lasciando che il miracolo ch’era per operare, illuminasse quell’afflittissimo padre. Il solo S. Luca nota un particolare della figliuola di Giairo, ed è che era unica, e toccava i dodici anni. A quella preghiera, a quelle lacrime del padre desolato, Gesù senza dubbio sentissi commosso, e incontanente levatosi, lo seguiva con i suoi discepoli, scrive S. Matteo, e gran moltitudine si affollava intorno a Lui, dicono S. Marco e S. Luca. Allorché una persona ci prega d’un favore, e ci prega ardentemente, e piange, se noi possiamo esaudirla e consolarla, se abbiamo un po’ di cuore, non possiamo rifiutare, ed è una gioia il fare ogni suo desiderio: pensate voi, se Gesù ch’era la stessa bontà e la stessa tenerezza, poteva rimandare sconsolato questo povero padre, che gli si era gettato ai piedi, domandandogli la vita della sua figliuola. Scorrete pagina per pagina tutti e quattro gli Evangeli, e voi non troverete che Gesù Cristo abbia rimandata una sola persona che lo pregava, senza esaudirla; vi è una sola eccezione, che io sappia, è quando i farisei gli chiedevano un miracolo in cielo, perché superbi, capricciosi e ostinati a non credere a nessuno dei suoi miracoli. Seguitiamo Gesù, che esce dalla casa, dove sedeva e ammaestrava, e si avvia alla casa di Giairo, che doveva essere vicina, nella stessa Cafarnao. Ciascuno può immaginare l’accorrere e l’agitarsi del popolo al primo spargersi la voce: Gesù va in casa di Giairo per guarire la sua figlia morente —. Era un domandarsi, un rispondere, un incalzarsi, un premersi intorno al Salvatore, ciascuno sforzandosi d’essergli più presso per vedere il miracolo, che speravano avrebbe operato. Mentre Gesù procedeva per la via spinto e quasi portato dalla folla, “Una donna che da dodici anni pativa flusso sangue, venutagli alle spalle, gli toccò il lembo della veste; perché diceva tra sé: Se toccherò anche solo il lembo della sua veste sarò guarita. „ Anche qui S. Marco e S. Luca toccano una circostanza speciale, che non si legge in S. Matteo, ed è questa, che questa donna era inferma da dodici anni, ch’erasi sottoposta alle cure di molti medici, che aveva in medici e medicine spesa tutta la sua sostanza, senza alcun giovamento, anzi piuttosto era peggiorata. Il Vangelo, di questa donna, non ci dice altro, né nome, né patria, nè come là si trovasse. Quell’infelice donna, ridotta alla miseria, e per giunta inferma, come tanti altri, aveva certamente udito parlare di Gesù e dei suoi miracoli: aveva sentito spuntare in cuore vivissima la speranza della guarigione. Ella diceva tra sé: Se posso toccare anche solo l’orlo della sua veste, io infallibilmente guarirò —. Vedete differenza tra la fede di questa poverella, che probabilmente sarà stata donna senza studio e illetterata, e Giairo, capo della Sinagoga, e perciò assai istruito. Giairo non crede che Gesù possa guarire la sua figliuola se non va a lei e non le mette le mani sul capo, pregando per essa; questa donna per contrario non dubita che Gesù possa guarirla di tratto, col solo tocco della veste, senza nemmeno essere pregato, né pronunciare una sola parola. La fede di questa donna è senza confronto superiore a quella di Giairo, e ancora una volta tocchiamo con mano, che spesso le persone rozze del povero volgo nella via della virtù, camminano innanzi ai dotti del secolo. E perché questa donna non si presentò a Gesù, non alzò la sua voce, chiedendo, come tanti altri, la guarigione, e volle ottenere il miracolo quasi furtivamente e per sorpresa? Era donna, forse estranea in Cafarnao, e in mezzo a quella moltitudine non osava domandare pubblicamente la guarigione. S’aggiunga da una parte la riverenza altissima che aveva per Gesù Cristo, come apparisce dal fatto, e all’altra la natura dell’infermità che la travagliava e la rendeva, secondo la legge, immonda, e immondi quelli che la toccavano; perciò, vergognosa di sé, e insieme piena di fede, s’accosta quasi di soppiatto a Gesù in mezzo a quell’ondeggiare della turba, sicura di essere guarita se le vien fatto di toccare quella striscia di panno ond’erano orlati i mantelli degli Ebrei.Spontanea qui s’affaccia una domanda: Se questa donna era sì piena di fede nella potenza i bontà di Cristo, perché mai non credette di poter ottenere la guarigione pregandolo occultamente, in cuor suo? Perché nella sua fede parve legare la certezza del miracolo al tocco materiale della veste di Gesù? Non poteva Egli operarlo senza bisogno di questo tocco materiale? E chi può dubitarne? Se la misera inferma avesse chiesto il miracolo in cuor suo, senza nessun atto esterno, e Gesù l’avesse esaudita, chi avrebbe conosciuto il miracolo stesso? Come sarebbesi potuto accertare? La manifestazione del miracolo e la sua certezza richiedevano che la donna facesse un atto esterno, a cui immediatamente corrispondesse la potenza di Gesù Cristo. Oltredichè noi siamo per natura siffatti, che allorché pensiamo, o desideriamo, o domandiamo alcuna cosa, lo manifestiamo esternamente con la parola o con gli atti: è un bisogno della nostra natura. Se vedo un amico assente da lunghi anni, lo abbraccio e lo bacio; se incontro sulla pubblica via un personaggio, mi levo il cappello e lo inchino; il povero, che chiede la elemosina, vi stende supplichevole la mano; ecco come tutti abbiamo il bisogno di mostrare materialmente con qualche atto ciò che sentiamo nell’animo. Quella poverella aveva fede vivissima in Gesù Cristo e nella sua potenza, e la mostra toccando l’orlo della sua veste. Tanta fede non poteva restare senza premio, e l’ebbe. “In quell’istante, narra S. Marco, si accorse nel suo corpo ch’era guarita. Come ciò? Forse in quell’orlo della veste era racchiusa una virtù risanatrice, come la elettricità nella pila di Volta? No, sicuramente. La virtù di risanare quella inferma non era nella veste, ma sì in Lui, che la portava, in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli, che vedeva tutto; Egli, che leggeva nel cuore di quella infelice, che sentiva il gemito dell’anima di lei, in quel momento, che fu tocco, colla sua onnipotente virtù la risanò. Alcuni uomini, che si credono dotti, si meravigliano e quasi tacciano di superstizione il popolo credente, che bacia la croce e che tocca le reliquie dei santi e le stringe al suo petto. Non pensino costoro che il popolo creda quella croce e in quelle reliquie contenersi una virtù speciale, no; se così credesse, peccherebbe di superstizione: il popolo bacia la croce, tocca, onora e bacia le reliquie, perché con la mente e col cuore intende di baciare quella croce, su cui Gesù Cristo morì, anzi intende di baciare Gesù Cristo stesso; intende di onorare e baciare quei santi, dei quali sono avanzi quelle benedette reliquie. E voi non conservate religiosamente le memorie dei vostri cari defunti, non tenete in luogo distinto e onorate i loro ritratti, e talora non li baciate? Perché credete che in quelle memorie e in quei ritratti palpiti la vita dei vostri cari? Voi pensate a loro, e vedendo, toccando, o baciando queste loro memorie, la vostra anima si unisce misteriosamente coi vostri diletti. In questi atti adunque dei devoti, che baciano e ribaciano la croce, le reliquie dei santi od altri oggetti di devozione, non vi è ombra di superstizione, come credono taluni, ma sì una manifestazione sensibile e viva di fede. – Ancora una osservazione. La donna, toccando con fede la veste di Gesù, fu guarita; e noi toccando non solo, ma ricevendo in noi il corpo adorabile di Gesù Cristo, e a Lui internamente unendoci, come non dovremo sentirci risanati dalle nostre infermità spirituali, e ripieni di quella vita divina, della quale Egli è fonte perenne? La donna, avuta la guarigione con quel tocco prodigioso, si ritraeva, pensate voi con qual gioia, credendo di rimanere occulta; Gesù, conoscendo in se stesso la virtù ch’era uscita da Lui (cioè il miracolo che aveva operato), rivoltosi alla turba, disse: “Chi mi ha toccato le vesti? „ In nessuno di noi può cadere il dubbio, che Gesù ignorasse ciò che era avvenuto e avesse bisogno che altri gli facesse noto il fatto e indicasse la donna guarita; Egli parlò in quel modo unicamente per far conoscere alla turba il miracolo e la fede della donna. – “Allora Pietro e quelli che erano con Lui (è il solo S. Luca che nota questa circostanza particolarissima),  dissero: Maestro, le turbe ti stringono, e quasi ti soffocano, e tu dici: Chi mi ha toccato? Ma Gesù disse: Alcuno mi ha toccato, perché io ho conosciuto che una virtù è uscita da me „ (c. VIII, 45-46). Da queste parole apprendiamo come Gesù, andando alla casa di Giairo, fosse da ogni parte premuto dalla folla. Or come avveniva, che toccandolo tanti e serrandosegli addosso, solo la donna, che con la punta del dito toccò il lembo della sua veste, fu investita dalla virtù di Lui e ad un tratto risanata da sì grave e incurabile infermità? La donna lo toccò con fede, e ottenne ciò che desiderava; gli altri lo toccavano sì, ma per curiosità, con poca fede, e non ne sentivano i benefici effetti. Similmente accade del continuo in mezzo a noi. Quanti toccano, anzi ricevono Gesù Cristo in se stessi: perché gli uni crescono in ogni virtù, e gli altri son sempre gli stessi, se non forse diventano più indifferenti e quasi peggiori? Quelli lo ricevono con fede, questi con indifferenza, e Gesù è a ciascuno quello che ciascuno con la preparazione vuole che sia. – Carissimi! Gesù, scrive S. Cipriano, tanto si dà, quanto trova l’anima preparata a riceverlo, come il sole tanto illumina i corpi, quanto sono disposti ad essere illuminati. Prepariamoci a riceverlo perfettamente e perfettamente lo riceveremo, come avvenne alla donna del Vangelo. Allorché Gesù pronunciò queste parole, dovette naturalmente fermarsi, e con Lui si fermò la turba che gli stava ai panni: in un istante fe’ silenzio intorno a Lui, e le sue parole furono udite dai vicini, che si interrogavano muti che cosa volesse dire; le udì anche la povera donna, che si vide forzata a confessare ciò che aveva fatto, e tutta rossa in volto trasse innanzi come poté, gittossi ai piedi di Gesù, e piena di timore e tremando: Timens et tremens, aspettandosi forse un rimprovero, in presenza del popolo dichiarò per qual ragione l’avea toccato e come in quell’istante era guarita (S. Luca, VIII, 47), e com’è bene credere, gli chiese perdono, lo ringraziò come meglio sapeva. E Gesù, rimiratala amorosamente, le disse: “Sta di buon animo, figliuola; la tua fede ti ha fatta salva, vattene in pace! „ (vers. 48). Quanta dolcezza! Quanta bontà in queste parole del Salvatore, che altrove ebbi occasione di spiegare e che gli sono familiari! – Allorquando Giairo si presentò a Gesù, la figlia era morente, dicono S. Marco e S. Luca: in quel frattempo essa era morta; e proprio in quella che Gesù lodava sì altamente la fede della donna, al padre, che doveva essere a lato di Gesù, giungeva un messaggero con la triste novella: “la figliuola è morta; non dar molestia al Maestro. „ Voleva dire: ora tutto è finito, ogni speranza di salvare la fanciulla è dileguata: il Maestro che potrebbe mai fare? Voi comprendete quanto fosse debole la fede di questa gente: essa, sembra almeno, lo teneva in conto d’un gran medico, o poco più, a talché, se lo credevano capace di guarire un infermo, lo credevano impotente a risuscitare un morto. Gesù udì le parole del messaggero, che doveva essere un servo di Giairo, e voltosi a lui, con piglio sicuro gli disse: “Non temere: soltanto abbi fede, ed essa sarà salva. „ Queste parole del Salvatore, avvalorate dal miracolo della donna, confortarono il buon padre e rinvigorirono la sua fede. Qui pure Gesù tutto ascrive alla fede, in quanto che per essa in qualche modo forziamo la mano a Dio;  la ragione si è che la fede viva, incrollabile rende a Dio, alla sua potenza, alla sua bontà e alle sue promesse, il massimo onore. – Qui è da ripigliare la narrazione di S. Matteo che abbiamo interrotta; egli, per amore di brevità, omise questa parte del fatto e fu riportata quasi con le stesse parole da san Marco e da S. Luca. Ora tutti e tre proseguono il racconto, e S. Matteo scrive: ” Venuto Gesù in casa di quel principale e vedendo i trombettieri e la turba che strepitava, disse: Ritiratevi, che la fanciulla non è morta, ma dorme; ed essi si beffavano di Lui. „ Per capire ciò che qui si narra è da sapere ciò che alla morte di qualunque persona, massime poi se distinta, si usava fare presso gli Ebrei, come presso i Greci ed i Romani, ed in altri paesi si usa anche al presente. Appena morta la persona, si raccoglievano nella casa uomini, e particolarmente donne, a ciò pagate, che sciolti i capelli e discinte, si agitavano, dimenavano le braccia, battevano le mani, piangevano, facevano lamenti, levavano alte grida, ricordando le virtù dell’estinto; poi si aggiungevano i suonatori di trombe e altri strumenti, ch’era uno strepito assordante. Di quest’uso abbiamo testimonianza indubitata presso gli storici profani, presso i poeti ed i profeti. (Vedi Geremia, IX, 17.) – Appena spirata la fanciulla, la casa fu invasa da tutta questa gente, e tanto maggiore era il concorso e il tumulto, in quanto che si trattava di famiglia distinta e doviziosa. Gesù alla vista di quella folla pare si turbasse alquanto e disse: ” Ritiratevi. „ Gesù non ama il rumore, il frastuono, che distrae lo spirito e turba la pace; ma la quiete, il raccoglimento, e più volte noi l’abbiamo visto lasciare la moltitudine e ridursi in luoghi solitari per riposare e pregare. Poi Gesù aggiunge: “La fanciulla non è morta, ma dorme. „ Essa era veramente morta; come dunque Gesù può dire che non era morta, ma dormiva? La morte, per quanti credono alla vita futura, non è morte, ma sonno: ci addormentiamo la sera quaggiù sulla terra e ci sveglieremo al mattino dell’eternità su in cielo; i defunti, secondo il linguaggio dei Libri santi, dormono e aspettano la voce di Dio, che li chiami alla seconda vita. Gesù dice che la fanciulla dormiva, perché quella morte, ancorché vera, non era durevole, e doveva tosto dar luogo alla vita, perché Egli l’avrebbe richiamata alla vita con quella facilità, con la quale altri ridesta una persona addormentata. – Anche di Lazzaro, Gesù disse che dormiva. A quelle parole gli astanti si misero a ridere e si beffavano di Lui — Et deridebant eum. „ Essi sapevano che la fanciulla era veramente morta, e non parendo loro possibile la sua risurrezione, lo schernivano, come un uomo che diceva una facezia, che in quel momento disdiceva e li rappresentava come scioccamente ingannati. Ecco, o cari, il mondo, sempre eguale a se stesso: deride ciò che non conosce: ha portato Gesù come in trionfo fin sulla porta di Giairo: a pochi passi ha udito proclamare un suo miracolo; e qui è accolto con le risa e con lo scherno. Non temiamolo, né curiamoci di Lui, seguendo l’esempio del divino Maestro. “Egli fece sgombrare la turba dalla casa, e vi entrò. „ Non era giusto che quegli irrisori fossero testimoni del miracolo, e che con le loro grida e col loro strepito turbassero la pace di quella casa. S. Marco ci lasciò una narrazione più particolareggiata di S. Matteo e di S. Luca, e perciò lui seguitiamo. – “Gesù non permise che alcuno lo seguitasse, se non Pietro, Giacomo e Giovanni, il padre e la madre della fanciulla, ed entrò dov’essa giaceva. „ Come della sua trasfigurazione, della  sua passione nell’orto, così della prima risurrezione operata in questa fanciulla. – Gesù volle testimoni i tre prediletti discepoli, e naturalmente i genitori. Fors’anche l’angustia del luogo difficilmente comportava maggior numero di persone: del resto v’erano testimoni bastevoli per attestare il fatto ed i particolari del medesimo, e come sarebbe cosa per o meno indelicata il domandare il perché d’ogni cosa che fa un personaggio ragguardevole, così sarebbe più che una temerità il voler scrutare le ragioni, per le quali Gesù volle soli questi cinque testimoni. – La fanciulla doveva giacere sul letto dov’era poco prima spirata, composto il crine, le mani congiunte, forse cosparsa di fiori, il viso pallido, pareva posare come persona stanca. Il momento era solenne, il silenzio assoluto, i genitori trepidanti, fissi gli occhi molli di pianto nel divino Maestro. Egli si avvicina alla fanciulla, la piglia per mano, e nella lingua del paese le dice: Thalita, cumi, ossia: ” Fanciulla, levati. „ Al suono di quelle parole onnipotenti, la fanciulla apre gli occhi, riguarda intorno, come se si svegliasse dal sonno, la vita scorre per le sue membra, il volto si colora, un sorriso sfiora quelle labbra dianzi livide, stringe le mani di Gesù, si alza a sedere sul letto, si veste e balza in piedi, e cammina: Confestim surrexit puella et ambulabat. Dire lo stupore, la gioia, le lacrime e i ringraziamenti di quei due genitori non è possibile; voi li potete immaginare. Gesù volle che a prova della risurrezione e guarigione perfetta della fanciulla le dessero tosto da mangiare. Io non spenderò parole a mostrare la certezza del fatto; la fanciulla era morta: Gesù non era presente: essa non aveva che dodici anni: non sarebbesi prestata ad un inganno: la fama della sua morte era divulgata: si derideva Gesù che affermava ch’essa dormiva: alla risurrezione sono presenti cinque testimoni, e possiamo dire, in un senso, tutta la folla che colà s’era raccolta: Gesù non applica rimedio alcuno: la chiama con due parole, e la fanciulla non solo risorge, ma è perfettamente guarita. “La fama di questo fatto, dice S. Matteo, uscì in tutta quella  contrada. ,, – Dilettissimi! Gesù, pregato dai genitori, si recò presso quella fanciulla, prima gravissimamente inferma, poi morta; col suo tocco, con la sua parola rifuse novella vita in quel freddo cadavere. Quanti sono gl’infermi, quanti i morti dell’anima! Mio Dio! quale spettacolo doloroso! Solo Gesù può guarirli, può risuscitarli: ma come Gesù andrà da loro? Vi andrà pregato, come pregato da Giairo, andò dalla figliuola sua. Preghino i genitori pei loro figli spiritualmente infermi o morti; lo preghino i sacerdoti, i pastori d’anime, lo preghino tutti quelli che amano le anime dei fratelli loro, e Gesù rinnoverà sopra di essi i miracoli della sua onnipotenza.

Credo…

Offertorium
Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.
[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta
Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris. [Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Communio
Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis. [In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio
Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

LO SCUDO DELLA FEDE (XXXIV)

 [A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

XXXIV.

L’EUCARISTIA.

Il mistero dell’Eucaristia. — L’errore del protestantesimo a suo riguardo e confutazione di esso. —Insegnamento chiarissimo che ce ne dà il “Vangelo. — Credenza degli apostoli. — Fede costante ed universale della Chiesa. — La Cena dei protestanti e la nostra Santa Messa. — Difficoltà ed obbiezioni.

— Sono più che soddisfatto delle belle cognizioni che mi ha date intorno al Battesimo, ed alla Cresima. Vorrei ora che mi soddisfacesse altresì intorno all’Eucaristia. Io so che la Chiesa Cattolica riguardo a questo sacramento insegna che il pane ed il vino per virtù delle parole consacratorie del sacerdote si tramutano nel vero corpo e sangue di Gesù Cristo, rimanendo solo del pane e del vino le apparenze, cioè la loro figura, il loro colore, odore e sapore; che Gesù Cristo perciò si trova realmente presente in quella piccola ostia consacrata e in ogni sua più piccola parte, e a un tempo stesso in tutte le ostie consacrate del mondo. Ma so pure che la ragione umana dinanzi a tanto mistero si arresta esterrefatta, esclamando: Possibile?

Ascolta, caro mio. Tu devi anzitutto, riguardo a questo Mistero, riflettere a quanto già dicemmo intorno ai misteri in generale, che essi cioè sono superiori alla nostra ragione, perché essa non li può capire, ma che perciò non sono ad essa contrari; né essa vede che siano impossibili. Di fatti per quanto questo mistero dell’Eucaristia sia avvolto di ombre ben dense, non di meno per quanto lo si esamini non presenta nulla d’impossibile e ripugnante alla ragione. Sembrerà impossibile in esso la tramutazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo per virtù delle parole consacratorie? Ma quelle parole sono di Gesù Cristo, e il sacerdote le pronuncia in suo nome. Come dunque la parola onnipotente di Gesù Cristo, che ha creato la natura delle cose, non potrà anche mutarla? Non ha Egli mutato l’acqua in vino? non muta ogni giorno il pane ordinario, che noi mangiamo nel nostro corpo? Sembrerà impossibile che il corpo del Signore si trovi tutto intero in una piccola ostia e in ogni minima particella di esso? Ma il Corpo di Gesù Cristo, che trovasi nell’ostia consacrata veramente e realmente, non trovasi tuttavia in modo naturale, ma sacramentale, vale a dire nella sua sostanza invisibile e indivisibile. Sembrerà impossibile che il Corpo dì Gesù Cristo si trovi presente in tutte le ostie consacrate del mondo? Ma se un corpo per divina onnipotenza ha ricevuto il suo modo di essere a somiglianza di quello di uno spirito, non potrà come questo divenire superiore ad ogni circoscrizione, non essere necessariamente determinato dalla quantità dimensiva di un luogo, e trovarsi ad un tempo stesso presente in più luoghi? Sembrerà un inganno che allo spezzarsi di un’ostia consacrata non si spezzi il Corpo di Gesù Cristo e rimanga intero in ogni parte di quella? Ma rompendo l’ostia si rompe forse la sostanza del corpo di Cristo? No, perché essa è indivisibile; solo si rompe la forma dell’ostia e la sostanza rimane in ciascuna anche minima particella, come rotto il pane, la sostanza di questo rimane anche nella minima briciola. Insomma vi sono certamente in questo mistero grandi cose per noi incomprensibili, ma nessuna che ripugni e che assolutamente si mostri impossibile. E di ciò la nostra ragione deve essere paga dal momento che Gesù Cristo ci ha rivelato Egli medesimo, che nell’Eucaristia vi è il suo corpo e il suo sangue.

— Ma non potrebb’essere che Gesù Cristo a questo riguardo abbia inteso soltanto di dirci che nell’Eucaristia c’è l’immagine e la figura del Corpo suo e non già propriamente la realtà?

Tu hai enunciata così la falsa credenza dei protestanti: i quali, senti il bel ragionamento che fanno: « Gesù soleva parlare figuratamente. Figure e parabole abbondano ne’ suoi discorsi, e i discepoli erano assuefatti ad ascoltarle. Egli disse: « Io sono la porta. — Io sono la vera vite; — Io sono la luce. — Io sono la via, la verità e la vita, eccetera ». Or quando Gesù dice : « Io sono la porta, la vite, la luce, eccetera », chi immagina che la parola dev’essere presa letteralmente? Nel linguaggio, che il Signore parlava, il verbo essere stava per rappresentare. Perciò adunque quando Gesù disse: « Questo è il mio corpo », le sue parole erano equivalenti a: « Questo rappresenta il mio corpo »; e i discepoli non ebbero la minima difficoltà ad intenderle così ». Ecco, caro mio, i sotterfugi e le falsità, cui ricorrono i protestanti per negare la reale presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia. – Essi dicono che Gesù Cristo soleva parlare figuratamente, che figure e parabole abbondano nei suo discorsi. Ma ciò lo ammettiamo anche noi; se ne ha quindi così da inferire che sempre Egli parlasse figuratamente e che però sempre il verbo essere si debba prendere nel senso di rappresentare? Allora anche quando Gesù Cristo fu interrogato se era il figlio di Dio, ed Egli rispose: « Io lo sono », deve aver inteso di dire: « Io lo rappresento». Non ti pare ? Ma questo sarebbe un ragionare da matti! Dunque le parole di Gesù Cristo bisogna prenderle in senso figurato solo allora che evidentemente vi si è costretti, ma non già quando è invece manifesto, che Egli parla nel senso naturale e proprio, come si tratta appunto nelle parole da Lui dette in riguardo l’Eucaristia. Perciò o negare addirittura la veracità del vangelo e la Divinità di Gesù Cristo, od ammettere senza più quello che è, trovarsi cioè nell’Eucaristia il vero Corpo e il vero Sangue di Gesù Cristo.

— Ma il Vangelo a questo riguardo è veramente chiaro?

È d’una chiarezza insuperabile sia nelle parole, con cui Gesù Cristo promise, sia in quelle con cui istituì questo sacramento. E siccome si tratta qui di cosa della massima importanza per la nostra fede io ti prego di voler attentamente ascoltare e ponderare tutto ciò, ancorché debba farti quasi un pezzo di predica.

— Stia certa che ascolterò e pondererò volentieri quanto lei mi dirà.

Dunque in quel dì, in cui Gesù Cristo prese a promettere questo grandissimo dono che cosa disse alle turbe dei Giudei? « Io sono il pane vivo disceso dal cielo, opperò chi mangerà di questo pane vivrà in eterno. E questo Pane che io darò a mangiare è la mia carne, questo corpo istesso che io esporrò alla morte per la salute del mondo ». E siccome a queste parole i Giudei si posero tra di loro a litigare dicendo: Come potrà costui darci a mangiare la sua carne! Gesù Cristo ribadendo ciò che già aveva detto, soggiunse; « In verità, in verità vi dico, che se non mangerete la mia carne e non berrete il mio Sangue, non avrete in voi la vita: chi mangerà la mia carne avrà la vita eterna ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno ». – Ora poteva Gesù Cristo adoperare parole più chiare per farci capire che realmente Egli avrebbe lasciato tra di noi, affine di essere cibo dell’anima nostra e restare in nostra compagnia, il suo Corpo e il suo Sangue? Per certo gli stessi Giudei credettero così, ma essendo essi troppo carnali e non potendo capire come Gesù Cristo avrebbe effettuato la sua promessa in un modo miracoloso, essi si spaventarono al pensiero di una scena d’antropofagia; epperò credendo che Gesù Cristo non potesse altrimenti compiere ciò che prometteva, che collo squartare il suo corpo e col darne a mangiare la sua carne sanguinante, perciò appunto presero a litigare fra di loro domandandosi vicendevolmente come mai fosse possibile una tal cosa. Anzi continuando Gesù a riaffermare la stessa asserzione, molti di essi, dicendo che quel discorso era troppo duro e che non lo si poteva capire, gli voltarono le spalle e da quel dì cessarono di essere suoi seguaci. Ma non perciò Gesù Cristo corresse o modificò quanto aveva detto, anzi lasciando andare quei Giudei si volse ancora agli Apostoli dicendo loro: Volete andarvene anche voi? E cioè: Non volete credere neppur voi che Io darò veramente in cibo la mia carne e in bevanda il mio Sangue? Se non volete credere, io non intendo di sforzarvi, epperò potete seguire l’esempio di coloro che mi hanno lasciato, ma se volete restarvi presso di me, se volete continuare ad essere miei discepoli è assolutamente necessario che crediate quanto Io ho asserito. – Ora dimmi, se Gesù Cristo che era via, verità e vita, se Egli che era tanto zelante nell’istruire i Giudei affine di salvarli, se Egli che era così voglioso di salvare le anime per modo da non perdonarla né a fatiche, né a disagi di sorta, se anzi per la salvezza delle anime Egli sarebbe morto sopra una croce, dimmi, al vedersi abbandonato da molti, che pure avevano già cominciato ad esser suoi seguaci, propriamente perché prendevano le sue parole nel senso più ovvio e naturale, qualora Egli nel promettere l’Eucaristia non avesse inteso di dare realmente il suo Corpo e il suo Sangue, ma soltanto un’immagine od una figura del medesimo, non avrebbe egli rattenuti quei Giudei, non avrebbe detto loro: « Fermatevi e calmatevi; voi non mi avete inteso? Nel dirvi che io vi darò in cibo il mio Corpo e in bevanda il mio Sangue non no già inteso di dirvi che ve li darò in modo reale; oh no, per certo! ma ho inteso unicamente di dirvi che vi darò una figura, un’immagine del mio Corpo e del mio sangue. Continuate adunque ad essere miei discepoli, e non abbandonatemi per un malinteso. Questo mio discorso, poiché è questo propriamente che intendo di dire, non è alla fin fine troppo duro, troppo difficile a capirsi ». Non ti pare che così veramente si sarebbe regolato Gesù Cristo in tale circostanza? Eppure no, egli tenne una condotta del tutto contraria; e dunque la condotta da lui tenuta non è una prova evidente della sua reale presenza nella SS. Eucaristia!

— Le assicuro che a me pare evidentissima.

Ma non lo è meno la prova, che ne risulta dalle parole, con cui Gesù Cristo istituiva l’Eucaristia. Ed in vero ci riferiscono gli evangelisti che Gesù Cristo nell’ultima cena prese del pane, lo benedisse e lo spezzò, e dandolo ai suoi discepoli disse: « Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, che per voi sarà dato »: che avendo preso un calice, rese grazie e lo diede agli stessi apostoli dicendo: « Bevete tutti di questo; perciocché questo è il Sangue mio del nuovo testamento, che sarà versato per molti in remissione dei peccati ». Or vi sono parole più chiare di queste! Non insegna apertamente Gesù Cristo per mezzo di esse che nell’Eucaristia vi ha quello stesso Corpo, che doveva essere per noi offerto in croce e quello stesso Sangue, che ivi pure doveva essere sparso? E se sulla croce offerse il suo Corpo e versò il suo Sangue non già in figura o sotto qualche immagine, ma il suo Corpo vero e reale, il suo reale Sangue, come si potrà credere ed asserire che Gesù Cristo nel dire agli Apostoli: « Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; prendete e bevete, questo è il mio Sangue », abbia inteso di dire: « Prendete e mangiate, questo pane è una figura del mio Corpo; prendete e bevete, questo vino è una figura del mio Sangue? ». — Questo suo ragionamento è fortissimo e decisivo. Ma ora mi dica un po’: gli apostoli hanno pur essi intese le parole di Gesù Cristo in questo loro vero senso!

Per certo gli Apostoli come non avevano esitato a prendere nel loro vero significato le parole di Gesù Cristo, quando promise l’Eucaristia, così non esitarono punto a prendere nel loro vero senso queste altre, con cui Gesù Cristo la istituì, epperò senza dubbio cibandosi di quel pane e bevendo di quel vino, che Gesù Cristo loro diede, credettero fermamente, che sebbene di pane e di vino conservassero l’apparenza, non erano più tali, ma in quella vece erano stati realmente tramutati nel vero Corpo e nel vero Sangue del loro adorabile Maestro. Se così non fosse, S. Paolo che aveva appreso tutto ciò dal Signore, per rivelazione, come gli altri Apostoli, dopo di avere brevemente narrato la istituzione di questo divin Sacramento, dopo di aver notato che Gesù Cristo non si contentò di dare il suo Corpo e il suo Sangue agli Apostoli, ma volle ancora farne dono a tutti i suoi credenti, comunicando a’ suoi Apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio la facoltà di fare la stessa cosa che egli aveva fatto fino a quel dì, in cui egli visibilmente ritorni su questa terra, se così non fosse, dico, questo apostolo avrebbe in proposito indirizzato ai cristiani questa raccomandazione e questa sentenza: « Si esamini adunque l’uomo, e solo dopo essersi esaminato ed aver riconosciuto di essere in grazia di Dio, solo allora si accosti a mangiare di questo pane e a bere di questo vino. – Perciocché chiunque mangerà di questo pane o berrà di questo calice indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo e si mangia e si beve la sua condanna »? (Vedi la Lettera ai Corinti, capo XI). Oh no, certamente, S. Paolo non sarebbe arrivato al punto da dir parole sì terribili, da dichiarare nientemeno che reo del disprezzo del Corpo e del Sangue di Cristo chi prende indegnamente la Eucaristia, e da sentenziare che costui si mangia e si beve la sua stessa condanna. Perciocché avrebbe avuto in animo di ingenerare nei Cristiani tanto orrore al prendere indegnamente l’Eucaristia, quando Egli, e gli altri Apostoli, e tutti i Cristiani di quel tempo avessero creduto che nell’Eucaristia non vi è altro che una figura, un’immagine di Gesù! Ah senza dubbio, è pur un mancar di rispetto a Gesù Cristo di sprezzando la sua figura e la sua immagine come mai nel commettere un tal mancamento si diventerebbe profanatori e rei non solo della figura e dell’immagine, ma del medesimo Corpo e Sangue di Gesù Cristo, e si meriterebbe per ciò di essere dannati? Come vedi adunque, le parole della promessa e dell’istituzione della SS. Eucaristia sono sì semplici, sì chiare, sì esplicite da non lasciarci il minimo dubbio sulla realtà della cosa. Epperò lo stesso Martin Lutero dopo di aver passata una notte intera colla febbre indosso su di queste parole, torturandole quanto più era possibile, affine di cavarne fuori qualche cosa d’altro che non fosse la reale presenza di Gesù Cristo, non vi riuscì affatto. Ed allora volendo ad ogni costo falsare la verità, alla quale aveva pur creduto per tanti anni, si diede ad asserire che nell’Eucaristia, per virtù delle parole consacratorie, non già il pane ed il vino si tramutano nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ma che il Corpo ed il Sangue di Cristo prendono ad essere nel pane e nel vino, avvenendo così una impanazione!

— Perdinci! Lutero ha mostrato così d’essere un talentone! Ma ora vorrei ancora sapere se la Chiesa ha sempre avuto ed insegnata questa fede della reale presenza, o se pure abbia per lo meno taciuto per varii secoli interno alla medesima.

La Chiesa sempre, con una costante ed universale tradizione, ha ritenuto ed insegnato quanto avevano appreso da Gesù Cristo ed insegnato ai primitivi Cristiani gli Apostoli. Ed invero a ricordare anche solo le testimonianze dei tre primi secoli, secoli, in cui gli stessi eretici confessano pura la Chiesa, S. Ignazio Vescovo e martire, discepolo di S. Giovanni Evangelista, parlando dei doceti, ossia fantasiasti, scriveva: « Costoro si astengono dalla Eucaristia, perché non confessano che l’Eucaristia è la Carne del Salvatore nostro Gesù Cristo, che patì pei nostri peccati e che il divin Padre risuscitò » (Vedi Lettera agli Smirnesi, VII). S. Giustino, martire nel secondo secolo, asseriva « che si era stati ammaestrati che la Carne ed il Sangue dell’incarnato Gesù è vero cibo » (Vedi Apologetico, I , 66). Tertulliano poi nel terzo secolo diceva: « La nostra carne si ciba del Corpo e del Sangue di Cristo, affinché anche l’anima sia impinguata di Dio » (Vedi Libro della risurresione, VIII); ma è chiaro che la nostra carne non si ciba del Corpo di Cristo per mezzo della fede e in senso figurativo. Bene si vede adunque quale fosse intorno all’Eucaristia la credenza dei Cristiani dei tre primi secoli. Né fu diversa in seguito: sempre e dappertutto si è creduto tra i cristiani che nell’Eucaristia Gesù Cristo è realmente presente, perché vi ha in essa il suo vero Corpo ed il suo vero Sangue. Così attestano i concili niceni, primo e secondo, il concilio Efesino, il Lateranese IV e molti altri; così attestano le liturgie che insino al secolo XVI servirono al pubblico culto in tutta la Chiesa, sia occidentale che orientale, così attestano le stesse antiche sette, gli gnostici, i valentiniani, i marcioniti, gli ariani, i nestoriani, gli armeni, i siriacobiti, i greci scismatici, che sempre circa questo dogma furono d’accordo colla Chiesa Cattolica, e che lo sono tuttora là dove essi ancora sopravvivono; così attestano gli stessi pagani con quella calunnia, con cui inveivano contro i Cristiani, di cibarsi cioè nelle loro adunanze secrete di carne e di sangue umano, calunnia che così formularono sulla mala e superficiale intelligenza che ebbero della pratica della comunione; così attestano infine una serie pressoché innumerevole di strepitosi miracoli, con cui il Signore intervenne egli medesimo con la sua infinita potenza a dimostrare la verità, miracoli, tra i quali spiccano quello avvenuto a Bolsena, e che servì di eccitamento a Papa Urbano ad istituire per tutta la Chiesa la festa del Corpus Domini, e quello avvenuto nel 1453 a Torino, del quale è testimonianza non solo la Chiesa innalzata sul luogo stesso del miracolo, ma la pittura che immediatamente dopo se ne fece in una delle sale del Municipio e che tuttora si può ammirare. Non è possibile adunque, a meno che si vogliano rigettare testimonianze sì forti e sì convincenti, non riconoscere e non credere che Gesù Cristo istituendo la SS. Eucaristia ha realmente perpetuato fra di noi la sua reale presenza e ci dà per essa in cibo e bevanda la sua Carne e il suo Sangue.

— Sì, è proprio così: bisogna assolutamente convenirne. Che cosa fanno dunque i protestanti riguardo all’Eucaristia, ch’ella mi disse avere ritenuta insieme col Battesimo?

Che cosa fanno? Ecco: si siedono ad una tavola che tengono nelle lor chiese, vi mangiano un po’ di pane e vi bevono un po’ di vino benedetto dal ministro, e questa chiamano la Cena; nella quale s’intendono ripetere ciò che già fece Cristo nel Cenacolo la vigilia della sua morte. Ma cotesta lor Cena con quella di Cristo ci ha tanto a fare, quanto i granchi con la luna. Il più bello poi è questo, che siccome v’ha tra i protestanti chi crede alla presenza di Cristo nell’Eucaristia e chi non ci crede, così può darsi il caso che a quella lor mensa si trovino due vicini, dei quali uno in tenda e creda ricevere realmente il corpo e il sangue di Gesù Cristo, e l’altro soltanto una immagine o figura del medesimo.

— Oh bella! e il ministro?

Il ministro dispensa la cena e d’altro non s’impaccia, lasciando che ognuno la pigli pel verso che meglio gli aggrada.

— Ad ogni modo nel rito che i protestanti compiono vi è, sì o no, consacrazione?

No, certo! Siccome i ministri protestanti hanno perduto il vero e legittimo sacerdozio, perché hanno guasta ed interrotta la legittima successione dei pastori, quantunque pronuncino sul pane e sul vino le parole miracolose di nostro Signore, non consacrano punto; e i loro discepoli che comunicano a quella loro mensa possono aver fede quanto vogliono, ma Gesù Cristo non lo ricevono.

— Vuol dire adunque che essi non celebrano neppur la Messa.

La Messa essi l’hanno rigettata col pretesto « che deroghi al valore dell’unico sacrifizio, che Cristo ha offerto per tutti una volta per sempre sul Calvario in croce ».

— E non è forse vero che Gesù Cristo ha compiuto un sacrifizio più che sufficiente per salvarci?

Verissimo: già te l’ho detto. E noi meglio assai dei protestanti riteniamo con certezza gli insegnamenti di S. Paolo a questo riguardo: « Che cioè Gesù Cristo non ha bisogno di far ogni giorno dei sacrifici, che egli ha adempito tutti i doveri dell’umanità verso Dio e ne ha espiati tutti i delitti, offrendo se stesso per una volta sola, che quest’unica oblazione basta a santificarci, che anzi basta a consumarci eternamente nella nostra santità » (Vedi Lettera agli Ebrei, capo VII, versetto 27, e capo X, versetto 10). – Ma con tutto ciò riteniamo pure che Gesù Cristo, dopo di avere egli celebrato la prima Messa nel Cenacolo, volle ancora che si avesse a celebrare sempre dagli Apostoli e loro successori, avendo detto loro chiaramente: « Fate quello che ho fatto io in memoria di me ». E così ritenendo non crediamo già, come dicono i protestanti, che tutte le messe che si celebrano siano altrettanti sacrifizi separati e distinti da quello del Calvario, ma crediamo invece che tutte le messe sono col sacrificio della croce un solo e medesimo sacrificio, e che perciò il sacrificio della Messa non aggiunge un millesimo al sacrificio della croce e non deroga minimamente al suo valore.

— Dunque il sacrificio della messa è lo stesso sacrificio del Calvario.

Lo spessissimo, poiché la vittima è la medesima, ed è pure medesimo il principale offerente, cioè lo stesso Gesù Cristo, il quale sul Calvario fu vittima e sacerdote visibile, e nella Messa è vittima velata sotto la specie del pane e del vino, ed è sacerdote invisibile celato nella persona del suo ministro. La sola differenza sta in questo, che il sacrificio del Calvario fu cruento, ossia collo spargimento di sangue, fu offerto una volta sola, e in quella sola volta soddisfece pienamente per tutti i peccati del mondo; il sacrificio della Messa invece è incruento, cioè senza spargimento di sangue, si può replicare, e per ordine espresso di Gesù Cristo si replica un numero infinito di volte e serve ad applicarci in particolare quella soddisfazione universale. Così per questo sacrificio Gesù Cristo applica agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi quelle grazie di salute, che dal sacrificio del Calvario scaturirono.

— Qui mi viene in mente una difficoltà. Se la Messa è il medesimo sacrifizio del Calvario e Gesù Cristo nel Cenacolo ha celebrato la prima Messa come avrà potuto rinnovellare il sacrificio della croce prima che quel sacrificio fosse stato offerto?

Anche questa è una difficoltà addotta dai protestanti. Ma, dimmi, se Gesù Cristo può far sì che il sacrificio del Calvario sia ora rinnovato e fatto presente per la Messa, non poteva far sì che nell’ultima cena per la Messa da lui sostanzialmente celebrata e istituita ne fosse anticipata la reale rappresentazione? Ed è ciò che Egli fece: l’istituzione dell’Eucaristia compiuta da Gesù Cristo nel cenacolo prima della sua passione e morte fu altresì un vero sacrificio, già, compreso anticipatamente nell’unico e gran sacrificio della croce.

— Ho inteso. Mi sembra tuttavia che i protestanti facciano pure per la Messa contro di noi Cattolici l’accusa che siamo idolatri, celebrandosi da noi la Messa alla Madonna, agli Angeli e ai Santi, anziché a Dio.

Sì, è vero, ci fanno pure questa accusa, ma falsa al pari delle altre. Il sacrifizio della Messa, essendo l’atto supremo del culto, col quale si adora Iddio, è a Lui solo che si può offrire, ed a Lui solo realmente lo offriamo. Ma pur offrendolo al solo Dio, lo ringraziamo dei favori speciali da Lui fatti alla Vergine, agli Angeli e ai Santi e con apposite preghiere interponiamo la loro mediazione presso lo stesso Iddio. Ecco tutto. E in ciò che idolatria c’è? Ma a questo riguardo, come pure se desiderassi farti un’idea più chiara della santa messa potresti leggere un mio libretto apposito, stampato nelle Letture Cattoliche del 1902.

— Ella mi ha dette cose bellissime intorno all’Eucaristia ed ha dissipate dalla mia mente molte nebbie. Mi piace pure assai che francamente e lealmente abbia messe innanzi le ragioni degli errori del protestantesimo a questo riguardo. Così ho potuto meglio conoscere la debolezza e vanità delle stesse e raffermarmi meglio nella verità di nostra santa Religione.