29 giugno: SS. PIETRO E PAOLO

Omelia di S. S. GREGORIO XVII – 1975

La solennità odierna è dedicata al ricordo e all’intercessione dei Santi Pietro e Paolo. C’è diversità tra i due. Gli antichi calendari, almeno dal secolo IV, hanno posto nello stesso giorno la passione di S. Pietro e di S. Paolo. Per questo motivo, e forse anche per risparmiare un giorno di festa, li hanno messi insieme, ma non è la stessa cosa, sia chiaro! Pertanto mi limito a parlare questa mattina di Pietro; avrò altre occasioni per parlare di Paolo. – Perché tutta la Chiesa è invitata a fare festa, solennità anzi, nel giorno del martirio di S. Pietro? Il martirio di Pietro fu illustre perché fu doloroso. Fu protratto; non fu ucciso d’un colpo ma crocifisso; dovette attender la morte fra dolori lancinanti, mirabilmente sopportati. Ma non è questa la ragione per cui si fa solennità oggi. La ragione sta in quelle parole (Mt XVI, 13-19) che avete sentito leggere ora dal diacono e che sono state rivolte da Cristo a Pietro e a tutti i suoi successori, perché Gesù non aveva davanti soltanto l’arco di vita di Pietro, ma l’arco di vita dell’umanità. Le parole erano queste: “Tu sei Pietro e su questa pietra edifico la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa; e do a te le chiavi del Regno dei Cieli, e quello che avrai stabilito in terra è stabilito in Cielo, e quello che avrai sciolto in terra sarà sciolto in Cielo” (Mt XVI, 18-19). Non esiste nella storia dell’umanità un’arditezza che abbia avuto il coraggio di far dare un simile potere ad un uomo. Ma, lasciando ora la questione dell’unicità di questo discorso, esso porta alla ragione per cui esiste la solennità di S. Pietro. Per questo motivo: egli rappresenta il capo del Regno di Dio visibile in terra, il capo di quello che conduce la storia del mondo e che decide della salvezza eterna di tutte le singole anime, appartengano sia al corpo sia all’anima della Chiesa, dato che è di fede la necessità assoluta di appartenervi per entrare nel Regno dei Cieli. E questo il motivo! – Nel discorso fatto da Gesù a Pietro ci sono alcune parole sulle quali attiro la vostra attenzione. Gesù ha nominato la “Sua Chiesa” (Mt XVI, 18). Quel possessivo “sua/mia” è commovente, ma aggiunge subito, ed è forte: “e le potenze dell’inferno non prevarranno mai contro di essa” (ibid.). E necessario leggere un po’ più a fondo queste parole. Qui Gesù dà evidentemente l’impegno divino di un’assistenza perché mai prevalgano le forze avverse, che, siano di questo mondo, siano dell’altro, vengono tutte giustamente dette potenze infernali (gloria a quelli che vi si ascrivono, gloria! Infernali!). Però qui c’è la sentenza: finite, tutte! Vediamo in particolare a che cosa ha garantito l’indefettibilità con queste parole Nostro Signore. Ha garantito l’indefettibilità alla Sua Chiesa, cioè alla costituzione gerarchica della Chiesa, che è fatta di Sommo Pontefice, di Vescovi, di ministri e di fedeli, in posizione diversa, con responsabilità diverse e con dignità diversa, con capacità uguale per tutti rispetto al merito che vale nel Regno dei Cieli. A questa struttura ha garantito l’indefettibilità. Guai a chi la tocca! Guai, perché c’è la promessa divina su questo. Ma per che cosa era costituita questa società giuridica, gerarchica, visibile? Era costituita per portare con sé delle grandi cose, che in una celebre parabola del cap. XIII di Matteo (v. 44) Gesù chiama il “tesoro del Regno”. E su questo tesoro che scende la garanzia divina dell’indefettibilità. Attenti bene! La verità. Elevati ad esser figli di Dio, con l’ingresso del Verbo incarnato nel mondo gli uomini dovevano conoscere qualche cosa di più, e per questo c’è una Rivelazione. È verità. La verità di Dio è come Dio, non è soggetta né a mutazioni né a evoluzioni; sono soggetti a mutazione gli uomini, che possono passare dall’ignoranza incompleta ad una passabile acquisizione di nozioni, dalla stupidità colpevole – e questa veramente dilaga – alla umile accettazione dell’unica verità di Dio. Sono gli uomini che possono cambiare, che si trovano in diversa posizione. Come tutti gli scolari imparano la stessa grammatica, ma c’è chi piglia dieci e c’è chi piglia zero; e chi ha preso dieci ha meritato dieci e chi piglia zero ha meritato zero, ma la grammatica non cambia! È su questo che cade la promessa d’indefettibilità: sul deposito della dottrina. Guai a chi la tocca; finisce male! Non basta. Tutta l’azione sacramentale e scarificale con tutto il suo contorno, che non sto a descrivere, commessa alla Chiesa: su questo cade la promessa di indefettibilità. E attenti bene: tutti i Sacramenti e il Sacrificio sono caratterizzati dal fatto che hanno un effetto, che generalmente – salvo casi straordinari, come accadeva nei primi secoli, meglio nel I secolo per la Cresima – ne hanno risultanze esterne, e per volontà e designazione di Cristo stesso vengono resi noti ai fedeli attraverso elementi esterni capaci di significarli. – È così che le apparenze del pane e del vino qualificano la certa presenza reale sacramentale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. E così che l’unzione crismale sulla fronte del cresimando accerta la discesa dello Spirito Santo e l’incisione di quel carattere crismale, che accompagnerà l’anima per sempre. Ossia, su questa realtà che deve esser continuamente tradotta con segni esterni adeguati scende la indefettibilità della Chiesa, avvertimento a coloro che vogliono lasciare le realtà soprannaturali senza segni esterni. Questa è irragionevolezza! Irragionevolezza che confina con qualche cosa di peggio dell’irragionevolezza, perché la necessità di tradurre agli uomini quello che essi non possono vedere con gli occhi del corpo mediante elementi accolti dalla natura e dall’arte degli uomini è affermata da Gesù Cristo stesso. Su questo modo sacramentale e sacrificale, che rappresenta tutto un mondo, scende la promessa di indefettibilità della Chiesa. E mi fermo qui. – Ora mi rivolgo a voi, prossimi sacerdoti e prossimi diaconi. Questa indefettibilità seguirà anche voi. Badate: non voi come voi, i vostri difetti, le vostre dimenticanze, ma seguirà quella parte del vostro ministero che voi farete degnamente, legittimamente, secondo gli ordinamenti della Chiesa, in nome e per autorità e come vicari di Cristo. Seguirà anche voi, e seguirvi indica tante cose, che non possiamo ora analizzare. Per voi, che siete, che sarete portatori della Grazia di Dio per le opere che compirete, il bene che farete – siatene certi – sarà sempre molto più grande e più lontano di quello che voi non crediate. Andrà sempre lontano, perché, fatto nell’ambito del ministero ricevuto con l’Ordine, nell’ambito della legittimità, con l’osservanza della legge della Chiesa, gode di tutti i carismi che sono conseguenze dell’indefettibilità della Chiesa. Quando vedrete niente, chiudete pure gli occhi e dentro di voi pensate a quali latitudini arriverà la vostra opera. Sarà necessario che viviate di fede per vedere ogni giorno, ogni momento, fin dove arriverà la vostra mano, la vostra benedizione, la vostra consacrazione, i vostri atti di ministero, e soltanto con la vostra fede capirete che l’onda da voi suscitata si propaga si direbbe all’infinito, come accade quando si getta un sassolino in un lago, le onde si propagano fintanto che c’è acqua e non si ristanno prima. Abbiate questa fede e uscite da questa Ordinazione, che sarà ora celebrata, con questa fede che sorregga, che vi dia una visione più giusta di quello che accade intorno a voi, che vi dia la pazienza di attendere, l’umiltà di perdonare ed anche la gioia di vedere, avendo chiuso gli occhi alla realtà umana. Questo consegno a voi, perché non si diparta mai dalla vostra anima!

[I grassetti sono redazionali]

IL TRIPLICE AFFIDAMENTO DELLA CHIESA AL BEATO PIETRO

[da I SERMONI di S. Antonio da Padova]

 «Pasci i miei agnelli» (Gv XXI,15-16). Fa’ attenzione al fatto che per ben tre volte è detto: «pasci», e neppure una volta «tosa» «mungi». Se ami me per me stesso, e non te per te stesso, «pasci i miei agnelli» in quanto miei, non come fossero tuoi. Ricerca in essi la mia gloria e non la tua, il mio interesse e non il tuo, perché l’amore verso Dio si prova con l’amore verso il prossimo. Guai a colui che non pasce neppure una volta e poi invece tosa e munge tre o quattro volte. A costui «il re di Sodoma», cioè i il diavolo, «dice: Dammi anime, tutto il resto prendilo per te» (Gen XIV, 21), tieni cioè per te la lana e il latte, la pelle e le carni, le decime e le primizie. A un tale pastore, anzi lupo, che pasce se stesso, il Signore minaccia: «Guai al pastore, simulacro di pastore, che abbandona il gregge: una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro; tutto il suo braccio si inaridirà e il suo occhio destro resterà accecato» (Zc XI,17). – Il pastore che abbandona il gregge affidatogli, è nella Chiesa ìl simulacro di pastore, come Dagon, posto presso l’Arca del Signore (cf. IRe V, 2); era un idolo, un simulacro: aveva cioè l’apparenza di un dio, ma non la realtà.Perché dunque occupa quel posto? Costui è veramente un idolo, un dio falso, perché ha gli occhi rivolti alle vanità del mondo, e non vede le miserie dei poveri; ha gli orecchi attenti alle adulazioni dei suoi ruffiani e non sente i lamenti e le grida dei poveri; tiene le narici sulle boccettine dei profumi, come una donna, ma non sente il profumo del cielo e il fetore della geenna; adopera le mani per accumulare ricchezze e non per accarezzare le cicatrici delle ferite di Cristo; usa i piedi per correre a rinforzare le sue difese e riscuotere i tributi, e non per andare a predicare la parola del Signore; e nella sua gola non c’è il canto di lode né la voce della confessione. Quale rapporto ci può essere tra la chiesa di Cristo e questo idolo marcio? «Cos’ha a che fare la paglia con il grano?» (Ger XXIII,28). «Quale intesa ci può mai essere tra Cristo e Beliar?» (2Cor VI,15). – Tutto il braccio di quest’idolo s’inaridirà per opera della spada del giudizio divino, perché non possa più fare il bene. E il suo occhio destro, cioè la conoscenza della verità, si oscurerà, perché non possa più distinguere la via della giustizia né per sé, né per gli altri. E questi due castighi, provocati dai loro peccati, si abbattono oggi su quei pastori della Chiesa che sono privi del valore delle opere buone e non hanno la conoscenza della verità. E allora, ahimè, il lupo, cioè il diavolo, disperde il gregge (cf. Gv X,12), e il predone, cioè l’eretico, lo rapisce. Invece il buon pastore, che ha dato la vita per il suo gregge (cf. Gv X,15), di esso sempre sollecito, avendolo a sì caro prezzo, lo affida a Pietro dicendo: «Pasci i miei agnelli ». Pascili con la parola della sacra predicazione, con l’aiuto della preghiera fervorosa e con l’esempio della santa vita. – E fa’ attenzione: per due volte gli raccomanda gli agnelli, che sono più delicati e deboli, e una volta sola le pecore. E qui è da capire che coloro che nella Chiesa sono più delicati e più deboli devono essere assistiti e sostenuti con maggiori attenzioni, sia spirituali che materiali. Dice l’Apostolo: «Confortate i pusillanimi e sostenete i deboli» (lTs V,14). Dice infatti la Genesi: Dio prese Adamo, cioè il prelato, e lo pose nel giardino delle delizie, vale a dire nella Chiesa perché la coltivasse con le opere di misericordia verso i suoi fedeli e la custodisse (cf. Gen II,15) con la predicazione della parola, e insieme con i fedeli meritasse di raggiungere il premio del regno. Amen.

 

Preghiere per il Papa alla Messa.

Orazione

“Deus, omnium fidelium pastore et rector, famulum tuum Gregorium, quem pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti, propitius respice: da ei, quæsumus, verbo et exemplo, quibus præest, proficere; ut ad vitam, una cum grege sebe credito, pervenit sempiternam. Per Dominum …”

[O Dio, pastore e capo di tutti i fedeli, volgi benevolmente lo sguardo sul tuo servo Gregorio che hai preposto alla tua Chiesa; da’ a lui di giovare con la parola e con l’esempio ai suoi sudditi e di poter giungere, insieme al gregge affidatogli, alla vita eterna. Per nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio …]

Secreta

“Oblatis, quæsumus, Domine, placare muneribus: et famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti, assidua protectione guberna. Per…”. [ Lasciati placare o Signore, dai doni che ti presentiamo, e guida con incessante aiuto il tuo servo Gregorio che hai messo a capo della Chiesa. Per nostro Signore Gesù Cristo, …]

Dopocomunione

“Hæc nos, quæsumus, Domine, divini sacramenti perceptio protegat: et famulum tuum Gregorium, quem pastorem Ecclesiæ tuæ præesse voluisti; una cum commisso sibi grege, salvet semper, et muniat. Per Dominum …”

[Ci protegga o Signore, il sacramento divino che abbiamo ricevuto; mantenga incolume e fortifichi sempre, insieme al gregge affidatogli, il tuo servo Gregorio che hai messo a capo della tua Chiesa. Per nostro Signore …].

Si raccomanda di recitare anche i Salmi sul nome PETRUS [Salmi sul nome PETRUS, exsurgatdeus.org]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.