IL SACRO CUORE DI GESÙ (64)

IL SACRO CUORE DI GESÙ (64)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SETTIMO

DALLA MORTE DI MARGHERITA MARIA AI NOSTRI GIORNI

EPILOGO

ARMONIE E CONVENIENZE DELLA DIVOZIONE E DEL SUO SVILUPPO

Noi abbiamo studiata la divozione al sacro Cuore negli scritti di quella che lo stesso nostro Signore ha scelta per essere la principale depositaria, l’interprete, l’apostolo; ne abbiamo presentata la sistemazione dottrinale secondo i maestri del pensiero teologico, l’abbiamo seguita nel suo sviluppo storico, dalle prime tracce della sua apparizione, fino alla sua piena fioritura ed alle sue principali manifestazioni; dalle sue origini mistiche fino alle sue ultime applicazioni nella pietà contemporanea. Resterebbe da dimostrare le armonie tra le aspirazioni del cuore umano e i meravigliosi modi con i quali Iddio ha risposto ad esse; vi sarebbe anche da collocare la divozione nel piano divino di riparazione e salvezza per mezzo della rivelazione, della bontà divina e del divino amore; da mostrarne i punti di contatto con l’insieme del mistero di Gesù; le convenienze di analogia e di affinità con le condizioni ordinarie dei rapporti fra il Creatore e la sua creatura umana. Soggetto immenso che non può essere che abbozzato in poche pagine. Inoltre, questo sviluppo appartiene meno al teologo e più al poeta o all’oratore. – La divozione al sacro Cuore non ha trovato finora né il suo Dante né il suo Pindaro; ma la predicazione contemporanea ha saputo parlare del cuor di Gesù e del suo amore con grandezza e pietà. Fra i libri che trattano del sacro Cuore più d’uno offre belle pagine sugli splendori e le armonie della divozione, quali quelli di Mons. Baudry, per esempio, e di Sauvé; i trattati di Thomas e del P. Terrien serrano il soggetto più da vicino, l’uno con grande ampiezza ed in maniera molto comprensiva, l’altro in un capitolo preciso e penetrante. Io qui mi accontento di alcune osservazioni e rapide indicazioni. Esse mirano a due punti: le convenienze e le armonie della divozione in se stessa: le convenienze e le armonie del suo sviluppo storico.

I. – ARMONIE E CONVENIENZE DELLA DIVOZIONE IN SE STESSA

Per dare qualche idea del soggetto non abbiamo che raccogliere o ricavare ciò che il lettore ha potuto intravvedere di già, sia nell’esposizione dottrinale della divozione, sia nelle belle pagine di santa Margherita Maria, delle mistiche e degli asceti, sparse nel corso dell’opera. Si possono raggruppare tutte in pochi capi.

a) Armonie e convenienze con la natura dell’uomo.

— Il nostro primo dovere verso Dio è di amarlo. « Amerai il Signore Dio tuo », è il primo e più importante dei comandamenti, quello che riassume tutti gli altri e al quale tutti si riferiscono. « Figlio mio, donami il tuo cuore », è il grande appello del Cuore di Dio al cuore dell’uomo. Ma Dio è così lontano da noi, così grande, così santo! E poi è invisibile. Dov’è quella specie di uguaglianza che l’amore reclama? Dov’è l’elemento sensibile, che ha tanta presa sul cuore umano? Almeno potessimo credere al suo amore per noi! Ma come credervi se Lui è ciò che è, e noi ciò che siamo? Noi sappiamo ciò che Egli ha fatto per rendere possibile quest’amore. Ha soppresso le distanze, fin che lo poteva, con la sua immensa potenza, facendosi uomo per fare di noi, in certo modo, degli dei. Ci ha dato di questo amore dei pegni che non possiamo rinnegare; la sua parola infallibile, la testimonianza delle opere, la testimonianza del sangue; il dono di se stesso sotto tutte le forme: alla nascita, sul Calvario, nell’Eucaristia, in attesa del dono di se stesso in Cielo. Perché io abbia un segno sensibile di quest’amore, un segno parlante, un segno che il mio cuore non può non ravvisare, Egli mi mostra il suo Cuore, dicendomi: « Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini »; me lo mostra ferito d’amore, sconosciuto e oltraggiato, ridotto a mendicare il mio amore. « Amiamo Dio, diceva San Giovanni, poiché Egli per il primo ci ha amati ».

2) Armonie e convenienze con la natura d’Iddio e con il carattere della sua azione sull’umanità. — Dio èamore; le sue vie verso l’umanità sono, prima di tutto,vie di misericordia e di amore. Per amore Egli mi ha inviatoGesù, ha voluto farmi, in Gesù, una rivelazione dellasua benevolenza e del suo amore. Come lo diceva Tertulliano,Dio in se stesso, è buono; se punisce siamo noiche forziamo la sua giustizia a punire: De suo bonus, de nostro justus. Ma spesso noi non riusciamo a riconoscere quest’amore d’Iddio, a riconoscerlo nel mistero della sua Provvidenza che permette il male, nel giuoco fatale e cieco delle cause seconde, nelle prove o nel castigo. Il sacro Cuore mi fa ricordare, malgrado le apparenze contrarie, malgrado la oscurità, che la Provvidenza divina è soprattutto una Provvidenza paterna, una Provvidenza d’amore; se il giusto Giudice deve talvolta condannare e punire, non lo fa che dopo aver esaurito (almeno per il castigo definitivo) tutti i mezzi di emendamento. La divozione al sacro Cuore mi mostra Dio nella sua vera luce.

c) Armonie e convenienze con il mistero di Gesù

e con lo spirito del Cristianesimo. — Il mistero dell’Incarnazione e quello della Redenzione, il mistero di Gesù in tutta la sua grandezza, sono misteri d’amore. Gesù è morto in croce per riscattarci; e l’amore l’ha dimostrato a noi per mezzo della sofferenza e della morte. Gesù nella sua vita ha voluto essere il nostro modello con i suoi esempî e le sue lezioni; la sua vita è stata tutta di amore per Dio; d’amore per il prossimo. Gesù è in cielo e nell’Eucaristia come era durante la sua vita e nella sua morte, mediatore fra Dio e noi, e la sua mediazione è tutta d’amore; amore di Dio, che ce lo dona, e con lui ci dona tutto; amore di Gesù, che interviene per noi presso il Padre e ci trasmette le sue grazie. Gesù è il legislatore della nuova legge e questa legge è una legge d’amore, l’amore ne è lo spirito. Gesù è il fondatore di una nuova religione; il Cristianesimo è una religione d’amore. Si conosce il fondo di Gesù quando si conosce il suo Cuore; si conosce il fondo del Cristianesimo quando si sa trovarvi, da per tutto, il sacro Cuore; si ha lo spirito cristiano quando si ha la divozione al sacro Cuore. Perciò nostro Signore spiegava a S. Caterina da Siena che, dopo averci donato tutto, aveva voluto anche che il suo Cuore fosse trafitto dalla lancia del soldato, per mostrarci che il suo amore aveva fatto tutto, per farci anche capire che, per quanto grandi fossero i doni, essi non rispondevano ancora all’immensità del suo amore; i doni hanno dei limiti, l’amore è senza confini.

2. – ARMONIE E CONVENIENZE NELLO SVILUPPO STORICO DELLA DIVOZIONE

Se la divozione al sacro Cuore riassume così bene il Cristianesimo, se è come la quintessenza dello spirito cristiano, ci si può meravigliare che essa abbia atteso così a lungo per svilupparsi. Abbiamo fatto notare che in realtà, nel suo spirito, è antica come il Cristianesimo stesso. Quanto alla sua forma speciale, come divozione al sacro Cuore, abbiamo sentito S. Giovanni spiegare a S. Gertrude perché nel suo Vangelo non aveva detto niente del cuor di Gesù, né dei suoi armoniosi palpiti, e come questa rivelazione fosse riservata ai tempi nuovi, cioè ai tempi in cui viveva la stessa Gertrude, il libro della quale doveva essere « l’araldo della bontà divina e del divino amore ». Santa Margherita Maria dice presso a poco la stessa cosa parlando del tempo suo, delle manifestazioni di cui ella doveva essere come l’evangelista, di questa nuova mediazione del cuor di Gesù e di questo ultimo sforzo del suo amore per guadagnare il Cuore degli uomini. Equivaleva a dire che la divozione veniva a suo tempo e che vi era un’intenzione provvidenziale nella scelta di questo tempo. – Senza pretendere di saper tutto e di spiegare tutti i disegni d’Iddio, si può cercare « sobriamente e piamente » come dice $. Agostino, d’intravvedere qualche cosa delle armonie e delle convenienze storiche della divozione. Anche qui dovremo limitarci a rapide indicazioni, raggruppandole attorno a tre o quattro punti: invenzione e volgarizzazione della formula, la persona e l’amore di Gesù, il regno di Gesù.

.a) Armonie e convenienze storiche nell’invenzione e volgarizzazione della formula. — Abbiamo visto, nella divozioneal sacro Cuore, una formula felice che esprimecome meglio non si potrebbe il fondo, lo spirito del Cristianesimo; formula chiara e parlante nello stesso tempo che profonda e comprensiva. Ora queste grandi e felici formule non si trovano a prima vista. Esse suppongono una lunga familiarità con le realtà ch’esse esprimono, molta riflessione ed analisi, su ciò che si sente o si vede, una sintesi che non si fa che dopo molte esperienze. Semplici scoperte, in apparenza, ma che non si fanno che dopoessere state lungamente preparate. Anche quando una formula è stata trovata, per un’intuizione del genio, essa non si propaga che in un ambiente preparato a comprenderla. Così è stato per la divozione al sacro Cuore. Essa doveva apparire a suo tempo. Rivelata ad alcune anime privilegiate o trovata per una intuizione della pietà cristiana, essa visse dapprima in poche anime in alcuni ambienti scelti, propagandosi a poco a poco, a misura che trovava un terreno preparato, per apparire infine alla luce di tutti nei libri degli scrittori, nella predicazione pubblica, nel culto ufficiale della Chiesa. Noi abbiamo studiato le diverse fasi di questo sviluppo e ne abbiamo segnalato, quando se ne presentava l’occasione, gli agenti, le cause e le condizioni, le circostanze e il carattere. La Provvidenza divina vi si mostra agente con il suo ordinario temperamento di forza e di soavità. Ciò che vedremo ancor meglio nel seguito delle nostre riflessioni.

b) Armonie e convenienze storiche relative alla Persona di Gesù. —

Nella pietà cristiana, la Persona di Gesù ha il posto, inseparabile da Dio, che noi troviamo in Lui e per Lui. Ora, dalla seconda metà del secolo XVII fino alla seconda metà del XIX, si constata nella predicazione e nei libri di pietà che vogliono essere alla moda, una tendenza a far meno grande, per diverse ragioni, che qui sarebbe troppo lungo spiegare, il posto di nostro Signor Gesù Cristo. Non bisogna esagerare. Non si dimentica Gesù, ma Egli è meno in vista in Fénelon o in Massillon che in S. Francesco di Sales o in Bossuet; gli apologisti del XVIII secolo se ne occupano meno di Pascal. Soprattutto la sua vita storica, la sua umanità hanno meno rilievo. Il Dio della filosofia, la divinità, l’Essere supremo si trovano più spesso nella fraseologia di quel tempo che Gesù, che il Dio fatto Uomo; la morale perde qualcosa dei colori del Vangelo, per prendere delle arie più filosofiche. Si sa che il P. di Ravignan osava appena presentare Gesù ai suoi uditori di Notre Dame, e che Lacordaire, impiegò una preparazione di dieci anni, avanti di intronizzarlo alfine trionfalmente al suo posto regale. Fu un male, necessario forse, ma fu un male. E sarebbe stato un male ancor più grande senza la divozione al sacro Cuore. Negli ambienti in cui essa penetrava manteneva viva la divozione alla persona adorabile del Maestro, lo mostrava senza interruzione agli sguardi, ne seguiva con amore la sua vita storica, per far ascoltare le sue parole, contemplare le sue azioni e cercare il suo Cuore, nelle une come nelle altre. Essa portava degli adoratori, ai piedi dei tabernacoli, i comunicandi alla santa mensa. Solo in cielo sapremo ciò che la vita cristiana in questi ultimi secoli deve alla divozione al sacro Cuore.

c) Armonie e convenienze storiche relative al pensiero

e al culto dell’amor divino. — Si è parlato molto della guerra fatta dai Giansenisti alla divozione e ci si è compiaciuti nel mostrare l’opposizione irriducibile fra la concezione giansenista del Dio terribile, aprente le braccia solo ad un piccolo numero di eletti e la concezione di Iddio, quale ce la dà la devozione al sacro Cuore. Un’erudizione meticolosa ha potuto segnalare gli errori di particolari in ciò che è stato detto a questo proposito. Gazier, per es., ha dimostrato che i crocifissi dalle braccia alzate e strette, che spesso chiamano crocifissi Giansenisti, sono molto anteriori al Giansenismo; anzi egli ha trovato pagine sul sacro Cuore in qualche libro di Giansenisti. Ma il quadro d’insieme resta vero. Dunque possiamo riconoscere, con tutta verità nella divozione al sacro Cuore l’antidoto divinamente preparato da Dio contro il virus dell’astuta eresia. Le tendenze pratiche sono in senso contrario; ma soprattutto lo spirito è del tutto differente. Senza insistere di più su ciò che è evidente, possiamo indicare alcune armonie delle divozioni relative alla concezione, al culto e all’obbligo dell’amore durante il secolo XIX. – Il secolo XIX ha divinizzato l’amore, anche l’amore umano, anche l’amore colpevole. In pratica è stato sempre così; l’amore, come tutte le passioni, ha ricevuto gli omaggi idolatri degli uomini. Ma era riservato alla letteratura del secolo XIX di sostenere, in teoria, i diritti assoluti dell’amore, di giustificarlo nei suoi più mostruosi eccessi, di far piegare, davanti ad esso le leggi umane e divine, di farne il Dio unico e sovrano. Così hanno fatto gli scrittori più in voga, della poesia, del teatro, del romanzo. E le loro lezioni non hanno trovato che troppo docili allievi. A questo culto idolatra dell’amore umano, dell’amore sensuale, dell’amore impudico, dell’amore egoista, la divozione al sacro Cuore opponeva il culto del Dio vero, che ha voluto definirsi come l’amore stesso (Deus caritas est), dell’amore divino che ci ha dato Gesù, che si è incarnato in Gesù, dell’amore sovranamente nobile e regolato, dell’amore che si immola divinamente puro e disinteressato, dell’amore che si immola e si sacrifica per insegnarci ad amare chi dobbiamo amare, e come dobbiamo amare, dandoci per modello, per regola, per stimolante del nostro amore, l’amore stesso d’Iddio e l’amore di Gesù affinché noi lavoriamo a divinizzare la nostra vita, se si può dire, divinizzando il nostro amore. Accanto a questa idolatria dell’amore, il secolo XIX ha magnificato, sotto l’egida della scienza, una concezione del mondo in cui l’amore non avrebbe più posto né azione se non come istinto cieco e come forza incosciente. Tutto si riporterebbe alla evoluzione di una natura impersonale, senza anima né cuore, in cui l’uomo non sarebbe che uno degli innumerevoli ingranaggi dell’immensa macchina, trascinato, anch’esso, nel movimento universale, senza che niente lo distingua dal resto, all’infuori di un superfenomeno passeggero di coscienza, che brilla un momento di una luce fosforescente, alla superficie dei flutti, per poi riperdersi per sempre nell’abisso senza limiti e senza fondo. Tale è stata, per più di mezzo secolo, la concezione così detta scientifica, la concezione positivista dell’universo: ad essa numerosi scienziati, ritenuti filosofi, e tanti filosofi, ritenuti scienziati, hanno prestato la seduzione e il prestigio del loro sapere, e del loro stile. Di contro a questa concezione fatalista, destinata a sparire in un nero pessimismo, storicamente rassegnato (come quello di Taine) o falsamente ironico (come quello di Renan), la filosofia cristiana, l’apologetica e la teologia hanno coraggiosamente mantenutele verità incrollabili della ragione e della fede, e hanno rafforzata la fede nella concezione cristiana ed ottimista del mondo; ma le anime hanno bisogno d’altro che di ragioni astratte, che di verità fredde e di una fede nuda. La divozione al sacro. Cuore, presentando loro il Cuore di Gesù, ricorda loro la sovranità dell’amore nel governo del mondo, fa loro vedere e gustare dappertutto la Provvidenza amante e paterna di Dio; fa vedere e gustare l’amore di Gesù che si fa nostro fratello, per farci figliuoli d’Iddio e per attirare sui figli colpevoli e miseri le compiacenze divine che, dal Figlio prediletto in cui esse si riposano, si diffondono fino a noi. Queste considerazioni; e molte altre che potremmo fare nello stesso senso, ci aiuteranno a comprendere l’attrazione di grazia che spinge verso il sacro Cuore tante anime tra le più cristiane e le più ferventi. Per esse la divozione al sacro Cuore è la forma naturale, per il tempo nostro, della divozione a Gesù; industriarsi ad accrescerla in sé ed intorno a sé è lavorare a far regnare Gesù in sé c negli altri. E, poiché la causa d’Iddio e la causa di Gesù, non sono che una causa sola ed unica, si comprende, che molte anime elette, che non vogliono vivere che per Dio e per gli altri in vista d’Iddio, nel totale oblio e sacrificio di sé, si rivolgano al sacro Cuore per fargli negli stessi termini o in termini equivalenti la bella preghiera che gli indirizzava una di quelle anime (Santa. Maddalena Sofia Barat, fondatrice delle Dame del sacro Cuore, una delle anime, che senza dubbio hanno contribuito di più a diffondere nel mondo la divozione al sacro Cuore, fondando una Società che da più di cento anni non cessa di lavorare con zelo infaticabile a far conoscere, amare, onorare il Cuore adorabile di Gesù.) e che riassume così bene la perfezione della divozione al sacro Cuore e nello stesso tempo la perfezione della vita cristiana:

« Cuore sacro di Gesù, o mia luce, mio amore e mia vita, fate che io non conosca che Voi, che non ami che Voi, che non viva che di Voi, in Voi, e per Voi ».

F I N E

LA MEDITAZIONE DELLA PASSIONE DI GESU’

MEDITAZIONE DELLA PASSIONE

La meditazione della Passione di N. S. Gesù Cristo. (1)

(GIULIO MONETTI: La Sapienza cristiana, vol. II, p. s. – Unione tipo. Tor. 1949)

— L’ultima parte della S. Quaresima è dalla Chiesa chiamata Tempo della Passione — e consacrata — anche con liturgìa speciale — alla commemorazione della Passione di Gesù. — Come ci devono essere care queste due settimane! La meditazione della Passione è per noi debito di riconoscenza! — E non era forse più che giusto che, mentre il Signore spargeva per noi tutto il suo Sangue, noi l’avessimo accompagnato in ciò almeno collo spargere le nostre lacrime – se fossimo vissuti allora — atteso specialmente che, non a Lui — l’Innocente — il Santo dei Santi — ma a noi – colpevoli — conveniva il patire? — Ebbene, ciò che non potemmo fare allora, facciamolo adesso! — E Gesù gradirà — accetterà intenerito — la nostra affettuosa compassione — proprio come se n’avesse tuttora bisogno! La meditazione della Passione è per noi miniera inesauribile! — Anzitutto è naturale che più partecipi dei frutti della Passione chi meglio — e più frequentemente — se ne ricordi — quasi a raccogliere su di sé in maggior copia il Sangue Divino. — Inoltre, il ricordo della Passione è nato fatto per eccitare in noi la contrizione perfetta dei nostri peccati, — che trassero Gesù alla croce — e insieme l’amore perfetto a quel Gesù — che per noi ha tanto sofferto. — Orbene carità e contrizione perfetta sono due radici fecondissime di merito soprannaturale —

di santificazione. La meditazione della Passione è per noi scuola di virtù insuperabile. — Ci mostra infatti in Gesù appassionato il modello più perfetto — e più suggestivo — di pazienza — mansuetudine — umiltà — obbedienza — zelo — carità — sacrificio… — Inoltre, già ci dissipa preventivamente tutti i pretesti che la nostra mollezza potrebbe invocare — per esimerci da difficoltà — da rinunzie — che da noi richiedesse la vita virtuosa; — se Gesù non entrò nella sua gloria, se non compiendo la sua Via Crucis. chi siam noi da pretendere condizioni più agevoli — o più comode — per ottenere il Paradiso? — Chi oserà rifiutar la propria croce?

L’Ultima Cena del Divin Salvatore. —

Con che cuore non la celebrò Gesù — sapendo ch’era venuta l’ora sua — e che l’orribile sua Passione era imminente! — Tanto più che aveva determinato d’istituire in essa la Eucaristia — consacrazione del Nuovo Testamento — Sacramento insieme e Sacrificio! L’ultima Cena Pasquale secondo la Legge Mosaica. — Ancora una volta Gesù e gli Apostoli mangiarono insieme l’Agnello Pasquale — senza macchia — mansueto — svenato — salvezza del popolo eletto… — simbolo eloquente di Gesù — vero Agnello immacolato di Dio — mite ed umile di cuore — vittima volontaria cruenta — per la salute dell’intero genere umano… — Oh impariamo l’esattezza — e lo spirito — col quale dobbiamo ottemperare alla Legge santa di Dio — unendo l’esterna compitezza degli atti coll’interno fervore dell’animo!

La prima Cena Eucaristica. — Che solennità! — Gesù la celebra in un raccolto Cenacolo — grandioso — addobbato — dopo lavati i piedi agli Apostoli — per vieppiù purificarli — ed iniziarli alla vicendevole umiltà e carità…! — Che generosità poi — in darsi in cibo e bevanda agli Apostoli — quando proprio e la giudaica invidia maligna — e la venalità del traditore — ne tramavan la morte! — E proprio allora creava Pontefici del nuovo Culto quegli Apostoli appunto, che entro poche ore tutti l’avrebbero abbandonato! — E che amore per noi — in prevenire nel suo sacrificarsi per noi l’opera stessa dei suoi nemici! — Grazie! mille grazie, Gesù!

La cena dell’affettuoso commiato. — Pensiamo — oltreché al Testamento reale (quello cioè del suo Corpo e del suo Sangue) — anche al Testamento morale lasciato da Gesù

agli Apostoli — e, in loro persona, a noi — alla Chiesa tutta. — È testamento d’amore divino: — « Conservatevi nel mio affetto! ». — È testamento di mutua concordia: — « Vogliatevi bene a vicenda! ». — È testamento di sovrana, incrollabile fiducia: — « Confidenza! Io ho vinto il mondo! ». — È testamento delle più larghe promesse: — « Quanto mi domanderete… ve lo farò! » — « Non vi lascerò orfani!» — « Vi preparo un regno! ». — È testamento di pace: — « Vi do la mia pace! ».

Nel folto del Gethsemani… —

cocca l’ora della Passione — l’ora tanto desiderata da Gesù — e per la gloria dell’Eterno suo Padre — e per la redenzione nostra — e per la restaurazione dell’ordine supremo di giustizia e di pace… — E Gesù — divino volontario della morte — si avvia al Giardino degli Ulivi — per darvisi in mano ai suoi nemici

La prima agonìa: — l’agonìa del cuore… — Gesù vuole egli stesso anticiparsi spiritualmente i tormenti: — quindi abbandona l’anima sua alle più mortali angosce. — Angosce di timore: — prevedeva tutto ciò che gli si preparava:; — umiliazioni — spasimi — agonie… — lo prevedeva tutto insieme — lo prevedeva con piena vivezza dolorosa! — Angosce di avversione profonda e disgusto: — prevedeva l’ingratitudine — sentiva tutto lo schifo dei peccati del mondo, cui voleva espiare! — Angosce di estrema mestizia: — vedeva che, nonostante la sua Passione e Morte, innumerevoli anime erano precipitate — e precipitavano — e continuerebbero poi a precipitar nell’inferno! — Vedeva ancora i suoi eletti perseguitati dagli empi in ogni tempo — e con quanta acrimonia!

La dolorosa preghiera. — Qual riparo cercò Gesù a quell’immane amarezza — che lo gittò in sì fiera agonia da spremergli — vivo ed abbondante — tutto un sudore di sangue? — La preghiera! — E fu preghiera riverente — la fece prostrato, prosteso in terra! — Fu preghiera semplice — iterò per ore la stessa richiesta! — Fu preghiera rassegnata — la domanda fu sempre subordinata al volere dell’Eterno Padre! — Fu preghiera costante — Gesù la proseguì sino ad alta notte — e sin quasi al sopravvenire di Giuda! — Fu preghiera feconda -—- fruttò a Gesù la discesa di un Angelo dal Cielo — mandatogli dal Padre per confortarlo — È così che preghiamo noi?

La cattura ignominiosa. — Al sopravvenire degli armati che dovevano arrestarlo, Gesù va loro incontro — spontaneamente: — che bontà per noi! — Fa anche ripetuti miracoli — per aprire ad essi gli occhi — e prevenirne il peccato: — che bontà anche per loro! — Ma tutto fu inutile; — indurati nel male — osarono inferocire contro il Salvatore del mondo — il Figliuolo di Dio! — Che satanica — fatale ostinazione! — E Gesù — mite Agnello tra i lupi furiosi — loro s’abbandona.

E gli Apostoli? —

Una delle fitte più penose al Cuore SS. di Gesù nel Gethsemani fu la condotta usata verso di lui dagli Apostoli — dai quali — dopo tante sue cure verso di loro — dopo tante loro dichiarazioni e promesse — era in diritto di attendere ben altro!…

Giuda. — L’ingrato! — Gesù l’aveva voluto tra gli Apostoli — con vocazione sublime: — ed egli la profanò! — Gli aveva affidato il poco denaro del Collegio Apostolico: — ed egli ne abusò! — Gli aveva dato il dono dei miracoli: — ed egli, salvatore così di altri, riuscì a perdere se stesso!… — Il cinico! — Gesù paternamente l’avvisa — prima con delicatezza — poi con severità — infine con tenerezza accorata… — ed egli, duro! — Tradisce — col bacio — fattosi guida ai manigoldi — e tutto di sua propria iniziativa! — Il disgraziato — Fatto il colpo — Satana lo terrorizza col fiero rimorso; — e Giuda — pur ricreduto — pentito — dimentica la Divina Misericordia Infinita — e si uccide! — Com’è tremendo l’abuso della grazia!

I tre privilegiati… — Sono Pietro — e i due fratelli, Giacomo — e Giovanni: — i tre testimoni della trasfigurazione di Gesù — nonché della risurrezione della figlia di Giairo. — Anche nel Gethsemani Gesù li privilegiava — scegliendoseli a speciali consolatori — e confidenti — nelle sue tanto terribili agonie… — Ma non ne capirono il esto pieno di tenerezza — né il susseguente affettuoso rimprovero — e si lasciarono vincer dal sonno — invece di vegliare — e pregare — come Gesù domandava! —

Povera fiacchezza umana! — Quanto non abbisogna di essere rinfrancata dalla preghiera — agguerrita dalla mortificazione — presidiata dalla vigilanza! Tutti gli undici Apostoli… — Visto Gesù arrestato — fuggono tutti! — Che schianto al Divin Cuore di Gesù — innanzi a tanta viltà — e poca fede! — E ciò dopo tre anni di vita intima con Lui — dopo vistine tanti miracoli — dopo tante proteste d’essergli fedeli sino alla morte — dopo le tante esortazioni fatte loro da Gesù di portare la croce dietro di lui! — Eppure, Gesù li compatisce — e ne procura — efficacemente — l’incolumità — mentre va alla morte per loro! — Che differenza tra la condotta di Gesù per gli uomini — e quella degli uomini con Gesù!

Un primo iniquo processo. — Gesù — dopo la sua cattura — dalla furia dei manigoldi viene trascinato giù dall’oliveto sino al torrente Cedron — e poi è fatto risalire al monte Sion — ove s’aduna il Sinedrio. — L’attendono Scribi e Farisei — agognanti la loro Vittima!

In casa del vecchio Anna. — Gioia ferina provò quel capo dei Sadducei — in vedersi innanzi legato Gesù! — Ma… riderà bene chi riderà l’ultimo! — Però Anna non aveva autorità d’interrogare Gesù: — quindi il Divino Maestro elude le sue domande fuori di posto: — il presunto reo mostra già che un giorno il Giudice sarà Lui! — Per questo un soldato dà uno schiaffo a Gesù, come ad un impertinente: — che dolore — e che affronto per Gesù! — Eppure, Gesù. compatendo alla sua grossolanità ed ignoranza, non lo fulmina: — soltanto lo corregge dolcemente.

In casa del Pontefice Caifa. — Là sedeva il Sinedrio — convocato per la circostanza — in notte piena. Quanto impegno nei cattivi per il male — mentre i buoni ne hanno sì poco per il bene! — S’istruisce il processo; — ma non si riesce ad avere deposizione giuridica contro Gesù! — Figurarsi! — Era la stessa innocenza — la santità in persona! — Allora Caifa scongiura Gesù a dichiarare, se Egli sia davvero il Figlio di Dio: — e Gesù l’afferma con tremenda solennità… — Ancora una grazia a quei ciechi, per convertirli! — E come vi rispondono? — Col condannare Gesù, quale reo di morte!

Tra i lazzi della soldataglia. — Dalla sala del Sinedrio fu allora Gesù tratto a uno stanzone — dove i soldati presero a schernirlo — e a percuoterlo e sputacchiandolo

– e trattandolo da profeta da strapazzo. — Tristo giuoco – e doloroso — contro ogni diritto — e che sembra durasse parecchie ore! — Quanto non n’ebbe a patire Gesù —

tanto mite e delicato — nella piena coscienza della sua grandezza divina – e dell’immenso debito di riconoscenza che gli avevano quei miserabili! — E soffriva tanto anche per la dannazione alla quale si avviavano!

Le negazioni di S. Pietro. —

Gesù tollerava — in mansueto — e insieme maestoso — silenzio — tanto l’insulto di quella sedicente procedura legale — quanto i lazzi — e le percosse — di quella malnata sbirraglia; — c’era da attendervisi! — erano nemici! — Ma la defezione di un Pietro che lo rinnega — e giura e spergiura di neppure conoscerlo! — Che strazio per Gesù!

Lo sdrcciolo… — Ma come mai il Principe degli Apostoli — il privilegiato discepolo di Gesù — l’araldo ispirato della sua Divinità — si ridusse a tale estremo? — E vi si ridusse dopo i tanto chiari preavvisi di Gesù medesimo? — Ecco come fu preparata la fatale caduta: — fu predisposta dalla presunzione, mostrata da Pietro nel Cenacolo: — dalla mancanza di preghiera, trascurata da lui nel Gethsemani — dalla temerità dell’esporsi da sé all’occasione pericolosa — là nell’atrio — anche dopo la sua fuga codarda…

La caduta. — Fu rovinosa! — Che distruzioni nella povera anima di Pietro! — Passava di tratto dalla dignità di Apostolo all’abbiezione del rinnegato — dell’apostata; — da paladino di Gesù — quale s’era atteggiato nel Gethsemani — passava ad essere un disertore, nel campo nemico! — Fu obbrobriosa — quanto il cedere le armi alle chiacchiere di due fantesche — e quanto è di maggior ignominia la ricaduta molteplice — che non un primo errore incorso quasi per sorpresa. — E quanto non fu penosa a Gesù!

La conversione. — Meno male che — all’opposto di Giuda — Pietro, non solo si pentì — ma confidò d’ottenere il perdono. — Passò Gesù presso di lui — tra i soldati — e lo guardò pietosamente — ricordandogli così la profezia che gli aveva fatta: — era proprio avvenuto che, avanti il secondo canto del gallo, Pietro rinnegasse il suo Divino Maestro — per ben tre volte! — Tutto dunque umiliato — fuggì dal luogo della sua colpa — si raccolse a piangerla amaramente — pensando al modo di ripararvi — e di farla dimenticare a Gesù!

Gesù al Pretorio di Pilato. —

Condannato dalla Sinagoga giudaica — e, per lei, dal Sinedrio — il gran Tribunale nazionale e religioso — Gesù vien tradotto a Pilato — a subirvi la condanna del Tribunale civile — e del potere straniero. — Che umiliazione per Gesù!

La malignità degli accusatori. — Che ipocrisia quella dei Giudei — in non volere entrare nel Pretorio pagano, per non contaminarsi — mentre non indietreggiavano innanzi allo stesso deicidio! — Che iniquità nel calunniare Gesù per sedizioso — antagonista di Cesare — bestemmiatore — quando di tali imputazioni non potevano addurre alcuna prova! — E che cecità in non avvertire che essi stessi comprovavano la venuta del Messia — col confessare d’avere perduta l’indipendenza — con quel loro ricorso a Pilato!

La vigliacca remissività di Pilato. — Egli ben capisce la montatura giudaica contro Gesù: ma — vigliacco — non ha il coraggio delle sue convinzioni: — prevaricatore — viene poi meno all’integrità doverosa del suo ufficio — tradendo la giustizia; — con ciò stesso si macchia di crudeltà — e di omicidio — mandando a morte Gesù innocente — ad onta di tutte le sue velleità di salvarlo! — Né giovano le mansuete attrattive di Gesù — né le sue divine — e tanto espressive — parole — né gli avvisi misericordiosi della consorte — né i rimorsi della coscienza. — Quant’è duro — e fatale — il giogo delle passioni!

La longanimità del Divino Paziente. — Che fa Gesù contro; la calunnia? — Tace! — E contro la malignità provocatrice? — Perdona! — E contro l’inqualificabile irresolutezza di Pilato? — Paziente, gli moltiplica chiarimenti e stimoli! — E contro i brutali maltrattamenti dei manigoldi — le imprecazioni della plebaglia — gli amari motteggi dei curiosi affollati sul suo passaggio? — Nessuna reazione! — Tutto accetta dalla mano del Padre! — Ed era l’Innocente! — il Salvatore! — il Figlio di Dio! — Quanto non abbiamo da imparare!

Dal Pretorio di Pilato alla Reggia di Erode. —

Pilato — impensierito dalla solenne affermazione di Gesù di essere Re — sempre più convinto dell’innocenza di Lui – coglie a volo l’accenno alla Galilea, fatto dalle turbe — per rimettere la causa di Gesù nelle mani di Erode — e liberarsene.

Le mezze volontà di Pilato. — Egli avrebbe dovuto, senz’altro, liberare Gesù — conoscendone l’innocenza: — e non già rimettere la causa di lui ad altre mani. — E che premio ne avrebbe avuto dal Divin Salvatore! — E invece? — Tergiversando — giocando di politica — volendo liberare Gesù — e insieme non volendo averne l’aria — se ne rimette ad Erode. — E non riesce a nulla! — Persuadiamocene pure: — la vittoria — e il conseguente trionfo celeste non sono dei pigri, — che vogliono e non vogliono: — ma dei risoluti, — che vogliono — e vogliono a qualsiasi costo — obbedire a Dio — e salvarsi l’anima!

I futili desideri di Erode. — Desiderava vedere Gesù: — e sarebbe stata l’ottima cosa — se l’avesse desiderato per fare onore a Lui — e giovarsi delle dottrine di Lui — e avere dalla grazia di lui i sussidi opportuni — a salute dell’anima propria. — Viceversa agì per curiosità frivola — ingiuriosa a Gesù, quasi fosse un giullare; — laonde, non secondato, la mutò in torvo dispetto — che culminò nell’insulto a Gesù — trattato da pazzo da tutta la Corte e da tutto l’esercito — e così rinviato ignominiosamente a Pilato!

La diabolica ostinazione giudaica. — Vediamo le corse di quei ciechi nemici di Gesù — dal Sinedrio al Pretorio — poi dal Pretorio ad Erode — e poi da Erode nuovamente a Pilato — instancabili — pur di rovinare Gesù — accaniti nel calunniarlo — furibondi nel domandarne la morte: — proprio mentre per Gesù non si leva nessuno — non si ode una voce — non si muove un dito! — E Gesù, quanto non sente questa cattiveria degli uni — e quest’inerzia degli altri! — Anche oggi gli empi imperversano: — e i buoni che cosa fanno? — E tu? — Che fai?

La meditazione della Passione di N. S. Gesù Cristo. (2)

(GIULIO MONETTI: La Sapienza cristiana, vol. II, p. s. – Unione tipo. Tor. 1949)

Gesù è posposto a Barabba. —

Erode rinviava Gesù a Pilato: — la Divina Misericordia offriva nuovamente a Pilato l’occasione di fare — meglio tardi che mai! — il bel gesto di liberar l’Innocente — riparando anche il torto già fattogli: — ma Pilato — recidivo! — rifiuta ancora una volta!

L’ignominioso confronto. — Anche se la nuova sua trovata fosse riuscita a quel giudice iniquo, — che torto non era essa per il Divino Maestro! — Lo si sarebbe liberato, – ma soltanto a titolo di grazia immeritata: – mentre la libertà gli si doveva a titolo di pretta giustizia! — Inoltre, con chi si confrontava l’Agnello Divino Immacolato? — Con un violento ladrone — con un sanguinario omicida — con un ribelle pericoloso — che — ad onta di tutto — si sarebbe rimesso in… circolazione! — Miserabile giustizia umana, quando si dimentica del trollo di Dio! — E, poveri noi, se unicamente ci fidassi ad essa!

L’urlo selvaggio della piazza. — Con tuttociò, se si ascoltava la ragione — era Gesù che doveva andar libero: – l’innocente era Lui — Lui inoltre il benefico taumaturgo – lui il maestro insuperabile di bontà — lui l’inviato da Dio — acclamato cinque giorni prima dall’intera Gerusalemme! — Ma si ascoltò la passione cieca — impulsiva – sobillata dai furbi — rappresentata dalla feccia del popolo: — e questo gridò il suo crucifige! — sfacciato — idiota — feroce — contro Gesù! — Davvero che Gesù poteva dolorosamente ripetere le profetiche parole di Michea: — « Popolo mio, che cosa mai ti ho fatto di male? ». — E non potrebbe ridirle anche a noi — quando pecchiamo?

Barabba in libertà. — Insperatamente Barabba ricuperava la libertà — da parte degli uomini: — ma, da parte di Dio? — Non per questo veniva pregiudicata la sua condanna al Divin Tribunale! — E il suo stesso nome passò ai posteri come simbolo ignobile del farabutto e del sovversivo! — Ma intanto? — Siamo avvertiti di rettificare la nostra intenzione nell’esercizio della virtù — sicché ce ne attendiamo i premi da Dio — non dagli uomini! — E insieme, niente paura del momentaneo trionfo del male! — Iddio ci farà giustizia a suo tempo: — né ci troveremo davvero scontenti d’averlo servito!

Gesù sottoposto alla flagellazione. —

Il secondo mezzuccio di Pilato per liberare Gesù era dunque tornato inutile anch’esso: — ne peggiorava anzi la posizione. — Pilato allora tenta uno sforzo: — ma purtroppo contro Gesù — e anch’esso vano — quanto a salvarlo!

Il disonore della flagellazione. — Quel terzo mezzo — dopo l’invio ad Erode — e dopo il confronto con Barabba — fu flagellarlo. —- Pensò così di placare i Giudei — in vederlo così sfigurato — e insieme di mostrare di non averlo voluto liberare senz’altro — e così mettersi a coperto da sospetti politici. — Anche qui l’innocente veniva trattato da reo con palese iniquità: — inoltre lo si trattava da schiavo — privo d’ogni diritto civile al rispetto ed all’incolumità: — lo si trattava anzi da bestia — incapace di ragione — epperò da assoggettarsi a colpi di frusta — di verghe — di bastoni! — Povero Gesù!

Lo strazio della flagellazione. — Ed oltre all’ignominia infame di tal supplizio — s’aggiungeva qui per Gesù un tormento indicibile; — giacché il suo corpo era assolutamente perfetto — e quindi della sensibilità e delicatezza più viva. — Di più, era fatto apposta per patire — attesa la sua missione di vittima per i peccati del mondo. — Immaginiamo lo scempio che i carnefici ne fecero — col loro cuore spietato — colle loro braccia nerborute — coi loro strumenti terribili! — chissà per quanto tempo: – anche se non abbiano avuta apposita consegna di vieppiù incrudelire — per più facilmente disarmare i Giudei! — Che lividure, in Gesù! — che sangue! — che orribili piaghe! —. Povero Gesù!

Il vero motivo della flagellazione. — Quella furia di colpi scaricatasi sul Divin Salvatore — se si dovette materialmente ai manigoldi — e ufficialmente all’iniquo comando di Pilato — ha però radicalmente una doppia causa recondita: — l’amore di Gesù per noi — poiché Gesù proprio per noi volle subir quegli spasimi: — ed i nostri peccati, — i quali Gesù volle così espiare: — e specialmente i peccati di sensualità. — Ah se gli uomini – ed anche le persone pie — pensassero a quanto costarono a Gesù Redentore gli eccessi disordinati — e gli scatti inconsulti delle nostre passioni, — e le renitenze ai divini voleri! — E se si ricordassero più spesso che Gesù ci amò sino al sangue!

Gesù coronato di spine. —

Agli orrori della flagellazione ordinata dal Preside Romano, i soldati aggiungono di proprio moto altri orrori — altri ludibri: – consideriamoli in ispirito di compassione — e di compunzione – tenendo compagnia a Gesù in ora così dolorosa!

Gesù camuffato da re da burla. — Niente impietositi del povero Gesù — fatto tutto una piaga sanguinolente per l’orribile flagellazione — i militi romani lo spogliano di nuovo — riaprendogli ed esasperandogli le ferite collo strappargli di dosso le vesti già ad e rapprese — e gli gittano sulle spalle una clamide purpurea — gli pongono in mano una canna — gli calcano in capo — come reale diadema — una celata di spine; — poi lo sbeffeggiano, a gara, genuflettendogli innanzi — salutandolo per Re dei Giudei — finendo la schifosa tregenda con sputacchiarlo — strappargli di mano quel misero scettro di canna — dandoglielo violentemente sulle spine del capo… — Che umiliante afflizione per Gesù — fatto zimbello di quei 500 scherani — che gli si accanivano attorno! Gesù coronato Re dei dolori! — Che fitte dolorosissime non dovette provare Gesù — a quei duri e ripetuti colpi di canna — nelle tempia — sulla fronte — nel cranio — al penetrargli quelle spine la pelle — nello scalfirsene le ossa in tanti punti! — E quante altre percosse ed urti doloranti non avrà Egli dovuto sopportare da quei malnati in quell’ora infernale! — vero Agnello dato in istrazio alla ferocia di lupi aizzata da satana, il maligno, l’omicida. — Compatiamo col più vivo affetto al patire indicibile di Gesù nostro — vero Re dei dolori — e risparmiamogli ogni nuova trafittura di nostri peccati! Salutiamo Gesù, nostro Re d’amore! — Ben se lo merita, – dopo tanto obbrobrio — da Lui incontrato — proprio per noi — volontariamente — e dopo tante torture da Lui subìte — anche per causa nostra: — e, non temiamo di aggiungerlo per la verità, anche dopo tante ingratitudini da noi moltiplicategli, purtroppo, nel corso della nostra vita! — E più lo vediamo svilito dai suoi nemici — e più saturo di pene e di vituperi — stringiamoglici attorno vieppiù amorosamente — gridandogli il nostro più fervido: — « Viva Cristo Re! ».

Ecce homo! ”. —

A stroncare la farsa crudele — inscenata dai soldati — venne forse un ordine di Pilato, di ricondurgli Gesù — quale era ridotto nelle condizioni più pietose. — E Pilato lo presenta al popolo — così com’era — tutto lividure e sangue — colla corona di spine in capo — con quello straccio di porpora sulle spalle… — E disse al popolo: — « Ecco l’uomo! ».

« Ecce homo! ». — Ecco il bel lavoro fatto dai nostri peccati! — Non dimentichiamolo mai! — Se Gesù patisce — e patisce tanto — la colpa ne è nostra! Noi col peccato, abbiamo talmente irritata la Divina Giustizia — da non averne perdono — se non era il gemito — la supplica — del Figlio stesso di Dio — dissanguato per noi! — Impariamo pertanto a capire che cos’è il peccato – ad aborrirlo — a fuggirlo — come il peggiore dei mali. – poiché va a colpire lo stesso Dio — nella persona abile di Gesù Cristo! — E non solo fuggiamo il peccato – ma anche i pericoli di peccare!

« Ecce homo! ». — Ecco sin dov’è giunto l’amore di Dio per noi! – Dio Padre ci ha amato tanto da sacrificare — pur di redimerci — il suo stesso Figlio Unigenito! – Dio Figlio ci ha amati tanto da volersi tutto sacrificare per noi — abbandonandosi ai vituperi ed alle carneficine – proprio perché noi n’andassimo salvi — pur avendoli meritati le mille e mille volte colle nostre colpe! — E Dio Spirito Santo ci ha tanto amati da mettere a nostra disposizione i meriti infiniti di Gesù Cristo — mercè le SS. Messe — i SS. Sacramenti — e le sue grazie divine! — Quanta bontà!

« Ecce homo! ». — Ecco il divino modello da imitare! — Se vogliamo affermare il nostro amore a Dio — non soltanto a parole, ma a fatti — ecco sino a qual punto dobbiamo giungere — se Dio lo richieda: — sino al martirio del cuore — dell’onore — dello stesso corpo! — Se vogliamo sapere come si obbedisca al Signore — ecco il tipo al quale ispirarci: — all’obbedienza di Gesù all’Eterno Padre — la quale non indietreggiò innanzi all’umiliazione più cocente — né ai patimenti più efferati! — Se vogliamo vedere come si debba intendere l’apostolato serio – fattivo — travolgente — eccone l’ideale: — sacrificarsi!

Il Sacrificio del Calvario. — L’indegna fiacchezza di Pilato — che voleva coi suoi meschini espedienti eludere l’odio giudaico contro Gesù — vistesi chiudere ad una ad una tutte le vie — cedette finalmente agli assalti; — e, condannando Gesù, condannò pure l’indegno suo giudice — il vilissimo Pilato.

Gesù condannato alla crocifissione. — Pilato pronuncia l’iniqua condanna: — quindi non lo scuserà dal deicidio il suo lavarsene le mani in pubblico — e il suo dichiararsene innocente! — Neppure lo scuserà dal tradimento del suo dovere di giudice imparziale il timore incussogli per istornarnelo: — con gli onori devonsi accettare anche gli oneri annessi! — Infine, non si assicurerà neanche il favore di Roma; — presto deposto e bandito, espierà già qui in terra l’immane sua colpa! — « Farina del diavolo ritorna in crusca! ».

Gesù s’avvia alla crocifissione. — Carico del peso opprimente del suo patibolo — tuttoché così piagato e sfinito — Gesù porta volentieri la sua croce — che gli sarà altare per il suo sacrificio al Padre — e chiave per aprire a noi il Paradiso — e cattedra suprema onde insegnarci ogni più eletta virtù. — Per via lo si strapazza — lo s’insulta — lo si percuote: — e Gesù tace! — Lo salutano col pianto la SS. Vergine e le pie donne: — e Gesù ne accetta l’ossequio pietoso! — Il Cireneo l’aiuta: — e Gesù prepara a lui e ai suoi figli le sue grazie riconoscenti. — Quant’è buono Gesù — anche se saturo d’amarezze! Gesù subisce la crocifissione. — Giunto sul poggio del Golgotha, — con stento immenso — Gesù è spogliato — con nuovo strazio delle sue ferite — poi adattato dai manigoldi alla croce — indi pesanti martellate sui chiodi conficcano questi nelle mani e nei piedi… — E così, sul mezzogiorno — nell’affollamento delle solennità pasquali — quando pellegrini d’ogni paese ne avrebbero riportata l’infamia sino ai confini del mondo. – Gesù appariva crocifisso tra due ladri — quasi loro capobanda: – con sul capo la sarcastica scritta: — « Re dei Giudei. — Potevasi scendere più basso per la via dell’abbiezione? — per la via dello spasimo atroce? — E | vi si rassegnò per noi! — Per noi, sue povere creature! — Per noi, suoi servi inutili. — Per noi, offensori ingrati!

Le parole del Divino Agonizzante… — Sacre parole quelle d’un morente — d’un morente divino — del nostro Supremo Benefattore e Padre — del Redentore e Maestro dell’umanità!

C’è la parola del perdono — invocato sui crocifissori – e che si spinge sino a scusarli al Padre… — Che bontà non ci rivela in Gesù! — Che fiducia non c’ispira! Che contrizione non deve eccitare in noi — vedendo la bontà di chi abbiamo offeso.

C’è la parola della magnificenza — che mostra in Gesù Crocifisso il Dominatore del Cielo e della terra — e c’è l’afferma altresì Consolatore efficace del povero convertito — e Rimuneratore generoso dell’ossequio fiducioso di Lui. — Neanche noi ci volgeremo invano a Gesù — né sarà per noi vano il secondarlo — il seguirlo – il compiacerlo!

C’è la parola della tenerezza — di Gesù morente, per la sua Vergine Madre — e per Giovanni, il prediletto, ch’è tornato a Lui… — Essa ci deve infervorare ad onorare anche noi Maria SS. – che allora appunto divenne Madre nostra. — Insieme deve animarci, sia alla passione per Gesù appassionato — sia alla riparazione delle nostre colpe…

C’è la parola della desolazione — strappata a Gesù dal suo immenso patire! — Ch’essa ci spinga a consolarlo col nostro amore operoso; — insieme ci avverta che il nostro gemito — anche più trangosciato — non deve avere altro suono che di preghiera!

C’è la parola del desiderio — di Gesù, riarso dalla sete — corrisposta dai soldati con aceto e fiele! — Da noi invece dovrà corrispondersi coll’amore — e collo zelo — dacché esprimeva — oltre la sete fisiologica — anche la sete morale di affetto — e di anime!

C’è la parola della costanza vittoriosa — che proclama assolto il proprio mandato — e già preannunzia il trionfo del Salvatore. — Preghiamo — e procuriamo di ripeterla anche noi — sia al termine della nostra vita mortale — sia allo spirare d’ogni nostra giornata. — L’ubbidire a Dio: — ecco per noi la perfezione — la grandezza — la vera felicità!

C’è la parola del filiale abbandono… — Oh fiorisca sulle nostre labbra — rassegnata — affettuosa — confidente — come sulle labbra di Gesù — anche nei momenti più foschi della nostra esistenza — anche nel crollare di tutte le nostre umane speranze! — Gettiamoci nelle braccia del nostro Padre Iddio: — non si ritrarrà indietro — a lasciarci

precipitar nell’abisso!

Contemplando Gesù Crocifisso. — Come la cristiana predicazione — e come la sacra liturgia sono impregnate del ricordo di Gesù Crocifisso — così dovrebb’esserne impregnata la nostra vita cristiana — per alimentarne in sé lo spirito di sacrificio.

Pensiamo a Gesù morto! — Non doveva morire — Perché era il Santo dei Santi — e la morte entrò nel mondo per la porta del peccato! — Ma bastò che Gesù si fermasse l’ombra del peccato — non suo — ma da lui preso ad espiare — perché, nascendo alla vita in Betlemme — nascesse insieme alle espiazioni del Golgotha! — Oh come dobbiamo aborrire la colpa! — E attraverso la morte del corpo — cui la morte sfigura — e gitta nell’inerzia — e nell’impotenza — sappiamo intravvedere i guasti del peccato nell’anima — spenta da esso alla vita soprannaturale – deformata mostruosamente innanzi a Dio — incapace, da sé di riaversi!

Pensiamo a Gesù, morto svenato in croce! — A tanto di crudeltà giunsero contro di Lui l’invidia e la malizia umana — ad onta dell’ineffabile sua amabilità personale – della sua divina grandezza — dei benefici innumerevoli da Lui irradiati attorno a sé — dell’essere Egli spontaneamente sceso di Cielo in terra — e farsi nostro fratello!

— Oh come dobbiamo umiliarci — e domandargli perdono della nostra efferata ingratitudine! — del nostro egoismo crudele — pronto a martoriare Lui — pur di scapricciare sé!

Pensiamo a Gesù, morto — in croce — svenato — proprio per noi!

Mentre Gesù soffriva — e tanto orribilmente – ciascuno di noi, in persona, era presente a lui — ed Egli — proprio per ciascuno — singolarmente — offriva i propri tormenti — le proprie agonie — per amore — in espiazione. — Ecco il posto che ciascuno di noi occupa nel Cuore SS. di Gesù! — E che posto occupa Gesù — Gesù Crocifisso — morto proprio per noi — nel nostro cuore? — Faremo noi mai abbastanza — non già per adeguare — ma anche solo per emulare — il suo amore per noi?

La sepoltura di Gesù. — A rendere innegabile a tutti la sua morte — e quindi incontrastabile il gran miracolo della sua prossima risurrezione — la divina Salma di Gesù rimase in istato di morte sino al terzo giorno: — quindi nei suoi fedeli il pensiero di seppellirla. — Ma, secondo le profezie — la sua sepoltura non fu come

le altre…

Fu una sepoltura gloriosa. — Anzitutto essa avvenne decorosamente — contro ogni aspettazione umana — trattandosi d’un giustiziato — anzi, d’un crocifisso — condannato al supplizio estremo a furor di popolo — e sentenziato a morte da tutti i tribunali del luogo. — Chi si sarebbe dovuto più curare di Lui? — dell’infame. secondo i pagani? — del « maledetto », secondo i Giudei? — Viceversa, ecco muoversi Giuseppe d’Arimatea — gentiluomo autorevole — per le pratiche legali, presso Pilato, per la consegna della Salma — e inoltre per regalargli il proprio sepolcro nuovo — e per procurargli la sindone funeraria; — ecco Nicodemo — altro autorevolissimo Sinedrita — portare aromi in abbondanza — e dar mano alla deposizione -. senza rispetti umani!

Fu una sepoltura riparatrice. — L’insinuò Zaccarìa Profeta (12, 10) — e difatti Giuseppe e Nicodemo ripararono così al rispetto umano, che li aveva tenuti più o meno lontani da Gesù vivo. — Parimenti l’affetto delle pie donne — unitesi con Maria SS. e con San Giovanni Apostolo nelle cure funebri — fu doverosa e delicata riparazione del vuoto morale fattosi attorno a Gesù dal momento della sua cattura. — E le lacrime di Maria SS. su ciascuna delle piaghe di Gesù morto, non furono preziosissima riparazione dei lazzi farisaici — delle torture inflitte a Gesù?

Fu una sepoltura provvisoria. — Lo si sentiva nell’aria — dopo le meraviglie avvenute in morte del Redentore — che le cose non dovevano finir lì — e che quella tomba doveva maturare grandi avvenimenti — anche se non si osasse pensare alla risurrezione. — Tutti avevano viste le fitte tenebre universali che avevano adombrate

le agonie di Gesù — tutti avevano avvertito il gran terremoto avvenuto allo spirare di Lui: — il terrore aveva pervaso e il popolo e i soldati abbandonanti il Calvario — e persino nel Tempio, sacerdoti e leviti e sacrificanti erano rimasti atterriti per il misterioso squarciarsi da cima a fondo del velo del Santuario… — Erano i prodromi della risurrezione! — Al terzo giorno, quel Corpo divino — sacro tempio del Dio vivo — doveva venire ricostituito!

L’Anima di Gesù in festa… — Mentre ancora la Salma adorabile del Divino Agnello svenato pendeva dalla croce – l’Anima di Gesù — già pienamente beata — subito entrò

in pieno possesso della gloria immensa — che s’era guadagnata con la sua dura passione. — Che festa per lei!

Festa in Paradiso. — Che festa non le avran fatta l’Eterno Padre e lo Spirito Santo — per la piena vittoria riportata sul peccato — e sull’inferno — com’anche per il pieno — esuberante — infinito compenso dato alla Divina Giustizia! — Che festa le avranno fatta eziandio gli Angeli — umiliandole gli ossequi delle loro gerarchie! — E che festa ancora — nel suo intimo — sarà stata la sua — mirando dalle altezze sideree smisurate la tanto piccola nostra terra — e su questa terra il tanto più piccolo Calvario — e, sul Calvario, la Croce-Altare ancora cruento del grande Sacrificio! — Com’era giubilante del grande atto compiuto!

Festa al Limbo dei Ss. Padri. — Dopo umiliati all’Eterno Padre i trofei della sua vittoria — la beata anima di Gesù cominciò la bella parte di consolatrice — iniziandola col beatificare le anime dei SS. Padri trattenute nel Limbo — in solo comparire in mezzo a loro. — Figuriamoci il tripudio dei Patriarchi — dei Profeti – dei Sacerdoti — degli Antenati del Redentore! — E la gioia di S. Giuseppe? — e quella del Battista, quella del ladro convertito, sopravvenuto in breve? — Chi può descriverla? — Meritiamo anche noi — com’essi — che il nostro primo incontro con Gesù nell’eternità sia incontro rassicurante — beatifico!

Festa al… Calvario. — Immaginiamo tutte quelle anime glorificate — condotte dall’Anima di Gesù al Calvario — a contemplarvi il suo sacro Corpo esangue — la Croce — i chiodi — la terra — tutto ancor rosseggiante del prezzo del nostro riscatto. — Che inni di ammirazione — e di riconoscenza — non avranno là iterati quegli spiriti eletti al Divino loro Salvatore — che tutti gli aveva redenti — a tanto suo costo! — e per sempre! — strappandoli alle tremende maledizioni divine! — Uniamo ancor noi la

nostra voce a quei canti — pregando d’iterarli un giorno nel Cielo!

QUARESIMALE (XXXV)

QUARESIMALE (XXXV)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711).


PREDICA TRENTESIMAQUINTA
Nella Feria desta della Settimana Santa.


Nella Passione del Redentore si dimostra la gravezza del peccato mortale.


Passio Domini Nostri Jesu Christi

Ahi, Ahi, che vedo? Sacre pareti, e perché vi rimiro spogliate d’addobbi, prive di
luce, e ricoperte di lutto? E perché senza arredo, e senza Sacrifici gli altari? Già sentii flebile il vostro canto o addolorati Sacerdoti; e che strane mutazioni son queste? Ma e dove è il mio Cristo? Io qui non lo vedo, privo di Lui, se Egli non mi assiste, come potrò proferir parola? Non avrò lingua che valga, spirito che possa. Deh Ministri riveriti del Tempio rendetemi l’amoroso mio bene: deh non tardate! Ahimè non v’è Gesù, sento rispondermi dallo sconsolato Clero, è morto Gesù! Morto Gesù? Misero, e che farò? Infermi, siete privi di medico, è disperata la vostra salute. Figli, deplorate pure la perdita del vostro Padre. Eccovi o vassalli senza sovrano, senza duce ai soldati. Eccovi tutti a guisa di pecorelle smarrite senza Pastore Divino. Qual sarà dunque il mio rifugio tra tante turbazioni? Non gli Apostoli, perché accorati li vedo posti in fuga; non gli Angeli, perché addolorati spargono lagrime; non la Vergine, perché trafitta nel cuore da duolo acutissimo; non l’Eterno Padre tutto intento a scaricar le pene de’ peccatori sopra l’innocenza del Figlio. Tu sola mi resti o croce amata. Tu sarai per me arca di salute, portandomi sicuro fra l’onde del Sangue d’un Dio morto per me, morto per noi. Tu colonna di fuoco, guidami senza inciampo, ed a guisa di mosaica verga, aprimi sicuro il sentiero nel Mar Rosso del Sangue Divino. Quei chiodi trafiggano l’animo de’ peccatori; quella spongia zuppa di fiele gli faccia conoscere il tossico del peccato; quei martelli spezzino il lor cuore indurato nelle colpe; servano le corde per raffrenar le passioni, la lancia uccida i vizi, e quel vivo Sangue grondato dalle vene di Gesù, esiga balsamo di lagrime veramente penitenti dagli occhi di quanti m’odono. O Crux Ave spes unica, hoc passionis tempore, piis adauge gratiam, reisque dele crimina.

Passio Domini Nostri Jesu Christi.

Voci di poche parole, ma che? Ogni lettera è una pena, ogni sillaba è una spada, ogni parola è una carneficina. Ascoltanti per narrarvi la dolorosissima passione e morte del Redentore, vero parto delle nostre iniquità, che vale a dir la più funesta tragedia, che mai si rappresentasse dal mondo, e fu sì strana che necessitò tutta la natura a partorir inauditi portenti. Il Sole addolorato si ritirò lasciando tra le tenebre il mondo. Si spaventarono scossi da fieri terremoti per compassione gl’interi monti di durissimi macigni, e le pietre stesse par che lacrimassero per il dolore. Or quando a me non riesca questa mane con un simile racconto farvi conoscere la gravezza del peccato mortale, converrà che io dica di voi: o vivete senza fede, o campate senza cervello, e di me converrà asserire col filosofo, oleum, operam perdidi. M’accingo dunque all’opra, e vi rappresento la gravezza del peccato col farvelo vedere punito da Dio non già in un mondo di scellerati affogati nell’acque del diluvio: non nelle Pentapoli, ridotto d’iniquità e perciò incenerita dal fuoco che miracolosamente cadde dal cielo; non nelle pestilenze che arrivarono ad uccidere trentamila persone in un sol dì; ma nel suo Unigenito Figliuolo, non perché sia peccatore, poiché peccatum non fecit, ma perché è Egli pagator della pena per i nostri peccati. Grande Iddio, che grande enormità bisogna che sia questo peccato, mentre Voi non solo lo volete punito nel vostro innocentissimo Figlio, ma punito altresì con tormenti acerbissimi. Peccatore, peccatrice, portati meco all’orto di Getsemani, e quivi attentamente rimira Cristo Figlio di Dio tutto mesto, tutto addolorato col cuor tutto in angosce, giacché cæpit pavere, tedere, et mestus esse. Ed odi il Profeta, che dice: attritus est propter scelera nostra, Egli è in tale stato per i nostri peccati. Ah peccato, maledetto peccato, tu dunque hai gettato con la faccia sul suolo, procidit in faciem suam, quel Monarca che dié l’essere a’ cieli vastissimi di mole, agilissimi di moto, che sopra vi sparse stelle fisse ed erranti in grandezza smisurata, in numero senza numero, in vaghezza bellissime. Tu dunque tieni prostrato a terra quel Signore che con un sol fiat formò una terra da ripartir in monti, da piegarsi in valli, da tendersi in pianure, e l’arricchì con selve, con miniere, con ogni specie di viventi. Quel Signore che con un sol fiat dié l’essere ad un mare fecondo di tanti pesci, padre di mostri, d’isole, di fiumi. Ah peccato mortale quanto sei grave, mentre abbatti nell’ombra tua quel Re che ben s’intitola: Rex Regum et Dominus Dominantium, quel Re che senza il di cui volere non batte palpebra animale che viva in terra, non guizza nell’onde pesce che vi nuoti, non spiega piuma augello che voli, e che con sole tre dita regge la gran machina dell’universo; né solo l’abbatti, ma tu sei quel che li cavi a viva forza sangue dalle vene distillato in sudori, ed in tal copia che ne scorre a rivi: Et factus est sudor ejus sicut gutte sanguinis decurrentis in terram. Voi vi stupite che la pena di Cristo nell’orto avesse tanto di forza da spremergli sudori di sangue, cesserà però la meraviglia, se rifletterete alle parole del Profeta: Dolor meus in conspectu meo semper, che nell’orto a Cristo gli si rappresentò tutta insieme la dolorosissima Passione, e questa gli portò tutta insieme un acerbissimo dolore. E perché meglio capiate la grandezza di questo dolore, figuratevi un poco la pena che avrebbe provato il re Baldassarre, il quale morì trucidato improvvisamente nel proprio letto a furia di pugnalate, se molto tempo prima si fosse sempre veduti avanti quei pugnali ignudi che gli si dovevano immergere nel seno. Così appunto seguì in Cristo, giacché nell’orto tutta in una occhiata vide la sua dolorosissima passione, flagelli, chiodi, disprezzi, strapazzi, croci, carnefici, ignominie e morti. O che pena! Miratelo dunque così asperso di sangue, mentre a me pare che a voi rivolto dica: Popule meus, quid feci tibi, aut quid molestus fui, responde mihi! Dimmi popolo mio, altrettanto ingrato, quanto amato, dimmi, in che ti offesi mentre tanto m’oltraggi con i peccati, fino a spremermi sudori di vivo Sangue. Miei UU., ecco il Figlio di Dio prostrato nell’orto di Getsemani, cioè a dire attraversato nelle strade peccaminose delle vostre colpe; voglio ora vedere se avrete ardir di porre il piè su questa faccia divina per passar a goder i vostri malnati piaceri. Interessato, passerai tu sul petto di Cristo, per arrivar’a quell’ingiusto guadagno. Vendicativo, passerai a calpestar Cristo per correre a danneggiar il tuo nemico. Sensuale non t’inorridisci di non metterti sotto pié Gesù, che ti sta dicendo: sopra di me hai da passar per andar a quella casa, a quel ballo, a quella veglia, a quegli amori, a quelle disonestà. – Appunto, i peccatori non odono, ed hanno gli occhi chiusi per conoscer la gravezza del peccato; onde è che l’eterno Padre, quasi che non bastasse aver punito il peccato con i sudori di sangue sparsi dal Figlio, vuol punirlo con maggiori patimenti, acciò più spicchi la gravezza del delitto. Ecco pertanto, che Giuda l’indegno, portatosi dagli scribi con bocca sacrilega si fa intendere, quid vultis mihi dare, ego eum vobis tradam. Ah Giuda sacrilego, che fai? Tu Apostolo, tu discepolo amato del Signore, tu dunque ti fai capo per tradirlo? Cieli, qual calamità più deplorabile, qual afflizione più inconsolabile,
che ricevere il danno, donde s’aspettava l’aiuto? Ah indegno, sacrilego, stimaste trecento denari poco unguento di Maddalena, e sol trenta prezzi il Sangue di Cristo? O pazzo mercadante che sei, tu vendi Cristo a chi non lo stima; va’, e vendilo a Maria la peccatrice, che, se sopra la sua testa versò unguento di tanta valuta, considera a che prezzo ne comprerebbe la vita; va’, e vendilo ai Re Magi, che vennero fino dall’ultimo Oriente alla stalla di Betlemme per comprarne con tesori il gradimento della loro servitù. – Giuda non ode, e però stabilita la vendita di Cristo per trenta danari, accompagnato da sbirraglia, e soldatesca, ubbriacato dall’interesse, senza saper quel che faceva, al dir di Cirillo, s’invia all’orto, quivi trova Gesù, lo saluta, lo bacia, Ave rabbi, osculatus est eum. Ecco venduto Gesù, e perché? Ahi, che non ho cuore da dirlo. Giuseppe, voi ben sapete, che fu venduto per odio da ‘ fratelli traditori; ma o quanto diversamente da Gesù. Legano, i fratelli, Giuseppe con lunghissime corde, lo cavan fuori della cisterna per darlo in mano degli Ismaeliti; finalmente a guisa di schiavo, viene e legato, e posto sopra velocissimi dromedari, senza che gli giovino né le preghiere, né le lacrime. Povero Giuseppe, ti compatisco, sei venduto crudelmente da’ tuoi fratelli; consolati però alquanto, perché essi ti vendono, perché tu non abbia a morire, melius est ut venundetur. Questa grande ingiuria d’esser venduto per essere ucciso, non tocca a te, tocca a Gesù, Filius hominis tradetur, ut crucifigatur. Dio immortale, si può sentire barbarie più spietata? Io non ho mai letto, che nessun uomo venduto anche nelle battaglie più sanguinose, sia stato venduto per esser ucciso, ma so bensì, che per questo sono stati venduti, perché gli si conservi la vita; ma non è così per Cristo; Cristo è venduto, perché a guisa di vil giumento, sia condotto al macello. E Voi o Padre Eterno, permettete tradimenti sì esecrandi nella Persona del vostro Figlio? Sì, dice Dio, sì, perché i peccatori, vedendo punita l’ombra del peccato, ne arguiscano la gravezza, e più non pecchino, e per questo stesso non sono contento del tradimento, se non seguono gli effetti. Ecco dunque, che gli empi il cingono, come famelici lupi un innocente Agnello, e lo conducono a casa di Anna, ove precorsa la fama della di Lui prigionia, era di già aspettato. Deh spettacolo! Ecco il Re della gloria nell’umile sembiante di reo porre i piedi in quella sala, in cui siede, architetto di questa tragedia, l’iniquo Pontefice; trionfa la malizia, comanda l’ingiustizia. Ecco che gli assessori del concilio cospirano contro di Lui: sederunt principes, et adversum me loquebantur. Chi lo taccia nella dottrina, chi l’accusa come distruttore del Tempio, chi lo dichiara ribelle. Quando un soldato con mano temeraria ed armata di ferro, e vestita d’adulazione, non meno percuote la faccia, che gravemente macchia l’innocenza del Salvatore con quelle amare parole: Sic respondes Pontifici? Angeli, e che fate, vi dirò col Crisostomo, qui hæc intuemini, quomodo manus continere potestis? So pur che uno di voi, in vendetta d’una sola bestemmia, immerse la spada nel sangue di cent’ottanta cinque mila persone, non debiscit hic terra? E perché non t’apri o terra, tu, che non sostenesti i tumultuanti? Non Cœlum jaculatur fulmina. Cielo e perché non piombi fulmini sopra questi empi, tu che con fiamme ardenti, consumasti i soldati ad una voce d’Elia. Deh non lasciate impunita la mano di quel temerario, che certo altro non poteva esser che un ministro d’inferno: Unus assistens ministrorum. Niuna creatura si risente per vendicar l’oltraggio fatto al Creatore; e Gesù senza un principio di risentimento, accepit iniuriam, (come disse Ruperto) et servavit patientiam, tollerò pazientemente l’ingiuria per insegnarci che tali devono esser le vendette cristiane. – Confesso il vero, miei UU., che io inorridisco alla rimembranza di tanti patimenti ed oltraggi tollerati da Cristo. Ma perché, mio Dio, affligger tanto il vostro Divino Figliuolo? Se pur Voi volevate per mezzo suo la nostra redenzione e salute, bastava senza altro, un sospiro che uscisse dalle sue labbra divine. Così è, dice Dio, bastava un suo sospiro; ma intanto l’ho voluto sotto i rigori di tanti patimenti, in quanto bramavo che gli uomini dal veder che Io così ho trattato il mio Figlio per i peccati degli uomini, ne arguissero la gravezza dei medesimi peccati per sempre fuggirli. Oh mio Dio, torno a dirvi, bastava, perché gli uomini sapendo, che il vostro Divino Figliuolo avesse dato questo sospiro, che era di valor infinito, non avrebbero peccato. Taci, non è vero mi risponde Iddio; e non vedi tu, che quantunque Io le mostri la gravezza con aver sottoposto il mio Figlio a sudori di sangue, ai tradimenti d’un Giuda discepolo, ed alle ignominie nel tribunale di Caifa, alle ignominiose guanciate d’un temerario ministro, ad ogni modo peccano? E giacché non bastano a quel giovane lascivo, a quella donna impudica, a quell’usuraio, a quel mormoratore i patimenti tollerati dal mio Figlio finora, per fargli conoscer la
gravezza dei suoi errori, ecco, che sono contento di vederlo spasimare sotto de’ flagelli. Oh peccato, maledetto peccato, quanto sei spietato mentre sottoponi un Dio alle battiture per mano di carnefici. Giunto Cristo al Tribunale di Pilato, s’ode dalla bocca dell’infingardo presidente, vinto dalla fierezza del Popolo e dall’implacabile sdegno degli Giudei, l’orribile sentenza: Corripiam ergo illum, et dimittam. Piano, o Pilato, tu condanni senza dar le difese a chi ti si suppone per reo; una simil barbarie non si pratica neppure con gli uomini più ribaldi; giacché le leggi non consentono, che si condanni chi non ha fatto le difese, nunquid lex judicat hominem, nisi prius audierit ab ipso. Così è, ma non così si tratta con Cristo. Io so, che quando quei marinai che conducevano Giona, restarono chiariti esser lui il reo, e per lui star in pericolo d’annegarsi, non corsero già, senza udirlo, a gettarlo in mare; non per verità, ma gli vollero prima dar le difese, ne fecero consulta, ne formarono processo, e diligentemente l’interrogarono… chi sei tu, onde vieni, dove vai? E finalmente dovendolo pur sentenziare, mai vennero alla sentenza di morte, finché il misero non confessò di sua bocca il peccato e non giunse a dire: propter me tempestas orta est. Così si praticò con Giona reo da quei barbari, ma non così da’ Giudei con Cristo: si condanni senza sentirlo, vada sotto de’ flagelli. Ecco, che lo spogliano delle sue vesti. Cieli, accorrete con le vostre nuvole, e voi Angeli, perché non volate a ricoprire con le vostre ali il mio Gesù per liberarlo da tanta confusione. Ah Padre Eterno, perché non concedere al vostro Unigenito quelle grazie, che a tanti vostri servi partecipate, rendendoli invisibili allo sdegno de’ nemici, alla vendetta, alla crudeltà de’ tiranni. So pur che ad Agnese crebbero miracolosamente i capelli in modo che tutta la ricoprirono: Barbara fu nascosta sotto il manto d’un’insolita chiarezza, e le tele di ragno occultarono il Santo Martire Felice. Ma, quanto son pigre le creature insensate, tardi gli Angeli, lento l’Eterno Padre a sovvenirlo, tanto sono pronti a ferirlo i suoi nemici. Questi, spronati dall’ordine di Pilato, accesi dalle promesse de’ Giudici, inseriti da demoni, senza veruna compassione fecero un crudelissimo scempio delle Carni innocenti di Gesù: chi lo percuote con mazzi di spine, chi con nodosi bastoni, chi con verghe di ferro che armate d’uncino, col ritirar il colpo, tiravano seco a pezzo la carne, ed insieme gareggiavano i carnefici chi di loro meglio colpiva e più profondo ne lasciava nelle sacratissime spalle il solco, e quasi che angusto campo alla di loro barbarie fossero le sole spalle di Gesù, cingono il capo con le sferze, pestano il petto; l’impiagano: Caditur totoque sagris corpore dissipatur, nunco ventrem, nunc brachia, nunc crura cingunt, vulnera vulneribus, plagas plagis recentibus addunt; fu sentimento di S. Lorenzo Giustiniano. – Deh cessate, o manigoldi, cessate vi prego da tanta barbarie , dovria ormai bastare al vostro sdegno; non vedete che Ei è tutto sangue quello che vi sta sotto flagelli non è già un duro sasso, un pezzo di marmo; è Ei un uomo di complessione la più delicata e gentile che possa formar natura; ma che, quantunque al dir del Nazianzeno, scorresse a guisa di fiume il sangue, fluebat sanguis et de Paradiso illo cœlesti flumina manabant; ad ogni modo io parlo a sordi, a’ quali la crudeltà ha impietrito nel petto i cuori, ha tolta ogni pietà, non odono le mie voci, intenti solo ad aggiunger ferite a ferite, a rompergli l’ossa tanto che, se lo vedeste, miei riveriti ascoltanti, direste col Profeta che Egli è tutto una piaga: a planta pedis usque ad verticem capitis, non est in eo sanitas. – Ma, mio Dio, se volevate che il vostro Unigenito Figliuolo spargesse sangue, e così palesasse al mondo la gravezza del peccato, una sola stilla che avesse versato avrebbe fatto conoscere abbastanza quanto sia grave il peccato. Non è vero, dice Dio, non è vero, t’inganni, perché quantunque il mio Figlio n’abbia sparso non una stilla, ma un lago, ad ogni modo i peccatori non lo stimano di quel gran peso, ch’ei è, per
che di continuo lo commettono. Ad ogni modo quel mercante non cessa di far contratti illeciti, di spacciar la roba cattiva per buona, di guadagnar nell’usure. Ad ogni modo non lascia di mormorare quella lingua scomunicata, di spergiurar, di bestemmiare sacrilegamente. Ad ogni modo quel giovane si vuol distruggere negli amori; e quella giovane, che si è messa sotto de’ piedi la vergogna, vuol incenerire affatto la pudicizia. Se così è, mio Dio, che questi peccatori non vogliono stimar il peccato, quantunque lo veggano così punito nel vostro Gesù innocentissimo, grondante Sangue per noi sotto de’ flagelli. Che farete? che farò? darò nuovi segni della gravezza col sottoporre il mio Figlio a nuovi tormenti. O Peccato, maledetto peccato e quanto sei terribile, mentre da’ flagelli passi a tormentar Gesù con acutissime spine e pur Ei non ha, né può aver mai colpa, che sarà di voi, o peccatori, che sarà di voi che n’avete la colpa incarnata, incancherita fino dentro l’ossa. Ecco Gesù per scherno fatto re da burla, vestito d’uno straccio di consumata porpora, e coronato con una corona di pungentissime spine, la quale non solo gli cingeva le tempia, ma gli copriva il capo, né qui finisce la giudaica perfidia, e barbarie, o per dir vero i miei, i vostri peccati, poiché quelli empi prendono bastoni, la percuotono, e la calcano, sicché profondamente immersa, fino al cervello, con dolorosissimo squarcio uscivano le punture per la fronte, e per le tempia. A questo doloroso tormento, uniscono gli scherni, e per argomento d’un regno fallito, consegnandogli una canna per scettro, piegano le ginocchia, lo salutano e lo percuotono, et genuflexo illudebant Ei. Onde Crisostomo ebbe a dire: quod siebat in Christo, ultimus contumeliæ terminus erat. Chi può ridir, nonché comprendere, l’estrema agonia di Cristo nostro bene con sì fatto tormento. Questo solo delle spine, quando bene altri non n’avesse sofferti, bastava a togliergli la vita; quantula est spinæ punctura, quantum hominem domat, disse colui. Quel leone incontrato da San Girolamo nelle solitudini della Siria, per una spina fitta in un pie’ riempiva le selve d’urli e di strepito i boschi. Or se una spina nel piè d’un feroce leone, tanto lo crucia, che diremo di Cristo forato in tanti luoghi, e sì sensitivi e delicati, nei quali durando questa corona fino allo spirar fu continuo, né mai interrotto lo spasimo. Debuit plane mori, dice San Lorenzo Giustiniano, tanto dolore transfixus; ma se non morì, fu effetto dell’amor che lo preservò dalla morte, senza punto mitigargli la pena. Deh riconosci, o peccatore in queste spine, in questo sangue che gronda, la gravezza del tuo peccato, e però detestalo, e sollecito corri ad esporre le tue piaghe mortali alle punture di queste spine sacrosante, per farne uscire la velenosa putredine delle tue scelleraggini, altrimenti, io ti dico, che queste medesime spine ti trafiggeranno un dì talmente il che spremerai dolorosi sospiri, ma senza prò.

LIMOSINA.
Cristo oggi per voi dà il suo sangue, voi per Lui date il vostro denaro. Oggi è quel giorno, in cui Cristo si vende e si compra. Se Giuda lo vende per avarizia, voi potete comprarlo con liberalità. Cristo è vostro, se slargerete la mano con i poveri.


SECONDA PARTE

Così non fosse come quivi ci farà taluno, che ostinato ne’ suoi peccati, non ne vorrà confessar la gravezza, quantunque sappia che questi hanno esposto Gesù ai flagelli, alle spine. Se così è, mio Dio, bisognerà usar con costoro lo stratagemma di Pilato, e fargli veder cosa hanno operato con le loro iniquità. Orsù attenti UU.: dì tu Pilato ai circostanti: Ecce Homo; dico io a voi (e figuratevi di veder lo spettacolo che io vi rappresento) Ecce Homo. Ecco Gesù: eccolo piagato da capo a piedi. Eccolo grondante vivo sangue. Eccolo scarnificato fino all’ossa da duri flagelli. Eccolo re da burla, coronato di spine che trapanandogli il sacro capo gli fanno grondar rivi di sangue. Eccolo, più in sembianza di morto che di vivo. Ecco, ecco, o peccatori, la pietosa immagine delle vostre crudeltà. E voi non vi risolverete a detestar quel peccato, che per la sua gravezza ha causato tanto male? I fratelli di Giuseppe, doppo averlo venduto, per farlo creder dal lor padre divorato da qualche fiera, presero la veste dell’innocente fratello e, tinta di sangue, la mandarono a Giacobbe, a cui fecero dire: vide, si tunica filii tui fit, an non. Mira, se questo abito sì lacero sia del tuo figlio. Videte, videte, dirò io; mirate miei ascoltanti, se questo ha il vostro Gesù, Figlio del Padre Eterno, tutto livido, tutto lacero, tutto ferito, e poi dite, e direte bene: Færa pessima devoravit eum, la fiera più crudele, che trovar si possa in tutto l’universo; questa l’ha ridotto ad un tale stato. E qual è questa fiera? Il peccato mortale, quegli odii, quelle lascivie, quelle vanità, quelle mormorazioni, quell’interesse l’hanno scarnificato l’hanno svenato, l’hanno trasfigurato in modo che più non si conosce: færa pessima devoravit eum. È fiera passione il peccato, ma non agli occhi del peccatore che, quantunque veda sì maltrattato Gesù, non per questo vuole asserirne la gravezza; anzi lo stima cosa da nulla. Onde, mio Dio, se non ne date nuovi segni, non so qual profitto riportarne questa mane dalle vostre parole proferite per mia bocca. Bene, dice Dio, darò segni maggiori della gravezza del peccato, perché farò veder punito il mio Figlio per i peccati degli uomini con una condanna, la più luttuosa, che sia mai seguita al mondo. Cieli, e che sento? Non occorre altro, voglio trovar modo, che i peccatori confessino la gravezza del peccato, e perciò vengo a questi eccessi. Ecco, dunque, che Pilato spaventato al nome di Cesare, ed abbattuto dal brutto mostro dell’interesse, che fa tanta strage negli uomini, pensando che non gli bastasse, per non esser colpevole, lavarsi in pubblico le mani, se le lavò senza riflettere che tutta l’acqua del mondo non poteva mondar una lordura che neppur potevasi dallo stesso fuoco dell’inferno; concede la licenza bramata al popolo, che grida: crucifige, crucifige, e lo consegna alla croce. O barbarie, o crudeltà inaudita ne’ secoli. In questo mondo, non v’ha dubbio che molti innocenti sono stati condannati anche alla morte, o perché non si sia conosciuta la loro innocenza o per l’ingiustizia del Giudice; ma avvertite, che per questi che son morti innocenti, non sono stati fatti morire come innocenti, ma gli si sono inventati i delitti, si sono fatti apparire per rei, e come tali sono stati sentenziati e morti; Gesù solo è stato quello che è stato condannato a morte non solo innocente, ma dichiarato innocente. È innocente, ma muoia; è giusto, ma muoia; è benefico, ma muoia, nullam invenio in eo causam; si può trovar barbarie maggiore? Vi basta l’animo a voi metter le mani col ferro alla vita ad un vostro cagnolino che non v’abbia fatto mal veruno, ma sempre fedelmente servito? No, no, inorridite! E pure così si tratta Cristo, si dichiara innocente, e si condanna alla morte de’ rei; non accade altro, ecco Cristo condannato alla croce dalla perfidia de’ Giudei, mi disdico, dalla gravezza de’ nostri peccati. Or io rivolto a voi, miei UU., parlo: già i Giudei vollero Gesù Crocifisso, si agita di nuovo la medesima causa avanti di voi. Dite, su, miei UU., che volete, che si faccia del nostro Gesù? Dal vostro arbitrio dipende se s’abbia da uccidere o da liberare; da un cenno, da un sì, da un no, dalla vostra bocca aspetta Cristo la sentenza: lo volete libero o crocifisso? Vivo o morto? lo restituite a Maria, o lo consegnate al Carnefice? Qui non parlo del passato; già so, che da primi anni incominciaste a gridar Crucifigatur. Ciò che più mi trafigge l’anima, è che sento fin dal fondo di certi cuori ostinati quelle voci arrabbiate crucifige, crucifige; dunque io vi risponderò: Regem vestrum crucifigam. Che male vi fece mai questo buon Signore, che lo volete morto? In che mai vi disgusta, già che ne volete bever il Sangue svenato? Empi, scomunicati peccatori, voi siete sì peggiori di Giuda: gridò ei appena preso il denaro: peccavi, tradens sanguinem justum, si stimò degno di morte. E tu Cristiano lo vedi vicino a morte ed ad ogni modo stai risoluto di seguitar la tua libidinosa e sanguinaria vita, e gridi: Crucifige, crucifige. Volete dunque, o Peccatori, che Ei muoia? Muoia, muoia. Mio Signore, udite i lascivi prima di lasciar le loro disonestà, i superbi prima che perdonar le loro ingiurie, gl’ingordi, prima che restituir l’altrui roba, vi vogliono morto. Alla morte, mio Gesù, alla morte, bisogna morire. Ah peccato, maledetto peccato tu sei il carnefice crudele. E voi peccatori, non volete ancor conoscerne la gravezza, mentre ei è quello che consegna Gesù al piacer degli Ebrei per farlo morire? Ecco, che gli presentano l’obbrobrioso strumento di morte, la croce, ed Egli caramente se la stringe al seno, ed immedesimandosi quasi con quella per forza d’affetti, richiama subito alle labbra il cuore, e con mille tenerissimi baci, su di quella lo rovescia. Indi postasela sulle spalle, così addolorato per la corona di spine, così indebolito per il sangue versato, s’incammina verso il luogo del supplizio, ma per la sua stanchezza e per il peso della croce, abile a stancar un uomo ancorché robusto,
non tanto cammina, quanto strascina le sue misere membra. O impietà non più udita! O inumanità negli annali de’ tiranni più barbari non più letta! Si suol pur per pietà agli altri poveri delinquenti nasconder i coltelli e le mannaie, si velano loro gli occhi alla presenza de’ tormenti, gli usano in quel punto termini di molta carità; ma ahi, che a Cristo nostro innocentissimo Signore non si ha questa compassione; gli si pone per suo maggior tormento, non solo avanti agli occhi, ma sopra le sue divine spalle lo strumento dell’obbrobrioso supplizio. Giunto il nostro Gesù al Calvario distesa la croce, preparati i chiodi disposti i ministri, gli si comanda che sopra d’essa si corichi: obbedisce Cristo, e steso sopra della croce, distende subito quella destra, che sparge benedizioni, al chiodo. Conficcata questa, con incredibile scatenamento viene stirata la sinistra perché arrivi al foro. Il simile si fa de’ piedi, et crucifixerunt eum. E
con queste parole, vinte dall’atrocità del ifatto, le penne degli Evangelisti, compendiarono con mestissimo silenzio il principal mistero della nostra redenzione. Quel grande Alessandro, che con tante spese e sudori avea procurato di dar la morte a Dario; con tutto ciò, quando poi giunse al cospetto del suo cadavere esangue, non poté raffrenar le lacrime, anzi che toltasi la sua clamide d’indosso, con essa lo coprì, lo rinvolse. E contro al cadavere del mio Gesù, tutto lacero e stracciato, si cavan fuori le lance, per passare con un colpo spietato il cuore? Unus militum lancea latus ejus aperuit. A me non resta fiato da esclamare: ah lacrime, sospiri, pianti, voci di duolo venite al mio seno, ai miei occhi, alla mia lingua. Fu antico costume, al narrar delle sacre Carte, che scopertosi un omicidio, e non sapendosi l’uccisore, s’esponesse a pubblica vista il cadavere, e ne corresse l’obbligo a ciascuno de’ cittadini por la mano sopra l’estinto corpo, affermando con solenne giuramento non esser egli il reo d’un tal misfatto. A voi ora mi rivolto, RR. AA., e rinnovando l’antico costume, v’obbligo a stender la mano sopra l’estinto Gesù, e con solenne giuramento attestar non aver voi parte nel sacrilego deicidio. Avverti, tu sei spergiuro, o iracondo? Se ti chiami innocente, perché l’uccideste nelle vendette? Non tender la mano, o disonesto, le tue lascivie diedero la morte al Redentore. I vostri lussi, le vostre crapule, le irriverenze ne’ templi, gli strapazzi a’ genitori, le vanità immodeste, vi condannano per rei di morte data ad un Dio. Deh per pietà, se già il crocifiggeste con i peccati, non vogliate più crocifiggerlo con nuove iniquità, acciò che Egli non debba slontanarsi da voi anche visibilmente. Appunto allontanossi da un Cristiano colà nel Brasile. Commise questi una tal disonestà, allorché portava legata al collo. l’immagine di Gesù Crocifisso; dopo il calor del peccato, postasi la mano al petto, vi trovò bensì il laccio senza esser mutato, e sciolto il nodo, ma non Gesù, per quell’atto, doppiamente crocifisso. Stordito dalla novità, si rimirava d’intorno, ed alla fine corso l’occhio al più lontano e nascosto cantone della camera, ivi mira, ah disperato, il Signor Crocifisso, poiché ivi era fuggito per l’orrore delle sue impurità, ed ivi si stava accantonato il Monarca del mondo, che tollerando pazientemente la croce, non poteva sopportar la croce di quel disonesto ribelle. Ma che, il mirare dal reo, Cristo, e il disfarsi in pianto, fu tutto una cosa; se lo ripose sul petto, ma più dentro il cuore; lo legò col suo laccio, ma più con la carità; e per non perdere un’altra volta il suo caro fuggitivo, lavò in perpetue lacrime il fallo commesso, e serbò fede perpetua al suo amatissimo Gesù. Oh quante volte dovrebbe fuggirsene da molti il Crocifisso giacché molti l’hanno crocifisso con i peccati. Or, se errammo con questo Cristiano del Brasile, piangiamo altresì con lui, né mai più crocifiggiamo Gesù. Padre Eterno, io spero di potervi assicurare che questo popolo qui presente mai più crocifiggerà coi peccati il vostro Figliuolo Gesù. Ecco, che con le voci del cuore apertamente si protestano, Anima mea illi vivet: non vogliono più moderati affetti, non più sensuali piaceri: illi vivet. Vivrà ai suoi ossequi, alla sua gloria, all’osservanza della sua legge. Deh gradite Padre Eterno questi sentimenti, e confermate l’esecuzione d’essi col Sangue preziosissimo del vostro Unigenito, e mosso a compassione delle nostre iniquità; placatevi alla vista di queste piaghe, parce populo tuo; condonate le colpe sue a questo popolo che, umilmente prostrato ai vostri piedi, chiede il perdono, benedic hereditati tuæ, e dategli ora la vostra santa benedizione, per caparra dell’eterna in Cielo.

LIMOSINA

San Pier Damiano dice che in questo giorno in cui Cristo dà a noi la limosina, dando il suo corpo alla morte per noi, voi non avete da negar la limosina a’ suoi poverelli. Elemosynam fecit tibi, corpus suum tradendo, o tu elemosynam illi, fac, bucellam panis porrigendo pauperi. Starò a veder che Giuda venda Cristo per trenta danari, e voi non vogliate comprarlo con altrettanto danaro distribuito a’ poveri.

TERZA PARTE.

O non posso capire, come possa darsi il caso che chi considera un Dio morto in croce per redimerlo, possa indursi a peccare. Ma, oh ingratitudine, o pazzia dell’uomo, che non fa conto d’un sì gran benefizio, perché pecca. Arrossitevi, o Cristiani, al racconto di gratitudine praticata dai Gentili. Riferisce Senofonte, che Ciro re di Persia, avendo appresso di sé prigionieri Tigranes, Figlio del Re d’Armenia, e la di lui sposa Armena; rivolto un giorno a Tigranes, dissegli che pagherebbe a chi ponesse in libertà Armena vostra Consorte. Al che prontamente Tigranes: libenter vitam dabo, darei di buona voglia e sangue e vita. Risposta tanto stimata da Ciro, che ad ambedue concesse la libertà, parendogli che un affetto sì nobile, non una, ma cento ne meritasse. Or mentre lieti i due sposi tornavano alla patria, rivolto ad Armena Tigranes: vedeste, dissegli, o sposa, le grandezze immense di Ciro? Il superbo Palazzo, che per architettura eccede l’arte: vedeste l’oro, le gemme, gli abbigliamenti delle sale, i parati delle stanze, superano la stima. Le tavole d’avorio, le statue e di metallo e di marmo; le porte, le finestre intarsiate d’argento; le sedie, i letti, i padiglioni tessuti di broccato e tempestati di gemme? Non ha pari questa reggia, per certo, nel mondo. Sposa, che dite, non ammiraste un tanto splendor in corte sì magnifica? Allora Armena mostrossi totalmente nuova al discorso ed al racconto, e dissegli: nulla di ciò io vidi, amato consorte, né a me fu possibile applicar la vista a tali cose, mentre assorta, e quasi fuori di me, tutta ero intenta nella considerazione del vostro amore, che per la mia liberazione offerse sangue e vita, né fu possibile che in altro io potessi fissar le mie pupille, che in quello, che liberale del proprio sangue l’offriva tutto per me… nihil aliud spectare poteram, quam illum, qui vita sua me redempturum se confirmavit, ne ego servirem. Risposta fu questa superiore all’esser di donna; ma che avrebbe mai detto, se avesse trovato, non chi gl’avesse offerto e vita e sangue, e quanto avea per redimerla dalla cattività, ma l’avesse redenta come ha fatto per noi Cristo nostro Redentore? Io resto fuori di me, e voi non potrete far di meno di non darvi per vinti, al racconto. Io resto fuori di me, dico, al ricordarvi ciò che racconta Valerio Massimo d’un soldato di Gneo Pompeio, combattendo con uno di Sertorio, dopo vari colpi di spada, afferratolo per un braccio, lo trapassò con più ferite, e crudelmente l’uccise; indi curioso di vedere chi fosse, ed avido delle spoglie, gli scoprì il volto, e con orror riconobbe aver ucciso l’unico suo caro ed adorato fratello. Diede l’infelice all’accidente inaspettato un profondo sospiro, pianse e percosse il petto e tra le smanie d’un immenso dolore, chiedeva dell’errore replicato perdono al fratello estinto, ma non ne sentendo l’assoluzione, tutto frenetico , e tutto fuor di sé, impugnata quella medesima spada imbrattata di sangue fraterno, se la voltò con la punta al petto, e lasciandovisi cadere, spirò l’anima sopra il cadavere del fratello. Noi sappiamo, riveriti AA., che finora con i peccati Cristo, offendendolo, strapazzandolo, ed a guisa di nemico ferendolo con tante stoccate quanti finora sono stati i peccati, finalmente l’abbiamo ucciso. Può esser veramente, che le passioni furiose o l’ignoranza nostra ci abbiano tanto accecati sicché, bene non conoscessimo chi Egli fosse. Ma ora volete sapere chi era quel Cristo da voi barbaramente ucciso ed a qual stato e forma l’abbiano ridotto i vostri peccati, vi metterò avanti gli occhi l’oggetto più lacrimevole che mai vedesse il mondo. Testimoni qui v’invoco Angeli Santi, che in questo giorno sì amaramente piangeste, siate presenti a veder l’eccesso de’ nostri falli. E voi, Maria Addolorata, che in questo dì da spada di dolore foste trafitta, mirate ora dal Paradiso l’assassinio che abbiam fatto miseri noi del vostro Santissimo Figlio. Maria Regina di Scozia, essendogli stato ucciso il marito, venuta in Edemburgo, che è la città regia, si studiò di commuovere il popolo a pietà del morto principe comparve dunque tutta vestita a bruno, scapigliata nel crine, e tutta molle di pianto, e si fece portare avanti un lugubre stendardo in cui con vivi colori era dipinta la morte indegna dell’amato consorte; giaceva di steso il re trucidato, tutto intriso di sangue, con una sembianza egualmente amabile e miserabile, in atto di moribondo, esalando l’ultimo spirito sì malconcio dalle ferite de’ congiurati, che rendeva orrore. Tanto bastò, perché nel popolo si suscitasse un’altissima commozione, di modo tale che fremendo, riempì l’aria di clamori, e di gemiti. Io quanto a me non so figurarmi mezzo più opportuno per intenervi, che porvi avanti gli occhi lo stendardo funesto del Crocifisso Signore, e forse e senza forse, potrà più la vostra vista che la mia lingua ad ammollirvi. Ecco, ecco la dolorosa Immagine di Gesù, ecco il crudo scempio, che del Figlio di Dio han fatto i vostri, i miei peccati. Mirate come trafitto da spine nella testa, così l’hanno trafitto i miei pensieri d’amore, d’odio, di vendetta. Osservate quelle mani grondanti vivo sangue, così l’han traforate le mie mani rapaci, vendicatrici, così le mie mani stesse alla robba altrui, alle vendette; quella bocca è stata attossicata dalle parole licenziose, dalle mormorazioni, spergiuri, bestemmie etc. Quelli occhi trapassati anche essi da spine, ne sentirono le punture di quegli sguardi immodesti nelle piazze, nelle strade, nelle Chiese. Quei piedi traforati si dichiarano piagati da quei balli e salti fin d’allora che ti portaste a quelle case, a quei ridotti. Quel costato santissimo è aperto dalle brame indegne, che vi covaste, divise in tanti odii, in tanti amori, in tanti interessi pieni d’usure e tutte insomma quelle membra santissime si dichiarano maltrattate, percosse e lacerate dalle nostre iniquità. Se così è, guerra, guerra, vendetta, vendetta contro del peccato, né mai con esso facciam pace, giacché ha tolto a voi, mio Bene, la vita. Confessiamo la nostra indegnità, vi domandiamo perdono, misericordia, ed a questa ricorreremo nella adorazione de’ vostri santissimi piedi, dove prostrati, con vivo affetto diremo: Tu Rex gloria Christe; Tu Patris sempiternus es Filius. Tu devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna Cœlorum. Te ergo quæsumus tuis famulis subveni, quos prætioso Sanguine redemisti.

QUARESIMALE (XXXVI)