DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le lezioni dell’Ufficio divino in questo tempo sono spesso ricavate dai libri dei Maccabei. Dopo la cattività di Babilonia, il popolo era ritornato a Gerusalemme e vi aveva ricostruito il Tempio. Ma lo stesso popolo ben presto fu di nuovo punito da Dio perché gli era stato nuovamente infedele: Antioco Epifane s’impadronì di Gerusalemme e saccheggiò il Tempio, quindi pubblicò un editto che proibiva in ogni luogo la professione della religione giudaica. Furono allora da per tutto eretti altari agli idoli e il numero degli apostati crebbe in guisa che sembrò che la fede di Abramo, Mosè e Israele dovesse scomparire. Dio suscitò allora degli eroi: un sacerdote, chiamato Mathathia raccolse tutti coloro che erano ancora animati da zelo per la legge e per il culto dell’Alleanza e designò suo figlio Giuda Maccabeo come capo della milizia, che suscitò per rivendicare i diritti del vero Dio. E Giuda col suo piccolo esercito combatté con gioia i combattimenti di Israele. Nella battaglia era simile ad un giovane leone, che ruggisce sulla sua preda. Sterminò tutti gli infedeli, mise in fuga il grande esercito di Antioco e ristabilì il culto a Gerusalemme. Animati dallo Spirito divino i Maccabei riconquistarono il loro paese e salvarono l’anima del loro popolo. « Le sacrileghe superstizioni della Gentilità, disse S. Agostino, avevano insozzato il tempio stesso; ma questo fu purificato da tutte le profanazioni dell’idolatria dal valoroso capitano, Giuda Maccabeo, vincitore dei generali di Antioco » (2a Domenica di ottobre, 2° Notturno). – « Alcuni, commenta S. Ambrogio, sono accesi dal desiderio della gloria delle armi e mettono sopra ogni cosa il valore guerresco. Quale non fu mai la prodezza di Giosuè, che in una sola battaglia fece prigionieri cinque re! Gedeone con trecento uomini trionfò di un esercito numeroso; Gionata, ancora adolescente, si distinse per fatti d’arme gloriosi. Che dire dei Maccabei? Con tremila Ebrei vinsero quarantottomila Assiri. Apprezzate il valore di capitano quale Giuda Maccabeo da ciò che fece uno dei suoi soldati: Eleazaro aveva osservato un elefante più grande degli altri e coperto della gualdrappa regale, ne dedusse dover essere quello che portava il re. Corse dunque con tutte le forze precipitandosi in mezzo alla legione e, sbarazzatosi anche dello scudo, si slanciò avanti combattendo e colpendo a destra e sinistra, finché ebbe raggiunto l’elefante; passando allora sotto a questo, lo trafisse con la sua spada. L’animale cadde dunque sopra Eleazaro che perì sotto il suo peso. Coperto più ancora che schiacciato dalla mole del corpo atterrato, fu seppellito nel suo trionfo » (la Domenica di ottobre, 2° Notturno). – Per stabilire un parallelo fra il Breviario e il Messale di questo giorno, possiamo osservare che, come i Maccabei, che erano guerrieri, si rivolsero a Dio per ottenere che la loro razza non perisse, ma che conservasse la sua religione e la sua fede nel Messia (e furono esauditi), così pure nel Vangelo è un ufficiale del re, che si rivolge a Cristo perché il suo figliuolo non muoia; egli con tutta la sua famiglia credette in Gesù, quando vide il miracolo compiuto in favore di suo figlio. Constatiamo inoltre che i Maccabei opponendosi agli uomini insensati che li circondavano, cercarono presso Dio luce e forza per conoscere la sua volontà in circostanze difficili (5° responsorio, Dom. 1° respons. del Lunedì) ed esauditi nel nome di Cristo che doveva nascere dalla loro stirpe, resero in seguito azioni di grazie nel Tempio, « benedicendo il Signore con inni e con lodi » (2° responsorio del Lunedi). – Cosi pure S. Paolo, nell’Epistola, parla di uomini saggi che, in tempi cattivi, cercano di conoscere la volontà di Dio e che, liberati dalla morte (f. 14 di questa Epistola) per la misericordia dell’Altissimo, gli rendono grazie in nome di Gesù Cristo, cantando inni e cantici. Tutti i canti della Messa esprimono anch’essi sentimenti simili in tutto a quelli dei Maccabei. « Signore, dice il 5° responsorio, i nostri occhi sono rivolti a te, affinché non abbiamo a perire » e il Graduale: « Tutti gli occhi si alzano con fede verso di te, o Signore ». Il Salmo aggiunge: « Egli esaudirà le preghiere di coloro che lo temono, li salverà e perderà tutti i peccatori ». – « O Dio, canterò i tuoi gloriosi trionfi », dichiara l’Alleluia, e termina con queste parole: « Con Dio compiremo atti di coraggio ed Egli annienterà i nostri nemici ». L’Offertorio è un cantico di ringraziamento dopo la liberazione dalla cattività di Babilonia e la riedificazione di Gerusalemme e del suo Tempio. (Ciò che si rinnovò sotto i Maccabei). Il Salmo del Communio, che è il medesimo di quello del Versetto dell’Introito, ci mostra come Iddio benedica coloro che lo servono e venga loro in aiuto nelle afflizioni. L’Introito, finalmente, dopo aver riconosciuto che i castighi piombati sul popolo eletto sono dovuti alla sua infedeltà, domanda a Dio di glorificare il suo Nome, mostrando ai suoi la sua grande misericordia. – Facciamo nostri tutti questi pensieri. Riconoscendo che le nostre disgrazie hanno per origine la nostra infedeltà, uniformiamoci alla volontà divina (Intr.), domandiamo a Dio di lasciarsi commuovere, di perdonarci e di guarirci (Vangelo), affinché la sua Chiesa possa servirlo nella pace (Orazione). Poi, pieni di speranza nel soccorso divino e pieni di fede in Gesù Cristo, riempiamoci dello Spirito Santo, che deve occupare tutta la nostra attenzione in questo tempo dopo la Pentecoste e nel nome del Signore Gesù cantiamo tutti insieme nei nostri templi Salmi alla gloria di Dio, che ci ha liberati dalla morte e che nei giorni difficili della fine del mondo (Epistola) libererà tutti coloro che hanno fede il Lui (Vangelo). – « Sorgi d’infra i morti, dice S. Paolo, e Cristo ti illuminerà » (v. 14). Salvati dalla morte per opera dì Cristo, non prendiamo più parte alcuna alle opere delle tenebre (v. 11), ma viviamo come figli della luce (v. 8). Approfittiamo del tempo che ci è stato dato per fare la volontà di Dio. Non conosciamo altra ebbrezza che quella dello Spirito Santo e, uniti gli uni agli altri nell’amore di Gesù, rendiamo grazie al Padre, che ci ha liberati per mezzo del Figlio suo e che ci libererà nell’ultimo giorno ». – Gesù salvò dalla morte il figlio dell’ufficiale, per dare la vita della fede a lui ed a tutta la sua famiglia. Questo miracolo deve cooperare ad aumentare la nostra fede in Gesù, per opera del quale Dio ci ha liberati dalla febbre del peccato e dalla morte eterna, che ne è la conseguenza. « Quegli che chiedeva la guarigione del figlio, dice S. Gregorio, senza dubbio credeva, poiché era venuto a cercare Gesù, ma la sua fede era difettosa ed egli chiedeva la presenza corporale del Signore, che con la sua presenza spirituale si trova dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta, avrebbe senza dubbio saputo, che non esiste luogo ove Dio non risieda; egli crede bensì che Colui al quale si rivolge abbia il potere di guarire, ma non pensa che sia invisibilmente vicino al figlio che sta per morire. Ma il Signore, che egli supplica di venire, gli prova che è già presente là dove egli gli chiedeva di andare; e Colui che ha creato tutte le cose, rende la salute a questo malato col semplice suo comando. (Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.

[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

 Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

(“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.).”

IL CONTAGOCCE DELLA VITA.

Se fossi un poeta seicentista o un predicatore, anche solo un predicatore di quel secolo stravagante, definirei il tempo: « il contagocce della vita », perché la vita ci è proprio data così goccia a goccia, minuto per minuto, scorre la vita e si compone di istanti. Potremmo anche dire che il tempo è la misura della vita. Perciò noi con la vita stessa lo identifichiamo. Fare buon uso del tempo è la misura della vita. La saggezza cristiana San Paolo la fa consistere nel buon uso del tempo, come nel rovescio, cioè nello sciupìo del tempo consiste la incoscienza, la leggerezza pagana. Del tempo, ossia della vita, di tutte le sacre energie che la costituiscono ora per ora, noi possiamo fare tre usi: possiamo usarne male, cioè per fare il male. Il mondo non adopera questa parola, la copre, la maschera. Dice: per divertirci, per distrarci. Chiamano anche questo: godere la vita. Il paganesimo pretende sia questo l’uso vero, saggio della vita. Quelli che sfrenatamente, bassamente, non ne godono come egli fa e insegna a fare, li chiama stolti. Per noi Cristiani il tempo speso così nei bagordi, nel trionfo della materia, è tempo perduto… anzi perduto è un aggettivo troppo blando, è tempo sciupato, è vita sciupata, sciupata energia. Sciupare un oggetto prezioso è più che perderlo: è un disfarlo, un farlo a rovescio. Così è il tempo speso nel peccato, nel male morale, comunque mascherato. Ma c’è anche il tempo perduto. Ed è quello che noi passiamo non facendo niente, né bene né male. Nell’ozio, o nella futilità della vita. La neutralità è veramente un sogno, un’utopia. Non si riesce alla neutralità, al far niente. In realtà l’ozio, la frivolezza, il conato di neutralità morale nell’azione, è un’utopia: far niente vuol dire far del male. Il tempo speso così è tempo perduto. E perder tempo è già un male, come il non guadagnare denaro in commercio, come il perdere un bell’oggetto. E quanto tempo si perde, specialmente, in chiacchiere inutili! che poi, viceversa, non sono inutili, sono dannose, dannosissime. Educano l’anima di chi vi si abbandona alla superficialità, alla frivolezza. Spianano la via alla cattiveria vera e propria, quando non sono già cattiveria matricolata, insulti costanti alla carità cristiana, alla purezza con le loro insinuazioni e le loro larvate oscenità. Sottraggono il tempo all’operosità buona. La quale costituisce l’impiego savio e sacro, cristiano del tempo. « Dum tempus habemus operemur bonum. » Questa è la vita per noi, Cristiani; fare il bene. Farlo in tutti i modi: parlando, tacendo (perché spesso il silenzio è d’oro, spesso ci vuole più virtù a tacere che a parlare, e si fa più bene al prossimo con un silenzio dignitoso, paziente, che con mille chiacchiere), operando, lavorando, soffrendo: farlo in tutte le forme, bene a noi stessi, bene agli altri, gloria e cioè bene a Dio. Il tempo che si passa così è tempo bene speso, veramente bene speso. È un tempo impiegato. Speso bene, perché, a parte anche le considerazioni soprannaturali, noi siamo fatti per il bene, e quando mettiamo a servizio della buona causa le nostre energie, a servizio della verità il nostro intelletto, a servizio della carità la nostra influenza sociale, a servizio dei poveri il nostro denaro; quando facciamo così, stiamo bene. Ma è anche bene impiegato, perché il bene resta. Il piacere passa, finisce inesorabilmente. Goduto una volta non c’è più. Il bene fatto una volta resta sempre. San Paolo parla di riscatto, di redenzione del tempo. E cioè dobbiamo tanto più intensificare la nostra attività nel bene, quanto più scarsa è stata la nostra attività nel bene, quanto più abbondante è stata forse la nostra operosità cattiva. La morte si avanza e incalza: prima che essa giunga a troncare le possibilità del bene e del premio, avaramente, spendiamo per Dio il tempo ch’Egli ci dona.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne.

[Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno.

V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.

[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

(“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA FEDE

Si può essere gente buona, di vita austera, di cuor generoso, rispettosi di ogni autorità, ma se manca la fede, tutte queste opere buone sono come un edificio costruito sulla sabbia, che il primo vento o la prim’acqua fanno scrosciare al suolo. È inutile: senza la fede non si può piacere a Dio. Sine fide impossibile est placere Deo. Chi vuol piacere a Dio, — dice S. Paolo, — deve cominciare a credere che Dio esiste, che ci ha rivelato tutto quello che la Chiesa cattolica ci propone a credere. La fede è un gran dono di Dio. Eppure quanto poco lo si apprezza. Avete voi, — qualche volta almeno, — ringraziato Dio d’avervi fatto nascere nella fede? Potevate nascere sotto il sole d’Africa, in una capanna di selvaggi che vi avrebbero allevati come le bestie, e invece siete nati da Cristiani che vi hanno allevati come figli di Dio; e voi non l’avete ringraziato? Avete voi cura della vostra fede? Non vi siete astenuti da letture, da compagnie pericolose? Se non avete fatto nulla di tutto questo è segno che non capite ancora che tesoro sia la fede. Preghiamo umilmente il Signore, che almeno adesso ce lo faccia capire, attraverso il suo Vangelo. « Un principe di Cafarnao aveva un figlio malato gravemente. Appena gli venne ad orecchio che Gesù era tornato in Galilea, corse a scongiurarlo di venir in casa sua a guarirglielo: ero ormai moribondo. Ma prima ancora che aprisse bocca, Gesù aveva compreso che la fede del principe era poca. Infatti, se veramente avesse creduto in Lui come Figlio di Dio, avrebbe anche creduto che poteva far miracoli da lontano, senza andargli in casa. Perciò il Signore disse: « Voi altri se non vedete miracoli non credete ». Ma il principe lo supplicava: « Signore vieni prima che muoia ». Poca fede anche qui. Forse che Gesù non avrebbe saputo risuscitarlo, se morto? « Torna » gli risponde Gesù « che tuo figlio vive ». Corre a casa il principe, e per via incontra i servi che gli annunciano la guarigione del figliuolo. « A che ora è guarito? » Ancora poca fede. Se credeva alla parola di Gesù, doveva pur sapere che suo figlio era guarito nell’ora stessa che il divin Maestro glielo aveva detto. Quando sentì ch’era proprio guarito in quell’ora, credette; e insieme a lui credettero tutti quei di casa sua ». Solo allora però; più beati noi, se anche senza miracoli, avremo fede ferma, e fede viva. – 1. FEDE FERMA. Vorrei spiegarvi con qualche esempio che significhi fede ferma. Vi potrei parlare di Abramo, il patriarca della fede, che, quando Dio lo chiamò fuori della terra in cui era nato e cresciuto, credette ed esultò. Quando Dio gli promise di farlo padre di una generazione numerosa come le stelle del cielo, come l’arena del mare, egli credette, benché vecchio e senza figliuoli. Quando Dio dopo avergli donato Isacco, gli disse: « Il tuo unico figlio lo sacrificherai per me: tu stesso, con le tue mani se vuoi diventare il padre della generazione numerosa come le stelle e come l’arena », Abramo credette. E non disse, neppure in cuore, come era possibile ciò. Credette Abramo e fu giustificato. Voglio ricordare l’esempio di una creatura santa, fragile come noi, vissuta al nostro tempo e che del nostro tempo sperimentò i pericoli e le lusinghe; Santa Teresa di Lisieux. Giovanetta appena, s’era chiusa nel chiostro austero delle carmelitane scalze: ella ch’era ricca, sana e avvenente; era amata in casa come una reginetta; che poteva, nella vita, aspettarsi tutte le gioie che il mondo può dare. E nel convento non fu compresa, e talvolta disprezzata. Tutto aveva dato a Dio, e Dio ora così la ripagava? Ella non pensa a questo, ma crede che Dio è buono, tanto buono con lei. Intanto le muore il papà, la persona che più di tutti amava sulla terra. Soffre giornate d’angoscia, ma crede che Dio è buono, tanto buono anche a prenderle il papà. E poi si ammala, lentamente. La sera d’un giovedì santo, dopo una notte di preghiere presso il sepolcro di Gesù, risalì in cella tremando di febbre: era sfinita. Quando spense il lume, sentì il cuore spezzarsi, sentì salirle dal cuore spezzato un fiotto alle labbra: sangue. Aveva passato una quaresima pregando, digiunando aspramente, facendo tutte le severe penitenze del Carmelo; e ora il Signore la pagava con la tisi? Non c’erano anche allora, in giro per il mondo donne cattive che meritavano la tisi invece di lei povera creatura innocente e santa? Questi sono i pensieri della gente di poca fede. Ella credeva che Dio era buono, tanto buono con lei da mandarle una malattia dolorosa ed implacabile. Non pensate però che questa fede fermissima le costasse niente. I Santi non sono diversi da noi: ma di carne e di sangue come noi. Quando voleva farsi coraggio, stanca di quelle sofferenze, pensava al paradiso. Ma una voce diabolica le sibilava nell’orecchio parole disperate: « Povera sciocchina! tu sogni il momento di finire i tuoi dolori… tu sogni d’arrivare, morendo, in un luogo di delizie… tu aneli la morte perché ti farà veder Dio… Avanti, che la morte verrà! Ma dopo la morte non c’è più niente ». A queste parole, tremava tutta di spavento e fuggiva in chiesa, si prostrava davanti all’altare e gemeva: « Gesù, io credo. Credo che c’è il Paradiso… credo che Tu sei buono a lasciarmi tentare così ». Poi aggiungeva: « Patisco volentieri, sperando di impedire o riparare, con le mie lacrime anche una sola colpa commessa contro la fede » (Storia di un’anima, cap. IX). Dunque anche per le nostre mancanze di fede ha sofferto la piccola santa, martire senza martirio. Ha sofferto per le nostre imprecazioni alla divina Provvidenza: « È impossibile che Dio mi voglia ancora bene… se Dio ci fosse… se ci fosse il paradiso come dicono i preti… ». Che significano questi insulti se non una fede mal ferma? Fede… mal ferma?!… fede vuol dir certezza. Dunque fede mal ferma vuol dire non aver fede. Se è così, gettiamo, come Pietro, un grido al Signore: « Adauge nobis fidem ». – 2. FEDE VIVA. Fede viva è fede che opera. S. Giacomo ha detto che la fede senza le opere è morta; una fede morta è disprezzabile. Voi stessi la disprezzate quando, ad un uomo che si vanta di credere e non agisce secondo la sua fede, lanciate quel bruciante insulto: « Ci vuol altro che andare in Chiesa, e poi far quel che fai ». È necessario dunque la fede viva e operante che ha vinto il mondo. Così scriveva anche il discepolo che Gesù amava: « Qual è, o fratelli, questa vittoria che ci ha fatto trionfare del mondo? La fede nostra ». Nel mondo, tre cose cagionano la nostra rovina: gli errori che seducono; le dolcezze che corrompono; le persecuzioni che spaventano. La fede viva vince queste tre malizie del mondo. Vince gli errori. — Volevano far rinnegare la fede ad Eleazaro, un buon vecchio di novant’anni. « Eleazaro, tu devi mangiare carne porcina ». La cosa era proibita ai Giudei. Eleazaro rispose: « Mai » e stringeva le sue mascelle dure. Gli apersero la bocca, a forza. Alcuni amici pietosi, nascostamente. gli porsero dell’altra carne, non proibita, e gli sussurrarono: « Mangia Eleazaro, che non è di porco. Così ti salverai ». Ecco la teoria del mondo: le finzioni, le mezze misure, un po’ a Dio e un po’ al diavolo, la Messa e il ballo, amico dei preti e nemico dei Sacramenti; dar la giovinezza ai piaceri e la vecchiaia alla penitenza; godi fin quando puoi, e quando non ne puoi più rivolgiti al buon Gesù. Eleazaro respinse gli amici pietosi, gridando: « Ho creduto fino a novant’anni, ed ora darò il mal esempio? ». Il mondo che non ha fede giudica questo atto stoltezza, ma « è piaciuto a Dio di salvare gli uomini per quegli atti che al mondo sembrano stoltezza » (I Cor. I, 21). Vince le delizie mondane. — Un ufficiale ricco e fortunato, amante del mondo e più ancora dell’allegria e dei piaceri, è portato in un ospedale, infermo. Intanto la sua fede si risveglia in lui, si fa viva. E guarito, balza dal letto esclamando: « O come le dolcezze del mondo sono insipide, se levo al cielo gli occhi ». Fu S. Ignazio di Loyola. Paolo: « Mi guardi Dio dal gloriarmi d’altro che non sia Gesù Crocifisso; per Lui, io son crocifisso alle dolcezze del mondo, e le dolcezze del mondo a me » (Gal., VI, 14). Vince le persecuzioni. — La morte di un figlio è qualcosa di straziante per una madre. Ma se questo figlio le vien massacrato nel fior della vita, sotto a’ suoi occhi, è più straziante ancora. Ebbene, non uno, ma sei già ne avevano uccisi sotto gli occhi della madre dei Maccabei. Ora rimaneva l’ultimo: il più giovane e il più caro. Il tiranno lo lusingava, sperando nella sua giovanile età. Ma la madre corse da lui e gli disse: « Figlio! pietà della tua mamma. Guarda il cielo e la terra: e credi che Dio ha fatto tutte queste cose, ed anche noi, dal nulla. Accetta la morte, perché ti possa riavere in paradiso ». E figlio e madre morirono, vincendo la persecuzione del mondo. E noi temiamo una parola di scherno, un sorriso maligno; siamo vittime del rispetto umano. Noi abbiamo paura a difendere la nostra fede dalle male lingue, dai giornali; noi ci lasciamo influenzare da qualche mal esempio. Perché siamo così deboli? Propter incredulitatem vestram (MT., XVII, 19). – Se la fede è la condizione essenziale per essere amati da Dio, non meravigliatevi se in essa sarete tentati con forza: direttamente ed indirettamente. Direttamente, con le stampe, con discorsi, con mali esempi. Indirettamente: con il vizio impuro. Quando un’anima è travolta nelle passioni brutali, è impossibile che veda. C’è troppo fango sopra i suoi occhi. Non spaventatevi; Gesù ci ha già insegnato a vincere queste tentazioni. Quando il demonio gli disse: « Converti i sassi in pani », rispose: « Sta scritto… ». Quando gli disse: « Gettati giù dal fastigio del tempio », rispose: « Sta scritto… ». Quando gli disse: « Adorami e ti darò il mondo », rispose: « Sta scritto… ». Col demonio non si deve ragionare, ma bastonare. Ad ogni tentativo contro la fede rispondiamogli: « Che vuoi saperne, tu, demonio? più del Vangelo?… Sta scritto nel Vangelo: perciò credo ». E nel Vangelo, soprattutto, sta scritto che i mondi di cuore son quelli che vedranno Dio. — LA PRESENZA DI DIO. Davide, profeta e re secondo il cuore di Dio, con una sola parola ha descritto la desolazione del mondo: Terra oblivionis. Terra della dimenticanza. E in realtà, dove trovare nel tramestio furioso del mondo chi pensi a Dio? A che cosa pensano i ragazzi?… dove hanno la mente i giovani?… di che cosa si occupano la maggior parte delle donne? Quali sono i pensieri del letterato, del negoziante, dell’operaio, del contadino? L’ubbriaco, il bestemmiatore, l’empio, a che pensano?… forse a Dio? le loro iniquità provano il contrario. Dio riempie della sua presenza i cieli e la terra, ma per la maggior parte degli uomini è uno sconosciuto. Ma guai a loro perché, dimenticato Iddio, il cuore nostro non è che una terra abbandonata dove lussureggiano le ree semenze delle passioni… Terra oblivionis! Terra della dimenticanza. Ascoltiamo dunque il Vangelo, e raccogliamone il prezioso insegnamento della presenza di Dio. Udite un commento di S. Gregorio: « Il padre esigeva che Gesù discendesse fino alla sua casa per guarirgli il figlio. Voleva la presenza umana di Colui che con la sua divinità è dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta avrebbe senza dubbio saputo che non c’è luogo dove Dio non sia e non operi » (In Prover., 28). Questo è lo sbaglio, non di quel magistrato soltanto, ma di moltissimi altri uomini, i quali benché abbiano studiato sul catechismo che Dio è l’onnipotente, nella pratica della vita vivono come se ciò non fosse. Eppure la terra è piccola come uno sgabello per la divina immensità (Is., LXVI 1) e tutte le acque del mare possono stare accolte nel pugno di Dio, e i cieli possono essere sostenuti dalle palme delle sue mani (/s., XL, 12). Dice Geremia: « Ingannatore e impenetrabile è il cuore dell’uomo, e nessuno lo può conoscere. Ma il Signore lo indaga e lo scruta, e vede ogni secreto ed a ciascuno dà il suo in proporzione giusta delle sue opere » (XVII, 9-10). – Oh, se il pensiero della presenza di Dio illuminasse i giorni della nostra vita, noi avremmo un presidio nel male, e un conforto nel dolore. –  1. UN PRESIDIO NEL MALE. Ricordati che Dio ti vede e non cadrai in peccato. Tra le leggende antiche si trova anche che il re Antioco, avendo fermato l’esercito in una pianura, udì dal suo padiglione due soldati che mormoravano contro dì lui. Il monarca cacciò fuori la testa dalla tenda e disse ai due imprudenti: « Fatemi più in là che io non vi senta ». Quei miseri tremarono dallo spavento e fuggirono. Ma dove potranno fuggire coloro che discorrono di cose oscene e blasfeme perché Dio non li senta? E allora, chi può determinarsi ad offendere Iddio, ove pensi che è presente, e lo vede, e conosce anche i suoi desideri malvagi e i suoi pensieri maligni? lo scellerato più infame non osa commettere un omicidio davanti al giudice che potrebbe sull’istante punirlo; il servo non osa trasgredire gli ordini in presenza del padrone; il disonesto arrossisce e fugge appena s’accorge d’essere veduto; il ladro non ha coraggio di rubare quando sa che un bambino lo vede. Ebbene, se la presenza anche di un fanciullo, o del più volgare uomo arresta il colpevole in mezzo a’ suoi disordini, come non ci arresterà dal commettere il male la presenza di Dio accusatore, testimone, giudice, e vendicatore della colpa, d’un Dio che tutto vede? Ci fu un tempo sulla terra in cui tutti gli uomini erano diventati cattivi, ed ogni pensiero del loro cuore, era sempre rivolto al male così che Dio si pentì d’averli creati. Eppure uno ve n’era che in mezzo all’orribile corruzione universale aveva saputo conservarsi buono. Come aveva fatto? Non sentiva egli l’impeto delle passioni, la lusinga del peccato, il fascino dei cattivi esempi? Forse egli era di una meno debole natura? No; anch’egli era di carne e di sangue come gli altri: Noè camminava davanti a Dio (Gen., VI, 9). Dopo molte peripezie un giovanotto ebreo era capitato a servire una famiglia ricca d’Egitto. Ma la padrona di casa voleva indurlo a peccato. « Come potrò io peccare davanti a Dio? » ripeteva Giuseppe alla donna di Putifar; e fuggì lasciandole nelle mani il mantello suo (Gen., XXXIX). E chi diede forza a Susanna di sventare l’insidia di due uomini? « Meglio cadere vittima — esclamò — che peccare in presenza di Dio » (Dan., XIII, 23). E levò un grido che accorse gente nel giardino. Il pensiero della presenza di Dio non solo ci deve salvare dal peccato; ma ci deve anche aiutare a risorgere se mai in esso per disgrazia fossimo caduti. Adamo ed Eva dopo la colpa corsero a nascondersi: ingenui! s’illudevano d’occultarsi all’occhio di Dio. Ma tosto udirono la sua terribile voce avvicinarsi: « Adamo, dove sei? » Ramingava Caino per i deserti e le boscaglie, disperatamente fuggendo dalla faccia di Dio; ma l’occhio di Dio batteva implacabile la sua coscienza lorda di sangue fraterno. La voce di Dio, l’occhio di Dio sono continuamente sull’anima dei peccatori: e come possono resistere essi in tale stato senza confessarsi? Egli li guarda, ed essi non hanno la veste nuziale: ma perché non temono di momento in momento d’essere gettati nelle tenebre esteriori dell’inferno? Dio mi vede! questo pensiero strozza il peccato e lo mette in fuga. Quando il demonio muove all’assalto dei vostri cuori, dite: Dio mi vede! Quando le passioni cercano di sedurvi, dite: Dio mi vede! Se gli amici, i compagni vi vogliono indurre al male, dite: Dio mi vede! Con questo pensiero, vincerete! E non solo vincerete il male, ma avrete conforto nel dolore. – 2. CONFORTO NEL DOLORE. Il primo conforto è quello della preghiera sincera e affettuosa. Quando si pensa che Dio è con noi, ci vede, ci ascolta, ci ama teneramente, dal nostro cuore s’elevano le orazioni più belle, le parole ci spuntano sulle labbra, senza cercarle, e noi parliamo a Dio lungamente senza stancarci mai. Questa preghiera fatta alla viva presenza di Dio è la più efficace, è la più consolatrice. Si rimane meravigliati davanti a quegli uomini di preghiera che furono i Santi. Come facevano a pregare notti intere, settimane e settimane, senza quasi interruzione? Essi sapevano stare alla presenza di Dio così da sentirlo vicino, da vederlo con gli occhi. Questo ci spiega ancora perché i Santi, nonostante le molte afflizioni, apparivano sempre lieti. Quale forza, e quale sollievo non sentiremmo noi nelle fatiche del lavoro e del commercio quotidiano, se dicessimo frequentemente: « Dio vede tutto, tutto esamina, terrà conto d’ogni sorta di sudore ch’io verso per il pane de’ miei figliuoli, per il sostentamento della mia famiglia? ». Un santo religioso ripeteva nella sua semplicità: « Quando devo fare qualche lavoro, io prendo con me Gesù, lavoro insieme con Lui; per verità, in due il lavoro rende di più e pesa di meno, specialmente poi se uno di questi due è il Signore ». Cristiani, santificate le vostre fatiche d’ogni giorno con la presenza di Dio. Questo pensiero ci reca ancora un gran conforto in tutte le tribolazioni. Certe volte gli uomini ci calunniano, e noi innocenti siamo guardati con disprezzo, con risa maligne: certe altre volte ci sentiamo incompresi in casa nostra, poco amati, poco considerati, troppo trascurati; certe volte ancora abbiamo soffocanti apprensioni per il nostro avvenire e ci angustiamo per le strettezze finanziarie, per le difficoltà d’ogni genere… Oh, come in questi momenti è dolce, è buono, pensare che Dio è con noi, sa tutto, può tutto. Una volta Santa Teresa era angosciatissima: i suoi dispiaceri erano tanti e tali che non le riusciva più d’inghiottire un boccone e la sola vista del cibo le provocava vomiti strazianti. Trovandosi in questo stato, una sera, mentre stava a tavola e non sapeva decidersi a tagliare il pane, si fece coraggio pensando che Gesù la vedeva presente così, che Gesù comprendeva la sua tribolazione amara. E Gesù a un tratto le apparve visibilmente, e a lei sembrò che spezzasse il pane e glielo avvicinasse alla bocca, dicendo: « Mangia, figlia mia! Mi rincresce che tu soffra: ma in questo momento conviene che tu soffra… ». Subito una gran dolcezza le entrò in cuore e si sentì la forza di portare avanti la sua pesante croce. La nostra pesante croce noi pure potremo portarla in rassegnazione cristiana, se sapremo trarre il conforto dalla presenza di Dio. La qual presenza sarà l’unico conforto nei dolori e nei timori del passo estremo. Alessandro Manzoni saliva a Stresa, sulla ridente sponda del lago Maggiore, per visitare l’amico suo morente, il sacerdote filosofo Antonio Rosmini: Lo trovò pallido nel letto, e intravvide ne’ suoi occhi grandi l’ombra della morte imminente. « Come state? ». « Sono nelle mani di Dio: dunque sto bene ». Così rispondeva l’anima virginea del grande filosofo al sommo poeta, mentre la mano che aveva scritto la « Teosofia » stringeva quella che scriveva « I Promessi Sposi ». Animœ iustorum in manibus Dei sunt et non tanget illos tormentum mortis. (Sap., III, 1). – Giuda il Maccabeo valoroso, muoveva guerra contro Timoteo. Ma egli disponeva solo di seimila uomini, e questo di ben centoventi mila fanti e duemila cinquecento cavalieri. I soldati di Giuda, però, camminavano alla presenza di Dio, e Dio combatteva con loro. Ebbene: appena apparve la prima coorte di Giuda, l’esercito immenso di Timoteo si spaventò, e si diede a fuga scompigliata così che venivano travolti gli uni dagli altri, e cadevano colpiti dalla loro spada: avevano visto, in mezzo alla corte di Maccabeo, Dio presente. La vita è una milizia, e noi ogni giorno muoviamo contro nemici fisici e morali visibili e invisibili. Ma se Dio è con noi, chi ci potrà vincere? non la morte, non l’afflizione, non la spada, non la povertà, non le passioni, non il mondo, non il demonio.ALCUNI DIFETTI DEI Genitori. Una delle famiglie più cospicue di Cafarnao, quella del Regolo, era provata dal dolore: Osservate, o genitori cristiani, con quale impeto questo padre è corso a chiamare Gesù per il suo figliuolo, e come voleva condurlo in casa sua davanti al letto della sua creatura malata. « Signore, ho un figlio che sta male: tu me lo devi guarire! Vieni in fretta, altrimenti morrà ». Quanto diversa è la condotta di molti padri e di molte madri che s’affannano a procurare tutto ai loro figli, tranne quello di cui hanno maggiormente bisogno: Gesù. Ci sono genitori che si affaticano per far dei loro figli degli avvocati, dei medici, vi sono altri che si logorano la salute per farli ricchi; altri che s’industriano a renderli abili commercianti, valenti operai; e nessuno penserà seriamente a far dei propri figli dei Cristiani? Questo è vergognoso: eppure in troppi casi è la realtà. Perché, — si domanda continuamente, — il mondo è diventato così corrotto? Perché le nuove generazioni crescono con un’aria d’insubordinazione, di indifferenza religiosa, di malignità? Perché i figli di adesso non sono più come i figli d’una volta? Io penso che a queste domande, vi sia un’unica risposta, perché i genitori d’adesso non sono timorati di Dio come quelli d’una volta. In essi, per venire al pratico, tre sono i difetti principali che li fanno cattivi educatori: la fiacchezza del carattere, l’avarizia, la poca fede. – 1. LA FIACCHEZA DEL Carattere. In Silo, ad offrire i sacrifici nel tempio di Dio stava Heli con i suoi due figliuoli. Ma questi erano empi: rubavano nelle offerte, mangiavano le vittime prima di sacrificarle, vivevano lussuriosamente perfino nel recinto sacro. Il vecchio padre sapeva tutto quello che i figli commettevano contro Dio e contro il popolo, e s’accontentava di sgridarli così: « Figliuoli, da tutta la gente sento mormorare per le brutte azioni che fate. Non va bene così! » Naturalmente i figli non se ne curavano. Un uomo di Dio, sospinto dallo spirito profetico, passò davanti alla casa di Heli, e biecamente guardandola disse: « Guai a te, Heli! Sapevi quanto i tuoi figli agivano indegnamente, e non li hai corretti. Perciò ho giurato che la casa di Heli cadrà; e il vostro peccato né da vittima né da offerta si potrà espiare in eterno ». Ed ecco, poco tempo dopo scoppiare la guerra coi Filistei, e Ophni e Phinees furono uccisi. Un soldato corse ad annunciare la sciagura al vecchio padre, che seduto sopra un’alta sedia guardava la strada per cui li aveva visti andare al combattimento. « Che è accaduto? » chiese Heli. E quell’uomo rispose: « Tutto Israele è sconfitto. I tuoi figliuoli sono morti. L’arca di Dio fu presa ». Appena dette queste parole, Heli cadde all’indietro dalla sua sedia, vicino alla porta, e rottosi il collo morì (I Re, II-IV). Questo pauroso esempio della Storia Sacra esprime molto chiaramente che la debolezza nel correggere, diventa la rovina eterna dei genitori e dei figli. Chi risparmia il castigo meritato, odia, e non ama i figliuoli. È così appunto che il tiranno di Siracusa, Dionigi il Vecchio, sfogò il suo odio contro il genero Dione. Gli prese il figliuolo e gli concesse ogni libertà; comandò che ubbidissero ad ogni suo capriccio, senza rimproverarlo o castigarlo mai, in qualunque eccesso riuscisse. Dopo qualche anno lo restituì a Dione, il quale non seppe più riconoscere il figlio, e morì di crepacuore. I grandi nemici dei giovani sono quelli che li lasciano crescere senza insegnar loro la virtù e il timore di Dio. E spesso si trovano dei padri che picchiano brutalmente le loro creature perché hanno rotto un vaso, prodotto un guasto nella casa: e poi quando li sentono bestemmiare, tenere cattivi discorsi, quando li vedono rubare o trasgredire altri comandamenti di Dio e della Chiesa, non dicono che qualche parola languida di rimprovero e li lasciano fare. Quante volte capita di fermare un padre o una madre e dirle con amorevolezza: « Sentite: le vostre figliuole vestono così sommariamente che fanno scandalo… » e sentirsi rispondere: « Le ho già sgridate cento volte, ma non mi vogliono ubbididire »; Ecco dei genitori fiacchi: ma chi è che comanda in casa? ma chi paga i vestiti? ma chi deve ubbidire? Il Signore anche contro di questi ripete la sua maledizione: « Magis honorasti filios quam me ». Voi potete osservare a qualche mamma: « Sentite: la vostra figlia sta fuori di casa anche quando è troppo tardi e troppo oscuro. Non ha niente da ricamare, da rammendare? dica il Rosario, ma stia in casa » e vi sentirete rispondere: « Il Rosario, la mia figliuola va a dirlo tutte le sere al cimitero ». « Allora è meglio che vada a letto, e non lo dica ». Sembra strano, eppure è così. Possibile che i genitori non vedono le cartoline i fogli, le illustrazioni che entrano in casa? Possibile che solo essi non sappiano quello che sa tutto il paese? E se lo sanno, perché non hanno energia per metterci un severo rimedio? « Magis honorasti filios quam me ». Se poi fate notare a questi genitori che i loro figli si vedono di raro in chiesa ai Sacramenti, alla Dottrina cristiana, all’Oratorio, vi risponderanno che la colpa è dei preti che non li sanno attirare. Ma prima dei preti, la responsabilità dei figli l’avete voi, o genitori.2. AVARIZIA. Spesso, in quelle famiglie dove la religione è quasi spenta, i figliuoli sono considerati come fastidi fin tanto che sono piccoli; e fatti grandicelli diventano oggetto di speculazione e di guadagno. E pur di guadagnare si mandano i figliuoli, giovani e innocenti ancora, a lavorare lontano: non si bada più se sui treni dovranno sentire discorsi e bestemmie, se nelle città si incontreranno in pericoli tremendi per la loro virtù; si guarda soltanto che la giornata sia pingue. O beati quei tempi quando i genitori preferivano avere qualche lire in meno, ma i figliuoli più buoni, più obbedienti, più timorati! Quanto pochi sono quelli che prima di collocare un loro figliuolo a lavoro, riflettono se quel posto è adatto per lui: alle sue forze fisiche, alla sua anima buona, se si troverà tra bestemmiatori, tra gente corrotta, tra persone di sesso diverso. Quanto pochi sono quelli che prima di mettere un fanciullo in un albergo, in un negozio fanno il patto col padrone perché gli lasci il tempo di compiere i doveri di religione. Quando non si ha più nessun interesse se non l’interesse materiale, si comprende come possa avvenire un colloquio simile tra un prete e una mamma. Domanda il prete: « La vostra fanciulla dov’è? ». « È a servizio di una famiglia, in quella città » risponde la madre. « Vi siete informata se è una famiglia onesta e ben composta? » « Non c’è da dubitare: appena scocca la fin del mese, arriva il vaglia. Sono onesti pagatori ». E il prete, sentendosi stringere il cuore, continua: « Anche questo non va trascurato. Ma e in quanto a moralità, a buoni costumi; si trova bene? E la madre, meravigliata quasi della domanda, risponde: « Qui, ci deve pensare il Signore… ». Ci deve pensare il Signore! E allora perché accanto ai figli ha messo un padre e una madre? Il Signore ci penserà, ma per richiederne ai genitori un conto esoso al momento opportuno. Molti in quel momento piangeranno perché non hanno custodito i loro figli, immersi com’erano negli affari. Molti in quel momento piangeranno perché unendoli in matrimonio hanno guardato soltanto al ricco partito, e non alla salvezza spirituale della nuova famiglia. Piangeranno, ma troppo tardi.3. POCA FEDE. La causa più dannosa nell’educazione odierna dei figli è la mancanza di fede nei genitori. Mancanza di fede nel ricevere i figli dalle mani di Dio: anzi calpestando ogni più sacra legge della natura, della società, del Signore, si cerca di rifiutarli. Mancanza di fede nel far amministrare a loro i Sacramenti. E si comincia a ritardare il Battesimo, per sciocchi pretesti: aspettiamo da lontano i padrini, aspettiamo che la madre sia in grado partecipare alla festa. E intanto si lascia una creatura sotto il giogo del demonio, priva della grazia di Dio per giorni e settimane; e se morisse?… Una madre fervente cristiana, dopo molti anni di sterilità fu rallegrata da una bambina. A coloro che gliela porgevano perché la baciasse: « No — rispondeva — adesso no; ma tra breve, appena avrà ricevuto il Battesimo, e sarà fatta figlia di Dio, rigenerata nel sangue di Cristo ». Poche madri vivono di fede così. Mancanza di fede nel pregare. Che differenza fra tante madri d’oggigiorno e quelle dei Santi! Le madri dei santi quante belle e fervorose orazioni elevavano a Dio e alla Vergine per il loro figlio, quando ancora lo portavano in seno! E poi, in fasce, lo portavano sovente in chiesa nelle ore in cui è più deserta per offrirlo al Signore, e giuravano di morire piuttosto che lasciar cadere in peccato per colpa loro quella santa creatura. E se, cresciuto, lasciava qualche preoccupazione, non imprecavano, non si disperavano, ma pregavano e facevano penitenza. Mancanza di fede nella presenza di Dio. Voi sapete che il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, è come una pisside di carne in cui è venuto ad abitare il Signore. È quindi con un senso di religiosa adorazione che i genitori si devono accostare alle loro piccole creature, e devono avere orrore di poterle scandalizzare in qualunque modo. Sarebbe un delitto pessimo quello di uccidere la vita dell’anima a quelli a cui si è dato la vita del corpo. A questo pensiero nessun rimorso addolora la nostra coscienza? Nessuna madre può dire di aver mancato di delicatezza nel vestire, portare, fasciare, nutrire i propri bambini? E magari in presenza dei più grandicelli? Infine mancanza di fede nell’offrire i figliuoli a Dio in una vita di perfezione. Mancano i sacerdoti, i missionari, i religiosi; perché? Perché mancano i padri e le madri degni di ricevere la grazia immensa d’avere un figlio sacerdote, missionario, religioso. Perché, o genitori, non chiedete a Dio questa grazia? O forse Iddio già ve l’ha fatta e voi gliel’avete rifiutata? Un giovane si presentò al guardiano di un convento di Cappuccini in Francia per esservi accettato. Fu ammesso. Ma i suoi genitori furenti accorsero e lo strapparono dal coro ove pregava e lo condussero nel mondo. Passarono pochi anni, e quel giovane divenne un sanguinario massacratore di innocenti: Massimiliano Robespierre.Nel 1271 un cavaliere del re di Navarra, conducendo sui monti il principino ereditario, per sbadataggine lo lasciò precipitare nell’abisso. Vedendolo sul fondo insanguinato e immobile, il cavaliere fu preso da un tremito di disperazione. « Non c’è perdono per me — gridò — non c’è misericordia! ». E dicendo così, egli pure si precipitò nel vuoto. Genitori, i vostri figliuoli non sono proprietà vostra assoluta, ma vi furono affidati da Dio, il Re dei re e il Signore dei signori, perché li conduciate salvi attraverso i monti della vita! Guai, se per colpa vostra, al giudizio finale dovreste vederne qualcuno cadere nell’abisso dell’inferno. Non più perdono ci sarebbe allora per voi, non più misericordia! Tutta la Trinità santissima vi maledirebbe: vi maledirebbe l’Eterno Padre perché avendovi scelto a partecipare del suo nome di Padre, voi ne usaste in rovina delle anime! vi maledirebbe il Figlio perché invece di cooperare alla redenzione, avete aiutato il demonio alla perdizione! vi maledirebbe lo Spirito Santo, perché gli avete ostacolato la santificazione dei vostri figliuoli. Gli Angeli custodi, a cui avete reso inutile la vigilanza, accorrerebbero contro di voi, a precipitare voi pure nell’abisso dell’inferno in cui, pel colpa vostra, avete lasciato cadere un vostro figlio. Ma non sia così.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.

[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.

[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.

[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.