LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (3)
Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)
Morcelliana Ed. Brescia 1935
Traduzione di Bice Masperi
CAPITOLO I
LA VITA IN DIO
2. – Gesù Cristo, il Verbo Incarnato.
L’eterno Figlio di Dio si è incarnato sulla terra nella persona dell’uomo Cristo Gesù per darci tutto se stesso, per farsi una cosa sola con noi e per potere, una volta associata a sé l’umanità, risollevarla all’altezza da cui era caduta e restituirle la dignità di vera figlia di Dio. È questa la dottrina che troviamo alla radice del credo cristiano, senza la quale esso non differisce in nulla da qualunque altro credo fondato unicamente sulla natura e sulla ragione. Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, vero Dio e vero uomo, e non semplicemente uomo dotato di una particolare unione con Dio, ha vissuto su questa terra la nostra vita, ha reso a Dio suo Padre che è nel cielo il perfetto ossequio di un uomo perfetto. Si è fatto capostipite della razza umana e se ne è addossato i dolori, perfino i peccati e le iniquità. Quei peccati ha portato al Padre e, umiliato dinanzi a Lui, se ne è confessato colpevole. Siccome da sé l’uomo non poteva espiarli, Egli si è offerto per espiarli in sua vece in quanto uomo. Dio ha accettato l’offerta, e Cristo l’ha consumata fino all’ultima stilla del calice amaro. Così Cristo Gesù è il nostro benefattore, il nostro amico, e il debito che abbiamo verso di Lui è incommensurabile: per tutta l’eternità dovremo cantare le lodi di Colui che ha tanto fatto per noi. – Il Cattolico si compiace nel pensare a quanto deve a Gesù Cristo, a quanto Egli ha fatto e continua a fare a suo vantaggio, “sempre vivo a intercedere per noi”. Vede in Lui non solo il Cristo storico limitato nel tempo e nello spazio, ma il mediatore eterno fra il peccatore, e il Padre offeso, « ieri e oggi e per sempre lo stesso ». E mediatore Egli è, non solo per concessione ma anche di diritto, ché, unendo in Sé la natura di Dio e quella dell’uomo, Egli nacque proprio per questo ufficio. Lo dice il suo stesso nome, impostogli prima che nascesse: « Lo chiamerai Gesù perché Egli libererà il suo popolo dai suoi peccati ». Come capo del genere umano, “il primogenito di ogni creatura”, Egli ha il diritto e la prerogativa di agire quale intermediario presso il Padre. Ma di ciò non fu pago; non volle essere solo un superuomo che fa atto di degnazione verso i suoi sudditi; volle esser “fatto in tutto simile all’uomo eccetto che nel peccato”, volle “addossarsi tutti i nostri dolori”, volle prender sulle sue spalle la nostra croce per poter trattare col Padre come uno di noi. Una simpatia e una compassione infinita per l’umanità, un amore che doveva essere eterno, intensificato, se così ci è lecito esprimerci, dall’esperienza della sua vita umana, tutto doveva influire e premere su Lui perché intercedesse in favor nostro. Tale è il significato di quello “spogliamento di se stesso” su cui San Paolo tanto insiste. D’altra parte, come Dio Egli è uguale al Padre e allo Spirito Santo e ha libero accesso ad entrambi. Può andare al Padre come Figlio diletto in cui il Padre stesso si è compiaciuto, può parlargli per diritto suo proprio e pretendere di essere ascoltato. Perciò, sia dalla parte dell’uomo che da quella di Dio, Egli sta, unico mediatore degno e sufficiente fra i due. È questo per il Cattolico il significato primo della vita di Cristo sulla terra. Egli ha voluto prender su di sé anche il terribile peso delle tentazioni dell’uomo: “Noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze; ma invece è stato provato in tutto a somiglianza di noi, salvo il peccato” (Ebr. IV, 15). Precisamente perché l’uomo aveva ceduto a tutte quelle tentazioni Cristo si è offerto come vittima. Ha consumato un olocausto perfetto, assoluto, col sacrificio di Sé sul Calvario, nell’obbedienza e nell’amore fino alla morte, e amore di cui maggiore non esiste, pagando di persona la disobbedienza dell’uomo, il suo difetto di amore. E il valore espiatorio di questo sacrificio risulta infinito, in primo luogo per l’infinito valore della vittima che spontaneamente si immolò, in secondo luogo per la misura stessa della espiazione. Poiché non era affatto necessario arrivare a tali estremi. Un semplice atto d’ossequio di Cristo Signore sarebbe stato sufficiente a soddisfare ogni giustizia. Se fosse perito fanciullo, vittima di Frode a Betlemme, se anche fosse morto appena nato, fra le braccia della Vergine, agli occhi del Padre questo Figlio del suo amore avrebbe fatto abbastanza per redimere il mondo. Ma non sarebbe stato abbastanza per soddisfare la sete di amor divino che ardeva nel cuore di Cristo. “Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me”. Non volle offrire una soddisfazione qualsiasi; volle soddisfare finché non gli rimanesse più nulla; volle “spogliarsi di se stesso”, darsi tutto fino ad annientarsi. Per esser pago dové darsi fino all’estremo, affinché “dove abbondò la colpa più abbondasse la grazia… per Gesù Cristo nostro Signore”. (Rom. V, 20) e siccome “non esiste amore più grande di questo, dare la vita per l’amico” Egli doveva eguagliare il suo amore a tale prova suprema anche se non lo esigeva la stretta giustizia. – Così, a questo prezzo, il nostro mediatore ha ottenuto all’uomo non solo perdono e re.denzione: gli ha conquistato anche tutte quelle altre grazie e possibilità che lo innalzeranno ad una più intima unione con Dio. In questa luce San Paolo riassume più volte l’opera del suo Signore e Salvatore: “Benedetto Iddio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo, il quale ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo, in quanto ci ha eletti in Lui, prima della fondazione del mondo a esser santi e irreprensibili nel suo cospetto, per amore avendoci predestinati a esser figli suoi adottivi per mezzo di Gesù Cristo, secondo la benignità del suo volere, sì che ciò torni a lode della gloriosa manifestazione della grazia sua di cui ci fece dono nel suo diletto Figliolo. In Lui noi abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia” (Efes. I, 3, 7.). Tutto questo ha fatto Nostro Signor Gesù Cristo con la sua vita e la sua morte, tutto questo ha ottenuto all’umanità, quale mediatore di essa. Ma ha fatto di più. Per incoraggiare e sostener l’uomo nello sforzo verso le cose più alte, per dargli maggior forza e fiducia di quelle che gli siano naturalmente possibili, Cristo ha istituito e ci ha lasciato quello che conosciamo col nome di sistema sacramentale. Ha dato al Padre, come provenienti dall’uomo, la propria vita e il proprio sangue; ha dato all’uomo, come provenienti dal Padre, quei doni gratuiti di forza soprannaturale, quei sette segni esteriori atti a conferire realmente le grazie che significano. – Perché l’uomo possa meglio affrontare ogni momento importante della vita, perché più sicuramente adempia in Gesù Cristo ai doveri inerenti ad ogni condizione, perché viva sulla terra per quanto è possibile la vita stessa di Cristo, questi gli ha offerto quei canali di grazia che gli saranno prontamente aperti se vorrà e ogni volta che vorrà. Il sangue di Cristo è stato dato al Padre, e dal Padre vien restituito all’uomo per mezzo dei sacramenti. Essi sono come le vene del Corpo mistico di Cristo, che portano e dispensano ad ogni membro il sangue di Lui e con esso la vita. Di più, purché gli uomini lo vogliano, Cristo ha dato a ciascuno il potere che da sé non avrebbe di dare al Padre una soddisfazione degna e di acquistar meriti per se stesso. Sappiamo che nell’ordine soprannaturale l’uomo naturale non può, da solo, far nulla di meritorio; ma egli “tutto può in Colui che lo conforta”. Incorporato a Cristo nel vero senso che considereremo più innanzi, l’uomo partecipa alla vita di Lui, le sue azioni sono identificate a quelle del suo Signore e Maestro allo stesso modo che nostre sono le opere delle nostre mani. Così, come il tralcio è alimentato dalla linfa stessa della vite e dà per ciò frutti che da sé solo mai potrebbe dare, le azioni dell’uomo innestato in Cristo sono tutte impregnate è principio di quella carità divina di cui Egli e sorgente. Con Lui, in Lui e per Lui, esse diventano azioni soddisfattorie in se stesse, ossia accette a Dio non nell’ ordine della natura ma nell’ordine della grazia, degne di merito, feconde di bene. – In terzo luogo, Cristo è mostro mediatore nel campo dei nostri doveri di religione, ossia dei doveri che abbiamo verso Dio. È fine funzione propria della creatura dar gloria al suo Creatore, come l’opera d’arte dà gloria all’artista che con la propria mano la foggiò. – “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento”. (Sal. XVIII, 1). Ma per la creatura dotata di facoltà superiori, come l’intelligenza e il libero arbitrio, sarà doveroso dare a Dio una gloria ancor più grande e corrispondere alla fiducia che in lei ha posto il suo Creatore, allo stesso modo che un ministro del re, depositario delle insegne e dei pieni poteri di lui, tanto più lo onora quanto più di lui sa rendersi degno, ovunque si trovi. E come il quadro consegue la sua gloria massima mel procurar gloria all’artista che lo dipinse, come il libro vale a cagione dell’autore ch’esso rivela, altro non essendo la sua sapienza se non il riflesso della mente che lo concepì, come un ministro del re è maggiormente onorato quando più è degno di lui, così la creatura trova la sua gloria più alta nel rifletter la gloria di Dio suo Creatore, l’uso più degno della sua ragione nel manifestare il pensiero di Lui, e il miglior impiego della sua esistenza nel viverla a servizio di Lui. Eppure, anche quand’è più splendida, che cosa meschina è mai la gloria che da sé la creatura può dare al Creatore! E quanto più meschina, se si considera la condizione decaduta dell’uomo! Ma ecco che Cristo viene in suo aiuto. Ora finalmente, unita a Lui, la creatura può lodare e onorare il suo Dio, può rendergli omaggio e servizio con labbra e con mani degne, con un’anima e una volontà, un amore e una testimonianza d’amore degni di Dio. La creatura può esprimere il proprio cuore in unione al cuore di Cristo, e Dio Padre trova tale espressione degna di essere ascoltata. Anzi, dato che Cristo vive nella sua creatura, Egli le comunica il suo stesso potere di render lode e reverenza e gloria. E allora, quando la creatura parla, non son più parole sue quelle che pronuncia, ma in lei parla lo stesso Cristo Gesù. Egli non è soltanto il nostro Mediatore sommo e sufficiente che in sé rinnova tutte le cose: è anche il nostro Sacerdote, il Sommo Sacerdote della nuova legge. Alla lettura del Vecchio Testamento ci colpisce il fatto che la religione ivi descritta si accentrava tutta nel sacerdote e nel suo sacrificio. E non meno ci sorprende il vedere come la profezia di Colui che doveva venire lo annuncia “sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. – Dopo la sua venuta e la sua dipartita, non conosciamo commento migliore all’opera sua dell’Epistola agli Ebrei, ed è precisamente quella che verte tutta sul sacerdozio di Cristo nostro Signore. Anzi lo considera non solo come Sacerdote, ma come l’unico vero Sacerdote della nuova Alleanza e mostra il suo Sacrificio come unico. Prima di Lui tutti i sacrifici non erano stati che simboli, ma il Sacrificio di Cristo fu molto di più, fu Sacrificio reale, fu addirittura il Sacrificio di se stesso. E non potendo morire che una sol volta, il Sacrificio offerto non poté essere che uno, ma tale da compensare ampiamente ogni debito. Sotto questa luce, l’Epistola agli Ebrei e varie altre riassumono l’opera e il significato di Cristo sulla terra. “Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, oblazione e sacrificio a Dio, profumo di soave odore”. (Efes. V, 2). “Poiché uno è Iddio, uno anche il mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, colui che diede se stesso prezzo di riscatto per tutti; testimonianza fatta nel suo proprio tempo”. (I Tim. II, 5, 6). “Cristo, essendo venuto come sommo sacerdote dei beni avvenire, attraverso un più grande e più perfetto tabernacolo, non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione, né per il sangue di capri e di vitelli, ma mediante il proprio sangue, entrò una volta per sempre nel Santuario, ottenendoci una redenzione eterna. Se il sangue di capri e di tori e la cenere d’una giovenca sparsa su quelli che sono immondi li santifica rispetto al procurare la purità della carne, quanto più il Sangue di Cristo il quale per via dell’Eterno Spirito offrì se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché rendiamo culto al Dio vivente? Per questo Egli è mediatore d’un nuovo patto, affinché, avvenuta la sua morte allo scopo di redimere i trascorsi commessi sotto il patto di prima, i chiamati ricevano l’eredità eterna loro promessa”. (Ebr. IX, 11, 15). – In altre parole, Nostro Signore Gesù Cristo, il nostro Sommo Sacerdote espiò i peccati del mondo col sacrificio di se stesso, l’olocausto del proprio sangue. Egli ha stretto un patto nuovo fra Dio e l’uomo; per Lui che si è immolato Dio e l’uomo sono riavvicinati. Ecco il significato e la portata della Passione e Morte di Gesù Cristo secondo il pensiero cattolico, ecco perché i Cattolici tengono in sì gran conto il segno della croce e il crocifisso. Per loro la Passione è assai più che un atto sovrumano di coraggio morale e di amore, assai più che la massima fra le tragedie umane. È il solenne sacrificio, nel senso più stretto del termine, di una vittima spontaneamente immolata. “Fu offerto perché lo volle”, “da un sommo sacerdote misericordioso e fedele perché fossero espiate le colpe del popolo”. (Ebr. II, 17). L’effusione di quel sangue ha purificato il mondo, ha cancellato la sentenza che pesava sull’uomo decaduto. Sul Calvario si compì l’opera della riparazione, la Redenzione: “Ecco l’Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo”. Sul Calvario, con un atto spontaneo di perfetta obbedienza e di amore perfetto, si compì un sacrificio perfetto e completo da un sacerdote perfetto in una vittima pure perfetta. La giustizia fu completamente soddisfatta e l’amore perfettamente appagato: per la prima volta si diede a Dio sulla terra gloria perfetta e l’uomo fu salvo e redento. Il senso intimo e pratico di tutto ciò per i Cattolici fu espresso magnificamente da S. Bernardo in uno dei suoi sermoni: – “Gesù piange, ma non come gli altri o almeno non per lo stesso motivo. Negli altri prevale il sentimento, in Lui l’amore. Gli altri piangono per ciò che soffrono; Egli piange per compassione di ciò che gli altri soffrono o soffriranno. Essi deplorano il giogo pesante che grava sui figli di Adamo; Egli geme per quello che gli stessi figli d’Adamo si sono imposti volontariamente, per il male che hanno commesso. Per quel male, anzi, Egli versa ora le sue lagrime e più tardi verserà il suo sangue. “Oh, durezza del mio cuore! Volesse Iddio che, come il Verbo si fece carne, il mio cuore divenisse un cuore di carne invece che di pietra qual è adesso! È questa la tua promessa secondo il profeta che disse: “Strapperò dai loro precordi il cuore di sasso e vi sostituirò un cuore di carne » (Ezech, XI, 19). Fratelli, le lagrime di Cristo mi riempiono di confusione e di dolore. Io banchettavo fuori nel cortile, mentre nel segreto della dimora del Re si firmava la mia sentenza di morte. Il Figlio unigenito del Re ne ebbe sentore: depose la corona, si vestì di sacco, si cosparse il capo di cenere, si tolse i calzari e uscì piangendo e gemendo per la condanna di questo povero piccolo schiavo. Lo vedo comparire improvvisamente e la stranezza di questo spettacolo mi sbalordisce. Domando di che si tratta e apprendo la verità. Che cosa debbo fare? Potrò continuare nelle mie vanità, rendendo vane così le sue lagrime? Sicuramente non posso che esser sciocco e insensato se non voglio seguirlo, se non voglio piangere con Lui. – “Ecco il motivo della mia vergogna; che dire del dolore e del timore?….. “Io ignoro tutto di questa tremenda verità. Mi ritenevo tranquillo e sicuro, ed ecco è mandato il Figlio di una Vergine, il Figlio dell’Altissimo, e vien messo a morte perché le mie piaghe sian risanate col balsamo del suo Sangue prezioso. “Il Figlio di Dio è tutto tenerezza e compassione e piange: potrà l’uomo esser testimonio della Passione e ridere?”. – Rimaneva e rimane per ogni uomo che viene in questo mondo da accettare e da applicare a se stesso i frutti di quel Sacrificio, la carità, la soddisfazione, i meriti del Redentore divino. E perché l’uomo possa far ciò nel modo più completo e possa, in ogni tempo e in ogni luogo, sempre dar gloria a Dio in modo degno di Lui e applicare a se stesso la sovrabbondanza dei meriti della Redenzione, Cristo istituì alla vigilia della sua Passione, un memoriale di essa. In questo “memoriale” o sacrificio, sotto le specie o apparenze del pane e del vino, il “sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec” continua ad offrirsi come vittima per noi tutti e continuerà ad offrirsi sino alla fine dei secoli. – Così Cristo ha riconciliato l’uomo con Dio. Ma per l’uomo ha fatto ancor di più. Non avrebbe potuto venire nel mondo e per il mondo, per poi lasciarlo a dibattersi come prima nella sua desolata oscurità. Egli è la luce che deve venire in questo mondo a illuminare ogni uomo che in Lui crede. Egli stesso più di una volta si definì in questo modo: era la luce; e la luce è la vita dell’uomo. Se osserviamo bene possiamo constatare com’Egli abbia sempre assolto il suo compito: fin dalla venuta di Cristo sulla terra, dovunque è giunta la sua influenza, la vita del mondo si è rinnovata. E anche ora, vediamo come questa diffusione di luce continua. Quando Cristo venne sulla terra, la cultura pagana, tanto sostenuta dalla ragione, aveva ormai fatto il suo tempo; i suoi stessi filosofi non vi credevano più, i suoi addetti l’avevano sorpassata, le superstizioni si succedevano, gli uomini non sapevano più che cosa credere, né se ne preoccupavano gran che. Le forme erano mantenute, ossia l’apparato esteriore della religione, perché sembrava che senza di quello la civiltà stessa dovesse soccombere. Ma le forme non avevano più alcun significato, o, se ne avevano, era spesso il contrario di quello primitivo. Anche fra i Giudei si verificava un regresso, un pervertimento di ideali, una sostituzione di convenzioni alla verità. Credevano ancora nell’unico vero Dio, ma era soltanto il Dio di Abramo. La legge aveva divorziato dalla religione, si era fatta fine a se stessa e non più mezzo, e ne era seguita una schiavitù intollerabile. – In questo ambiente venne Cristo. Ergendosi al disopra del legalismo, parlò “come uno avente autorità e non come gli Scribi” e l’autorità ch’Egli si arrogava era quella di messaggero diretto di Dio stesso. Egli restituì all’uomo quella religione dello spirito che ne formava l’aspirazione spontanea. La razza umana era miope per natura, errante “come gregge senza pastore dà come è sempre stata e sempre sarà, se lasciata a se stessa. Cristo le diede una guida sicura, la sua stessa infallibilità che stabilì per sempre nel suo Corpo mistico, la Chiesa vivente. Essendo Cristo Dio, e quindi “ieri e oggi il medesimo per sempre, la sua infallibilità è conseguenza logica della sua divinità. – Non si tratta semplicemente di storia e di evoluzione che sono, esse stesse, fallibili, ma poiché l’infallibilità è cosa più che umana deve necessariamente appoggiare sopra una base sovrumana. Si basa non sulla storia, ma su Cristo in persona che non può ingannarsi né ingannare, che ha promesso di essere coi suoi “sempre, fino alla consumazione dei secoli”, che visse e morì e risorse “per dare testimonianza alla verità”. Se ci avesse dato di meno, nulla avrebbe fatto più di quanto l’uomo già fece nella sua affannosa esitante ricerca della verità. La sua intera dedizione, invece, ci fa riconoscere l’unico sigillo degno della Parola di Dio nella perenne infallibilità di Lui. Veritas Domini manet in æternum: “La verità del Signore per mane in eterno”. – E il suop insegnamento è venuto a rispondere in ogni punto alle ansiose interrogazioni dell’anima umana. Che cos’era essa? Quale la sua origine e la sua ragione d’essere? Quale la sua meta, il suo fine? Cristo le rispose, come uno avente autorità e in nome di Dio stesso, che veniva da Dio e a Lui doveva ritornare, quel Dio che voleva esserle padre, che l’ aveva creata per Sè, che l’aveva santificata e benedetta oltre ogni possibile aspirazione, che con la sua Provvidenza si prendeva cura di lei ad ogni istante. Era venuta da Dio che l’amava di un amore eterno, l’aveva adottata e beneficata come figlia, le aveva infuso la sua stessa vita per farla capace d’innalzarsi al disopra di sé, oltre il limitato orizzonte di questo mondo sensibile, e di diventar membro della sua casa, del suo regno. Che cos’era dunque in se stessa? Arricchita di questa vita nuova l’anima acquistava una dignità e un’importanza tali che al loro confronto il mondo intero perdeva ogni valore. “Che cosa darà l’uomo in cambio della sua anima?” Non era più un essere qualsiasi, ma figlio adottivo della famiglia stessa di Dio, fratello del Verbo incarnato, membro del suo Corpo mistico, tralcio di Lui che è la vite, figlio della sua Chiesa fondata su una rocca che nulla potrà abbattere, creatura preziosa agli occhi stessi di Dio, perché acquistata col sangue del Figlio suo, l’eterno diletto Unigenito. Ecco l’anima umana come Cristo la vedeva e come la rivelò all’anima stessa. Era una concezione che superava quella di tutti i filosofi e i profeti venuti prima di Lui. L’uomo guardò in alto, dalle proprie tenebre, verso le altezze donde veniva la nuova luce, e fu un’esistenza nuova. Poiché, illuminata e rivelata da quella luce, la vita stessa assumeva altro significato e altro valore. Che cosa doveva essere, e per quale scopo? Non era più la tomba la sua meta, ma la casa di Dio Padre, non la conquista di beni effimeri, ma quella di una corona incorruttibile. La sua perfezione stava precisamente nella conoscenza di Dio, nell’amor di Lui accettato e ricambiato, nella rassomiglianza con Lui, come di figlio al padre, ogni giorno più accentuata e più perfetta; e tutto ciò faceva di questa vita meschina una cosa affatto diversa, ricca di significato e d’ideali nuovi, con una nuova meta e con la splendida certezza di un’altra vita in cui la morte sarà assorbita nella vittoria. Nessuna meraviglia che chi ascoltava Cristo rimanesse “stupito della sua dottrina”. (Matt. VII, 28.) Era dottrina umana e divina insieme, perfettamente consona alle aspirazioni dell’uomo, vera risposta alle sue domande, appagamento dei suoi sogni più alti, verità soprannaturale eppur sempre a portata della sua vita quotidiana. “Beati voi, o poveri, perché vostro è il regno di Dio”. “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati”. “Beati voi che ora piangete, perché riderete”. « Sarete beati quando gli uomini vi odieranno e vi bandiranno dalla loro compagnia e vi caricheranno di obbrobrio, e ripudieranno come abominevole il vostro nome per causa del Figliuol dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e tripudiate perché il vostro premio sarà grande nei cieli (Luca VI, 20, 25). – Nessuna meraviglia che i suoi nemici, avendolo udito, si allontanassero dicendo: “Nessuno mai ha parlato come quest’uomo”. (Giov. VII, 45). Perché parlava come uno che vedeva e sapeva cose che nessun altro poteva vedere e sapere, e ne discorreva con un linguaggio che nessuno ha mai uguagliato, con una chiarezza, un calore, una convinzione, una sicurezza, perfino con una padronanza di parola e di frase che di per sé era garanzia di verità. Egli era la Via, la Verità, la Vita. Si attribuì questi titoli e nessuno osò contestarglieli. Unico fra tutti gli uomini, Egli poté chiedere: “Chi di voi mi convincerà di peccato?” Egli solo poté promettere ed invitare: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. E non si trovò nessuno che osasse accusarlo di presunzione. Da ultimo, poiché non possiamo continuare all’infinito, notiamo che Cristo non si limitò alle parole. Fu modello perfetto di tutto ciò che insegnò, perfetto soprattutto forse perché appropriato ed accessibile ad ogni uomo che viene in questo mondo. Di nessuno si potrebbe asserire altrettanto, neppure dei migliori fra gli uomini. Incarneranno questo quell’ideale, saranno fulgidi esempi di questa o di quella virtù, ma se vogliamo esser giusti dobbiamo conceder loro, anche ai più grandi, il margine che è comune a tutta l’umanità. Cristo resta unico e solo. Non ha bisogno di nessuna concessione. La sua perfezione non è ristretta ad una qualità o ad una virtù; per quanto vi si cerchino limiti, non se ne troveranno. Si fece uomo, visse fra gli uomini la sua vita umano-divina, uguale in tutto agli altri, nascosto come si nasconde per lo più ogni vera grandezza obbediente come tutti dobbiamo esserlo quaggiù, mostrando in ogni suo atto come preghiera ed azione ogni siano intimamente unite, come l’uomo possa santificare e quindi render perfetta ogni prova e ogni avversità, ogni sconfitta come ogni successo. Insegnò con l’esempio e con l’esperienza, oltre che con la parola, la pazienza, la perseveranza e la speranza nell’afflizione, sopportò tutti i torti ch’Egli sapeva esser riserbati ai suoi futuri seguaci. Agonizzò nel corpo e nell’anima, sopportò il disprezzo degli uomini, l’ingratitudine, l’abbandono, il tradimento, il bisogno, l’insolenza, la crudeltà, l’ingiustizia, la vergogna, l’ignominia, ogni forma di male che può colpire l’umanità. Nessuno doveva mai poter dire che il suo destino fosse più crudele di quello di Cristo. – Eppure, sebbene la figura completa di Cristo sia quella di “verme, non uomo” in cui “non era apparenza che attirasse il nostro sguardo”, il suo esempio attrae irresistibilmente. “Quando sarò innalzato attirerò a me tutte le cose”. Così aveva detto una volta di Sé e, nel tempo, la profezia si è avverata. – Quella vittima innocente che tutto sopportò per puro amore di coloro che avrebbero dovuto soffrire in sua vece ha fondato una nuova civiltà; i suoi patimenti hanno portato frutto in questo mondo come nell’altro. La croce è apparsa nel cielo, e sul Cristo, sul Cristo crocifisso, è sorto il Cristianesimo. Attraverso i secoli Egli ha attirato a sé uomini e donne innumerevoli pei quali, a motivo di Lui, la sofferenza è diventata una gioia perché li ha resi tanto più simili a Lui, una cosa sola con Lui. E li ha fatti capaci di compiere in loro stessi “ciò che manca” alla passione di Lui, ha insegnato loro il modo di dargli prova d’amore, il mezzo medesimo con cui Egli dimostrò l’amor suo per essi. Ha reso loro possibile di partecipare alla sua vita e compiere, in Lui e con Lui, l’opera per la quale Egli visse e morì. Né il miracolo è esaurito: Cristo e la sua croce rimarranno l’ideale di milioni di esseri fino alla consumazione dei secoli; ché in quell’ideale, più che in ogni altro, è riposta la salvezza dell’uomo anche su questa terra.