DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semìdoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica, inserita nel Messale dopo il Sabato delle Quattro-Tempora, era anticamente libera. La liturgia della vigilia si prolungava, infatti, fino alla Domenica mattina, e quindi questo giorno non aveva Messa propria. La lezione del Breviario nella Domenica che segue le Quattro Tempora (4a Domenica di settembre) è quella del libro di Giuditta, che S. Ambrogio, nel 2° Notturno riporta a questo tempo di penitenza, attribuendo ai digiuni e all’astinenza di quest’eroina la sua miracolosa vittoria. Per continuare il riavvicinamento che abbiamo stabilito fra il Messale e il Breviario, possiamo anche studiare la Messa del Sabato delle Quattro Tempora, che era anticamente quella di questa Domenica in rapporto con la storia di Giuditta. – Nabuchodonosor, re degli Assiri, mandò Oloferne, generale del suo esercito, a conquistare la terra di Canaan. Quest’ufficiale assediò la fortezza di Betulia. Ridotti agli estremi, gli assediati decisero di arrendersi nello spazio di cinque giorni. Viveva allora in questa città una vedova chiamata Giuditta, che godeva grande riputazione. « Facciamo penitenza per i nostri peccati disse ella, e imploriamo il perdono da Dio con molte lacrime! Umiliamo le anime nostre davanti a Lui e preghiamolo di farci sperimentare la sua misericordia. Crediamo che questi flagelli, con i quali Dio ci castiga, ci sono mandati per correggerci e non per rovinarci ». E questa santa donna entrò allora nel suo oratorio rivestita di cilicio e con la testa cosparsa di cenere si prostrò a terra davanti al Signore. Compiuta la sua preghiera, mise le sue vesti più belle ed uscì dalla città con la sua ancella. Sul far del giorno giunse agli avamposti dei Caldei e dichiarò che era venuta per dare i suoi nelle mani di Oloferne. I soldati la condussero dal generale che fu colpito dalla sua grande bellezza « che Dio si compiacque di rendere ancor più abbagliante, poiché aveva per scopo non la passione, ma la virtù ». Oloferne credette alle parole di Giuditta e offrì in suo onore un gran banchetto. Nel trasporto della gioia bevve con intemperanza maggiore del solito e oppresso del vino si distese sul letto e si addormentò. Tutti si ritirarono allora e Giuditta restò sola presso di lui. Ella pregò il Signore di dar forza al suo braccio per la salvezza di Israele; poi, staccata la spada appesa al capo del letto, tagliò coraggiosamente la testa di Oloferne, la consegnò all’ancella ordinandole di nasconderla nella borsa da viaggio e ambedue rientrarono a Betulia quella notte medesima. Quando gli Anziani della città appresero quello che Giuditta aveva fatto, esclamarono: « Benedetto sia il Signore, che ha creato il cielo e la terra! ». L’indomani la testa sanguinante di Oloferne venne esposta sulle mura della fortezza. I Caldei gridarono al tradimento ma, inseguiti dagli Israeliti, furono massacrati o messi in fuga. Quando il Sommo Sacerdote venne da Gerusalemme con gli Anziani per festeggiare la vittoria, tutti acclamarono Giuditta, dicendo: « Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo ». S. Ambrogio, nel 2° Notturno della IV Domenica di Settembre commenta questa pagina della Bibbia dicendo: « Giuditta tagliò la testa ad Oloferne in forza della sua sobrietà ». Armata del digiuno, essa penetrò arditamente nel campo nemico. Il digiuno di una sola donna ha vinto le innumerevoli schiere degli Assiri ». La Messa del Sabato delle Quattro Tempora è piena di sentimenti analoghi. Le Orazioni implorano il soccorso della misericordia divina, appoggiandosi sul digiuno e sull’astinenza che ci rendono più forti dei nostri nemici. Perdonaci le nostre colpe, Signore, dice il l° Graduale. Vieni in nostro aiuto, o Dio nostro Salvatore; liberaci, per l’onore del nome tuo ». – « O Signore, Dio degli eserciti, continua il 2° Graduale, presta l’orecchio alle preghiere dei tuoi servi ». « Volgi il tuo sguardo, o Signore; sino a quando volti da noi la tua faccia? aggiunge il 3° Graduale, abbi pietà dei tuoi servi ». — Le Lezioni fanno tutte allusioni alla misericordia di Dio verso il popolo, che ha fatto penitenza. Così parla il Signore degli eserciti: « Come ebbi l’intenzione di far del male ai vostri padri quando essi provocarono la mia collera, cosi in questi giorni ho avuto l’intenzione di fare del bene alla casa di Gerusalemme ». – Il racconto della liberazione del popolo ebreo dalla servitù assira per mezzo di Giuditta (nome che è il femminile di Giuda) dopo che essa ebbe digiunato è un’immagine della liberazione del popolo di Dio alla Pasqua, per mezzo di Gesù (della stirpe di Giuda) dopo la Quaresima. – Più tardi, allorché non si attese più la sera per celebrare il santo Sacrificio il Sabato delle Quattro Tempora, si prese per la 18° Domenica dopo Pentecoste, la Messa che era stata composta al VI secolo per la Dedicazione della Chiesa di San Michele a Roma e che fu celebrata il 29 settembre; infatti tutto il canto si riferisce alla consacrazione di una Chiesa. « Mi rallegrai quando mi dissero Andremo nella casa del Signore (Versetto All’Introito e Graduale). Mosè consacrò un altare al Signore, dice l’Offertorio. « Entrate nell’atrio del Signore e adoratelo nel Tempio suo santo », aggiunge al Communio, e questa è una immagine del cielo ove affluiranno tutte le nazioni quando verrà la fine dei tempi indicata da questa Domenica e dalle seguenti che vengono alla fine del Ciclo. L’Alleluia è infatti quello delle Domeniche dopo l’Epifania, che annunziava l’ingresso dei Gentili nel regno dei cieli. L’Epistola parla di coloro che attendono la rivelazione di Nostro Signore al suo ultimo avvento; allora essi godranno eternamente, nella casa del Signore, la pace che, come dissero i Profeti, Egli accorderà a quelli che lo attendono (Intr., Graduale). Questa pace Gesù ce l’ha assicurata morendo sulla croce, che è il sacrificio vespertino. Questa pace e questo perdono noi lo godiamo già nella Chiesa, in grazia del potere accordato da Gesù ai suoi sacerdoti. Questa Messa, che segue il sabato delle Ordinazioni fa infatti allusione anche al sacerdozio. Come il Salvatore, che esercitò il suo ministero e guarì l’anima del paralitico guarendone il corpo, quelli che sono ora stati ordinati Sacerdoti predicano la parola di Cristo (Epistola), celebrano il santo Sacrifizio (Offert.) e rimettono i peccati (Vangelo). E cosi preparano gli uomini a ricevere irreprensibili il loro divin Giudice (Epistola). La predicazione evangelica è una testimonianza resa a Gesù Cristo. Quelli che l’accettano ricevono doni celesti in sovrabbondanza e possono attendere con fiducia l’avvento glorioso di Gesù alla fine dei tempi. – Giovanni Crisostomo così commenta la risposta data da Gesù agli Scribi che non gli riconoscevano la facoltà di perdonare i peccati: « Se non credete la potestà di rimettere le colpe, credete la facoltà di conoscere i pensieri, credete la virtù del sanare da malattie incurabili i corpi. Più facile sanare il corpo; ma giacché non credete alla maggiore meraviglia, ve ne mostrerò una minore ma aperta ai sensi.  »                                                                           

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël.

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].

Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël

[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus.

[Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.

[“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”.]

LE RICCHEZZE DEL CRISTIANESIMO.

Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio, riguardo a voi, per la grazia di Dio che vi è stata fatta in Gesù Cristo; perché in lui siete divenuti ricchi di ogni cosa, d’ogni dono di parole e di scienza, essendo la testimonianza di Cristo confermata in mezzo a voi in modo che non manchi dono alcuno a voi che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, il quale vi farà anche perseverare sino alla fine, perché siate senza colpa nel giorno della venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

(S. Paolo, I ai Corinti: 1, 4-8).

Anche il lettore più zotico e disattento capisce subito che quando San Paolo afferma arricchiti in Gesù e per Gesù i Cristiani, arricchiti in tutti i modi, non parla di ricchezze materiali: il discorso dell’Apostolo si svolge su un piano diverso e superiore al piano della materia, che è il piano dello spirito. Però in quel piano la frase di San Paolo ha una verità, una esattezza matematica: N. S. Gesù col suo Vangelo ha, spiritualmente, arricchito l’umanità. C’è più vita al mondo e nella storia dopo di Lui, maggiore e migliore, più intensa e più alta. C’è più luce. La fede non è una barriera, un limite, è un progresso, uno slancio. Dove si ferma la ragione con la sua luce umana, comincia la fede con la sua luce divina, divina e umanizzata, messa per opera di Gesù, il Rivelatore, il Maestro, alla portata dell’umanità. Prima di Gesù c’è la filosofia, dopo Gesù accanto e oltre la filosofia c’è la Teologia. Prima c’è Dio — mistero — poi ci sono i Misteri di Dio. Il Cristiano sa tutto ciò che sapeva il pio pagano e sa molto di più. E anche il patrimonio di verità comuni, nella mente del Cristiano è più luminoso. Le stesse cose noi le sappiamo meglio. Meglio la sua grandezza, meglio la sua bontà, la giustizia così severa, la misericordia così grande. Il più umile Cristiano, sotto questo rispetto, è più avanti del più grande filosofo pagano. C’è una vita morale più ricca. Si vive nella sfera morale più intensamente, con maggiore severità e maggiore dolcezza. Nostro Signore ci ha tenuto ad affermare questa superiorità morale del Suo Vangelo sulla antica Legge, non discutendo neanche la superiorità della Legge mosaica sulla etica pagana. Sinteticamente ha detto che la giustizia, la bontà dei suoi seguaci, deve essere superiore a quella degli Scribi e dei Farisei. E ha specificato una serie di superiorità morali, spirituali. La parola nostra è più sincera, deve essere tersa come uno specchio. – Non bisogna solo non nascondere la verità delle parole, bisogna non velarla. La morale giudaica, salvo le apparenze, provvede ad evitare il male sociale, la morale cristiana va al fondo della realtà, mette l’anima nella luce e al contatto di Dio. Dove il Cristianesimo trionfa è nel regno della carità, dell’amore. Dopo N. S. Gesù c’è più amore al mondo, un amore più operoso. Chi li aveva mai neanche lontanamente sognati i miracoli della carità cristiana nell’inverno dell’età pagana? Cera a Roma la Vestale; non c’era la Suora di carità. L’ha creata Gesù. Tra il paganesimo e il Cristianesimo, c’è la differenza dal verno alla primavera. Il nostro amore è più intimo. Non si benefica solo nel Cristianesimo, non si fa solo del bene, si fa del bene, perché si vuole bene. C’è la fratellanza dell’anima, oltre le divisioni sociali. Rimangono materialmente i poveri e i ricchi, ma poveri e ricchi non conta nulla; si è fratelli. La carità cristiana va oltre la divisione nazionale; ci sono ancora i greci, i romani, i barbari, ma greci, romani e barbari si sentono fratelli, si chiamano con questo bel nome, si amano con questo bel titolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXXI: 1; 7

Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.

[Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore.]

Alleluja

V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja

[V. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri. Allelúja, allelúja]

Ps CI: 16

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja.

 [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.

[“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la potestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

IL POTERE DI PERDONARE I PECCATI

La casa dove si trovava Gesù era assiepata di gente, sicché non vi si poteva più entrare e nemmeno avvicinarsi alla porta. Ecco arrivare ancora quattro uomini, portando su di un lettuccio un paralitico. Venivano probabilmente da molto lontano, a prezzo di lunghe fatiche e non volevano ritornare senza aver visto Gesù. Non potendo per la ressa aprirsi un varco, salgono sul tetto. Doveva essere una casa bassa, con una scala esterna che metteva direttamente sulla terrazza che faceva da tetto. Smuovono alcune travi e calano giù il lettuccio del paralitico, il quale si trova davanti al Figlio di Dio. « Uomo, abbi fede: i tuoi peccati ti sono rimessi ». Parole più inaspettate, più strane di queste, Gesù non avrebbe potuto dire a quell’uomo ch’era venuto solo per la speranza d’essere guarito dalla paralisi. Eppure dovevano rispondere a qualche silenziosa implorazione che il Figlio di Dio ascoltava. Forse, giunto sotto lo sguardo purissimo e penetrante del Signore, quell’infelice, per un’improvvisa grazia di lucidità, vide che la sua sventura più compassionevole non era nella carne ma nell’anima. Vide le sue colpe, ne misurò per la prima volta l’estensione, la profondità, la bruttura; ne inorridì. Dal profondo del cuore gridò allora non già: « Guariscimi! », ma: « Perdonami! ». – Tutti allora udirono la risposta a quella domanda che nessuno aveva sentito: « Ti sono rimessi i tuoi peccati ». Cominciò lo scandalo. Gli Scribi e i Farisei, tacevano; ma nel loro interno si ribellavano: « Come può parlare così un uomo? Bestemmia. Chi può rimettere i peccati se non Dio solo? » E Gesù diede loro una duplice prova della sua divinità: leggendo nei loro cuori, sanando il paralitico. « Rispondetemi: è più facile secondo voi dire a costui: « Ti siano rimessi i tuoi peccati » o dirgli « levati su, e cammina? » Nessuno osava fiatare, perché si sentivano smascherati e senza ripari nella coscienza, davanti a Lui che li scrutava. « Ebbene, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra il potere di rimettere i peccati, — e si voltò al paralitico – ti dico, alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua ». E quegli s’alzò, prese il letto sulle spalle e andò via, tra lo sbigottimento e le grida della folla. Tutti glorificavano Dio che diede al Cristo tale potere, quello di rimettere i peccati. Anche noi dobbiamo ora per tale motivo glorificare Dio, considerando due cose intorno alla remissione dei peccati: la misericordia divina e la grettezza umana.  – 1. LA CONFESSIONE E LA MISERICORDIA DIVINA. L’uomo che commette peccato, in un momento di viltà e di ebbrezza e d’esaltazione, si slancia a colpire Dio e invece manda in rovina la propria anima. La quale dal peccato è paralizzata in ogni opera meritoria per il paradiso, è spogliata dalla vita della grazia, e come morta giace in un letto di miseria e di maledizione. Intanto il rimorso dilania il cuore. Quell’uomo lavora e picchia vigorosamente il suo martello, ma tra colpo e colpo ode una voce che gli s’infigge tra fibra e fibra, come una freccia: « Sei maledetto dal Signore! » Il martello gli diventa pesante, gli scivola di mano, si asciuga il sudore: è sudore di spavento. Quella donna canta sulla culla del suo bambino, e sembra beata nella sua gioia materna; ma una voce secreta l’amareggia: « Sei indegna di baciare l’innocenza di questo bambino ». Il canto le si spegne sulle labbra, e trema di spavento. Quella figliuola è inginocchiata davanti all’altare. Ha tanto bisogno di Dio ed è così sola al mondo! Però una voce la respinge dall’altare. « Hai offeso il Signore Dio tuo, hai meritato l’inferno!  » Si copre il volto per angoscia e per spavento. E se il Signore  non perdonasse più? È forse obbligato a perdonare? Se non perdonasse più, dopo il primo peccato sarebbe finita per sempre: la nostra vita diverrebbe come quella di Caino, la nostra morte quella di Giuda. Invece Dio perdona ancora. Ha istituito un sacramento in cui i suoi ministri hanno ricevuto il potere di perdonare i peccati: di perdonarli tutti, di perdonarli sempre. È necessario soltanto confessarli con grande sincerità, con profondo dolore. A intravvedere la misericordia infinita di Dio nella confessione, ci gioverà una parabola. Essa c’insegna che Dio ha dato al Sacerdote, il potere di perdonare tutto, anche i peccati enormi. « Un cavaliere aveva ucciso un uomo: la giustizia non lo sospettava, ma i rimorsi lo facevano andare triste ed errabondo. Un giorno, accadendogli di passare davanti ad una chiesa protestante, gli sembrò che il segreto sarebbe stato meno pesante, se avesse potuto confidarlo; entrò dunque e domandò al vicario di ascoltare la sua confessione. Questo vicario era un giovane molto perbene e molto istruito, ma, come tutti i protestanti, disconosceva il potere di perdonare i peccati nella confessione, sacramento istituito dal nostro divino Redentore crocifisso. « Apritemi il cuore, potete dirmi tutto come ad un padre ». L’altro incominciò: « Ho ucciso un uomo ». Il vicario scattò: « E venite a dirlo a me! miserabile assassino! Io non so se il mio dovere di cittadino non sarebbe quello di condurvi al più prossimo posto di polizia… ad ogni modo è mio dovere di persona rispettabile di non tenervi sotto il mio tetto un solo minuto di più ». E l’uomo se ne andò. Alcuni chilometri più lungi, vide sulla via che egli seguiva, una chiesa cattolica. Un’ultima moribonda speranza lo fece entrare, ed egli si inginocchiò dietro alcune vecchiette che attendevano vicino al confessionale. Venuta la sua volta, diede uno sguardo al prete che dentro nell’ombra pregava con la testa tra le mani e salì. « Padre mio », disse « non sono Cattolico, ma vorrei confessarmi da voi ». « Vi ascolto, figlio mio ». « Padre mio; ho ucciso ». Attese l’effetto della rivelazione spaventosa, Nell’augusto silenzio, la voce del sacerdote sussurrò dolce come fosse quella di una madre amorosa e dolente: « Quante volte, figlio mio! » (Cfr.: I silenzi del Colonnello Bramble, romanzo di ANDRÈ MAUROIS, Grasset, Parigi, 1921, pagg. 91-93). Nessun peccato può essere così enorme che il sangue del Figlio di Dio non basti a cancellarlo; basta che l’anima lo confessi sincera e pentita, che Dio non solo perdona tutto, ma sempre. A S. Pietro che gli domandava quante volte avrebbe dovuto perdonare al fratello pentito e se bastassero sette volte, Gesù in tono amorevole di rimprovero rispose dicendo: « Settanta volte sette! », cioè sempre. Finché nel cuore contrito gli resterà una goccia di fiducia nella misericordia divina, l’uomo potrà sempre ottenere il perdono dei suoi peccati. – 2. LA CONFESSIONE E LA GRETTEZZA UMANA. Di fronte alla misericordia di Dio, senza confini e senza misure, come è irritante la grettezza e la piccineria degli uomini, incapaci a comprendere le meraviglie del Cuore divino! a) Dicono certi uomini: « Se il peccato è un’offesa di Dio, solo Dio può perdonarlo; stando così le cose, io me la intenderò con Dio solo a solo, senza che il prete si metta di mezzo ». Questo ragionamento incomincia bene e conclude male. È vero: Dio solo può perdonare, e nessun’altro, neppur la Madonna, neppure gli Angeli e i Santi! Perché a Dio solo si deve chiedere perdono. Ma nel modo stabilito da Lui. Tocca all’offeso dettare le norme della riparazione. Ebbene Dio per concedere il perdono dei peccati ha stabilito come norma la confessione al suo ministro e rappresentante, il prete. b) Soggiungono ancora certi uomini: « Ma dove, ma quando Dio prescelse la Confessione per rimettere i peccati? ». Non avete sentito nel Vangelo d’oggi che Gesù prova d’essere Dio leggendo nei cuori, guarendo il paralitico, e dimostra di avere in proprio il potere di perdonare i peccati? Ebbene leggete qualche altra pagina del Vangelo, e troverete che il medesimo Gesù dirà agli Apostoli e nella persona degli Apostoli a tutti i loro successori parole come queste: « Come il Padre ha mandato me, così io mando voi… Ricevete lo Spirito Santo; quelli a cui rimetterete i peccati saranno rimessi, quelli a cui li riterrete saranno ritenuti » (Giov., XX, 21-23). c) Certi uomini dicono anche così: « La confessione è una viltà, è una degradazione, perché ci fa inginocchiare davanti a un uomo, ci obbliga a svelargli i segreti più personali della nostra coscienza ». Tutto ciò sarebbe vero, qualora veramente il confessore fosse un semplice uomo. Ma egli non è tale: egli è un uomo investito di divini poteri; è il rappresentante e il ministro di Cristo stesso. Prostrarci a lui, è come prostrarci a Cristo: è un umiliarsi, sì, ma non un degradarsi o un avvilirsi. – Merita d’essere riferito quel brano di Alessandro Manzoni della Morale cattolica (cap. XVIII): « Sì, noi ci inginocchiamo davanti al Sacerdote, gli raccontiamo le nostre colpe, ascoltiamo le sue correzioni e i suoi consigli. Ma quando il sacerdote, fremendo in ispirito della sua indegnità e dell’altezza delle sue funzioni, ha steso sul nostro capo le mani consacrate, stupito ad ogni volta di profferire le parole che danno la vita, noi, alzandoci da’ suoi piedi, sentiamo di non aver commesso una viltà. Noi siamo stati ai piedi di un uomo che rappresentava Gesù Cristo, per deporre, se fosse possibile, tutto ciò che inclina l’animo alla bassezza ». d) Ci sono infine certi altri uomini che dicono: « La confessione è un tormento e una debilitante angustia della coscienza ». A costoro risponderò con una bella pagina di Bossuet. « Si legge nella Storia Sacra (Esdra, III, 1, 3), che quando questo gran profeta, ebbe ricostruito il tempio di Gerusalemme, distrutto dall’esercito assiro, il popolo, confondendo insieme il triste ricordo della rovina e la gioia di una sì lieta ricostruzione, parte singhiozzava di dolore, parte cantava di giubilo, di modo che non si potevano distinguere i gemiti dalle grida di allegrezza. Ebbene, questa misteriosa confusione di dolore e di gioia è un immagine assai naturale di quanto avviene nel Sacramento della penitenza. L’anima, decaduta dalla grazia, vede in se stessa rovesciato il tempio di Dio; e quella spaventosa devastazione non l’hanno fatta già gli Assiri ma l’ha fatta lei stessa, distruggendo e profanando il santuario del suo cuore per farne tempio di idoli. Quell’anima piange, geme, rifiuta ogni consolazione: ma in mezzo ai dolori mentre fa scorrere le lacrime, vede che lo Spirito Santo, tocco dal suo tormento, dal suo pentimento, rialza quel santo edificio, ricostruisce l’altare abbattuto, e finalmente riconsacra quella coscienza nella quale ritorna a fare la propria dimora » (Dal Sermone sul figlio prodigo). – Un peccatore convertito s’incontrò, un giorno, nel complice di tanti peccati e misfatti. Questi lo chiamò: « Amico, non mi conosci più? sono io ». E il convertito francamente gli rispose: « Ah! siete voi; ebbene: io, non sono più io ». Le nostre confessioni siano sempre fatte con tale sincerità e con tale proposito che abbiano ad operare in noi una vera trasformazione, sicché ciascuno abbia a poter dire di non essere più quello di prima. Come il paralitico, dopo l’ordine di Gesù, si alzò dal suo lettuccio e se ne andò a casa, così noi pure dopo l’assoluzione dobbiamo alzarci dalle cattive abitudini, dalle occasioni di peccato, da ogni miseria terrena, e incamminarci veramente alla nostra casa che è il santo paradiso. — PARALISI SPIRITUALE. Salì una navicella, traversò il lago e sbarcò alla sua Cafarnao. Subito gli portarono incontro un povero paralitico, sopra un letto. Gesù gli dice: « Sorgi, prendi il tuo letto, torna a casa ». « Surge! Tolle! Vade! ». La folla attonita fu presa prima da uno sgomento di terrore, poi da un grande entusiasmo verso l’Uomo che comanda alle malattie e cominciò a glorificare Dio che tanta potestà aveva riposta in Lui. Più ancora di quella gente, noi dobbiamo glorificare Dio, perché i tre misteriosi comandi « surge, tolle, vade » furono rivolti al paralitico in vista del peccatore in esso rappresentato. Attraverso la guarigione di quell’infermo, Gesù intendeva insegnarci il modo di guarire da un’altra più terribile paralisi: quella dell’anima. I tre mali che la paralisi arreca al corpo, sono dal peccato recati all’anima. Infatti, quest’infermità ci proibisce di reggerci in piedi, di compiere qualsiasi fatica, di camminare. Così, nell’anima il peccato: ci proibisce di star ritti nella grazia e curva nella schiavitù del demonio; ci rende inermi nelle tribolazioni e nelle tentazioni; infine, non ci lascia camminare verso il paradiso sulla via della virtù e delle buone opere. Ma Dio contro questi tre mali ha comandato tre rimedi: « Surge! Tolle! Vade! » – 1. SURGE! Quando un’anima si macchia di peccato, avviene in lei una trasformazione orribile. Decade dalla sua nobiltà e giace in una vergognosa miseria. Oh, se gli uomini potessero comprendere bene come, peccando, si abbrutiscono davanti a Dio, non  abbandonerebbero così facilmente in balìa del demonio! Gesù ne prova un’immensa compassione, e passando vicino grida: « Sorgi! ». Saulo di Tarso perseguitava ferocemente i discepoli del Signore. Aveva negli occhi una torbida fiamma di odio, aveva nelle mani le lettere del capo sacerdote, che lo autorizzavano a prendere, quanti più poteva, Cristiani e tradurli a Gerusalemme. Mentre faceva la strada di Damasco, un’improvvisa folgore dal cielo lo circondò, e lo atterrò. Il superbo stordito dal colpo, rotolava nella polvere e non capiva nulla. Poi udì una voce potente che lo chiamava: « Surge! entra nella città e là ti verrà detto quello che devi fare » (Atti, IX, 6). Saulo tremando si levò da terra; sbarrò gli occhi ad accogliere la luce, ma era diventato cieco. In Damasco l’aspettava il sacerdote Anania che l’avrebbe risanato. Quella voce che risuonò all’orecchio di Saulo gettato nella polvere della strada, risuona pure all’orecchio di ogni uomo caduto in peccato: « Surge! ». Sorgi dalla colpa che uccide l’anima, sorgi dalla tua vita cattiva che ti abbassa al livello delle bestie, sorgi dalla schiavitù del demonio che ti costringe, non in un duro letto come il paralitico, ma nell’inferno. Quando Saulo udì la voce di Gesù che l’invitava a rialzarsi, rispose: « Signore che debbo fare? » E il Signore a lui: « Entra in città, e lo saprai ». Questa città è la Chiesa dove il peccatore che ritorna, conosce quello che il Signore vuole da lui. E il Signore vuole che si presenti ad Anania, al Sacerdote, che confessi e pianga davanti a lui il suo peccato; ed il sacerdote nella confessione, novello Anania, gli aprirà gli occhi sopra le sue miserie, gli darà una mano per rialzarsi. Surge! Non lo sentite voi questo divino comando che in mille modi risuona intorno a voi? Sono i buoni esempi, sono i rimorsi, sono le tribolazioni, le campane che vi chiamano alla chiesa: « Sorgi dal fango in cui ti sei buttato; sorgi dalle cattive abitudini; sorgi dalla tua ignoranza in fatto di religione; sorgi dal rancore che ti rode contro il prossimo… ». Non resistiamo a Gesù. Ma come il figliuol prodigo diciamo anche noi: « Surgam! »: « sorgerò e andrò da mio Padre ». – 2. TOLLE! Dopo averlo risanato, Gesù disse al paralitico: « Tolle grabatum tuum » – « Prendi su il tuo letticciuolo ». E che altro significa il letticciuolo se non la propria parte di dolori e di pene che ad ognuno è riservata sulla terra? Non basta dunque sorgere dal peccato, ma è necessario accettare e portare con rassegnazione e con spirito di penitenza le nostre croci, quaggiù. Mirabile è la Provvidenza nel comandare agli uomini di portar la propria croce. Osservate: ad ogni istante gli uomini si sprofondano nel male. Si pecca nelle vie, nelle case, nei teatri, nei ritrovi, in pubblico, in privato. Ma se non ci fossero i dispiaceri, le croci, le disgrazie, la morte a porre un freno, chi fermerebbe l’uomo sulla china del male? Ecco perché l’Ecclesiastico dice: « Il cuore dei santi sta dove c’è tristezza e il cuore degli stolti dove c’è allegria ». È necessario patire. Sul calvario si ergevano tre croci: quella di Gesù innocente, quella del ladro penitente, quella del ladro disperato. Chi non vuol patire con Gesù innocente, chi non vuol patire col ladro penitente, dovrà egualmente patire, col ladro disperato. Eppure, è tanto frequente l’udire bestemmie contro la Divina Provvidenza, non solo dalla bocca degli uomini, ma specialmente da quella delle donne, delle mamme di famiglia: « Che ho fatto io di male per castigarmi così? Ah, se Dio c’è, non è giusto! ci mette al mondo e poi ci tormenta… ». Povera gente! pretende d’essere cristiana, senza portare la croce di Cristo. Si sbaglia di grosso. Il Redentore apparve alla Beata Margherita di Savoia. Le recava sulle palme forate dalle stigmate, tre doni a scelta: o la calunnia, o la malattia, o la persecuzione. Ella pensò. La calunnia? essere creduta da parenti o da amici forse una ladra, forse una mondana, forse… ed essere innocente: oh mio Dio! La malattia?…: e si vedeva inchiodata in un letto duro, con la febbre alta, con un male ributtante che la consumava senza finirla mai, sola perché avrebbero avuto schifo di lei, per mesi, per anni… La persecuzione?… scacciata come una zingara mentr’era principessa, rincorsa, incarcerata, battuta, martirizzata terribilmente… Mentr’ella pensava, Gesù le stava davanti: e sorrideva protendendo sulle mani forate dalle stigmate, tre doni; a scelta. Tremò la beata in tutta la persona, un istante; ma poi protese ella pure le sue mani con gioia e disse: « Io li scelgo tutti e tre ». Gesù l’esaudì. Per tutta la vita tre acute spade la trafissero. – 3. VADE. Quando il paralitico si fu rizzato sulle gambe, quando si fu gettato sulle spalle il letticciuolo del suo dolore, Gesù aggiunse: « Va! ». Non basta quindi lasciare il peccato, accettare le tribolazioni in penitenza dei peccati, ma è necessario andare. « Vade in domum tuam ». La nostra casa è il paradiso; e al paradiso si va con le buone opere. Non chi avrà detto: « Signore, Signore » entrerà nel regno dei cieli, ma chi avrà fatto opere cristiane. Sventurate le vergini stolte! come rimasero male, quando, sopraggiunto lo sposo, furono escluse dal convito. Erano fuori nel buio e nel freddo della notte: udendo le grida di gioia, le risa festose, i canti nuziali, il profumo dei vini e dei cibi, trepidanti bussarono alla porta. Venne lo sposo; le guardò un istante e buttò loro in faccia quel tremendo: « Nescio vos ». Non so chi siete. Che avevano fatto di male? avevano mancato di fedeltà? no: solo avevano dormito senza procurarsi l’olio nelle lampade. L’olio delle buone opere. Anche l’albero di fico, piantato lungo la via dove passò Gesù non aveva prodotto frutti velenosi, ma solo una dovizia di ampie foglie; eppure fu maledetto e inaridì sul momento, perché non aveva fatto frutti… I frutti di buone opere. Non basta non dare scandalo, ma è necessario dare buon esempio. Non basta rifiutare libri e giornali cattivi, ma è necessario appoggiare con l’opera e con l’offerta la buona stampa. Non basta non maltrattare il prossimo, ma è necessario praticar la virtù. « Et vade! » e va. Va, dunque, con frequenza ai santi sacramenti della Confessione e della Comunione; va ad ascoltare la S. Messa, non solo alla domenica, ma appena lo puoi (e potrai se’ lo vorrai) anche nei giorni feriali. Va ad acquistarti i beni eterni col di stacco dai beni temporali. Va con la mortificazione e la preghiera a vincere le tentazioni del demonio. Va! e il Signore sarà sul tuo cammino e l’Angelo del Signore camminerà con te. — LA BESTEMMIA. « Figlio, confida: i tuoi peccati ti son perdonati ». Gli Scribi udirono queste parole e inorriditi dicevano tra loro: « Chi può rimettere i peccati se non Dio? E costui osa perdonarli…; bestemmia ». Hic blasphemat. Gesù che leggeva nei cuori domandò: « È più facile rimettere i peccati o guarire un paralitico? Perché sappiate che il Figlio dell’Uomo può rimettere i peccati, io dico a questo infelice: Alzati, prendi il tuo letto, torna a casa tua ». Quegli si levò e andò a casa. Tutti allora glorificarono Dio. Hic blasphemat! veramente i bestemmiatori erano gli scribi che osavano ingiuriare il Salvatore. Ma avete notato con quale senso di disprezzo quei maligni accusarono Gesù di bestemmia? Essi, la bestemmia, dovevano sentirla come un orribile delitto. Soltanto ai Cristiani, dopo venti secoli di Cristianesimo, la bestemmia deve sembrare una parola innocua? È vergognoso. Eppure è così: forse, nessun peccato è diffuso come la bestemmia. Bestemmiano i poveri, bestemmiano i ricchi, bestemmiano gli ignoranti e bestemmiano gli istruiti. Perfino le donne bestemmiano: nelle officine hanno imparato l’insulto atroce e credono di farsene un vanto ripetendolo. Talvolta s’odono anche fanciulli a bestemmiare: chi fu ad insegnare a quelle labbra innocenti l’orrenda parola? Da chi l’udirono la prima volta? In tutta Italia si conduce una lotta magnifica « contro l’orribili favelle », per purificare l’idioma gentile di nostra gente da questa turpitudine. È bello quando si viaggia, e nelle stazioni e negli uffici e sui treni accanto al cartello dell’igiene: « È proibito sputare per terra », leggere un altro avviso: « È proibito bestemmiare ». Hanno fatto bene a metterli insieme, perché colui che bestemmia sputa per terra la sua bava diabolica, infetta l’aria, ammorba il prossimo. Sorgete anche voi! purificate la parrocchia da questo disonore. Non si deve più tacere; non si può più tacere. È per entusiasmarvi a questa nobile crociata, ch’io voglio dirvi che cosa è la bestemmia, la sua gravità, le sue futili scuse. – 1. CHE COS’È LA BESTEMMIA. La bestemmia è un’ingiuria fatta a Dio. Può essere di pensiero: quando alcuno senza nulla esprimere all’esterno agita nel suo cuore sentimenti di odio o di scherno contro Dio. Può essere anche di opera: quando si levano i pugni, gli occhi in atto di minaccia contro il Cielo, quando si calpesta un crocifisso o si sfregia per disprezzo un’immagine santa. Ma la bestemmia più comune è quella di parola. Con le parole in due modi si può bestemmiare: a) Quando si attribuisce a Dio cosa che essenzialmente a Lui ripugna, come quando lo si chiama falso, ingiusto, crudele… Questa è la bestemmia ereticale, ed è frequente sulle labbra delle donne. « Dio non è giusto. -Dio preferisce quei che fan del male. Dio mi ha rigettata, è inutile far bene… ». — Povero me! — dirà qualcuno — ma tutti i giorni io ripeto queste frasi. « Ebbene, tutti i giorni voi bestemmiate ». — Ma chi lo sapeva? « Chi lo sapeva? ogni buon Cristiano. Ed anche voi l’avreste dovuto sapere, se foste stato alla dottrina cristiana tutte le domeniche ». b) Il secondo modo di bestemmiare con le parole si ha quando ai nomi di Dio, della Vergine, dei Santi si aggiunge un titolo ingiurioso, osceno… Quelli che dicono appena il nome di Dio, di Cristo, della Madonna, senza odio, senza unirvi parole cattive, non dicono bestemmie; però non dicono nemmeno giaculatorie, e fanno molto male. Eppure c’è della gente che non può tirare il fiato senza mandar fuori questi santissimi Nomi, che gli Angeli pronunciano adorando e tremando; e sono magari fanciulle, e sono magari mamme di famiglia dalla cui bocca i figli non dovrebbero raccogliere che parole edificanti. . 2. GRAVITÀ DELLA BESTEMMIA. È un lontano venerdì, così doloroso che la memoria durerà sempre. In mezzo al cortile del presidio, nella torre Antonia, c’è un divino prigioniero. In giro a lui scrosciano le grasse risate di parecchi soldatacci. Perché ridono? Hanno fatto sedere il Figlio di Dio sopra una scranna; gli han gettato sulle spalle piagate dalla flagellazione uno straccio rosso come la porpora dei re; sopra la testa gli hanno calcato una corona di spine. Ed ora se ne fanno zimbello. Alcuni gli danno bastonate sul capo… percutiebant caput eius. Altri gli passano di dietro e d’improvviso lo schiaffeggiano, urlando: « Profeta, indovina chi è stato! ». E tutti gli sputano sulle vesti, in faccia, negli occhi. Expuentes in eum. Chi sa come fremevano intorno le invisibili legioni di Angeli! Intanto dalla piazza veniva l’urlo della folla adunata sotto il litostrato di Pilato: « Lo vogliamo crocifisso. Crucifiggilo. dunque!… Dacci Barabba, ma lui no. Fallo morire! ». Povero Gesù! Perché ti bestemmiavano? che cosa avevi fatto di male a quei soldati, a quella gente? Da Dio ti eri fatto uomo, povero e umile, per salvarli: forse per questo ti bestemmiavano? Avevi dato vino miracoloso agli sposi nel banchetto nuziale, e avevi dato pane miracoloso a quattro mila persone affamate nel deserto: forse per questo ti bestemmiavano? Avevi voluto bene ai loro bambini e sulle tue braccia li accarezzavi; avevi guarito i loro malati; avevi mondato i loro lebbrosi; avevi risuscitato i loro morti: forse per questo ti bestemmiavano, forse per questo ti sputavano in faccia? L’infamia di quella gente ci fa rabbrividire. Ma pensate, Cristiani, che noi abbiamo fatto di ogni giorno un venerdì santo. Ogni giorno son milioni e milioni di bestemmie che i Cristiani lanciano sul volto al Creatore, al Salvatore, alla Madre dì Dio!.. S. Gerolamo spaventato diceva: Nihil orribilius blasphemia: niente è più orribile di una bestemmia. Più orribile della calunnia, più orribile del furto, più orribile dell’omicidio. Questi peccati recano ingiuria al prossimo, ma la bestemmia reca ingiuria a Dio, direttamente. Ditemi: fa maggior torto a suo padre il figlio che lo disubbidisce o il figlio che osasse alzare contro il suo volto un pugno minaccioso?… certo, il secondo. Ebbene: il Cristiano che ruba, calunnia, uccide, fa grande ingiuria a Dio trasgredendo i suoi comandi; ma chi bestemmia fa peggio, perché non solo trasgredisce agli ordini di Dio, ma se la prende contro la divina Persona, e attenta quasi alla sua vita. Nombrod,  un re crudele e bestiale, invaso da furore diabolico contro Dio che l’aveva umiliato, imbracciò l’arco e scoccava saette contro il Cielo, per colpire il Signore. Povero pazzo: quelle saette ricadevano sul suo capo. Così le vostre bestemmie o bestemmiatori: tutte ridiscendono sul vostro capo. O come terribili castighi in questa vita, o come eterna dannazione in fuoco nell’altra vita. – 3. LE FUTILI SCUSE. La bestemmia non ha nessuna scusa. Io capisco uno che ruba: le sofferenze della povertà, gli stimoli della fame, la lusinga dell’oro, l’onore compromesso, sono sempre delle attenuanti che rendono meno ignominioso il mestiere del ladro. Io capisco anche uno che prende l’ubriachezza: talvolta la sete è così bruciante e il piacere del vino vellica così terribilmente la gola, che a resistervi occorre una sforzo non comune. Ecco la riprova che la bestemmia è un peccato diabolico, e chi bestemmia è un posseduto dal demonio. Ma che vantaggio c’è a bestemmiare? che gusto si prova? Nessun VANTAGGIO! Nessun gusto. Eppure si bestemmia. — Possibile, — dicono alcuni — che quando bestemmio commetto un peccato così orrendo!? — Se quelle brutte parole che voi dite a Dio, un altro le dicesse a voi, non è vero che lo prendereste a schiaffi? E forse che Dio merita meno rispetto della vostra persona? — Ma io bestemmio perché il lavoro, gli affari van male, — Già: a forza di bestemmiare, l’esperienza insegna, che andranno poi bene. Voi somigliate a quel tale che per spegnere l’incendio in casa sua ci vuotava sopra secchi di benzina. — Ma io bestemmio per farmi ubbidire dai figliuoli — Tu che bestemmi tuo Padre che è ne cieli, come puoi illuderti che i tuoi figli avranno rispetto per il loro padre che sta in terra? Quando, scandalizzati dalla tua bocca d’inferno saran cresciuti bestemmiatori essi pure come te, ti malediranno. Oh, purifichiamo l’aria da questa sozzura! I padroni non tollerino più nelle loro botteghe l’operaio che bestemmia. Chi bestemmia Iddio non servirà bene a nessun padrone, mai. Oh, purifichiamo il paese nostro da questa inciviltà tate che alcuno bestemmi vicino a voi: Dio vi potrebbe castigare, perché non avete parlato. Oh, purifichiamo le famiglie dalla bestemmia! E tocca a voi, o mamme, o spose, o figlie, tocca a voi. È compito vostro. Anzitutto non dite voi le bestemmie. Non dite voi inutilmente e scioccamente i santi Nomi di Dio, di Cristo, di Maria. Poi mortificate la vostra lingua: perché non di rado è la lingua lunga delle donne che fa bestemmiare l’uomo. Ma quando al vostro marito, al vostro padre, al fratello vostro è passato il momento di furore, prendetelo a parte, e con angoscia mostrategli il suo torto immenso: supplicatelo ad aver pietà della sua casa. – Tutti sapete l’ultimo grido di quell’uomo che aveva un cancro alla lingua. Il dottore gli aveva detto: « Se volete tentare di salvarvi, è necessario che vi lasciate amputare la lingua ». L’infelice sudò di spavento, ma pur d’avere dinanzi ancora una speranza di vita, accettò. Al momento dell’operazione il dottore gli disse: « Se avete qualcosa da dire; ditelo subito perché è l’ultima volta che potete parlare ». Il malato, calmo, meditò un istante, poi con impeto gridò: « Sia lodato Gesù Cristo ». L’ultima parola fu quella. Sia lodato Gesù Cristo! si dica oggi da tutti noi come un solenne giuramento contro la bestemmia. Sia lodato Gesù Cristo! Ripetiamo ogni giorno, e più volte al giorno durante tutta la nostra vita. Meriteremo così che l’ultima parola nostra, sul letto di morte sia questa ancora: « Sia lodato Gesù Cristo ». E l’anima nostra, uscendo dal corpo, udrà allora gli Angeli del paradiso risponderci: « Sempre sia lodato ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël.

[Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]

Secreta

Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.

[O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus.

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea. 

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus.

 [Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]

Postcommunio

Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias.

[Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.