CRISTO REGNI (13)

CRISTO REGNI (13)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur – Mediolani, die 4 febr. 1926, Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CONCLUSIONE

In alto i cuori!

Il bene, per natura, è piuttosto intimo e segreto; il male, invece, è fragoroso e facile a constatarsi; spesso, anzi, si rende manifesto. La guerra non fece che del male; ma la Provvidenza se n’è servita misericordiosamente per un bene che non è stato di facile ed immediata constatazione, ma la cui realtà non ammette alcun dubbio. È nello stile di Dio, che è la Sapienza e l’Amore, di trarre dai mali che l’abuso della nostra libertà ha provocato, beni immensi e profondi. Così, nella storia, la vita sembra scaturire ad ogni pagina dalle ceneri della morte. La moltitudine non vede questa azione della Provvidenza: non medita, né comprende questi divini ripieghi, questi magistrali ritocchi del Signore. – Quelli che mi leggeranno, saran capaci di elevare i loro cuori, e di seguire con me i motivi della nostra confidenza. – Abbiamo dichiarato, all’inizio di questo lavoro, che la guerra aveva rivelato molti mali occulti, e ne aveva provocati di nuovi; chiuderemo ora con qualche considerazione complementare, propria a incoraggiar la nostra fede. Il peggiore dei mali, sarebbe peraltro il pessimismo, che prova sempre un’anemia di carattere, una diminuzione di fede. La guerra ha anche rivelato delle bellezze morali che credevamo scomparse. Siamo rimasti talora profondamente sorpresi di trovare, nei centri nei quali non si supponeva più vita, ma soltanto vegetazione, grandi energie, slanci di devozione e di eroismo; gesti di vera nobiltà d’animo. Quali campi di valore e di resistenza morale, intravisti tra i bagliori della guerra, e che oggi rimangono profondamente dissodati e seminati da allora! Quanto risveglio meraviglioso di spirito vibrante, cavalleresco, disinteressato, là dove si sarebbe supposto che la materia avesse soffocato la più nobile razza! Quanti maestri avevano scritto l’epitafio d’una tomba che racchiudeva, secondo loro, le ultime reliquie di una grandezza estinta! Ed ecco che la convulsione dell’ecatombe rianima queste reliquie; e che tra i sinistri bagliori della guerra, apparisce una eletta schiera di viventi, dal sangue generoso e fecondo, dalla vita morale, grande e bella. Anche durante la guerra abbiamo avuto rivelazioni inattese e benefiche. A misura che il tempo passa ed il Cielo si rasserena, noi siamo felici di constatare ancora le divine, misericordiose tracce del Salvatore, che ricostruisce la sua opera redentrice e luminosa sulle rovine fumanti accumulate dagli uomini. Mosè fece scaturire dalla roccia una sorgente, che salvò la vita naturale del suo popolo. I carnefici del Calvario fecero sgorgare una sorgente di vita immortale dalle vene e dal Cuore Santissimo del Salvatore. Che cosa è tutta la Redenzione di Gesù, se non la manifestazione meravigliosa di una bontà che è la Sapienza infinita, e che incessantemente sì riversa per noi? C’è forse nella vita dell’uomo, come nella storia dell’umanità, un solo avvenimento che sfugga a questa azione costante e redentrice? – La sua bontà si serve della follia umana e della morte, per fare opera di sapienza e di vita. È la storia delle anime, della società, dei popoli, dalla colpa dei nostri progenitori, e soprattutto dopo il « fiat » di Maria. E poiché in Dio tutto è ordine ed equilibrio perfetto, la giustizia e la potenza si completano, nell’opera divina, con la sapienza e la bontà. lo credo ancora al bene prodotto dalla guerra, perché credo alla reale fecondità del sacrificio, del sangue cristianamente versato. Dopo il Calvario, ed in virtù di esso, il sangue ha la fecondità dell’apostolato più sublime, della più ardente preghiera! E chi può dubitare dell’infinito valore delle sofferenze, delle torture d’ogni sorta, delle agonie peggiori della morte, offerte con pace, gioia, rassegnazione ed amore al Dio Crocifisso? Questo fiume i sanguee di lacrime che scorre dal campo di battaglia alla famiglia, non ha irrorato invano il popolo nostro; ma vi ha deposto un fertile limo che feconderà la semente di domani. L’albero della morte rifiorisce sotto l’azione benefica del Cuore di Gesù. Quel che ogni soldato cristiano, ogni madre, ogni sposa ed ogni orfano hanno seminato per la Vita Eterna, per la prosperità della Santa Chiesa, la fecondità dell’Apostolato, la conversione dei più grandi peccatori, il Divino Seminatore solo lo sa. Lo sapremo anche noi, ed il torrente di lacrime, convertito in un oceano di eterno giubilo, ci ricorderà perpetuamente il sublime cantico della Chiesa, nel Sabato « O felix culpa!» – Esponendo questi principii di fede, ho sotto gli occhi dei fatti che provano il rinnovamento soprannaturale di grazia, succeduto immediatamente al calvario della guerra.

I° Le conversioni nei centri indifferenti, liberali, ma onesti e degni, nei quali l’assenza della vita religiosa era piuttosto dovuta all’ignoranza, ad un difetto di educazione, che ad avversione formale e volontaria. In questi ambienti, e particolarmente nella classe colta e intelligente, il movimento di conversione è un fatto reale. – Potrebbe farsi una lunga lista di nomi, in cui figurerebbero le migliori personalità della giovane generazione intellettuale. La falange di coloro, che la tempesta della guerra ha sradicato da un suolo ingrato e sterile, per piantarli nel campo della Chiesa, aumenta ogni giorno. Spiriti fini e delicati, cui la ragione non aveva soddisfatto, e. che la luce invase e trasformò in credenti convinti, perché furono docili ed umili. Al contrario, la tribù degli ipocriti e dei superbi, la razza degli Erodi e dei Pilati, non è aumentata nella prova; ma è rimasta chiusa alla verità, lungi dalla sorgente della misericordia. La razza delle vipere non si converte.

2° Le nostre schiere migliori si sono rafforzate. — Questo prova che gli elementi, anteriormente mediocri e comuni, sono stati migliorati dalla Croce, e tendono risolutamente a salire, lavorando per diventare ferventi e generosi. Un indizio importante è il movimento d’apostolato provocato da questa schiera. Non ci si contenta più d’esser buoni e pii; si sente l’imperiosa necessità di esser seminatori e operai della causa divina; cooperatori modesti, ma zelanti, in questa reazione religiosa. Difatti, una schiera di giovani e di vecchi, di grandi e di piccoli, intellettuali e ignoranti, uomini e donne, lavorano oggi alla gloria di Dio, tutti convinti, tutti posseduti dal desiderio e dal dovere più urgente nell’ora che volge, quello dell’apostolato. Si può realmente affermare che noi assistiamo ad una meravigliosa Pentecoste, dinanzi a queste falangi apostoliche, irresistibilmente sospinte alla conquista della società, alla restaurazione del Regno Sociale del Cuore di Gesù. Questo Cuore adorato diviene sempre più il Re e il Centro di ogni azione e di ogni vita. È il labaro che riassume tutti gli entusiasmi, accentra ed unifica tutte le energie, riceve tutte le vittorie, genera e feconda tutti i sacrifizi.

3° Finalmente le creature d’elezione di prima della guerra, si sono ancora perfezionate, santificandosi nel crogiuolo della sofferenza. — Esse hanno intensificato la vita soprannaturale, lasciandosi affascinare dalla bellezza Divina e la fecondità unica dell’immolazione e della Croce. Quelli che son pastori d’anime, direttori, predicatori di ritiri, ecc., potrebbero testimoniare quale spirito veramente eroico, quale sete di sacrificio, quali innumerevoli vocazioni di apostolato, e d’apostolato nel silenzio e nella sofferenza, si incontrino a ogni tratto. Potrebbero attestare tante segrete agonie del Getsemani, tanto profondamente, serenamente vissute per amore. Si direbbe che la guerra abbia provocato una sete insaziabile d’amore crocifisso, che sia una energia di restaurazione morale: una promessa di una più grande sovranità sociale di Nostro Signor Gesù Cristo. Ecco dunque la legione sacerdotale che sì accresce ogni giorno di vocazioni tardive, notevoli e commoventi. Certo, nulla è nuovo nella Chiesa: in ogni tempo, in ogni luogo si son visti grandi guerrieri mutar la loro uniforme con un saio monacale, gentiluomini, lasciare il loro castello per ridursi in un seminario; giovani sposi separarsi, per darsi rispettivamente al Signore. Ma forse mai tanto frequentemente, quanto ai giorni nostri, queste sante follie d’amore divino diventarono quasi grazie ordinarie. Così si fa l’opera misericordiosa del Cuore di Gesù! Egli ci ricolma di grazie, ripara i nostri torti: dalle nostre sofferenze, divinizzate dalle Sue, Egli trae dei torrenti di vita, e trionfa della morte, con la morte stessa. Tutto questo era già scritto, e pronto per essere dato alle stampe, quando ci è arrivata l’Enciclica incomparabile del grande e provvidenziale Pontefice Pio XI: lasciate che io la citi un’ultima volta, alla fine di questo lavoro. – Mi preme di trascrivere un paragrafo, che sembra rivolto agli apostoli della crociata del Regno Sociale del Cuore di Gesù: « A questa pietà, Noi attribuiamo lo spirito d’apostolato, più diffuso di una volta, in tutte le opere di zelo e di carità, perché l’Amore, il Culto e il Comandamento, ai quali Egli ha diritto, siano restituiti al Divin Cuore del Cristo Re, sia nella società domestica, sia nella società civile ». – Ed ora, tutti all’opera di restaurazione sociale cristiana. Stringiamoci attorno ai nostri pastori, secondiamo i nostri sacerdoti. Noi viviamo in un’ora grave, decisiva, un’ora come la Provvidenza non ha forse data dopo la prima Pentecoste, e che i più grandi apostoli e pontefici, i più grandi artefici dell’edificio cristiano non hanno vissuto. Il Cielo si piega verso di noi con infinita condiscendenza. Noi viviamo come il popolo di Israele, quando fu liberato dalle catene e traversò il Mar Rosso seguendo il Liberatore. Noi abbiamo traversato un mare di sangue senza perirvi, dopo aver traversato il mare tormentoso delle odiose persecuzioni dei Faraoni moderni. Non ci spaventiamo dei loro complotti, delle loro armi, del loro numero: crediamo, con fede ardentissima, alla onnipotenza dell’amore di Gesù Cristo. Cooperiamo, dedicandoci con confidenza all’estensione del Suo Regno sociale, e noi vedremo un giorno risplendere la magnificenza del Suo Cuore, nell’onnipotenza vittoriosa dell’amor suo infinito…

LE VIRTÙ CRISTIANE (7)

LE VIRTÙ CRISTIANE (7)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni Desclée e Lefebre e. C.; Roma – Tournay

MDCCCXCVIII

PARTE Ia

LE VIRTÙ TEOLOGALI E LA VIRTÙ DELLA RELIGIONE

CAPO VI.

LA VIRTÙ DELLA RELIGIONE

Fede, speranza e carità, essendo quasi ali  che librano l’anima nostra in alto, per diversi modi ci elevano a Dio, e a lui dolcemente ci uniscono. Con la fede il nostro intelletto aderisce a Dio, in quanto è eterna e infinita Verità, di essa Verità si nutre, e quasi in essa si trasforma. Con la speranza noi corroboriamo la nostra debolezza, mercè l’infinita fortezza di Dio, ci rendiamo capaci di sperare e di raggiungere gli eterni e inenarrabili beni della vita avvenire. Massimamente poi con la carità, la nostra volontà libera, e di per sé tendente al bene, aderisce intimissimamente a Dio, Bene immutabile ed eterno, a Dio Bene sommo che è pur Bellezza infinita, lo ama, e se ne sente riamato; onde quasi in Lui si trasfigura e con Lui s’immedesima. – Ma Iddio la mente umana lo considera anche in un altro modo, cioè come Creatore e Signore nostro, come infinitamente più alto, più possente, più sapiente, e più perfetto, che noi non siamo. Laonde l’uomo vede tra sé e Dio un’inferiorità e dipendenza infinita; e l’inferiorità e la dipendenza, non che scemino, s’accrescono nel nostro intelletto, mercé lo sviluppo dell’ingegno, la coltura, la scienza di ciascuno. Perciocchè nell’atto, che la mente nostra si fa ricca di nuove cognizioni, gli s’ingrandisce pure l’idea di Dio, e gli si rivela meglio la smisurata serie delle cose, che essa non conosce, e che Iddio conosce e produce. Ora il frutto spontaneo della cognizione, che noi abbiamo dell’infinita inferiorità e dipendenza nostra da Dio, eccita di per sé un simile e riverente moto dell’anima verso di Lui; un moto che diciamo religione. La virtù della religione, volerla definire esattamente, è dunque quella virtù, per la quale ci facciamo atti, e c’ inchiniamo a rendere a Dio, supremo Principio e Signore di tutti e di tutto, ciò che dobbiamo a Lui, per effetto della sua somma eccellenza, e della nostra infinita inferiorità e dipendenza da Lui. – Ora questa virtù della religione, secondo la dottrina del Cristianesimo, è duplice. Altra è la virtù della religione naturale, la quale deriva in noi dai primi principj impressi da Dio nelle anime nostre; altra è la virtù della religione soprannaturale, la quale procede dalla fede. Nel Cristiano però vivono ambedue le virtù, e vivono siffattamente unite, che diventano come una sola. In vero la fede fa nel nostro intelletto l’ufficio d’un lume nuovo e splendentissimo, che accresce e nobilita il lume della ragione; sicché l’occhio delle mente nostra, sgombro da ogni nebbia di dubbiezza o di errore, mercé la fede nelle cose che han relazione a Dio, vede meglio e più lontano. Per questa teorica si comprende quel che sia la religiosità nell’uomo, e come essa esista anche negli infedeli o negli erranti nella fede; perciocché la religiosità e un tesoro inerente alla natura umana; la quale, anche per essa religiosità e, come credono alcuni per essa principalmente, si distingue dalla natura animale. – E si comprende ancora, come il pagano, il musulmano, l’eretico e anche il barbaro abbiano un naturale inchinamento alla virtù della religione, e talvolta, anche tra gli errori loro, ne compiano in modo naturale e imperfetto gli atti. Tutti costoro adorano e onorano con pensieri e affetti erronei la suprema Deità; ma pure l’intendimento di adorarla e di onorarla, sempre lo hanno. Gli stessi miscredenti, i quali vorrebbero spegnere in sé medesimi il sacro fuoco della religiosità, impressovi da Dio, io credo che o rarissimamente o non mai ci arrivino del tutto. Il far forza alla natura è impossibile, e il pensare di esservi riuscito non è altro che una delle svariatissime forme dell’orgoglio umano. E, quanto ai miscredenti, è pure da considerare che taluni di essi confondono la religiosità con la religione; onde solo perché non hanno potuto o voluto distruggere quel sentimento vago e indeterminato, che spinge l’uomo alla vita e agli atti religiosi, stimano di essere essi stessi religiosi. Ma la verità è che la religiosità è solo un seme, posto da Dio nell’anima dell’uomo, e che questo seme sboccia, fiorisce e fruttifica in noi soprattutto per effetto della fede e della nostra buona volontà, che traggono dalla religiosità i molteplici atti della religione. – Ma consideriamo la virtù della religione, in quella maniera in cui fiorisce e vive nelle anime dei buoni Cristiani, cioè arricchita dal lume della fede soprannaturale, e alimentata da quel soffio vitale della grazia, che ce la rende meritoria della beata vita eternale. Allorché ci sentiamo dipendenti da taluno, e ad esso inferiore; la tendenza nostra naturale al bene, che in sostanza è amore, prende la forma di affettuosa venerazione; e ne abbiamo prove parlanti in tutte le attinenze delle buone famiglie cristiane, e in moltissime altre relazioni della vita quotidiana. Ora allorché la dipendenza e l’inferiorità sono non solo grandissime, ma infinite; allora questo sentimento di affettuosa venerazione s’accresce sopra ogni misura, e prende il nome particolare di adorazione. L’adorazione invero è l’atto supremo della religione, ma non è esso solo, che la costituisce. Vi ha ancora altri atti di religione, i quali però sono così intimamente uniti all’adorazione, che la mente umana appena li distingue. L’uomo, che sente l’infinita dipendenza sua da Dio, riconosce naturalmente da Lui, Bene infinito ed eterno, ogni bene, che abbia: ed ecco. che nell’amore suo, insieme con l’adorazione, sorge spontaneo il rendimento di grazie. Ancora, poiché alcuni beni mancano all’uomo, e altri beni ei teme di perderli, altri ei li desidera e spera; ecco, che sorge nell’animo nostro altresì quella pia e amorosa elevazione a Dio della mente e del cuore, la quale diciamo preghiera. Infine dov’è mai l’uomo, che non abbia peccato, e anzi che non senta di aver molto peccato, almeno per effetto delle sue colpe veniali? Ora l’idea del peccato, il quale in sustanza è un deviare dal Creatore, e un piegare intemperante verso le creature, fa nascere tosto in noi il desiderio del perdono. Il desiderio del perdono ci spinge a chiederlo a Colui, di cui violammo la legge, e che solo può darcelo. Dalle cose dette si conchiude dunque che la virtù della religione sta tutta in una elevazione dell’animo nostro a Dio; nella quale si intrecciano e s’armonizzano l’adorazione, il rendimento di grazie, la preghiera e l’invocato perdono dei nostri peccati. Quattro nobili e dolci sentimenti son questi che si assommano nel divin Sacrificio eucaristico, il quale, come mi accadde di dire nella Dottrina Cattolica, è perciò la sustanza della virtù della religione nel Cattolicismo, e il centro luminoso e fiammeggiante di tutt’i nostri atti di religione. – Questi varj atti di religione, dei quali è come centro l’adorazione, si chiamano con un sol nome: culto. Or dalle dichiarazioni fatte sin qui risulta chiaro, che il culto di Dio è prima d’ogni altro interiore e dell’anima; perciocchè l’adorare, il render grazie, il pregare e l’impetrare nascono, come ogni pensiero, ogni affetto e ogni moto somigliante, dall’intimo dell’anima umana. Ma poiché i pensieri, gli affetti e i moti dell’anima non solo si specchiano esteriormente per segni visibili; ma per essi si completano e si perfezionano; così avviene nel culto di Dio. Il culto esterno è specchiamento e completamento dell’interno; per modo che, se in taluno ci fosse questo secondo, senza il primo, esso risulterebbe come un’ombra o piuttosto come un fantasma vano, a cui manca ogni sustanza. – I principali segni estrinseci d’ogni pensiero o affetto o movimento qualsiasi dell’anima, sono due, cioè la parola e l’arte; due segni tanto ammirabili, che la mente umana, al pensarli, si sente irresistibilmente spinta a benedire il Signore, il quale è stato tanto buono, che ce ne ha fatto dono. Mercé la parola, i pensieri, gli affetti, i desiderj, le speranze e qualunque moto dell’anima nostra si riflettono nelle anime dei nostri fratelli: mercè le parole di essi, pensieri, affetti, desiderj, speranze e altri moti dell’anima loro si comunicano a noi. Ma non questo solo. Il seno ammirabile della parola umana rischiara, perfeziona, abbellisce e completa tutto ciò, che l’anima ha dentro di sé, e vuole trasfondere fuori. Or di questo segno tanto efficace della parola si giova il culto per tutte due le ragioni che si sono dette. Se ne giova per chiarire, perfezionare, abbellire e completare i pensieri e affetti suoi verso Iddio; e se ne giova altresì, per comunicare questi suoi nobili pensieri e affetti ai propri fratelli. Per siffatta guisa, allorché abbiam viva nell’animo la virtù della religione, ci torna caro di far bene al prossimo con l’esempio del nostro culto, e di riceverne parimente da essi con l’esempio del culto loro. Quante e quante volte l’animo nostro, distratto dalle passioni e dalle mondanità, si commuove e si eleva a Dio nell’entrare in un tempio, dove echeggia per le volte il suono misterioso e grave dell’organo, sposato con cento e cento voci di fedeli, che cantano i cantici della Chiesa nel semplice e soave ritmo delle melodie ecclesiastiche! Tra tutte le comunanze di pensieri e di affetti, che si manifestano tra gli uomini, non ve ne ha alcuna, che sia più bella, più nobile e più fruttuosa di questa che nasce dal culto esteriore. Perché dunque gli avversarj della fede nostra ci oppongono che il volgersi con la parola parlata a Dio è inutile; perciocché basterebbe la parola pensata, la quale Iddio onnipresente a tutti ascolta egualmente? Certo, è pur verissimo che Iddio ascolta egualmente chi parla solo col pensiero e con l’affetto a Lui, e chi gli parla servendosi del dono della parola da lui ricevuto. Ma quando parliamo solo interiormente (e il farlo non ci è punto vietato) chi ci può dar mai quella vena abbondante e inesauribile di pensieri e sentimenti santi, calorosi e poetici, che hanno le nostre preghiere interiori allorché siano avvalorate dalla parola parlata non solo nostra, ma anche dei nostri fratelli? Se dunque noi aggiungiamo al culto interno di Dio, anche il culto esterno; ciò giustamente deriva da un moto spontaneo dell’animo, e riesce all’accrescimento e al perfezionamento del culto medesimo. – L’altro segno esteriore dei nostri pensieri e affetti religiosi, ovveramente del nostro culto a Dio è l’arte religiosa; un segno che il Protestantesimo ha quasi interamente ripudiato, ma che è caro al Cattolicismo, come la pupilla degli occhi. L’Alighieri, parlando dell’arte in generale, dice in prima:

Che la natura lo suo corso prende

Dal divino intelletto e da sua arte.

Riconosce dunque un’arte eterna e infinitamente bella, anche in Dio. Poi aggiunge, che l’arte umana, imita, quanto può, la natura creata dal Signore; quasi come scolaro imita il maestro suo. Di che conchiude che la natura, essendo figliuola di Dio, e l’arte figliuola della natura; l’arte dunque si ha da considerare quasi nipote di Dio. Le quali idee Dante le scolpisce mirabilmente così:

Che l’arte vostra quella, quanto puote,

Segue, come il maestro fa il discente,

Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote.

Ora, per queste sottili e verissime considerazioni, ogni arte bella ha un certo parentado con Dio stesso. Ebbene quanto più non l’ha da avere l’arte religiosa? Però cotesta arte religiosa, giustamente si considera come una nuova forma della parola nostra, volta a Dio. È una parola questa dell’arte religiosa, meno precisa, determinata e chiara, che non sia quella, della parola parlata; ma è una parola anch’essa, che si volge particolarmente alla nostra fantasia, affinché ajuti l’anima ad elevarsi a Dio e ai divini misteri. – Tutte le arti belle possono diventare e diventano in effetti parola di religione, e costituiscono una parte rilevante del nostro culto esterno. La pittura e la scultura, rappresentandoci in diversa forma i fatti più nobili e misteriosi della religione, ci rappresentano altresì lo stesso Iddio, Gesù Cristo, la benedetta sua Madre e gli Angioli e i Santi: oltre a ciò assommano leggiadramente ed eloquentemente tutt’i principali concetti della nostra fede e della nostra morale cristiana. L’architettura sacra dei templj parla a noi, secondo i diversi stili, talvolta più particolarmente la sublimità infinita di Dio, talvolta più propriamente l’infinita sua ricchezza. E sarebbe forse meglio il dire che i templj architettonicamente costruiti e ornati essendo opera umana, effigiano come in ispecchio gli alti e nobili concetti, che noi abbiamo di Dio, per virtù della divina rivelazione. Però allorché, tra le varie e armoniche bellezze dei nostri templj cristiani, ornati dalle pitture e dalle sculture sacre dei più grandi maestri, echeggia il suono dell’organo, or come tempesta dell’anima turbata nel mare burrascoso della vita, or come gemito di chi soffre e spera, or come preghiera, or come rendimento di grazie a Dio; allora nello stesso luogo la musica si disposa alle altre arti belle, e ce ne accresce gli splendori. Che dire poi quando a questo mirabile concerto di arti belle, si uniscono nello stesso luogo, per mezzo della parola parlata, i cantici soavi e nobilissimi della nostra poesia religiosa? Allora accade nel tempio cristiano ciò, che non si vede in nessun altro luogo. Tutte le arti belle si dànno ivi amorevolmente convegno, ed esprimono un sol pensiero e un solo amore nobilissimo; il pensiero, dico, dell’anima umana, che liberamente spicca il suo volo sino a Dio, e lo benedice; lo adora, lo ringrazia, lo prega con il culto cattolico. – Un antico scrittore afferma che l’arte religiosa è principalmente ordinata a parlare le verità della religione agli animi grossi. Ed è vero, però in questo modo. Sopra gli animi grossi, che sono più involti nei sensi, l’arte ha una particolare efficacia. Ma anche gli animi nobili, elevati in alto per cultura e per scienza, si giovano del linguaggio dell’arte religiosa, come ciascuno può intendere facilmente. È basti qui dell’arte religiosa, considerata come possente ed efficace mezzo di culto esterno; e volgiamoci un tratto ad un’altra considerazione. – Tutto il culto religioso, che costituisce la virtù della religione, si assomma principalmente in una sola nobilissima e dolcissima parola: orazione. Questa parola però è così ricca di significati, che compendia tutte le principali relazioni dell’anima con Dio. In vero l’orazione abbraccia il culto interno ed esterno; perciocché l’anima cristiana, talora prega raccolta in sé stessa, senza movimenti di labbra, e talora prega anche esternamente, profferendo l’orazione insegnatale da Cristo; o le altri orazioni della Chiesa, dei Santi, o infine quelle che la pietà e il fervore mettono improvvisamente su le labbra di ciascuno. Altre volte l’orazione prende anche una forma più artistica, ed entusiastica; ed è quando si sposa al canto. Così avviene per esempio in quelle ore solenni, in cui un’onda di popolo commosso canta i Salmi, il Page lingua, o il Te Deum o altro. Ancora, chi dice orazione, dice tutti quei vari moti dell’animo verso Dio, dei quali si è discorso più avanti. L’anima infatti, che prega, intreccia in una sola armonia celeste, quasi diverse note d’un sol canto, l’adorazione, il rendimento di grazie, l’invocazione del perdono, e la domanda di tutto ciò, che rettamente desidera o spera, sia nel mondo della vita presente, sia in quello della vita avvenire. Chi prega bene, lo muove amore; un amore santo che s’apre con Dio, e diffonde l’anima in Dio, come usa amico con amico. Però il suo linguaggio è vario, come è varia la parola dell’amore; ma in ogni sua parola vi ha sempre una scintilla d’amore. – Questo soave e nobile linguaggio dell’orazione è così inerente alla natura umana, che lo adoperano anche le false religioni; e in certi momenti spunta altresì su le labbra degli increduli più induriti. Non pertanto intelletto umano, allorché è gonfio d’orgoglio o per falso sapere o per abuso di scienza, vi sofistica sopra vanamente. Infatti, ci ha filosofi, che, silloggizzando poveramente e superbamente, tentano di disseccare questa cristallina e ubertosa fontana di grazia e di consolazione, che Iddio ci ha dato nell’orazione. Ce ne ha poi altri, i quali concedono all’uomo di adorare e di ringraziare Iddio di tanti benefizj; ma, quasi come fanciulli, a cui pare di vedere un fantasma, si adombrano, e si ribellano appena si tratti di chiedere a Dio un qualche benefizio spirituale o temporale che sia. Non dubitano di opporsi audacemente a questa nobilissima e comunissima inclinazione di tutto il genere umano, che pregando chiede dal Signore beni spirituali e temporali, e affermano che Iddio non può né deve esaudirci mai. Si arrogano il diritto di far da maestri a tutti gli uomini, ai passati e ai presenti, alle genti più civili e alle più barbare, e dicono: non egli forse immutabile l’Iddio vero ed eterno; che, mentre tutto muta intorno a Lui, sta fermo nella sua immutabilità? E se Egli è sempre e sustanzialmente immutabile, perché gli chiedete voi di mutare, dandovi questo o quel benefizio che non avete? Ancora, se Dio vi concedesse ciò che gli chiedete, non sarebbe la volontà sua in qualche modo sottoposta alla vostra? Infine quel che noi chiediamo, dipende forse dal nostro libero arbitrio? E allora, perché preghiamo? Non dipende da esso? E allora perché domandare che Iddio muti le sue leggi eterne? A queste difficoltà, le quali derivano unicamente dal non saper noi a prima giunta accordare il domma dell’immutabilità di Dio con quello dell’efficacia della preghiera; l’Angelico Dottor san Tommaso risponde così: “Bisogna che si ammetta l’utilità dell’orazione; ma che ciò sia fatto in guisa, che né noi imponiamo la necessità alle cose umane soggette alla divina Provvidenza, né stimiamo mutabili i divini ordinamenti. Per render ciò chiaro, s’ha da considerare che non solo la divina Provvidenza anticipatamente ha determinato gli effetti che debbono avvenire, ma ancora ha determinato da quali cause e in quale ordine debbano avvenire. Or tra le cause della divina Provvidenza, si hanno da noverare le cause di alcuni nostri atti umani. Però è necessario che gli uomini facciano alcune cose, non perché con i loro atti mutino i divini ordinamenti: ma affinché, per i loro atti, si adempiano certi effetti, secondo l’ordine disposto da Dio. Ciò avviene nell’ordine naturale: e ciò avviene egualmente nell’orazione. Infatti noi non preghiamo per mutar il divino ordinamento, ma per impetrare quelle cose, che, per mezzo delle orazioni dei giusti, Iddio vuole che si compiano. Così Iddio vuole che gli uomini preghino. Gli uomini dunque preghino, affinché meritino di ricevere ciò, che l’Onnipotente ha decretato di dar loro prima dei secoli; e così è insegnato da san Gregorio nel Libro dei Dialoghi. (Summa Theolog – II, II. quaest. 83, artic. 2.). Per viemeglio chiarire la nobile e profonda dottrina del Cristianesimo, qui avanti dichiarata tanto sottilmente da san Tommaso, è bene di por mente che la divina Provvidenza governa il mondo non solo con leggi fisiche, ma altresì con una sapientissima e ammirabile legge morale. Anzi le leggi fisiche Iddio le soggetta a quella morale. Il non volere, per accecamento o per orgoglio intellettuale, riconoscere nell’universo altra legge che la fisica, ciò è sorgente di moltissimi errori dei miscredenti, e in modo particolare dell’errore che si riferisce all’orazione. E intanto, anche a voler guardare attentamente le sole leggi fisiche, che governano il mondo materiale, esse stesse, con la sapienza e l’armonia del creato, rivelano l’esistenza di un’altra legge sapientissima e morale nell’universo. Però la verità è, che, come la legge fisica, la quale governa in modo supremo e con ineffabile armonia l’universo materiale, si dirama in molte leggi fisiche particolari, quali sono, per esempio le leggi del moto, dell’attrazione, dell’elettricità, della gravità dei corpi ecc.; così parimenti avviene nella suprema legge morale dell’universo. Anche questa deriva dall’armonia di varie leggi, alle quali presiede sempre la perfettissima, sapientissima e provvidissima volontà di Dio. Le varie leggi, che, sottoposte a Dio, o provenienti da Dio, costituiscono l’universo morale, sono gli atti del nostro libero arbitrio, la grazia divina illuminatrice e infiammatrice dell’animo umano, il miracolo e l’orazione. Ciascuna di queste leggi particolari si accorda mirabilmente con ciascun’altra, quasi sorella con buona sorella, ché provennero tutte nel mondo, come gemelle, dal supremo Intelletto e Volere di Dio. La divina Provvidenza poi le governa tutte, e le costituisce come unica e suprema legge morale dell’universo. Molte cose dunque avvengono nel mondo, per effetto delle leggi fisiche, e molte per effetto delle leggi morali; ma la Provvidenza con la sua prescienza, con la sua sapienza, con la sua bontà e con la sua onnipotenza ordina l’una e l’altra legge, la fisica intendo e la morale, agli altissimi suoi fini, e principalmente alla propria glorificazione e alla nostra eterna beatitudine. – Volendo poi applicare questi principj in modo particolare all’orazione, io conchiudo questo Capo del mio libro, togliendo dalle Conferenze dell’illustre Domenicano Monsabré un brano assai bello e opportuno al mio argomento. Egli dunque dice così: “Iddio legislatore universale conosce le opere sue dal principio alla fine, e dal principio alla fine le governa con forza e soavità. Per effetto di questo conoscimento e del suo potere, egli ha regolato ab æterno gli effetti e le cause, come ab æterno ha ordinato che di molte cose umane sia causa la preghiera. ab æterno Iddio ha detto nel cuor suo di Padre: alla tale ora dei secoli feconderò le terre sterili; alla tal’ora dei secoli guarirò gli ammalati e consolerò gli afflitti; alla tale ora dei secoli illuminerò le intelligenze e rassoderò la virtù nei cuori; alla tale ora dei secoli salverò i popoli dalla morte; alla tal’ora dei secoli io farò prodigi, e, se sarà necessario, metterò sossopra la natura e scuoterò le anime; perché alla tale ora dei secoli i mici figli ginocchioni, stenderanno verso di me supplichevoli le mani, e con le orazioni si getteranno negli abissi della mia bontà infinita. Dio ab eterno disse ciò; ed è forse perché questa parola eterna, si compie tutt’i giorni, che voi osate accusare Iddio d’inconstanza?” (Monsambré, Conf. XXI. L’immutabilità delle Leggi del Governo divino, e la preghiera.).

CRISTO REGNI (12)

CRISTO REGNI (12)

 P. MATHEO CRAWLEY (dei Sacri Cuori)

TRIPLICE ATTENTATO AL RE DIVINO

[II Edizione SOC. EDIT. VITA E PENSIERO – MILANO]

Nihil obstat quominus imprimatur: Mediolani, die 4 febr. 1926 Sac. C. Ricogliosi, Cens. Eccles.

IMPRIMATUR: In Curia Arch. Mediolani die 5 febr. 1926 – Can. M. Cavezzali, Provic. Gener.

CAPITOLO III

L’onore del Re della gloria disdegnato

VI. – Risposte ad alcune obiezioni

Come conclusione di questo studio, esamineremo ora brevemente una serie d’obiezioni, che si trovano sulle labbra di alcuni genitori, Cristiani, altrettanto buoni cristiani, quanto temibili nemici delle vocazioni. Contraddizione inesplicabile! Essi adorano Gesù Cristo in ginocchio, ma sono terrificati al pensiero che uno dei loro figli divenga un altro Cristo o una sposa del Re d’Amore. – Ridurremo a sette, questa serie purtroppo lunga, e risponderemo con tutta la santa e triste veemenza, che l’onore disprezzato del nostro Divino e adorabile Maestro, mette in un cuore d’apostolo e di sacerdote.

1.° Per l’amore di Nostro Signore, per obbedire cioè al quarto comandamento, che i nostri figlioli rinunzino alla vocazione loro e non ci impongano questo sterile sacrificio!!

Salvo il caso del figlio unico che debba sostenere dei genitori poveri o malati, caso ben chiaro in generale, e che non si discute, l’’ obiezione or ora formulata non regge. – Nostro Signore stesso ne ha dato la risposta nel Vangelo: « Chi preferisce suo padre o sua madre a Me, non è degno di Me. ». Del resto, anche umanamente parlando, perché gli eletti del Signore sarebbero i soli a rinunziare alla loro sublime vocazione, mentre i fratelli e le sorelle possono, con ogni libertà sposare, lanciarsi negli affari, allontanarsi dal tetto paterno, in una parola: scegliere liberamente la loro vita? – Quante volte abbiamo dovuto constatare simile ingiustizia! Essa è ormai tanto comune, da diventare regola stabilita. Quelli che desiderano consacrarsi a Dio, debbono aspettare la morte dei genitori; devono essere i fedeli infermieri dei loro ultimi giorni, mentre tutti gli altri, per fondare una famiglia ed assicurare il loro avvenire, possono prendere il volo a loro piacimento. Cento volte m’è capitato di vedere questo: Gesù può attendere: i fidanzati terreni, no! Certamente non li condanniamo se hanno proceduto con prudenza; ma reclamiamo almeno gli stessi diritti per il Fidanzato Divino. Giacché, se la vocazione del matrimonio crea, ad una certa età, ed in circostanze normali, un diritto, reale, questo diritto è, almeno lo stesso, se non più formale e più imperioso, quando si tratta della vocazione religiosa. – Il quarto comandamento obbliga indistintamente tutti i figli di una stessa famiglia. Un fratello non può, senza ingiustizia disimpegnarsene a danno del proprio fratello.  V’è una gerarchia dei doveri che elimina qualunque conflitto. Il primo comandamento precede il quarto e tutti, genitori e figli devono rispettare questa priorità. Tale è l’ordine stabilito da Dio stesso. – Questi genitori che reclamano il sacrificio d’una vocazione, avrebbero essi stessi, in simili circostanze spezzato il loro avvenire, ritardando il loro matrimonio? Quanto al sacrificio che fate, non dite che sia sterile! Oh! No! Benedetti, mille volte benedetti, i genitori che offrono il glorioso sacrificio che Nostro Signore chiede loro, per la sua causa. Essi saranno colmati di felicità, e la loro ultima tappa quaggiù sarà più radiosa d’un meriggio, poiché Dio si compiace di vincere in generosità la creatura. Essi Paesi Essi avranno la loro parte meravigliosa nella fecondità sacerdotale o religiosa dei loro figli. L’onore e l’abbondanza empiranno la loro casa, come fu colmata quella del vecchio Giacobbe per la gloria e la potenza del suo figlio Giuseppe. « Pensa ai diritti di tua madre, non dimenticare che tu sei mia figlia! », », diceva con indignazione una  madre alla sua figliola, che già maggiorenne, libera ormai di attuare il suo ideale, che aveva accarezzato ormai da quattro anni, sollecitava dalla madre dalla madre un’ultima benedizione prima d’entrare in convento. Con le lacrime  agli occhi, con un tono dolce e rispettoso, la ragazza replicò: « Mamma, tu non hai mai parlato così alle mie due sorelle minori già maritate, né al mio fratello maggiore tanto lontano da noi. Mamma, pensa ai diritti di Gesù ».

2° Faccio ostacolo alla sua vocazione, per la sua felicità.

Fu l’obiezione di un padre al suo figlio maggiore, diventato dottore in diritto, e brillante avvocato, meno per convinzione propria che per compiacere i suoi. Alle istanze reiterate del giovane, il padre risponde:  « Tu non conosci il mondo; come puoi dire che non sarai felice? Aspetta, osserva, esci di più, tu sei in una età in cui puoi godere ». – Quante volte, triste ed inquieto, il giovane rispondeva: « Sento che sarò un grande infelice nel mondo e un cattivo. Sarò debole e ne soffrirete anche voi… Lasciatemi partire… » Tutto era inutile. Trascorsero molti anni. Il giovane avvocato diventò quello che aveva previsto: « un, grande infelice » e fu veramente uno dei deboli che il mondo perverte. La sua fede fu sommersa in una palude di passioni scatenate. I suoi disordini procurarono vergogna alla sua famiglia, che dovette ritirarsì in campagna. Il vecchio padre fu improvvisamente colpito da apoplessia in seguito ad una discussione grande col figlio, che reclamava imperiosamente denaro… sempre denaro! Chiese un sacerdote, il curato del villaggio accorse, ma il figlio snaturato gli impedì di accostarsi al malato, per assolvere la sua missione… « No, signor curato, no: se non volle in casa sua il figlio prete, non ha certo bisogno d’un sacerdote estraneo Disputare un figlio a Dio, è addossarsi la sventura; se non sempre la sventura materiale almeno quella intima e morale. E nello stesso modo che non sarebbe giusto né ragionevole spingere verso il seminario od il chiostro un giovane o una fanciulla aspiranti legittimamente al matrimonio, allo stesso modo sarebbe odioso e pericoloso di trattenere per forza nel mondo coloro che desiderano sortirne. Noi reclamiamo questa libertà per la felicità del tempo e dell’Eternità. – Ma paragonare la pace interiore, la calma, la dignità e la felicità della vita religiosa e sacerdotale, con la umana felicità, è fare ingiuria alla saggezza del Signore, fare un onore insensato ai capricci e alle invenzioni degli uomini. Se i genitori comprendessero la felicità inesprimibile che provano o gli eletti dell’altare e del chiostro, essi cederebbero generosamente ai loro desideri. – Ma come potrebbero essi farsene una idea esatta, essi che vivono in un ambiente completamente diverso? A poco a poco tuttavia, quando è dato loro di penetrare nella pace e nella luce di cui sono inondati i loro figli consacrati, quale sorpresa  e quale gioia per essi! – Tale fu lo stupore profondo di Luigi XV, quando vide la sua figlia Luisa nella sua angusta cella di Carmelitana, vivente di silenzio, di mortificazione e di soggezione e cantando, nonostante questo, la sua felicità! Il re frivolo ebbe una lezione che dovette ricordarsi un giorno. Creder di lavorare alla felicità dei figlioli, opponendosi alla loro vocazione, non è d’altronde che una conseguenza logica dello spirito del mondo. Difatti, quando si è ricco, giovane e libero, come credere che si possa vivere felici nella povertà, la castità e l’obbedienza? Questa follìa della croce è ben lungi dall’esser l’ideale anche per dei buoni Cristiani. Ma ciò non deve impedirci di predicar loro questa filosofia sublime, e di persuaderli lentamente e soavemente, in difesa della Divina Sapienza della Croce e dei diritti del Crocifisso. Sì, quelli che si sono consacrati a Gesù sono felici; sono anzi i soli pienamente felici, giacché si sono spogliati spontaneamente e con gioia di tutto. Essi sono stati padroni della loro natura, hanno voluto vivere della grazia. OQuuaannttii desideri repressi o nobilitati! Quante torture eliminate dal sacrificio delle passioni; quanti piccoli interessi sostituiti dall’unico e supremo interesse: la gloria di Dio! – Essi hanno lavorato aspramente per spezzare le loro catene, ma in ricompensa, allorchè i legami sono stati rotti, volano con sicurezza oltre ogni bruttura e miseria del mondo. Essi respirano l’aria pure delle grandi Altezze. Oh! che santa libertà, che nobile indipendenza, che umile fierezza, quella di cui si gioisce al servizio del Signore! E soprattutto, quale pace immensa e divina che nessuno può rapirci! Noi lottiamo, certamente. anzi noi facciamo della immolazione, un sistema di vita soprannaturale, e del dolore, un mezzo di gioia per l’amore divino; ma nella nostra vocazione di sacrificio, la croce, lungi dall’essere un patibolo, è il trono di gloria che abbracciamo con amore. E questo, perché noi possediamo la sorgente, per eccellenza, della gioia e della forza, il Cuore di Gesù! – In Lui, e con il soccorso della sua Madre Immacolata, noi godiamo anticipatamente del Cielo, noi abbiamo tutto. – Genitori cristiani, che non desiderate per i vostri figli una felicità artificiale, seducente ed ingannatrice, ma una felicità reale, pura, senza fine, donate i vostri fanciulli al Maestro adorabile, Re dei cuori sacerdotali e sposo delle anime vergini. Egli non cambia, non mente, non muore mai!

3° 1 nostri figlioli hanno delle illusioni, la loro pretesa vocazione non è che momentanea esaltazione religiosa… essi non hanno ancora l’età.

È vero che ci si può cullare nell’illusione, e senza dubbio, il pericolo d’ingannarsi esiste dappertutto; tuttavia è molto meno là che altrove. Perché? In primo luogo, perché la vocazione sacerdotale e la vita religiosa sono essenzialmente vie di sacrificio, ed il sacrificio non seduce, né esercita il fascino come il piacere. In secondo luogo, perché tutte e due hanno un tirocinio, una prova, un noviziato, che il matrimonio non ha e non può avere. Il tempo del fidanzamento è lungi dal dare un’idea reale della vita coniugale, con i suoi doveri e le sue responsabilità; mentre la vita del seminario ed il tempo del noviziato sono, per se stesse, la vita che condurranno gli eletti dopo l’ordinazione e la professione. Il sacerdote dunque e il religioso sono infinitamente più coscienti nella loro scelta del più intelligente e più ponderato candidato al matrimonio. L’esperienza conferma eloquentemente questa affermazione là, dove la nefasta legge del divorzio ha alzato le barriere, s’è potuto fare una statistica di focolari infelici. Invece le persecuzioni subite in certi paesi hanno provato che le anime consacrate non erano state disingannate nella loro vocazione. Il coraggio eroico, con cui esse hanno affrontato l’esilio, la povertà e le sofferenze di tutti i generi, per restare fedeli, prova ben chiaramente la felicità intima in cui essi vivono sempre, nonostante l’uragano. – Dunque, se è permesso avere dei dubbi riguardo alle intime disposizioni, alla capacità o alla salute di coloro che si sentono chiamati dal Maestro, questi dubbi saranno certamente dissipati, prima del supremo impegno; ciò fa, della vocazione religiosa, la via più sicura e più provata; per conseguenza la più lontana da ogni illusione. Ciò è come dire che gli inconvenienti dell’età non sono che apparenti, e poiché noi tocchiamo questa questione dell’età, ci preme di far constatare la differenza ingiusta delle misure ordinariamente usate dalle famiglie secondo che si tratti di matrimonio o di convento. Sono rari i genitori che rifiutano il permesso di fidanzarsi ad una fanciulla dai 18 ai 21 anni, quando il pretendente offre delle brillanti garanzie materiali e delle sicure doti morali. Ma quanti giovani di questa età otterranno l’autorizzazione benevola dei loro, io non dico per professare, no, ma semplicemente per diventare aspiranti in un seminario o in un noviziato? – Nostro Signor Gesù Cristo è dunque meno degno di essere accolto dalle povere creature umane? Non può Egli dare sufficienti garanzie di felicità, alla fidanzata che Egli chiama nel suo palazzo di sacrificio e di povertà? Perché, questa parzialità oltraggiosa pel suo Cuore? Evidentemente i genitori possono e debbono esaminare e studiare soprannaturalmente la serietà della chiamata ma, consultando coloro che ufficialmente sono maestri e specialisti nella questione come si fa per ogni altra materia. L’affezione naturale diventa una formidabile ingiustizia, e i genitori s’ingannano spesso, quantunque in buona fede, quando giudicano da soli delle aspirazioni dei loro figli. Un fanciullo vivace, monello, fanatico delle passeggiate e dei giuochi, diventa spesso un religioso eccellente; una giovinetta apparentemente leggera, vanitosa, dissipata dalla mondanità, può diventare una santa carmelitana. Lo spirito del Signore soffia dove vuole, e vince quando trova la buona volontà. Al contrario, non è rado vedere la più pia e seria delle fanciulle, maritarsi e diventare un’eccellente madre di famiglia. Che sia necessario conoscere il mondo per rinunziarvi, è un ragionamento assolutamente falso. Non si deve cercare la menzogna, per amare la verità, e dare ad essa il suo giusto valore. Si dovrebbe dunque tentare di rovinar la salute, o di provocare una malattia, per apprezzare meglio il dono della sanità? O sprecare una ricchezza, per meglio apprezzare il benessere materiale? Allora, perché non imporre, con la stessa teoria, sei mesi di convento a coloro che sono chiamati al matrimonio, perché conoscano anch’essi e considerino meglio, in cambio, quello che pretendono trovare nel mondo ?

4° Guardate quel giovane che voleva essere sacerdote, guardate quella fanciulla che pensava tanto risolutamente al convento; hanno sposato, e sono felici. Se non si fossero trattenuti a tempo!

Andiamo piano, in una affermazione tanto delicata; essa potrebbe trascinarci ad errori fatali. Quel giovane e quella ragazza, dite voi, volevano decisamente consacrarsi a Dio; ora, la prova che si ingannavano sta nel vederli sposi felici. Questo può succedere, nulla di più semplice e di più umano; ma allora noi potremo dire che la risoluzione e il desiderio di quei giovani, non erano così sicuri come si poteva credere; questo sarebbe soprattutto vero, se la vostra opposizione non fosse stata un ingiusto rifiuto, ma una prova ragionevole e prudente che voi potete, del resto, sempre esigere, come poco sopra fu detto. In ogni caso, non si può assolutamente concludere che il cambiamento avvenuto stia a provare in favore dell’opposizione; che cioè, tutti quelli che hanno cambiato, si ingannassero e sbagliassero strada; né che tal cambiamento fosse voluto dal Cielo, sebbene li abbia resi felici; poiché le cose non sono sempre in realtà, come appariscono a prima vista. Una guerra di opposizione, abile e delicata, oppure un sistema di soffocamento tenace, prolungato, crudele, possono pur condurre alla rovina, non soltanto di una qualunque debole aspirazione, ma della più sicura e più eccellente vocazione. La più forte salute, la più bella voce, la migliore delle memorie possono perdersi ad un tratto, in una crisi acuta; ma la perdita del tesoro, non prova affatto che non lo possedevano. Così per la vocazione. I cedri del Libano possono essere sradicati dalla tempesta; e che sarà delle anime da lui chiamate, esposte al vento della dissipazione, per provarne la vitalità? Quali genitori, per giudicare dei sentimenti della loro figlia fidanzata, la metterebbero a continuo contatto con altri pretendenti che se la disputino? Quale mai fidanzato potrebbe tollerare un simile sistema? E se, alla fine, la fanciulla, invaghita del fascino e della ricchezza d’un altro, cambiasse un giorno la sua scelta, tutto ciò, potrebbe forse dimostrare che la prima simpatia non fosse esistita seria e verace? Non si deve scherzare col cuore. Ed il fatto che un povero cuore prende fuoco, passando sui carboni ardenti del mondo, non dimostra che due cose: la debolezza del candidato, e la colpevole responsabilità del tentatore. – Bando dunque, all’iniquo sistema che consiste nel mostrare il mondo in quel che ha di più seducente, ossia di ingannevole, non già per provare la serietà di una vocazione, ma per soffocarla. – Nondimeno, non giudicando che dalle apparenze, affermare che il cambiamento di strada ha dato la felicità, è temerario. – Quelli che si erano veramente ingannati, possono essere felici, ma tutti gli altri appariscono tali, e nel fondo del cuore non lo sono in realtà. – Fui chiamato presso una giovane signora morente: creatura dotata delle più belle qualità di spirito e di cuore, essa era capace di render felice il più esigente marito. Aveva già ricevuto gli ultimi sacramenti, ma volle, prima di morire, confidarmi un segreto. « Padre — disse. — Lei ha conosciuto il mio desiderio di farmi religiosa; e come gli sia rimasta fedele lungamente. Vinta dalle lacrime di mio padre, già vecchio ed infermo, e da quelle di mia madre, consentii a maritarmi. Ebbene, padre, io muoio col desiderio mio vivo e insoddisfatto di essere religiosa, e con una profonda amarezza nell’anima, per aver vissuto questi tre anni di matrimonio fuori della mia vita. Ho fatto l’impossibile per render felice il mio ottimo marito, com’era mio dovere; ma non ci sono riuscita. Egli ha sentito che v’era in mezzo a noi un mistero che egli non comprendeva… Il mondo mi ha creduto felice… eppure, ahimè, io muoio profondamente infelice. Che Dio mi perdoni d’aver tradito i suoi diritti! » – Il giorno della sua morte, il marito, giovane eccezionale, mi confidava fra i singhiozzi « Non sono mai riuscito a dissipare un’ombra di tristezza che oscurava l’anima sua!… Ella non è stata felice con me, lo sentivo! Ha portato con sé nella tomba, chi sa quale segreto di dolore e di angoscia! » Oh, queste anime disorientate, più da compiangere che da biasimare, son più numerose che non si creda! Se i loro cuori si aprissero, come smentirebbero spesso, il sorriso delle labbra, ed accuserebbero di folle imprudenza coloro che vollero radicare alla terra anime che sentivano la nostalgia delle altezze celesti! Ho ancora sotto gli occhi lo spettacolo spaventoso d’un giovane dell’aristocrazia, che moriva idiota e roso dal male in un ospedale popolare. La sua storia: fino ai 25 anni voleva esser sacerdote e religioso. Avendo vasta intelligenza e talento non comune, la famiglia volle lanciarlo nel mondo per farne un piccolo superuomo moderno. Quante volte egli aveva dichiarato alla madre: « Conosco il mondo e conosco me stesso. Se esso riesce a sedurmi, mi trascinerà fino in fondo all’abisso non voglio ». Ma lo tentarono in mille modi. Hanno complottato veramente per distoglierlo dalla sua vocazione e non posso raccontare quel che ha osato fare, per allontanarlo dall’altare, la sua sciagurata famiglia, considerata come cristiana!… Essa riuscì oltre quello che s’aspettava, ed io rivedo sempre quel povero caro amico mio piombare una sera nella mia stanza e sentendosi già preso dalla voragine, dirmi piangendo: « Mi salvi Padre, salvando la mia vocazione. Nel mondo io mi perderò certamente! Le oscure previsioni del povero giovane si avverarono: onore, costumi, salute, la stessa ragione, tutto naufragò in pochi anni!… Invece del piccolo eroe mondano che s’era vagheggiato, invece soprattutto del buon Sacerdote che si sarebbe potuto dare a Nostro Signore, se ne fece un dissoluto e un’idiota. La famiglia, spaventata, dovette assistere alla fatale caduta sul tremendo pendìo che essa stessa aveva voluto; nel baratro che essa stessa aveva spalancato ai suoi piedi… Quanti altri poveri sviati come lui! Quante anime, soprattutto vegetanti in una vita volgare e senza intima felicità, che soffocano, nello stretto orizzonte che le opprime, conservando la nostalgia d’un cielo perduto! I genitori ignorano, ordinariamente, l’ultima parola di queste deviazioni. E la dolorosa angoscia dei figli ha un solo rimedio: far delle loro sofferenze una penitenza per essi e per i propri sacrificatori.

5° Perché farsi sacerdote, perché essere religiosa, quando si può fare altrettanto e più bene nel mondo?

« Ci mancano proprio dei Cattolici convinti, ci mancano delle famiglie veramente cristiane ». Cattolici convinti e famiglie cristiane, ci mancano, ed è vero, ma il piccolo numero degli eletti, che sacrificassero perciò la loro vocazione, non li aumenterebbe davvero! E pensate forse sinceramente di accrescere il numero dei veri focolari domestici cattolici, se rifiutate di fare, nel vostro stesso focolare, la volontà del Signore, se evitate l’onore di dargli un sacerdote, un « alter Christus? » Far del bene nel mondo, praticarvi la virtù, è necessario. Ma il primo bene, la virtù primordiale è quella di fare la volontà di Dio, e di assicurare con ciò la propria eterna salute. Nessuno può occupare in nostra vece l’ufficio al quale Cristo ci chiama. Ora, soltanto a questo dato posto, il Maestro deve venire a cercarci e a chiederci il nostro rendiconto. Per acquistare la virtù e il talento di fare un vero bene, un bene divino, intorno a sé, bisogna aver obbedito al Signore; e con tale obbedienza possedere in sé un tesoro traboccante di grazia. – Il soldato disciplinato è più forte del più ardito, quando costui sia indocile e indipendente. – Non dimentichiamo soprattutto questo: le anime consacrate si accostano alle anime, avvicinandosi a Dio; e contribuiscono maggiormente alla altrui santificazione. Esse sono il canale delle grazie divine. – Il bene intimo non si fa soltanto e soprattutto con la parola o con la sola attività esteriore, ma con la profondità della vita divina, in un intimo contatto con Gesù, che è l’Autore della grazia. Non si abbandonano gli interessi della società, quando non si rinunzia che a ciò che essa ha di terrestre. È dunque un errore che suppone una mancanza assoluta di senso soprannaturale, il credere a un più fecondo avvenire di un giovane che avesse rinunziato al seminario per far del bene nel mondo. È una concezione troppo umana della vocazione divina, quello di pensare che una giovinetta, per dedicarsi altrove, possa, con vantaggio proprio ed altrui, sacrificare la chiamata divina. – Vi sono casi eccezionalissimi e rari, in cui questo si è dovuto consigliare, ma il principio rimane tuttavia di fare il bene là dove il Signore ci chiama. Lasciare l’adempimento della Divina Volontà, per glorificarlo, è illogico. E se la fede nella fecondità della vita religiosa è morta presso molti cristiani,  non esitiamo pertanto a ripeter loro: i sacerdoti e le religiose hanno per speciale missione il bene soprannaturale delle anime, e che questa è la loro ragione di essere. Essi sono i messaggeri ufficiali del Re dei re, i suoi « plenipotenziari » ed hanno una luce, una potenza di successo, uno stato di grazia che è loro propria. Per le anime dunque, per il vero bene della famiglia, della nazione, della società, non bisogna esitare a lasciare tutto ed a lasciare se stessi: « Signore, eccomi: cosa vuoi ch’io faccia? ». Il  primo dei beni da compiere, il più urgente, il più grave, è quello di far la volontà di Dio, di seguir la sua voce.

6° Ci si può salvare e santificare in tutti gli stati.

È evidente. Noi sappiamo che la vocazione allo tato ecclesiastico o religioso, non è imposta da Dio come un comandamento: è piuttosto un consiglio, un invito misericordioso del Maestro. Se non si segue il suo consiglio, se non sì risponde al suo invito, non c si priva perciò delle grazie necessarie alla salvezza eterna. Ci si priva soltanto di una facilità molto maggiore a salvarci, che si sarebbe trovata in uno stato di perfezione; ci si priva della speciale ed incomparabile gloria promessa ai ministri e alle spose del Cristo. – Ma che deriva da ciò? Voi potete concludere che se il giovane o la fanciulla non rispondono all’invito del Maestro, non peccano per questo semplice fatto, poiché non disobbediscono ad un rigoroso precetto di Dio. Non si può negare tuttavia che essi commettono una grandissima imprudenza agendo in tal modo. Ma potete concludere che se i figli vostri desiderano rispondere all’appello divino, se son decisi a sacrificare tutto, per abbracciare quello stato, a cui la grazia li sollecita, potete concludere dico, chi e voi avete il diritto di opporvi? Strana conclusione questa! Il vostro figliolo non è obbligato, sotto pena di peccato, a sceglier la via che gli sarà più facile e più gloriosa e più meritoria; sia pure. Ma se vuol seguirla, avete voi il diritto di impedirglielo, di distralo o di gettarlo o di trattenerlo, suo malgrado, nel cammino tanto rischioso del mondo, dove egli si salverà più difficilmente o si perderà con più facilità? – Non vi provate a dire che le grazie di eterna salvezza e di santificazione si trovano allo stesso grado nel mondo che convento: sarebbe andar contro il Vangelo. Rileggete la pagina di San Matteo: « Maestro buono, che cosa devo fare per guadagnare la salute eterna? » E Gesù indica la via più larga ed agevole dei comandamenti. Ma il giovane insiste: «Per essere perfetto cosa debbo fare? Che cosa mi manca? » – « Se tu vuoi avere un tesoro più grande nel Cielo, vieni e seguimi! » – Seguir Gesù sulla terra, è conquistare una sovrabbondanza di grazie; che prepara un’eternità di gloria inconcepibile. In relazione alla salvezza e alla perfezione morale, non è indifferente essere sacerdote, come sarebbe, più o meno, essere avvocato, professore, ingegnere o architetto. E se degli ostacoli involontari od imprevisti, sia inevitabile a taluno di restar nel mondo, il Cielo dà grazie speciali che suppliscono a quelle che si sarebbero ricevute nel convento. « Padre — mi diceva una signora —— io sono colpevole d’aver abbandonato la mia vocazione. Ero convintissima che Nostro Signore mi voleva per sé solo. Sono stata tentata ed ho vilmente ceduto. Essendomi maritata, Lei sa come espio la mia colpa e come debba non solamente lottare per santificarmi ma per salvarmi. Mi trovo a casa mia, come in un angoscioso labirinto morale; la mia sventura mi sembra senza rimedio ». Senza rimedio umano, intendiamoci bene; che per la misericordia di Gesù, l’espiazione indispensabile compirà l’opera della salvezza. Ma tutti i sacrifici della vita religiosa, sarebbero stati dei fiori, in paragone delle torture morali di quest’anima e delle tristezze del suo focolare. Non v’è che una strada sola che conduce con sicurezza alla perfetta felicità ed alla pace: è quella che il Nostro Divino Maestro ci invita a seguite con generosità, quand’anche non ce lo imponga.

7° La vocazione religiosa indebolisce l’amore filiale dei nostri figli e li rende indifferenti alla loro famiglia naturale.

Credo di aver quasi distrutta questa obiezione fin dalle prime pagine di questo studio, quando ho detto che il cuore del sacerdote o della suora, in alcun modo non occupato da altre affezioni umane, conservava, al contrario, divinizzate e nobilitate dalla grazia, la delicatezza, la purità e la freschezza delle sue prime ed uniche affezioni terrene. Ma per essere più pratico opporrò, a tale osservazione, il fatto costante, universale, reiterato, del figlio sacerdote, che diventa il sostegno, il consigliere, il benefattore in tutte le crisi morali e spesso anche economiche della propria famiglia. A un empio che attaccava e metteva in dubbio i sentimenti di carità dei Cattolici, fu risposto, chiedendogli di spiegare perché i bisognosi, i mendicanti, si aggruppano sempre, come per istinto, attorno ai monasteri e alle porte delle chiese. A coloro che pretendono che la vocazione sacerdotale o religiosa indebolisca la pietà filiale, si potrebbe parimenti domandare perché i genitori, colpiti da sventura, o ridotti, dalle circostanze, all’indigenza e alla miseria, ricorrono tanto spesso, di preferenza, al figlio sacerdote o alla figlia suora. Se i loro figli o i superiori di essi, fossero degli egoisti, degli indifferenti al benessere dei parenti, come avverrebbe ciò? No! La vita soprannaturale, l’amore di Gesù, l’austerità dell’ordine religioso, o la natura stessa dello stato sacerdotale, possono certamente esigere delle distanze, imporre dei sacrifici sensibili, ma non estinguono, tuttavia, i più nobili sentimenti del cuore umano. Nessuno ebbe mai, alla pari di Gesù, la più squisita delicatezza della nostra natura. Il ministro di Dio e la religiosa, a misura che si liberano dai « convenzionalismi » mendaci, e che si affinano nella loro vita spirituale, divengono più alti e più schietti nei loro sentimenti filiali. Nessuno ama meglio, di chi ha conservato un cuore puro e non ha conosciuto la passione e l’interesse; ora il sacrificio della separazione, non fa che ravvivare ed approfondire l’affezione. Quale esempio commovente di questa bellezza interiore di carità, nelle relazioni della piccola Teresa con suo padre. In memoria della sua infanzia in cui egli soleva chiamarla la sua « reginetta », essa lo chiama il suo « venerando re » e bisogna leggere le sue lettere, per sentire come, dietro le inferriate del Carmelo, il cuore della fanciulla palpitasse fortemente d’amore e di tenerezza filiale! Quale figlia maritata è mai rimasta tanto profondamente legata al proprio padre, tanto vibrante ad ogni ricordo del nido familiare, come questa giovanetta carmelitana così risoluta a santificarsi? Il dolore della separazione era stato immenso da una parte e dall’altra: mai due cuori erano restati uniti e inseparabili, nei Cuori del Re e della Regina del Carmelo! – Ah, sì, protesto con tutta l’indignazione del mio cuore di figlio, di sacerdote e religioso, che mantengo tanto intimamente la presenza e l’affezione di mia madre e delle mie sorelle come un culto, il quale, lungi dall’essere a detrimento dell’amore che ho per il Cuore di Gesù e di Maria, lo abbellisce col sacrificio reciproco, costantemente rinnovato. – Se il fatto di lasciar la famiglia per Iddio è una prova di disamore filiale, che dire allora di coloro che la lasciano per le creature o per gli affari? Essi stessi, i genitori, non lasciarono un giorno la propria famiglia; e perciò furono forse dei figli ingrati?… Siamo giusti e consideriamo il dovere e il cuore, come si conviene. L’affezione non è mai stata in contraddizione col sacrifizio. Il soldato che lascia la famiglia per il campo di battaglia, è forse un figlio ingrato? Non si può fare dunque, al Signore adorabile della patria terrena, le immolazioni che la celeste patria reclama legittimamente da tutti? – Come gli eroi delle battaglie, e, in un grado infinitamente superiore, gli eroi dell’altare e del chiostro, coloro che hanno avuto il più sublime coraggio, conservano anche, infallibilmente, l’altezza dei più nobili amori.

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2022

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: FEBBRAIO 2022

FEBBRAIO è il mese che la CHIESA DEDICA alla SANTISSIMA TRINITA’

All’inizio di questo mese è bene rinnovare l’atto di fede Cattolico – autentico e solo – recitando il Credo Atanasiano, le cui affermazioni, tenute e tenacemente professate contro tutte le insidie della falsa chiesa dell’uomo vaticano-secondista, delle sette pseudotradizionaliste, della gnosi panteista-modernista, protestante, massonica, pagana, atea, comunisto-liberista, noachide-mondialista, permettono la salvezza dell’anima per giungere all’eterna felicità. 

 IL CREDO Atanasiano

 (Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)

“Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos. Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.”

L’adorazione della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, con il mistero dell’Incarnazione e la Redenzione di Gesù-Cristo, costituiscono il fondamento della vera fede insegnata dalla Maestra dei popoli, la Chiesa di Cristo, Sposa verità unica ed infallibile, via di salvezza, fuori dalla quale c’è dannazione eterna.  … O uomini, intendetelo quanto questo dogma vi nobiliti. Creati a similitudine dell’augusta Trinità, voi dovete formarvi sul di lei modello, ed è questo un dover sacro per voi. Voi adorate una Trinità il cui carattere essenziale è la santità, e non vi ha santità sì eminente, alla quale voi non possiate giungere per la grazia dello Spirito santificatore, amore sostanziale del Padre e del Figlio. Per adorare degnamente l’augusta Trinità voi dovete dunque, per quanto è possibile a deboli creature umane, esser santi al pari di lei. Dio è santo in se stesso, vale a dire che non è in lui né peccato, né ombra di peccato; siate santi in voi stessi. Dio è santo nelle sue creature: vale a dire che a tutto imprime il suggello della propria santità, né tollera in veruna il male o il peccato, che perseguita con zelo immanchevole, a vicenda severo e dolce, sempre però in modo paterno. Noi dunque dobbiamo essere santi nelle opere nostre e santi nelle persone altrui evitando cioè di scandalizzare i nostri fratelli, sforzandoci pel contrario a preservarli o liberarli dal peccato. Siate santi, Egli dice, perché Io sono santo. E altrove: Siate perfetti come il Padre celeste è perfetto; fate del bene a tutti, come ne fa a tutti Egli stesso, facendo che il sole splenda sopra i buoni e i malvagi, e facendo che la pioggia cada sul campo del giusto, come su quello del peccatore. Modello di santità, cioè dei nostri doveri – verso Dio, L’augusta Trinità è anche il modello della nostra carità, cioè dei nostri doveri verso i nostri fratelli. Noi dobbiamo amarci gli uni gli altri come si amano le tre Persone divine. Gesù Cristo medesimo ce lo comanda, e questa mirabile unione fu lo scopo degli ultimi voti che ei rivolse al Padre suo, dopo l’istituzione della santa Eucarestia. Egli chiede che siamo uno tra noi, come Egli stesso è uno col Padre suo. A questa santa unione, frutto della grazia, ei vuole che sia riconosciuto suo Padre che lo ha inviato sopra la terra, e che si distinguono quelli che gli appartengono. Siano essi uno, Egli prega, affinché il mondo sappia che Tu mi hai inviato. Si conoscerà che voi siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri. « Che cosa domandate da noi, o divino Maestro, esclama sant’Agostino, se non che siamo perfettamente uniti di cuore e di volontà? Voi volete che diveniamo per grazia e per imitazione ciò che le tre Persone divine sono per la necessità dell’esser loro, e che come tutto è comune tra esse, così la carità del Cristianesimo ci spogli di ogni interesse personale ». – Come esprimere l’efficacia onnipotente di questo mistero? In virtù di esso, in mezzo alla società pagana, società di odio e di egoismo, si videro i primi Cristiani con gli occhi fissi sopra questo divino esemplare non formare che un cuore ed un’anima, e si udirono i pagani stupefatti esclamare: « Vedete come i Cristiani si amano, come son pronti a morire gli uni per gli altri! » Se scorre tuttavia qualche goccia di sangue cristiano per le nostre vene, imitiamo gli avi nostri, siamo uniti per mezzo della carità, abbiamo una medesima fede, uno stesso Battesimo, un medesimo Padre. I nostri cuori, le nostre sostanze siano comuni per la carità: e in tal guisa la santa società, che abbiamo con Dio e in Dio con i nostri fratelli, si perfezionerà su la terra fino a che venga a consumarsi in cielo. – Noi troviamo nella santa Trinità anche il modello dei nostri doveri verso noi stessi. Tutti questi doveri hanno per scopo di ristabilire fra noi l’ordine distrutto dal peccato con sottomettere la carne allo spirito e lo spirito a Dio; in altri termini, di far rivivere in noi l’armonia e la santità che caratterizzano le tre auguste persone, e ciascuno di noi deve dire a sé  stesso: Io sono l’immagine di un Dio tre volte santo! Chi dunque sarà più nobile di me! Qual rispetto debbo io aver per me stesso! Qual timore di sfigurare in me o in altri questa immagine augusta! Qual premura a ripararla, a perfezionarla ognor più! Sì, questa sola parola, io sono l’immagine di Dio, ha inspirato maggiori virtù, impedito maggiori delitti, che non tutte le pompose massime dei filosofi.

3

Te Deum Patrem ingenitum, te Filium unigenitum, te Spiritum Sanctum Paraclitum, sanctam et individuam Trinitatem, toto corde et ore confitemur, laudamus atque benedicimus. (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum.

Indulgentia plenariasuetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem precatiuncula devote reperita fuerit

(S. C. Ind., 2 iul. 1816; S. Pæn. Ap., 28 sept. 1936).

12

a) O sanctissima Trinitas, adoro te habitantem per gratiam tuam in anima mea.

b) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, facut magis ac magis amem te.

c) O sanctissima Trinitas, habitans per gratiam tuam in anima mea, magis magisque sanctifica me.

d) Mane mecum, Domine, sis verum meum gaudium.

Indulgentia trecentorum dierum prò singulis iaculatoriis precibus etiam separatim (S. Pæn. Ap., 26 apr. 1921 et 23 oct. 1928).

16

a) Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus immortalis, miserere nobis.

b) Tibi laus, tibi gloria, tibi gratiarum actio in sæcula sempiterna, o beata Trinitas (ex Missali Rom.).

Indulgentia quingentorum dierum prò singulis invocationibus etiam separatim.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotìdie per integrum mensem alterutra prex iaculatoria devote recitata fuerit (Breve Ap., 13 febr. 1924; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

40

In te credo, in te spero, te amo, te adoro, beata Trinitas unus Deus, miserere mei nunc et in hora mortis meæ et salva me.

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 2 iun.)

43

CREDO IN DEUM,

Patrem omnipotentem, Creatorem cœli et terræ. Et in Iesum Christum, Filium eius unicum, Dominum nostrum: qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus et sepultus; descendit ad inferos; tertia die resurrexit a mortuis ; ascendit ad cœlos; sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis; inde venturus est iudicare vivos et mortuos. Credo in Spiritum Sanctum, sanctam Ecclesiam catholicam, Sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrectionem, vitam æternam, Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotìdie per integrum mensem praefatum Apostolorum Symbolum pia mente recitatum fuerit (S. Pæn. Ap., 12 apr. 1940).

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO PROPTER BENEFICIA, QUÆ HUMANO GENERI EX DIVINI VERBI INCARNATIONE ORIUNTUR.

45

Santissima Trinità, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, eccoci prostrati alla vostra divina presenza. Noi ci umiliamo profondamente e vi domandiamo perdono delle nostre colpe.

I . Vi adoriamo, o Padre onnipotente, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di averci dato il vostro divin Figliuolo Gesù per nostro Redentore, che si è lasciato con noi nell’augustissima Eucaristia sino alla consumazione dei secoli, rivelandoci le meraviglie della carità del suo Cuore in questo mistero di fede e di amore.

Gloria Patri.

II. O divin Verbo, amabile Gesù Redentore nostro, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di aver preso umana carne e di esservi fatto, per la nostra redenzione, sacerdote e vittima del sacrificio della Croce: sacrificio che, per eccesso di carità del vostro Cuore adorabile, Voi rinnovate sui nostri altari ad ogni istante. 0 sommo Sacerdote, o divina Vittima, concedeteci di onorare il vostro santo sacrificio nell’augustissima Eucaristia con gli omaggi di Maria santissima e di tutta la vostra Chiesa trionfante, purgante e militante. Noi ci offriamo tutti a voi; e nella vostra infinita bontà e misericordia accettate la nostra offerta, unitela alla vostra e benediteci.

Gloria Patri.

III. O divino Spirito Paraclito, noi vi adoriamo, e con tutta l’effusione del cuore vi ringraziamo di avere con tanto amore per noi operato l’ineffabile beneficio dell’Incarnazione del divin Verbo, beneficio che nell’augustissima Eucaristia  si estende e amplifica continuamente. Deh! per questo adorabile mistero della carità del sacro Cuore di Gesù, concedete a noi ed a tutti i peccatori la vostra santa grazia. Diffondete i vostri santi doni sopra di noi e sopra tutte le anime redente, ma in modo speciale sopra il Capo visibile della Chiesa, il Sommo Pontefice Romano [Gregorio XVIII], sopra tutti i Cardinali, i Vescovi e Pastori delle anime, sopra i sacerdoti e tutti gli altri ministri del santuario. Così sia.

Gloria Patri.

Indulgentia trium annorum (S. C. Indulg. 22 mart. 1905; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932).

Queste sono le feste del mese di FEBBRAIO 2022

1 Febbraio S. Ignatii Episcopi et Martyris  –  Duplex

2 Febbraio In Purificatione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

3 Febbraio S. Blasii Episcopi et Martyris    Simplex

4 Febbraio S. Andreæ Corsini Episcopi et Confessoris    Duplex m.t.v.

                    I VENERDI

5 Febbraio S. Agathæ Virginis et Martyris    Duplex *L1*

                    I SABATO

6 Febbraio  Dominica V Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

          S. Titi Episcopi et Confessoris    Duplex

Festa dell’ARCICONFRATERNITA DEL CUORE DI MARIA

7 Febbraio S. Romualdi Abbatis    Duplex m.t.v.

8 Febbraio S. Joannis de Matha Confessoris    Duplex m.t.v.

9 Febbraio S. Cyrilli Episc. Alexandrini Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

10 Febbraio S. Scholasticæ Virginis    Duplex

11 Febbraio   In Apparitione Beatæ Mariæ Virginis Immaculatæ   

12 Febbraio Ss. Septem Fundatorum Ordinis Servorum B. M. V.    Duplex

13 Febbraio Dominica in Septuagesima    Semiduplex II. classis *I*

14 Febbraio S. Valentini Presbyteri et Martyris    Simplex

15 Febbraio SS. Faustini et Jovitæ Martyrum    Simplex

18 Febbraio S. Simeonis Episcopi et Martyris    Simplex

19 Febbraio Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

20 Febbraio Dominica in Sexagesima    Semiduplex II. classis

22 Febbraio

In Cathedra S. Petri Apostoli Antiochiæ    Duplex majus *L1*

23 Febbraio S. Petri Damiani Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

24 Febbraio S. Matthiæ Apostoli    Duplex II. classis *L1*

27 Febbraio Dominica in Quinquagesima    Semiduplex II. classis