LO SCUDO DELLA FEDE (104)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

CAPO XIV.

Testimonianza che rendono i bruti a Dio colla loro stupenda propagazione.

I . Chi già negò negli animali ogni moto, non mentì sì bruttamente ai sensi, come bruttamente mentisce alla ragione chi neghi in detti animali il primo Motore immobile, qual è Dio. Voi avete già diveduto, quanto Egli vi operi negli strumenti e negli istinti che loro porge a conservazion de’ propri individui. Rimane ora a dire quello che vi operi a conservazion delle spezie. Conciossiachè, se un artefice sommo ha da compartire le cure sue con saviezza, non può dubitarsi, che dopo aver lui rimirato sì attentamente al ben di ciascuno, non rimiri più al ben di tutti.

I.

II. Primieramente non è meraviglia grande, che in sessanta secoli da che i bruti apparvero al mondo, non si sia di loro perduta pure una razza, massimamente se noi consideriamo, che alcune di queste sono perseguitate con tante insidie dagli uomini in aria e in acqua, ed altre con tanta forza nelle boscaglie? Come potea mantenersi in piedi sì lungamente quest’alta guerra che gli animali del continuo ricevono da chi può tanto più di loro, se quel gran fabbro, che dapprincipio lavorò ciascuna natura, non si fosse pigliato insieme l’assunto di conservarla, concedendo una virtù prodigiosa di propagarsi a quelle spezie più particolarmente , che più correvan pericolo di perire? Le lepri, chei forse le più innocenti fra tante bestie, hanno per loro mala ventura l’essere nondimeno le più ricercate a morte, son sì feconde, che generano in ogni mese felicemente; e congiungendo con unione mirabile frutti e fiori, stan preparando nell’utero nuovi parti, mentre allattano i parti usciti alla luce: tanto che non più che una piccola lepre gravida, la quale fu casualmente introdotta in una isoletta del mare icario, tra pochi anni vi dilatò in tanti rami la sua prosapia, che divorate tutte le biade, ridusse gli abitanti di quel paese a penuria somma. Andiamo a parte a parte considerando questa special provvidenza della natura, sì avanti che i bruti nascano, sì di poi.

II.

III. Fra tutti quegli, in cui non solo a generare la prole, ma ad educarla, fa di mestieri che si accordino insieme il maschio e la femmina, passa quasi una specie di matrimonio. Così avvien tra gli uccelli, i quali, essendo tutti privi di latte, hanno a sostentare le covate loro, per altro numerosissime, di rapina o di ruberia; e però ripartitasi la fatica, mentre uno restasi a custodirle nel nido ed a fomentarle, l’altro va alla busca di cibo. E quello che è più mirabile, mantengono con tanto di lealtà quella fede datasi, che non si scorge, che la rompano mai; rinfacciando in tal modo all’uomo i suoi gran disordini, sconosciuti ancora fra i bruti. Negli animali provveduti di latte, come sono tutti li quadrupedi, l’accoppiamento è vario e vagante, perché basta la femmina ad allevare la prole nata. Vero è, che in questi medesimi appaiono le passioni più regolate che tra noi stessi: non si accendendo nei più di loro la brama di propagarsi, se non in un tempo determinato dell’anno, oltre a cui tutti i maschi sogliono e sanno conversare poi tra le femmine con modestia. Chi girerà gli occhi sopra gli eccessi che la sfrenatezza degli uomini in questo genere fa vedere di tutte l’ore, e gli porrà al paragone dell’ordine inviolato con cui gli animali tengono in briglia la maggior parte dell’anno quella concupiscenza medesima che tra noi, rotto ogni freno, trascorre tanto; come non saprà ravvisare anche i n questo la bella scorta che a’ bruti fa la natura, sempre a sé somigliante nell’amar legge?

IV. Dopo la concezion della prole facea d’uopo pensare al suo nascimento. E perché  gli uccelli, come abitatori dell’aria, non doveano gravarsi di troppo peso, convenne, che per la loro gravidanza si fabbricassero un nido, ove riposasser con agio, ove depositassero l’uova, ove le scaldassero, ove le schiudessero, ed ove poscia allevassero ciò che nacque. In questa fabbrica sono meravigliose la struttura e la simmetria corrispondenti alla varietà del disegno. Scelgono il sito che pare loro più sicuro, o nelle siepi più intralciate, o negli scogli più inospiti, e non contenti della sicurezza natia che provien dal posto, si fortificano di vantaggio. Però, come la volpe difende il suo covile da’ lupi con l’erba squilla, da’ lupi abborrita in estremo; così la rondinella il difende da certi vermini con le foglie dell’apio, e così le cicogne il difendono da’ serpenti con la pietra detta lienite. Stupendo è poscia l’istesso nido a mirarsi nella sua fabbrica. La parte esteriore e quivi sempre più rozza, per darle forza, ed è fornita o di spine, o di sarmenti o di fango; e la parte interiore è più molle, o di fieno, o di muschio, o di lanugini, o di lane, o di piume, sì per fomento, e sì per quiete più agiata de’ figlioletti; ciò che dispongono i padri con tanta regola, e intessono con tant’arte che ben dimostrano di essere in tutto guidati da mano occulta, la quale non soggiace ad abbaglio. I nidi dell’alcione sono bastevoli a fare trasecolare di meraviglia; tanto egli, ponendoli giusta al mare, sa poi formarli impenetrabili all’onde.

III.

V. Nati che sieno i parti, chi può spiegare l’amore con cui gli allevano, e l’attenzione con cui gli ammaestrano, secondo i loro vari stati? Lo scimmie, domestiche per le case, sono tanto impazzate de’ lor figliuoli, che vanno incontro a chi entra, e glieli porgono a divedere, come la più bella cosa del mondo. La donnola, per gelosia che non le sieno rubati li trasporta più volte il giorno, or di qua or di là, tanto che sembra ch’ella abbiali sempre in bocca. Il Castore è della prole sì tenero, che essendo una volta chiuso lontan da essa, per ricercarla, rose co’ denti l’uscio del suo serraglio, e fattasi larga strada, si gettò da un luogo altissimo in precipizio dietro di lei. Né un tale affetto è proprio solamente di qualche specie: è comune a tutte; anzi le più fiere ne sono più dominate; sgorgandone quivi una vena più copiosa, dove sembra più duro il sasso. Il leone mai non combatte più intrepido, che quando abbia a difendere i suoi leoncelli. Allora sì che egli non fa caso nè di lance, ne di strali, nè di saette, nè delle ferite medesime che in sé miri, lasciando prima la vita, che la tutela di que’ teneri parti. La balena, ad ogni improvviso pericolo, li nasconde dentro di sé tenendoli nelle fauci, come nell’intimo di una rocca ben fortificata da orribile dentatura; e passato il rischio, li torna lieta a rivomitare nell’acque, quasi partorendoli nuovamente alla vita. La tigre, tanto efferata, che ha dato in presto il suo nome alla crudeltà, è nondimeno sì smaniante ancor ella de’ suoi tigretti, che una volta fu veduta in Bengala correre su le spiaggie ben trenta miglia dietro una nave, che costeggiando a vele piene per l’alto, glieli portava via senza remissione su gli occhi di lei medesima.

VI. Questo amore poi è ne’ bruti la ruota maestra di tanta macchina. Conciossiachè questo li fa arditi, benché non sieno. Il rosignuolo, per difendere il nido, non teme di azzuffarsi in fin colla vipera; e così imbelle com’egli è, col rostro, con l’ale, confida di lacerarla, se tanto gli riesca, o di porla in fuga. Questo li fa ingegnosi. I ladroni nell’indie, andando alla ruba, si vagliono più volentieri di quei cammelli cha tuttavia danno il latte. Imperocché questi, condotti ancora di notte in lontan paese, e mal segnato di vie, non solamente sanno poi rinvenire la strada da ritornare alla mandra, ma raddoppiano il passo per ritrovarvisi tanto più tostamente. Questo li fa prudenti. Il rinoceronte, per quanto sia provocato, sopporta pazientemente, insino a tanto ch’egli abbia posta in sicuro la prole amata: e dipoi si rivolge con tal furore, che getta a terra gli alberi, i quali incontra, e gli svelle fin dalle barbe. Questo gli fa giusti distributori dell’alimento (Jac. Bontius 1. 5. hist. nat. et med. c. 1). La rondinella comincia dall’imboccar quel figliuoletto che è nato il primo, e va in giro di mano in mano assegnando a ciascuno di loro con meravigliosa equità la porzion dovuta; grande esempio a que’ padri troppo parziali, che, per lasciare un figliuolo più benestante dell’altro, cambiano bene spesso l’eredità in un pomo venefico di discordia. Questo li fa costanti fino all’estremo. Il delfino, ove sia dato nelle reti uno de’ suoi parti, lo segue mesto, né sa staccarsene a forza di verun colpo, finché preso anch’egli non corra con esso lui la ventura stessa, o di liberazione o di morte. Così fin alla morte pur amali il pellicano, che giunge ad abbruciarsi per ismorzare le fiamme avventate al nido. E così fin alla morte pur amali la cicogna, che in caso d’incendio simile fu veduta volare al fiume e bagnarsi tutta, tornando poi per sopraffare con quell’acque le vampe; nè desisté dalla malagevole impresa finché non andò col nido ancor ella in cenere (Alber. Magn. v. Ciconia).

VII. E perché questo amore fu dato a’ bruti per educare la prole, non dura più che quanto dura il bisogno dell’educarla; che però poi non si riconoscono più (dirò così) per parenti ma si disgiungono: sicché quell’agnellino che sa ravvisare la madre in uno stuolo di tante pecorelle simili a lei, spoppato ch’egli si sia, la confonde in uno con l’altre quasi straniera. Parimente quelle cagnuole che prima disfacevano se medesime, essendo madri, per porgere l’alimento a’ lor catellini; cresciuti che questi sieno, giungono con essi a combattere per privarli fin di quell’osso che loro scorgono in bocca: tanto è rimasto estinto in esse un amore già sì cocente; mercecchè ora non è più questo necessario a quel fine per cui dianzi lo avevano ricevuto dalla natura, la quale diversificando, come è dovere, i bruti dagli uomini, ha pretesa in questi una educazione perpetua (tanto sono essi capaci di approfittarsi), in quegli una breve (Oltre al divario qui accennato dall’autore tra l’educazione dei bruti e quella dell’uomo, è a notarsi quest’altro, che l’uomo solo può altresì darsi a se medesimo l’educazione, perché dotato di intelligenza e di libera volontà, mentre un bruto, incalzato da cieco ed insuperabile istinto, non ha virtù di educare se stesso.).

IV.

VIII. Frattanto questa numerosa repubblica di animali, così ben governata in ciò che appartiene e al mantenimento di ciascuno individuo, e alla conservazione di ciascuna spezie, rende da tutti i lati dell’universo una testimonianza incessabile e incontrastabile alla esistenza divina. E la forza di tale testimonianza consiste in ciò che fu già notato più volte. Da un lato noi veggiam che tutte le bestie camminano al lor fine tanto ordinatamente, che, se usassero di ragione non potrebbero andarvi a passi più giusti. Dall’altro lato non conoscono il fine, ma operano in virtù puramente di quell’istinto che fu loro impresso nel cuore. (S. Th. contra gent. l. 3. c. 44). Adunque vi ha un Artefice superiore, il qual conoscendo questo fine per esse, imprime in esse parimente l’istinto da conseguirlo.

IX. Che poi le bestie di verità non conoscano questo fine, ma che vi vadano bensì, ma alla cieca, come va la palla scoccata da pratico balestriere a ferire il bianco, è manifestissimo. Conciossiachè, se operassero queste di ragion propria, non sarebbero tutte così uniformi nelle lor opere; ma come ogni pittore tra noi ha la sua maniera diversa di disegnar le figure, e di colorirle, perché quantunque vi adoperi gli stessi pennelli, le stesse tele, e l’istesse tinte degli altri, riguarda nondimeno l’idea diversa che egli ne concepì nella fantasìa; così le bestie in ciascuna razza sarebbono tra sé varie ne’ loro affetti, e ne’ loro affari, se non fosser guidate, ma si guidassero, come noi di capriccio. Oltre a ciò, men bene opererebbero le prime volte, che l’ultime mentre veggiamo, che sempre si perfezionano con l’esperienza quelle arti le quali sono apprese da noi per via di discorso. E pure la prima volta che la rondinella piglia a fabbricare il suo nido, lo fa sì bene, come la volta seguente. Non v’ha differenza tra quella tela che i ragni tessono appena nati, e quella che essi tessono già decrepiti: né i novelli sciami delle api sono meno esperti a riconoscere i fiori più delicati, a suggerne il miele, a fondere le cere, a formar le celle, a fare ogni lor lavoro nell’alveare, di quello che a ciò sieno gli sciami antichi.

X. Che più? Sappiamo che i bruti, ammaestrati dall’uomo, operano regolatamente molte azioni di cui al certo non intendono l’arte, perché non fu loro data per via di regole, ma per via di carezze e di bacchettate, alternate in tempo. I teatri moderni di Firenze, col ballo che introdussero dei cavalli, possono fare invidia ai teatri antichi di Roma. E pure quantunque si muovano quelle bestie in sì bell’ordine, e s’intreccino, e posino, e passeggino, e saltino tutte a un’ora, come se fossero tante ninfe danzanti, non è già, che intendano l’armonia di quel suono, o che capiscano la proporzion di que’ passi, o che conoscano il fine di quella festa (indirizzata al trattenimento di qualche ospite regio di una tal corte, manierosa al pari e magnifica in onorarli), mercecchè l’idea di quell’opera artificiale, non è nei cavalli stessi, è nel cavallerizzo, è negli scozzonatori, è ne’ sonatori, è negli uomini, i quali loro impressero nelle stalle con gran fatica la volontà di que’ moti che con tanto applauso da loro poi conseguiscono su la scena. E similmente l’idea di quelle opere naturali, assai più mirabili, che fan da sé tanti bruti senza maestro, non è ne’ bruti medesimi, è nel primo artefice Dio, il quale, avendo negata loro la ragione, si sta in vece di essa ne’ loro petti per governarli, disponendo lo spezie della loro fantasia di tal guisa, che secondo il bisogno apprendano come conveniente o come nocivo ciò che è amico o contrario alla loro conservazione. E questa disposizione di spezie è quella che da noi vien chiamata istinto (L’istinto dei bruti accoppia in sé  due caratteri, che sembrano contradditori : esso è cieco nelle sue movenze, infallibile nel suo scopo. Ma la contraddizione): ed in riguardo ai beni, in cui risiede, infallibile rispetto a Dio, da cui proviene come da sua ragion creativa. Negato Dio, e l’istinto rimane inesplicabile): ed in   quanto ella è mezzo ad operare con arte, è una piccola partecipazione dell’arte immensa, la quale risiede in Dio; ed in quanto è mezzo a conservarsi con prò, è una piccola partecipazione dell’infinita sua provvidenza. Sicché i bruti ancor essi, da qualunque banda li riguardate, manifestano la sapienza del loro artefice: a guisa di una statua condotta perfettamente, che da qualunque sito la rimiriate da alto o da basso, in prospettiva o in profilo, in faccia o alle spalle, sotto qualunque aspetto vi soddisfa pienamente, e rende autorevole testimonianza di lode intera al nome del suo maestro.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.