SALMO 111: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM”
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]
TOME TROISIÈME (III)
PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
Salmo 111
Alleluja, reversionis Aggæi et Zachariæ.
[1] Beatus vir qui timet Dominum,
in mandatis ejus volet nimis.
[2] Potens in terra erit semen ejus; generatio rectorum benedicetur.
[3] Gloria et divitiæ in domo ejus, et justitia ejus manet in sæculum sæculi.
[4] Exortum est in tenebris lumen rectis, misericors, et miserator, et justus.
[5] Jucundus homo qui miseretur et commodat, disponet sermones suos in judicio;
[6] quia in æternum non commovebitur.
[7] In memoria æterna erit justus; ab auditione mala non timebit. Paratum cor ejus sperare in Domino,
[8] confirmatum est cor ejus; non commovebitur donec despiciat inimicos suos.
[9] Dispersit, dedit pauperibus; justitia ejus manet in sæculum sæculi; cornu ejus exaltabitur in gloria.
[10] Peccator videbit, et irascetur, dentibus suis fremet et tabescet; desiderium peccatorum peribit.
[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO CXI.
Lode dell’uomo giusto. I latini aggiunsero del ritornodi Aggeo e Zaccaria, che esortarono, dopo la cattività, il popolo alla probità, forse per esortare gli altri alla probità, onde non ricadere nella schiavitù.
Alleluja: Del ritorno dì Aggeo e di Zaccaria (1)
1. Beato l’uomo che teme il Signore: egli avrà cari oltremodo i suoi comandamenti.
2. La sua posterità sarà potente sopra la terra; il secolo dei giusti sarà benedetto.
3. Gloria e ricchezze nella casa di lui; e la sua giustizia dura perpetuamente.
4. È nata tra le tenebre la luce per gli uomini di retto cuore: il misericordioso, il benigno, il giusto.
5. Fortunato l’uomo che è compassionevole, e dà in prestito, e con sapienza dispensa le sue parole; perocché egli non sarà mai vacillante.
6. Il giusto sarà in memoria eternamente: non temerà di udire sinistre parole.
7. Il suo cuore è disposto a sperare nel Signore, il suo cuore è costante;
8. ei non vacillerà, e neppur farà caso de’ suoi nemici.
9. A mani piene ha dato ai poveri; la giustizia di lui dura in perpetuo; la sua robusta virtù sarà esaltata nella gloria.
10. Vedrallo il peccatore, e avranne sdegno, digrignerà i denti e si consumerà: il desiderio dei peccatori andrà in fumo.
(1) Il titolo di Aggeo e di Zaccaria non si trova che nella versione in latino e deve verosimilmente la sua origine alla pia tradizione dei Profeti Aggeo e Zaccaria, che tornando presso i Giudei dalla cattività di Babilonia, si servirono di questo salmo. Questo salmo è alfabetico come il precedente.
Sommario analitico
Questo salmo contiene l’elogio dell’uomo virtuoso, o che teme Dio. I vantaggi che enumera il salmista non si verificano pienamente che nel senso spirituale (1):
(1) N.B. Nulla impedisce si attribuire a Davide questi due salmi CX e CXI, dei quali del resto nulla ce ne indica l’autore. Essi sono alfabetici e perfettamente simili metricamente; hanno ugualmente ventidue versi di sei sillabe ciascuno, riunite in dieci versetti, otto distici e tre trittici (Le Hir.).
I. Vantaggio. – Per il bene dell’anima, la conformità più perfetta della sua volontà ai Comandamenti di Dio (1).
II Vantaggio. – Per i beni esteriori, la moltiplicazione, la potenza e la gloria della sua posterità (2).
III Vantaggio – L’abbondanza degli onori, delle ricchezze (3).
IV Vantaggio – La luce celeste che Dio spande nei cuori retti (4).
V Vantaggio – La stabilità dell’uomo del bene, di cui descrive tre caratteri: egli ha pietà dei derelitti, presta volentieri, regola i suoi discorsi secondo la prudenza (5, 6).
VI Vantaggio – Una memoria eterna, al riparo di tutti i colpi della calunnia (7).
VII Vantaggio – La sicurezza della protezione divina contro i nemici non gli farà difetto (8)
VIII Vantaggio – L’accrescersi delle sue ricchezze e della sua potenza, proporzionato all’estensione ed alla grandezza delle sue liberalità e delle sue elemosine (9).
IX Vantaggio – La sua felicità sarà ancora aumentata dal contrasto del furore impotente dell’empio contro di lui, che il salmista oppone alla tranquillità ed alla gloria del giusto (10).
Spiegazioni e Considerazioni
I.
ff. 1. – L’inizio di questo salmo si ricollega strettamente alla fine del precedente, e non forma di questi due salmi che un unico corpo, le cui parti sono perfettamente unite tra loro. Il Re-Profeta ha detto nel salmo che precede: il timor di Dio è l’inizio della Sapienza. Per far seguito a questo pensiero sì profondo e sì bello, aggiunge ora che è ancora un principio di felicità, una sorgente di vita. L’uno è la conseguenza dell’altra. (S. Crys.). – « Felice l’uomo che teme il Signore. » Ora, colui che teme il Signore, che fa? Ascolta attentamente la parola di Dio, cerca di rendersi sapiente nella legge? No, non è ciò che dice il salmista: egli desidera compiere ardentemente i suoi Comandamenti. (S. Girol.). – Il timore del Signore è dunque la vera felicità; ma anche i demoni stessi hanno timore del Signore e tremano davanti a Lui; il Re-Profeta ci avverte che vuol parlare di questo timore odioso che, non portando a nulla con questo tremore freddo e sterile, si ritrova fin negli inferi, e che non è sufficiente a salvarci; ma questo timore attivo e fecondo che porta al compimento della legge, dopo aver detto, nel salmo precedente, che « il timor di Dio è l’inizio della Sapienza, » aveva aggiunto: « Tutti coloro che la praticano sono pieni di intelligenza salvifica. »
Inoltre qui, dopo aver proclamato la felicità di questo timore, egli lo distingue da quello che ha per principio la conoscenza e che esiste negli stessi demoni, aggiungendo. « … chi ha una volontà ardente di compiere i suoi precetti »; egli non dice: « egli osserverà i suoi comandamenti, » ma « … egli avrà una volontà ardente di compierli, » ciò che è una disposizione molto più perfetta. Ora, in cosa consiste questa disposizione? Nell’osservare i comandamenti di Dio con una santa alacrità, ad amarli passionalmente, e perseguirne l’esatta osservazione; nell’amarli, non per la ricompensa promessa, ma per Colui che li ha stabiliti, a farne le proprie delizie per la pratica della virtù, senza essere portato al timore dell’inferno, con la minaccia dei supplizi eterni, ma per amore di Colui che ci ha dato queste leggi (S. Gerol.. – S. Crys.).
II.
ff. 2. – La felicità del giusto, sotto l’antica legge, era una numerosa posterità sulla terra; questa è la benedizione per l’antico popolo, e non vuole forse Dio che non sia essa, il più sovente, quella del popolo nuovo? « Il giusto che cammina nella sua semplicità, lascia dopo di lui dei figli felici. » (Prov. XX, 7). Questi sono uomini di misericordia, e la loro pietà non è mai venuta meno. I loro beni restano alla loro razza; i loro nipoti sono una santa eredità, e la loro razza si conserva nell’alleanza eterna, ed i loro figli, a causa loro, restano eternamente, e la loro razza si perpetua come la loro gloria. (Eccli. XLIV, 10-13). – Se l’uomo giusto, talvolta, non ha parte di questa benedizione, essa si compirà almeno nel senso morale e spirituale, perché con il nome di “razza”, la Scrittura designa spesso, non i figli che nascono per via di generazione, ma la filiazione che viene in conformità della virtù (S. Chrys.). – La vera posterità dei Santi sono i figli ed i discepoli della loro pietà. – Le loro buone opere sono ancora, al loro sguardo, tanti figli che attirano su di loro la benedizione di Dio. (Dug.). – « La sua semenza, la sua razza, sarà forte sulla terra. » La semenza della messe da venire, sono le opere di misericordia. L’Apostolo lo dichiara quando dice: « Facciamo il bene senza sosta, perché noi raccoglieremo nel tempo convenevole. » (Gal. VI, 9). – Ora, cosa c’è di più forte che l’acquisto del regno dei cieli, non solo per Zaccheo, al prezzo della metà dei suoi beni, ma ancora per una povera vedova, al prezzo di due oboli? E tuttavia entrambi lo possiedono. Cosa di più forte del bicchiere di acqua fredda del povero, che gli dà il regno dei cieli, come i tesori al ricco? Ma ci sono di coloro che in queste opere di misericordia, cercano dei beni terrestri, sia perché sperano che Dio li ricompenserà quaggiù, sia perché essi desiderano piacere agli uomini; ma « … la razza degli uomini dal cuore retto, sarà benedetta, » (Ps. CXI, 2); vale a dire le opere di coloro per i quali il Dio di Israele è buono perché hanno il cuore retto (S. Agost.). – Questi uomini dal cuore retto gettano in questo mondo con la grazia una semenza preziosa di opere sante che prepara loro, per l’avvenire, tutta una messe di meriti e di gloria. Aspettando, il loro secolo profitta delle virtù che essi hanno praticato. In questo senso, la verginità stessa è feconda, ed il celibato cristiano è una fonte di prosperità e di grandezza. I Santi fanno maggior bene che sapienti e re (Mgr. Pichenot, Ps. du D.).
III.
ff. 3. – « La gloria e la ricchezza sono nella sua casa. » Pensiamo forse che il profeta voglia qui parlare della gloria e della ricchezza del secolo? Ma che! Che il giusto faccia la volontà di Dio i compia i suoi comandamenti per ottenere le ricchezze di questo mondo? Ma questi comandamenti egli non può attuarli proprio se non perché disprezza le ricchezze della terra. Queste ricchezze sono quelle delle quali l’Apostolo diceva: « io rendo per voi al mio Dio le azioni di grazie … per tutte le ricchezze di cui siete state ricolmi in Lui dalla sua parola e dalla sua scienza (S. Girol.). – Nei secoli più perversi, l’uomo di fede è spesso onorato, la sua reputazione è intatta, gli si rende giustizia, è rispettato dagli altri, perché si è rispettato da se stesso; egli riesce nelle imprese che Dio benedice e la prudenza illumina; egli non manca né di stima né di ricchezze, e sa condurre degnamente l’una e le altre … Pur tuttavia, qui ancora ci sono, come ognuno sa, delle nobili e frequenti eccezioni, soprattutto dopo il Vangelo, e la Provvidenza, che cerca di staccarci dalla terra e trasportare più in alto le nostre affezioni ed i nostri voti, lascia talvolta dei giusti cadere nell’indigenza e nelle umiliazioni … Le vere ricchezze sono i meriti ed i tesori che essi ammassano per l’eternità, tesori che i ladri non possono rubare, che la ruggine e la corruzione non alterano mai, e che sussistono in eterno (Mgr. Pichenot, Ibid.). – Dopo tutto è per l’anima, per il cuore soprattutto che si tratta di accumulare ed arricchirsi. Che significa questa espressione: « Nella casa? » Cioè con lui. Le ricchezze materiali non sono in vero con colui che le possiede; che dico? I loro possessi, lungi dall’essere assicurati, sono tra le mani dei delatori, degli adulatori, nelle mani dei magistrati, nelle mani dei servitori. Il padrone di queste ricchezze le dissemina da ogni parte, perché non osa conservarle tutte presso di sé; ed ancora le circonda di guardie, di precauzioni inutili, che non possono impedire alle ricchezze di sfuggirgli. (S. Chrys.). – L’uomo che teme il Signore e che, per la rettitudine del suo cuore, frutto del suo ritorno a Dio, si dispone a diventare una delle pietre del santo Tempio di Dio, non cerca la gloria umana e non ambisce alle ricchezze terrestri; e tuttavia: « … la gloria e le ricchezze abbondano nella sua casa; » perché la sua casa è il suo cuore, ove abita più ricco per la lode che Dio gli dona, con la speranza della vita eterna, ed egli non abiterà in palazzi di marmo, in mezzo alle adulazioni degli uomini, con il timore della morte eterna. In effetti « la sua giustizia resta nei secoli dei secoli; » esso fa la sua gloria e fa la sua ricchezza. Al contrario la porpora del ricco cattivo, i suoi abiti di lino fino ed i suo splendidi festini, passano già nel momento in cui ne gioisce e, quando tutto sarà finito, la sua lingua infuocata getterà delle crida di disperazione, reclamando invano una goccia di acqua caduta dalla punta del dito (S. Luc. XVI, 19, 24) – (S. Agost.).
IV.
ff. 4. – Anche in mezzo alla più profonda oscurità, Dio farà brillare la sua luce agli occhi di coloro che hanno il cuore retto. Alla posterità, alla prosperità, il Profeta aggiunge il bene supremo dello spirito, la verità. « Felici coloro che hanno il cuore puro, perché essi vedranno Dio. » Quelli, al contrario che non sono puri, che non hanno il cuore retto, restano tristemente seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte e grideranno un giorno – ma troppo tardi – davanti all’universo: « Noi abbiamo errato lontano dalla verità, ed il sole dell’intelligenza non si è levato sulle nostre teste. » (Sap. V, 6). – Questo sole dell’intelligenza, questa luce benefica e pura che si è levata per i cuori retti, è lo splendore del Padre, è il brillare ed lo splendore della sua faccia adorabile, è il Verbo fatto carne che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, di cui il Verbo ha detto: « Io sono la luce del mondo, » (Giov. VIII, 12); e che per bontà, per misericordia, per giustizia, è apparso nel mezzo della notte che avvolgeva il mondo e versato su di esso fasci di luce (S. Chrys.). – Queste tenebre, in mezzo alle quali il giusto deve camminare e raggiungere il suo fine, sono molteplici e di ogni genere: « Tenebre fuori di lui e nel suo interno; tenebre di paura e tenebre di eccessiva confidenza; tenebre di ignoranza e tenebre del desiderio di sapere, tenebre nell’orazione e tenebre nell’azione; tenebre del dubbio e tenebre di afflizione; tenebre sui pensieri dei nostri simili, e tenebre sui nostri consigli; tenebre riguardo ai peccati della nostra giovinezza e tenebre riguardo alla nostra penitenza; tenebre nelle tentazioni, e tenebre nella calma pretesa dell’anima » (Berthier). – Queste tenebre così spaventose non sono tuttavia così spesse da non essere trapassate da alcuna luce; ma è richiesta una condizione per gioire di questo beneficio: la rettitudine del cuore. Altrimenti questa luce, benché pura e viva, brillerà nelle tenebre, e le tenebre non la comprenderanno. Invano essa produrrà miracoli di giustizia e di bontà; se questo cuore non è retto, resterà nella sua cecità. È degno di nota che tra tutte le qualità che caratterizzano l’uomo giusto, il santo Profeta distingua e nomini questa semplice virtù: la rettitudine del cuore. (Rendu).
V.
ff. 5. – « Felice l’uomo che ha compassione e che dà in prestito. » Si crede forse che si tratti qui solo di questione di oro e di denaro? Spesso i giusti sono stati così lontani dall’aver di che donare, che erano obbligati a ricevere essi stessi dagli altri il nutrimento loro necessario. Dunque, se io non ho cosa dare, non sarò nel numero dei giusti? Quanti santi hanno fatto abbondanti elemosine e sono in seguito caduti dalla loro santità? Al contrario, uomini di perfezione eminente non hanno fatte elemosine, perché non avevano di che farne. Non fare l’elemosina è un crimine per chi possiede, per chi è ricco. Colui che nulla possiede è libero: egli dà pertanto ciò che desidera dare, la sua volontà è agli occhi di Dio una elemosina perfetta. Tuttavia i Santi non tralasciano di avere di che dare in elemosina. Ascoltiamo San Pietro: « Io non ho né oro né argento, ma ciò che io ho te lo do. Nel nome di Gesù, alzati e cammina. » (Act. III, 6). Cosa è meglio, cosa è più perfetto, dare un pezzo d’argento o rendere la salute e la forza ad un infermo? (S. Gerol.). – « E regolerà tutte le sue parole con prudenza e giudizio. » Il Profeta non dice: egli regalerà il suo oro, il suo argento secondo questo giudizio, ma regalerà le sue parole. Ecco la vera misericordia, quando un Santo insegna agli altri che non lo sono, ad addivenirlo. Noi comprendiamo dunque quali sono le ricchezze che egli presta agli altri. Regolare le sue parole secondo prudenza e giudizio, è praticare ciò che raccomanda Nostro Signore, per non gettare le perle davanti ai porci, cioè che ciascuno sappia bene a chi dona ciò che può ricevere, ciò che è incapace di comprendere … A che mi serve parlare se le mie parole non sono comprese, né recepite? A che pro versare del buon vino negli otri che lo lasciano subito sfuggire e spargersi? (S Gerol.). – Dopo aver parlato del bene dello spirito, il santo Profeta parla di quello del cuore, la carità. È la gioia spirituale, di cui le buone opere che la carità di Dio partorisce sono il principio, e la felicità di fare intorno a sé dei felici … L’uomo giusto è necessariamente buono, misericordioso e compassionevole, la sua compassione non si prosciuga mai, e regola tutti i suoi discorsi con una saggezza squisita, e non gli sfugge niente che abbia a rimpiangerne, che non possa ferire nessuno. – Si può essere compassionevole, si può essere liberale e tuttavia non saper trattare con gli uomini, secondo ciò che la prudenza esige. Ugualmente, si può essere saggi nei discorsi, ed aver il cuore chiuso agli infelici. Infine si può avere un’anima compassionevole, saper parlare con saggezza, senza volersi spogliare di parte di ciò che si possiede per aiutare il prossimo prestando nel bisogno. Si è talvolta molto timorosi sugli avvenimenti futuri; si suppone con troppa diffidenza dei bisogni personali; ed invece di interessarsi allo stato degli altri, si preferisce il proprio benessere alla carità che reclama in loro favore. L’uomo dabbene che voglia stabilirsi nella pace e nelle gioia che dà la buona coscienza, unisce le tre condizioni che il Profeta segnala: egli è colpito dalla miseria degli altri, li aiuta nelle difficoltà in cui si trovano, e parla loro come conviene, sia per consolarli, sia per incoraggiarli, sia per dare loro dei consigli salutari. Se si intende il testo del regolamento degli affari, anche questa sarà una delle qualità dell’uomo dabbene: l’essere attento a tutto ciò che concerne la sua condotta, sia nei riguardi del temporale, che dello spirituale. Egli è sistemato in tutto ciò che fa, prudente in tutto ciò che intraprende, economo in tutto ciò che governa; ma, ciò che qui deve essere considerato come il punto essenziale, è che tutte queste eccellenti qualità hanno la loro fonte nel timore del Signore (Berthier).
VI.
ff. 6. – Ma, forse tu non hai visto degli uomini misericordiosi che ondeggiavano sotto il peso dell’avversità? No, mai. Li si è visti diventare poveri, ridotti all’estrema indigenza, precipitati in ogni sorta di infortuni, ma queste prove non li hanno abbattuti, perché essi attirano su di loro la bontà e la protezione di Dio, e la testimonianza di una buona coscienza era per essi un’ancora ferma e sicura. Il Re-Profeta non dice dell’uomo misericordioso che egli non sarà attaccato, come Gesù-Cristo non dice di colui che ha costruito sulla pietra che sarà esente da inondazioni e da tempeste, ma che egli sarà in condizione di resistervi. Non è certo una cosa mirabile essere esente da tentazioni, rispetto al restare immobile in mezzo alle tentazioni. Il Profeta non dice anche che il giusto non sarà abbattuto, ma che non sarà abbattuto per sempre; e quest’ultimo senso è abbastanza in rapporto con la condizione dell’uomo su questa terra di prove. I più giusti vi sono fiaccati, come confessava Davide (Ps. LXXII, 2). Ma Davide abbattuto, Davide pur caduto, non è restato in questo stato di abbattimento o di caduta: la misericordia divina lo ha risollevato e raffermato. È lo stesso per tutti i Santi: Dio li prova, li purifica e li fortifica con le stesse prove: Non commovebitur in æternum (S. Chrys.). – « La memoria del giusto sarà eterna. » È l’ambizione dei mondani a fare un po’ di rumore intorno a sé e passare alla posterità; ma la gloria, non essendo che l’ombra della virtù, fugge, come l’ombra, colui che corre dietro ad essa, mentre segue colui che cerca di evitarla, e segue malgrado lui, i suoi passi; è ciò che succede ai Santi. C’è pure per essi quaggiù una gloria postuma, una vita oltre la tomba che fa loro elogio e che incoraggia. Essi possono essere anche talvolta coinvolti nei discorsi calunniosi degli empi; si troverà forse qualche anima vile che, vedendosi condannato dalla loro vita pura, cercherà di stigmatizzarli; ma essi non avranno nulla da temere, e come si è ben detto: che importa dopo tutto, che questi rettili impuri vengano a mescolare un po’ di bava e di veleno ai torrenti di gloria che conducono i loro nomi all’immortalità? (Mgr. Pichenot, Ps, du D.). – « La memoria dei giusti è eterna, soprattutto perché i loro nomi saranno scritti nel libro della vita, da dove non saranno mai cancellati, e saranno letti con onore dagli Angeli e dai Santi e, nell’ultimo giorno, non temeranno di ascoltare la parola cattiva, la terribile sentenza che sarà pronunciata contro i peccatori ed i riprovati. (S. Agost.).
VII.
ff. 7, 8. – Ci sono di coloro che sono sempre pronti ad inquietarsi senza motivo, lo scoraggiamento per essi è come naturale, disperano ad ogni proposito; il primo movimento del giusto, è confidare il Dio, egli è sempre pronto a sperare nel Signore, per il suo cuore è un bisogno, come un dovere. (Mgr, Pichenot). – Ecco perché, in mezzo alle prove più terribili, non si abbandona mai alla paura. Egli ha deposto in anticipo le sue ricchezze in un forziere inviolabile e, lungi dal temere l’avvicinarsi della morte, si appresta a partire per queste regioni dove deve ritrovare tutta la sua fortuna. Che potrà temere in effetti colui che, spogliatosi di tutto, non è circondato da nulla, e non offre la presa a nessuno su di lui? Che potrebbe temere colui che è assicurato dalla bontà e dalla protezione di Dio? La sicurezza di cui gode ha dunque una doppia causa: la protezione del cielo e la felice disposizione dell’anima. Così niente è capace di abbatterlo, né i capovolgimento della fortuna, né gli oltraggi, né la calunnie; egli è invulnerabile a tutti questi colpi, perché abita in una regione inaccessibile al crimine ed ai complotti dei malvagi; egli resterà buono fino alla fine, il suo coraggio non si smentirà mai finché non vedrà il suo nemico stramazzato dinanzi a lui. (S. Chrys.).
VIII.
ff. 9. – Il Re-Profeta ha fin qui ricordato il dovere dell’elemosina e parlato di un prestito caritatevole e di misericordia. Ora ci sono diversi gradi nell’elemosina: l’uno dà meno, l’altro con più liberalità. Qual è dunque questo uomo misericordioso di cui egli parla? È colui che dà del suo superfluo, o colui che distribuisce i suoi beni senza riserva? È evidente che è colui che dissipa tutte le sue risorse, che spande i suoi beni con una pia profusione, e del quale S. Paolo parla in questi termini: « Colui che semina nelle benedizioni, raccoglierà anche le benedizioni. » (II Cor. IX, 6). C’è la profusione ridicola del lusso e della vanità, perché non quella della misericordia? (S. Chrys.). – Il ricco liberale deve spandere le sue ricchezze come il sole spande i suoi raggi. « Il giorno rischiara egualmente tutti gli uomini, il sole dissemina dappertutto i suoi raggi, la pioggia versa su tutte le parti della terra le sue acque fecondanti, il vento soffia su tutti i punti del pianeta, la luce delle stelle e della luna è comune a tutti gli uomini. L’uomo liberale, spandendo con profusione su tutti le larghezze della carità, è imitatore di Dio, suo Padre. » (S. Cypriano, De opere et clem.). – Egli è ancora come il lavoratore che spande la sua semenza su tutta la superficie del suo campo: « Seminate per voi nella giustizia, e raccogliete nella misericordia. » (Osea, X, 12). Siate un lavoratore spirituale, seminate ciò che deve essere produttivo. È una buona semenza quella che si getta nel cuore delle vedove. Se la terra vi rende al centuplo la semenza che ha ricevuto, quali frutti ben più abbondanti renderà la misericordia a colui che ne pratica le opere? (S. Ambr. De Nab. 7). – Il ricco liberale che spande le sue ricchezze con liberalità, come il Signore raccomanda per bocca del Profeta, le conserva; colui che invece le ritiene, senza darle, le vede passare nelle mani di altri. Se voi le conservate, cesserete di possederle, se le spandete con liberalità, le conserverete, (S. Bas. Homil. in div.). – Considerate la giustezza delle espressioni del Profeta. Egli non dice: … egli ha dato, ha distribuito, ma: « Egli ha largheggiato, » per esprimere la liberalità di colui che dona, liberalità che compare nell’azione del seminare. Che fanno coloro che seminano? Essi spandono la loro semenza che tengono in riserva, sacrificano un bene certo nella speranza di un bene futuro. In questo essi fanno meglio che non ammassare, accumulare: meglio è spandere in tal modo, che accumulare incessantemente. Voi seminate il vostro denaro, ma raccoglierete la giustizia, voi spandete delle ricchezze passeggere per acquisire dei beni immortali. (S. Chrys.). – Questa espressione sembra racchiudere ancora un esempio ed un consiglio. Come regola generale, è meglio dare poco a molti che dare molto a pochi; perché è questo il mezzo di provvedere alle varie necessità di un gran numero ed impedirne l’abuso; è meglio variare le proprie opere, estendere la propria commiserazione, far progredire i propri benefici, piuttosto che concentrarli sempre. Questa saggia liberalità ci è profittevole perché, se la fortuna diminuisce per le elemosine, la giustizia, che ne è il frutto, aumenta e non è una giustizia passeggera, ma una giustizia che resta in tutti i secoli. (Mgr. Pichenot Ps. di D.). – Di qual valore sono questi beni invisibili, che ognuno può acquistare a prezzo di ciò che possiede? « È perché il giusto ha diffuso i suoi doni ai poveri. » Egli non vedeva ciò che comprava e non lasciava ricomprare; ma Colui che aveva fame e sete sulla terra, nella persona dei poveri, gli conservava un tesoro nel cielo. Non è dunque da meravigliarsi che « che la sua giustizia resta nei secoli dei secoli, » poiché essa è sotto la custodia del Creatore dei secoli. « La sua forza sarà elevata in gloria, (Ps. CXI, 9), dopo che la sua umiltà sarà disprezzata dai superbi » (S. Agost.).
IX.
ff. 10. – La virtù è uno spettacolo triste ed importuno per gli uomini viziosi, perché essa è un rimprovero ed una condanna della loro malvagità. Ma vedete come il peccatore, tutto roso dall’invidia, non osa formulare accusa contro l’uomo giusto, né sostenere lo sguardo puro e limpido della virtù. Il dolore che lo rode interiormente si manifesta con il digrignar dei denti, ma non osa pronunciare una parola, e richiude dentro di sé il dolore che lo affligge (S. Chrys.). – « Il peccatore lo vedrà e si irriterà, » ma con un pentimento tardivo ed infruttuoso, perché contro chi si irriterà più di sé quando, vedendo elevato in gloria la forza di colui che avrà elargito doni ai poveri, dirà: « A cosa ci è servito il nostro orgoglio? A cosa ci sono valse le nostre ricchezze da cui traevamo tanta vanità? (Sap. V, 8). « Egli digrignerà i denti e si consumerà per il furore, » perché nell’inferno dove sarà piombato, ci sarà pianto e stridor di denti; perché non cresceranno né foglie, né rami per come ha fatto, se si fosse pentito in tempo opportuno; ma egli non si pentirà che « … quando il desiderio dei peccatori perirà, » senza che alcuna consolazione possa seguire a questo pentimento. Il desiderio dei peccatori perirà quando tutte le cose passeranno come un’ombra, quando il fieno sarà disseccato, il fiore del fieno cadrà (Isai. XI, 8); ma la parola del Signore, che resta per sempre, dopo aver subito le orgogliose provocazioni dei falsi felici, sarà una provocazione contro di loro, vera maledizione, quando saranno perduti per sempre (S. Agost.).