LA GRAZIA
(Note di teologia ascetica)
NATURA DELLA VITA CRISTIANA (3)
[A. Tanquerey: Compendio di Teologia ascetica a mistica – Desclée e Ci. Roma-Tournai – Parigi; 1948]
3° DELLA GRAZIA ATTUALE
Come nell’ordine di natura abbiamo bisogno del concorso di Dio per passare dalla potenza all’atto, così nell’ordine soprannaturale non possiamo porre in atto le nostre facoltà senza il soccorso della grazia attuale.
124. Ne esporremo: 1 ° la nozione; 2° il modo di operare; 3° la necessità.
A) La nozione. La grazia attuale è un aiuto soprannaturale e transitorio che Dio ci dà per illuminare la nostra intelligenza e fortificare la nostra volontà nella produzione degli atti soprannaturali.
a) Opera quindi direttamente sulle nostre facoltà spirituali, l’intelligenza e la volontà, non più soltanto per elevarle all’ordine soprannaturale, ma per metterle in moto e far loro produrre atti soprannaturali. Diamone un esempio: prima della giustificazione o dell’infusione della grazia abituale, ci illumina sulla malizia e sui terribili effetti del peccato per farcelo detestare. Dopo la giustificazione, ci mostra, alla luce della fede, l’infinita bellezza di Dio e la misericordiosa sua bontà per farcela amare con tutto il cuore.
b) Accanto però a queste grazie interne, ve ne sono altre che si chiamano esterne, le quali, operando direttamente sui nostri sensi e sulle nostre facoltà sensitive, indirettamente influiscono sulle nostre facoltà spirituali, tanto più che sono spesso accompagnate anche da veri aiuti interni. Cosi la lettura della Sacra Bibbia o d’un libro cristiano, l’ascoltazione di una predica, d’un pezzo di musica religiosa, d’una buona conversazione, sono grazie esterne: di per sé non fortificano la volontà, ma producono in noi delle impressioni favorevoli che scuotono l’intelletto e la volontà e li inclinano verso il bene soprannaturale. Dio, del resto, vi aggiungerà spesso dei movimenti interni che, illuminando l’intelletto e fortificando la volontà, ci aiuteranno potentemente a convertirci o a divenir migliori. È quanto possiamo dedurre dalle parole del libro degli Atti, che ci mostrano lo Spirito Santo che apre il cuore d’una donna chiamata Lidia, per renderla attenta alla predicazione di S . Paolo [Act. XVI, 14]. Dio poi, il quale sa che noi ci eleviamo dal sensibile allo spirituale, s’adatta alla nostra debolezza e si serve delle cose visibili per portarci alla virtù.
125. B) Suo modo di operare: a) La grazia attuale influisce su di noi in modo morale e fisico nello stesso tempo: in modo morale, con le persuasioni e le attrattive, come una madre che, per aiutare il bambino a camminare, dolcemente lo chiama e lo invita a sé promettendogli una ricompensa; in modo fisico, aggiungendo nuove forze alle nostre facoltà, troppo deboli per operare da sole, come fa una madre che prende per le braccia il suo bambino e l’aiuta, non solo con la voce ma anche col gesto, a fare qualche passo innanzi. Tutte le Scuole ammettono che la grazia operante opera fisicamente, producendo nell’anima nostra dei movimenti indeliberati; quando però si tratta della grazia cooperante, vi è tra le diverse scuole Teologiche qualche disparere, che del resto per la pratica non ha grande importanza: non entriamo in queste discussioni, perché non vogliamo fondare la nostra spiritualità su questioni controverse.
b) Sotto un altro aspetto, la grazia previene il nostro libero consenso o l’accompagna nel compimento dell’atto. Così mi nasce, per esempio, il pensiero di fare un atto d’amor di Dio senza che io abbia fatto nulla per suscitarlo: è una grazia preveniente, è un buon pensiero che Dio mi dà; se io l’accolgo bene e mi studio di produrre quest’atto d’amore, io lo faccio con l’aiuto della grazia adiuvante o concomitante. — Pari a questa distinzione è quella della grazia operante, per mezzo della quale Dio opera in noi senza di noi, e della grazia cooperante, per mezzo della quale Dio opera in noi e con noi, cioè colla nostra libera collaborazione.
126. C) Sua necessità. Il principio generale è che la grazia attuale è necessaria per ogni atto soprannaturale, perché vi dev’essere proporzione tra l’effetto e il suo principio.
a) Così, quando si tratta della conversione, vale a dire del passaggio dal peccato mortale allo stato di grazia, abbiamo bisogno d’una grazia soprannaturale per fare gli atti preparatorii di fede, di speranza, di penitenza e d’amore; e anche per l’inizio della fede, cioè per quei pio desiderio di credere che ne è il primo passo, b) Ed è pure per la grazia attuale che perseveriamo nel bene nel corso della nostra vita sino all’ora della morte. Per questo infatti: – 1) si deve resistere alle tentazioni che assalgono anche le anime giuste e che sono talvolta così insistenti e ostinate che non possiamo resistervi senza l’aiuto di Dio. Ecco perché Nostro Signore raccomanda agli apostoli, anche dopo l’ultima Cena, di vigilare e pregare, vale a dire di appoggiarsi non sui propri sforzi soltanto, ma sulla grazia per non soccombere alla tentazione [Matth. XXVI, 41].- 2) Si devono inoltre adempiere tutti i propri doveri, e lo sforzo energico, costante, richiesto da questo adempimento non può farsi senza l’aiuto della grazia: solo Colui che incominciò in noi l’opera della perfezione, può condurla a buon fine [Fil. I, 6]; solo l’Autore della nostra vocazione all’eterna salute ha diritto di darvi l’ultima mano. [Piet. V, 10].
127. E ciò è specialmente vero per la perseveranza finale che è un dono speciale e grande dono [Trident. Sess. VI, can. 16, 22, 23]: morire nello stato di grazia, non ostante tutte letentazioni che vengono ad assalirci in quell’ultimo momento, o sfuggire a queste lotte con una morte dolce o repentina che ci addormenti nel Signore è, a detta dei Concilii, la grazia delle grazie che non si potrà mai chiedere abbastanza, che non si può strettamente meritare, ma che si può ottenere con la preghiera e con la fedele cooperazione alla grazia, suppliciter emereri potest [S. Agost. De dono persev., VI, 10 P. L. XLV, 999]. c) e quando si vuole non solo perseverare, ma crescere ogni giorno più in santità, schivare i peccati veniali deliberati e diminuire il numero delle colpe di fragilità, non si dovrà pure far assegnamento sui divini favori? Pretendere che si possa stare a lungo senza commettere qualche peccato che ritardi il nostro avanzamento spirituale, è un andare contro l’esperienza delle anime migliori che si rimproverano così amaramente le loro debolezze, è un contradire S. Giovanni, che dichiara illusi quelli che pensano di non commettere peccati: “Si dixerimus quoniam peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, et veritas non est in nobis” [1 Joan. I, 8]; è un contradire il Concilio di Trento il quale condanna chi dicesse che l’uomo giustificato può, senza uno speciale privilegio divino [Sess. VI, can. 23] evitare in tutta la vita i peccati veniali.
128. La grazia attuale ci è dunque necessaria anche dopo la giustificazione; ed ecco perchè la S. Scrittura insiste tanto sulla necessità della preghiera, con cui quella si ottiene dalla misericordia divina, come spiegheremo più tardi. Possiamo pur ottenerla con atti meritori o, in altre parole, con la libera cooperazione alla grazia; perché quanto più siamo fedeli ad approfittarci delle grazie attuali che ci vengono largite, tanto più Dio si sente inclinato a concedercene delle nuove.
CONCLUSIONI.
129. 1° Dobbiamo dunque avere la più grande stima per la vita della grazia; è una vita nuova, una vita che ci unisce e ci rende simili a Dio, con tutto l’organismo necessario al suo esercizio. Ed è vita assai più perfetta della vita naturale. Se la vita intellettuale è molto superiore alla vita vegetativa e alla vita sensitiva, la vita cristiana è infinitamente superiore alla vita semplicemente razionale; questa infatti è dovuta all’uomo, posto che Dio si risolva a crearlo, mentre la vita della grazia supera tutte le attività e tutti i meriti delle creature anche più perfette. Qual creatura infatti potrebbe mai pretendere il diritto di divenire figlio adottivo di Dio, tempio dello Spirito Santo, e il privilegio di vedere Dio faccia a faccia come Dio vede se stesso? – Dobbiamo quindi stimare questa vita più di tutti i beni creati, e considerarla come il tesoro nascosto per il cui acquisto non si deve esitare a vendere tutto ciò che si possiede.
130. 2 ° Quando si possiede un tal tesoro, bisogna sacrificare ogni cosa piuttosto che esporci a perderlo. È questa la conclusione che ne trae il Papa S. Leone: “Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam, et, divina consors factus natura, noli in veterem vilitatem degeneri conversatione redire ” [Sermon. XXI]. Non vi è alcuno che più del Cristiano debba rispettare se stesso, non certo per ragione dei propri meriti, ma per ragione di quella vita divina a cui partecipa, e perché è tempio dello Spirito Santo, tempio santo di cui non si deve mai offuscare la bellezza: “Domum tuam decet sanctitudo in longitudinem dierum ” [Ps. XCII, 5].
131. 3° Anzi, è evidente che dobbiamo pure utilizzare, coltivare quest’organismo soprannaturale di cui siamo dotati. Se piacque alla divina bontà di elevarci ad uno stato superiore, di darci largamente virtù e doni che perfezionano le nostre facoltà naturali, se ad ogni istante ci offre la sua collaborazione per metterli in opera, sarebbe un mal corrispondere a tanta liberalità il rigettar questi doni col non voler fare che atti naturalmente buoni o col non far produrre alla vigna dell’anima nostra che frutti imperfetti. Quanto più il donatore si mostrò generoso, tanto più s’aspetta da noi una collaborazione attiva e feconda. Il che apparirà anche meglio quando avremo veduto la parte che ha Gesù nella vita cristiana.
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§ II. L’aumento della vita spirituale per mezzo del merito.
228. Noi progrediamo per mezzo della lotta contro i nostri nemici, ma più ancora con gli atti meritori che facciamo ogni giorno. Ogni opera buona, fatta liberamente da un’anima in stato di grazia per un fine soprannaturale, possiede un triplice valore, meritorio, soddisfattorio e impetratorio, che contribuisce al nostro progresso spirituale.
a) Un valore meritorio, col quale aumentiamo il nostro capitale di grazia abituale e i nostri diritti alla gloria celeste: ne riparleremo subito.
b) Un valore sodisfattorio, che inchiude a sua volta un triplice elemento: 1) la propiziazione, che per ragion del cuore contrito ed umiliato ci rende propizio Dio e l’inclina a perdonarci le colpe.
2 ) l’espiazione che, con l’infusione della grazia, cancella la colpa;
3) la soddisfazione che, per il carattere penoso annesso alle nostre buone opere, annulla in tutto o in parte la pena dovuta al peccato. Questi felici risultati non sono prodotti soltanto dalle opere propriamente dette ma anche dall’accettazione volontaria dei mali e dei patimenti di questa vita, come insegna il Concilio di Trento [Sess. XIV; il quale aggiunge che vi è in questo un gran segno del divino amore. Che cosa infatti di più consolante che poterci giovare di tutte le avversità per purificar l’anima e unirla più perfettamente a Dio?
c) Finalmente queste opere hanno pure un valore impetratorio, in quanto contengono una domanda di nuove grazie rivolta all’infinita misericordia di Dio. Come ben fa notare S. Tommaso, si prega non solo quando in modo esplicito si presenta una supplica a Dio, ma anche quando con uno slancio del cuore o con le opere si tende a Lui, così che prega sempre colui che l’intera sua vita tiene sempre ordinata a Dio: “tamdiu homo orat quamdiu agit corde, ore vel opere ut in Deum tendat, et sic semper orat quitotam suam vitam in Deum ordinat “ [In Romanos, cap. I, 9-10]. Infatti questo slancio verso Dio non è forse una preghiera, un’elevazione dell’anima verso Dio e un mezzo efficacissimo per ottenere da Lui quanto desideriamo per noi e per gli altri? – Per lo scopo che ci proponiamo, ci basterà esporre la dottrina sul merito dicendone: 1° la natura; 2° le condizioni che ne aumentano il valore.
I . La natura del merito.
Due punti sono da spiegare: 1° che cos’è il merito; 2° in che modo le nostre azioni sono meritorie.
1° CHE COS’È IL MERITO.
229. A) Il merito in generale è il diritto a una ricompensa. Il merito soprannaturale, di cui qui trattiamo, sarà dunque il diritto a una ricompensa soprannaturale, vale a dire a una partecipazione alla vita di Dio, alla grazia e alla gloria. Non essendo Dio tenuto a farci partecipare alla sua vita, occorrerà una promessa da parte sua per conferirci un vero diritto a questa ricompensa soprannaturale. Si può quindi definire il merito soprannaturale: un diritto a una ricompensa soprannaturale, che risulta da un’opera soprannaturalmente buona, fatta liberamente per Dio, e da una promessa divina che garantisce questa ricompensa.
230. B) Il merito è di due specie : a) il merito propriamente detto (che si chiama de condigno), al quale la retribuzione è dovuta per giustizia, perché vi è una specie d’uguaglianza o di proporzione reale tra l’opera e la retribuzione; b) il merito di convenienza (de congruo), che non si fonda sulla stretta giustizia ma su un’alta convenienza, essendo l’opera solo in piccola misura proporzionata alla ricompensa. Per dare un’idea approssimativa di questa differenza, si può dire che il soldato che si diporta valorosamente sul campo di battaglia, ha uno stretto diritto al soldo di guerra, ma solo un diritto di convenienza ad essere citato nel bollettino di guerra o ad essere decorato.
C) Il Concilio di Trento insegna che le opere dell’uomo giustificato meritano veramente un aumento di grazia, la vita eterna, e, se muore in questo stato, il conseguimento della gloria [Jac. I, 12].
231. D) Richiamiamo brevemente le condizioni generali del merito: a) L’opera, per essere meritoria, dev’essere libera; infatti se si opera per forza o per necessità, non si è moralmente responsabile dei propri atti, b) Deve essere soprannaturalmete buona, per aver proporzione colla ricompensa; c) e, quando si tratta di merito propriamente detto, dev’essere fatta in stato di grazia, perché è la grazia che fa abitare e vivere Cristo nell’anima nostra e la rende partecipi dei suoi meriti; d) fatta nel corso della vita mortale o viatoria, avendo Dio sapientemente determinato che, dopo un periodo di prova in cui possiamo meritare o demeritare, arrivassi al termine, dove si resta fissati per sempre nello stato in cui si muore. A queste condizioni da parte dell’uomo si aggiunge, da parte di Dio, la promessa che ci dà un vero diritto alla vita eterna; secondo S. Giacomo infatti “il giusto riceve la corona di vita che ha promesso a coloro che l’amano: Accipiet corone vitæ quam repromisit Deus diligentibus se “ [Jac. I, 22].
2° COME GLI ATTI MERITORI AUMENTANO LA GRAZIA E LA GLORIA.
232. Pare difficile a prima vista capire come atti semplicissimi, comunissimi, ed essenzialmente transitori, possano meritare la vita eterna. La difficoltà sarebbe insolubile se questi atti provenissero solo da noi; ma in verità si è in due a farli, sono il risultato della cooperazione di Dio e della volontà umana, il che spiega la loro efficacia: Dio, coronando i nostri meriti, corona pure i suoi doni, avendo in questi meriti una parte preponderante. Spieghiamo dunque la parte di Dio e quella dell’uomo e così intenderemo meglio l’efficacia degli atti meritori.
A) Dio è la causa principale e primaria dei nostri meriti: “Non sono io che opero – dice S. Paolo [1 Cor. XV, 10] – ma la grazia di Dio con me: Non ego, sed gratia Dei mecum. È Dio infatti che crea le nostre facoltà, che le eleva allo stato soprannaturale perfezionandole con le virtù e coi doni dello Spirito Santo; è Dio che con la grazia attuale, preveniente e adiuvante, ci sollecita a fare il bene e ci aiuta a farlo; Egli è dunque la causa primaria che mette in moto la nostra volontà e le dà forze nuove per abilitarla a operare soprannaturalmente.
233. B) Ma la nostra libera volontà, rispondendo alle sollecitazioni di Dio, agisce sotto l’influsso della grazia e delle virtù, e diviene quindi causa secondaria ma reale ed efficiente dei nostri atti meritori, perché siamo i collaboratori di Dio. Senza questo libero consenso non c’è merito; in cielo non meritiamo più, perché là non possiamo non amare Dio che chiaramente vediamo essere bontà infinita e fonte della nostra beatitudine. D’altra parte anche la nostra cooperazione è soprannaturale: per mezzo della grazia abituale noi siamo divinizzati nella nostra sostanza, per mezzo delle virtù infuse e dei doni lo siamo nelle nostre facoltà, e per mezzo della grazia attuale anche nei nostri atti. Vi è quindi vera proporzione tra le nostre azioni, divenute deiformi, e la grazia che è essa pure una vita deiforme o la gloria che non è se non lo sviluppo di questa stessa vita. E’ vero che questi atti sono transitori e la gloria è eterna; ma poiché nella vita naturale atti che passano producono abiti e stati psicologici che restano, è giusto che nell’ordine soprannaturale avvenga lo stesso, che i nostri atti di virtù, producendo nell’anima una disposizione abituale ad amar Dio, siano ricompensati con una durevole ricompensa; ed essendo l’anima nostra immortale, conviene che la ricompensa non abbia fine.
234. C) Si potrebbe certamente obiettare che non ostante questa proporzione, Dio non è tenuto a darci una ricompensa così nobile e duratura con la grazia e la gloria. Il che concediamo senza difficoltà e riconosciamo che Dio, nella sua infinita bontà, ci dà più di quanto meritiamo; non sarebbe quindi tenuto a farci godere dell’eterna visione beatifica se non ce l’avesse promesso. Ma Ei l’ha promesso per il fatto stesso d’averci destinato a un fìne soprannaturale; la qual promessa ci è più volte ricordata nella S. Scrittura, dove la vita eterna ci viene presentata come ricompensa promessa ai giusti e come corona di giustizia: “coronam quam repromisit Deus diligentibus se… corona justititiæ quam reddet mihi justus judex ” [Jac. I, 12]. Quindi il Concilio di Trento dichiara che la vita eterna è nello stesso tempo una grazia misericordiosamente promessa da Gesù Cristo, e una ricompensa che, in virtù della promessa di Dio, è fedelmente concessa alle buone opere ed ai meriti [Sess. VI, c. 16].
235. Per ragione appunto di questa promessa si può conchiudere che il merito propriamente detto è qualche cosa di personale: per noi e non per gli altri meritiamo la grazia e la vita eterna, perché la divina promessa non va oltre. — La cosa va ben diversamente per Gesù Cristo, il quale, essendo stato costituito capo morale dell’umanità, in virtù di quest’ufficio meritò per ognuno dei suoi membri, e meritò in senso stretto. – Possiamo certamente meritare anche per gli altri, ma solo con merito di convenienza; il che è già cosa molto consolante, perché cotesto merito viene ad aggiungersi a ciò che meritiamo per noi stessi e ci fa così capaci, lavorando alla nostra santificazione, di cooperare pure a quella dei nostri fratelli. Vediamo ora quali sono le condizioni che aumentano il valore dei nostri atti meritori.
II. Condizioni che aumentano il nostre merito.
236. Queste condizioni si traggono dalle varie cause che concorrono a produrre gli atti meritori e quindi da Dio e da noi. Quanto a Dio, possiamo fare assegnamento sulla sua liberalità, perché è sempre magnifico nei suoi doni. Onde la nostra attenzione deve principalmente rivolgersi alle nostre disposizioni: vediamo ciò che può renderle migliori sia da parte della persona che merita, come da parte dell’atto meritorio.
I. CONDIZIONI TRATTE DALLA PERSONA.
237. Quattro sono le condizioni principali che contribuiscono all’aumento dei meriti: il grado di grazia abituale o di carità; — l’unione con Nostro Signore; — la purità d’intenzione; — il fervore.
a) Il grado di grazia santificante. Per meritare in senso proprio, bisogna essere in stato di grazia: quindi quanta più grazia abituale possediamo, tanto più, a parità di condizioni, siamo atti a meritare. È vero che alcuni teologi lo negarono sotto pretesto che questa quantità di grazia non influisce sempre sui nostri atti per renderli migliori, e che anche certe anime sante operano talora con negligenza e imperfezione. Ma la dottrina comune è quella che sosteniamo.
1) Infatti il valore d’un atto, anche presso gli uomini, dipende in gran parte dalla dignità della persona che opera e dal credito che gode presso Colui che deve ricompensarla. Ora ciò che fa la dignità d’un Cristiano e gli dà credito sul cuore di Dio è il grado di grazia o di vita divina a cui è elevato; è questa la ragione per cui i Santi del cielo o della terra hanno un potere d’intercessione così grande. Se quindi possediamo un grado di grazia più alto, ne viene che agli occhi di Dio valiamo più di quelli che ne hanno meno, che maggiormente gli piacciamo, e che per questo capo le nostre azioni sono più nobili, più accette a Dio e quindi più meritorie.
2) Ma poi ordinariamentee normalmente questo grado di grazia avrà un felice influsso sulla perfezione dei nostri atti. Vivendo di vita soprannaturale più abbondante, amando Dio con amore più perfetto, siamo portati a far meglio le nostre azioni, a mettervi più carità, ad essere più generosi nei nostri sacrifizi; le quali disposizioni, come tutti ammettono, aumentano certamente i nostri meriti. Né si dica che talora avviene il contrario; si ha in tal caso l’eccezione non la regola generale, e noi ne abbiamo tenuto conto aggiungendo: a parità di condizioni. – Quanto consolante è questa dottrina! Moltiplicando gli atti meritori, aumentiamo ogni giorno il nostro capitale di grazia; questo capitale a sua volta ci aiuta a mettere maggior amore nelle nostre opere, onde acquistano maggior valore per accrescere la nostra vita soprannaturale: Qui justus est, justificetur adhuc.
238. b) Il grado d’ unione con Nostro Signore.
È cosa evidente: la fonte del nostro merito è Gesù Cristo, Autore della nostra santificazione, causa meritoria principale di tutti i beni soprannaturali, capo d’un Corpo mistico di cui noi siamo le membra. Quanto più vicini siamo alla sorgente, tanto più riceviamo della sua pienezza; quanto più ci accostiamo all’Autore di ogni santità, tanto maggior grazia riceviamo; quanto più siamo uniti al capo, tanto più riceviamo da Lui moto e vita. E non è ciò che dice Nostro Signore stesso in quel bel paragone della vite? “lo sono la vite, voi i tralci… chi rimane in me ed Io in lui, questi porta gran frutto: Ego sum vitis vera, vos pahnites… qui manet in me, et ego in eo, hic feri fructum multum” [Joan. XV, 1-6]. – Uniti a Gesù come i tralci al ceppo, noi riceviamo tanto maggior linfa divina quanto più abitualmente, più attualmente, più strettamente siamo uniti al ceppo divino. Ecco perché le anime fervorose o che tali vogliono divenire, cercarono sempre un’unione ognor più intima con Nostro Signore; ecco perché la Chiesa stessa ci chiede di fare le nostre azioni per Lui, con Lui, in Lui: per Lui, per Ipsum, perché “nessuno va al Padre senza passar per Lui, nemo venit ad Patrem nisi per me ” [Joan. XIV, 6]; con Lui, cum Ipso, operando con Lui, perché si degna di essere il nostro collaboratore; in Lui, in Ipso, vale a dire nella sua virtù, nella sua forza, e soprattutto nelle sue intenzioni, non avendone altre che le sue. – Gesù allora vive in noi, ispira i nostri pensieri, i nostri desideri, le nostre azioni, tanto da poter dire con S. Paolo: “Io vivo, non più io, ma vive in me Gesù: Vivo autem, jam non ego, vivit vero in me Christus” [Galat. II, 20] . È chiaro che opere fatte sotto l’influsso e l’azione vivificante di Cristo, con l’onnipotente sua collaborazione, hanno un valore incomparabilmente più grande che se fossero fatte da noi soli. Quindi in pratica bisogna unirsi spesso, massime al principio delle nostre azioni, a N. S. GesùCristo e alle sue così perfette intenzioni, con la piena coscienza della nostra incapacità a far nulla di bene da noi stessi e con l’incrollabile fiducia ch’Egli può rimediare alla nostra debolezza.
239. C) La purità d’intenzione o la perfezione del motivo che ci fa operare. Molti teologi dicono che perché le nostre azioni siano meritorie basta che siano ispirate da un motivo soprannaturale di timore, di speranza o d’amore. S. Tommaso vuole certamente che siano fatte sotto l’influsso almeno virtuale della carità, ossia in virtù d’un atto d’amor di Dio posto precedentemente e il cui influsso persevera. Ma aggiunge che questa condizione si avvera in tutti coloro che sono in stato di grazia e compiono un atto lecito: “Habentibus caritatem omnis actus est meritorius vel demeritorius” [De malo, q. 2, a. 5, ad 7] . Ogni atto buono infatti si riconduce ad una virtù; ora ogni virtù converge alla carità, essendo essa la regina che comanda a tutte le virtù, come la volontà è la regina di tutte le facoltà. La carità, sempre attiva, ordina a Dio tutti i nostri atti buoni e vivifica tutte le virtù dando loro la forma. Tuttavia, se vogliamo che i nostri atti diventino meritori quanto più è possibile, occorre una purità d’intenzione molto più perfetta e attuale. L’intenzione è la cosa principale nei nostri atti, è l’occhio che li illumina e li dirige al debito fine, è l’anima che li ispira e dà loro valore agli occhi di Dio“Si oculus tuus fuerit simplex, totum corpus lucidum erit” . Ora tre elementi danno alle nostre intenzioni un valore speciale.
240. 1) Essendo la carità la regina e la forma delle virtù, ogni atto ispirato dall’amor di Dio e del prossimo avrà assai maggior merito di quelli ispirati dal timore o dalla speranza. Conviene quindi che tutte le nostre azioni siano fatte per amore: così diventano, anche le più comuni (come il pasto e la ricreazione), atti di carità, e partecipano al valore di questa virtù, senza perdere il proprio; mangiar per rifarsi le forze è motivo onesto e in un Cristiano anche meritorio; ma rifarsi le forze per meglio lavorare per Dio e per le anime, è motivo di carità assai superiore che nobilita quest’atto e gli conferisce un valore meritorio molto più grande.
241. 2) Poiché gli atti di virtù informati dalla carità non perdono il proprio valore, ne viene che un atto fatto con più intenzioni insieme sarà più meritorio. Così un atto d’obbedienza ai superiori fatto per doppio motivo, per rispetto alla loro autorità e nello stesso tempo per amor di Dio considerato nella loro persona, avrà il doppio merito dell’obbedienza e della carità. Uno stesso atto può quindi avere un triplice, un quadruplice valore: detestando i miei peccati perché hanno offeso Dio, io posso avere l’intenzione di praticare nello stesso tempo la penitenza, l’umiltà e l’amor di Dio; onde quest’atto è triplicemente meritorio. È quindi cosa utile proporsi più intenzioni soprannaturali; ma si eviti di dar negli eccessi col cercare troppo affannosamente intenzioni multiple, il che turba l’anima. Abbracciare quelle che spontaneamente ci si presentano e subordinarle alla divina carità, è questo il mezzo di aumentare i propri meriti senza perdere la pace dell’anima.
242. La volontà dell’uomo essendo volubile, è necessario esprimere e rinnovar spesso le intenzioni soprannaturali; altrimenti potrebbe accadere che un atto cominciato per Dio continuasse sotto l’influsso della curiosità, della sensualità o dell’amor proprio, e perdesse così una parte del suo valore; dico una parte, perché queste intenzioni sussidiarie non distruggendo interamente la principale, l’atto non cessa d’essere soprannaturale e meritorio nel suo complesso. Quando una nave, salpando da Genova, fa rotta per New York, non basta dirigere la prora una volta per sempre verso questa città; ma poiché la marea, i venti e le correnti tendono a farla deviare, bisogna continuamente ricondurla, per mezzo del timone, verso la meta. Così è della nostra volontà; non basta ordinarla una volta, e neppure ogni giorno, a Dio; le umane passioni e le influenze esterne la faranno deviar presto dalla diritta via; bisogna spesso con atto esplicito ricondurla verso Dio e verso la carità. Così le nostre intenzioni restano costantemente soprannaturali, anzi perfette e assai meritorie, specialmente se vi aggiungiamo il fervore nell’operare.
243. d) L’intensità o Il fervore con cui si opera. Si può infatti operare, anche facendo il bene con negligenza, con poco sforzo, o invece con slancio, con tutta l’energia di cui si è capaci, utilizzando tutta la grazia attuale messa a nostra disposizione. È chiaro che il risultato in questi due casi sarà ben diverso. Se si opera con negligenza non si acquistano che pochi meriti e talvolta anche uno si rende colpevole di qualche colpa veniale, la quale del resto non distrugge tutto il merito; se invece uno prega, lavora, si sacrifica con tutta l’anima, ognuna delle fatte azioni merita una quantità considerevole di grazia abituale. Senza entrar qui in ipotesi poco sicure, si può dire con certezza che, rendendo Dio il cento per uno di ciò che si fa per Lui, un’anima fervorosa acquista ogni giorno un numero considerevolissimo di gradi di grazie e diviene così in poco tempo molto perfetta, secondo l’osservazione della Sapienza: “Perfezionatosi in breve, compì una lunga carriera; – Consummatus in brevi, explevit tempora multa” [Sap. IV, 13]. Qual prezioso incoraggiamento al fervore, e come torna conto rinnovar spesso gli sforzi con energia e perseveranza!
2. CONDIZIONI TRATTE DALL’OGGETTO O DALL’ATTO STESSO.
244. Non le sole disposizioni della persone aumentano il merito, ma tutte le circostanze che contribuiscono a rendere l’azione più perfetta. Le principali sono quattro:
a) L’eccellenza dell’ oggetto o dell’atto che compie. Vi è gerarchia nelle virtù: le virtù teologali sono più perfette delle virtù morali, quindi atti di fede, di speranza e massime quelli di carità sono più meritori degli atti di prudenza, di giustizia di temperanza, ecc. Ma, come abbiamo detto, questi ultimi possono, per ragione dell’intenzione, diventare atti d’amore e parteciparne quindi lo speciale valore. Similmente gli atti di religione, che tendono direttamente alla gloria di Dio, sono più perfetti di quelli che hanno per fine diretto la nostra santificazione.
b) Per certe azioni, la quantitàpuò influire sul merito; così, a parità di condizioni, un dono generoso di mille lire sarà più meritorio di uno di dieci centesimi. Ma si tratti di quantità relativa; l’obolo della vedova, che si priva d’una parte del necessario, moralmente vale di più della ricca offerta di colui che si spoglia d’una parte del superfluo.
e) Anche la duratarende l’azione più meritoria: pregare, soffrire per un’ora vale più che farlo per cinque minuti, perché questo prolungamento esige maggiore sforzo e maggior amore.
245. d) La difficoltà dell’atto, non per sé stessa ma in quanto richiede maggior amor di Dio, sforzo più energico e più sostenuto, quando non provenga da imperfezione attuale della volontà, accresce anch’essa il merito. Così resistere a una tentazione violenta è più meritorio che resistere a una tentazione leggiera; praticare la dolcezza quando si ha un temperamento portato alla collera e quando si è frequentemente provocati da chi ci sta attorno, è più difficile e più meritorio che farlo quando si ha un naturale dolce e timido e si è circondati da persone benevoli. Non se ne deve però conchiudere che la facilità, acquistata con ripetuti atti di virtù, diminuisca necessariamente il merito; questa facilità, quando uno se ne giovi per continuare e anche aumentare lo sforzo soprannaturale, favorisce l’intensità o il fervore dell’atto, e sotto quest’aspetto aumenta il merito, come abbiamo già spiegato. Come unbuon operaio, perfezionandosi nel suo mestiere, evita ogni sciupio di tempo, di materia e di forza e ottiene maggior frutto con minor fatica; così un Cristiano che sa meglio servirsi degli strumenti di santificazione, evita le perdite di tempo, molti sforzi inutili, e con minor fatica guadagna maggiori meriti. I Santi, che con la pratica delle virtù riescono a fare più facilmente degli altri atti di umiltà, d’obbedienza, di Religione, non ne hanno minor merito per il fatto che praticano più facilmente e più frequentemente l’amor di Dio; e d’altra parte essi continuano a fare sforzi e sacrifici nelle circostanze in cui sono necessari. In conclusione, la difficoltà accresce il merito, non in quanto è ostacolo da vincere ma in quanto eccita maggiore slancio e maggioramore. – Aggiungiamo solamente che queste condizionioggettive non influiscono realmente sul merito se non in quanto sono liberamente accettate e volute e reagiscono quindi sulla perfezione delle interne nostre disposizioni.
CONCLUSIONE.
246. La conclusione che spontaneamente ne viene è la necessità di santificare tutte e ciascuna delle nostre azioni, anche le più comuni. Come infatti abbiamo detto, possono essere tutte meritorie, se le facciamo con mire soprannaturali, in unione con l’Operaio di Nazareth, il quale, lavorando nella sua bottega, meritava continuamente per noi. E se è così, qual progresso non possiamo fare in un sol giorno! Dal primo svegliarsi del mattino fino al riposo della sera, centinaia di atti meritori un’anima raccolta e generosa può compire; perché non solo ogni azione, ma, quando si prolunga, ogni sforzo per farla meglio, per esempio, per cacciar le distrazioni nella preghiera, per applicare la mente al lavoro, per schivare una parola poco caritatevole, per rendere al prossimo il minimo servizio; ogni parola ispirata dalla carità; ogni buon pensiero da cui si trae profitto; in una parola, tutti i movimenti interni dell’anima liberamente diretti verso Dio, sono altrettanti atti meritori che fanno crescere Dio e la grazia nell’anima nostra.
247. Si può quindi dire con tutta verità che non c’è mezzo più efficace, più pratico, più facile a tutti per santificarsi, che rendere soprannaturali tutte le proprie azioni; questo mezzo basta da solo ad elevare in breve tempo un’anima al più alto grado di santità. Ogni atto è allora un germe di grazia, perché la fa germogliare e crescere nell’anima, e un germe di gloria, perché aumenta nello stesso tempo i nostri diritti alle beatitudine celeste.
248. Il mezzo praticodi convertire a questo modo tutti i nostri atti in meriti, è di raccoglierciun momento prima di operare, di rinunziare positivamente a ogni intenzione naturale o cattiva, di unirci a Nostro Signore, nostro modello e nostro mediatore, col sentimento della nostra impotenza, e offrire pei mezzo di Lui le nostre azioni a Dio per la gloria sua e per il bene delle anime; cosi intesa l’offerta spesso rinnovata delle nostre azioni è un atto di rinunzia, di umiltà, di amore a Nostro Signore, di amore di Dio, di amore del prossimo; è un’accorciatoia per giungere alla perfezione. A pervenirvi più efficacemente abbiamo pure a nostra disposizione i Sacramenti.
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