SALMI BIBLICI: “QUEMADMODUM DESIDERAT CERVUS” (XLI)

SALMO 41:”QUEMADMODUM desiderat cervus”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 41 (1)

In finem. Intellectus filiis Core.

[1] Quemadmodum desiderat cervus

ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus.

[2] Sitivit anima mea ad Deum fortem, vivum; quando veniam, et apparebo ante faciem Dei?

[3] Fuerunt mihi lacrimæ meæ panes die ac nocte, dum dicitur mihi quotidie: Ubi est Deus tuus?

[4] Hæc recordatus sum, et effudi in me animam meam, quoniam transibo in locum tabernaculi admirabilis, usque ad donum Dei, in voce exsultationis et confessionis, sonus epulantis.

[5] Quare tristis es, anima mea? et quare conturbas me? Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus.

[6] Ad meipsum anima mea conturbata est; propterea memor ero tui de terra Jordanis, et Hermoniim a monte modico.

[7] Abyssus abyssum invocat, in voce cataractarum tuarum; omnia excelsa tua, et fluctus tui super me transierunt.

[8] In die mandavit Dominus misericordiam suam, et nocte canticum ejus;

[9] apud me oratio Deo vitæ meæ. Dicam Deo: Susceptor meus es; quare oblitus es mei? et quare contristatus incedo, dum affligit me inimicus?

[10] Dum confringuntur ossa mea, exprobraverunt mihi qui tribulant me inimici mei, dum dicunt mihi per singulos dies: Ubi est Deus tuus?

[11] Quare tristis es, anima mea? et quare conturbas me? Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus.

[Vecchio Testamento Secondo la VolgataTradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XLI (1)

Ardente desiderio di Davide di giungere alla visione di Dio, eterna felicità, trovandosi nei travagli dell’esilio. Nel suo desiderio si ravvisano gli argomenti dell’amor di Dio. — I figliuoli di Core, a cui  davasi il Salmo a cantare, doveano intendere essi  e far intender agli altri i sensi del Salmo stesso.

Per la fine; salmo d’intelligenza ai figliuoli di Core.

1. Come il cervo desidera le fontane di acqua, così te desidera, o Dio, l’anima mia. (2)

2. L’anima mia ha sete di Dio forte, vivo; e quando sarà ch’io venga, e mi presenti dinanzi alla faccia di Dio?

3. Mio pane furono le mie lacrime e notte e giorno, mentre a me si diceva: il Dio tuo dov’è?

4. Tali cose teneva io in memoria; ma dilatai in me l’anima mia; perocché io passerò al luogo del tabernacolo ammirabile, fino alla casa di Dio: dove voci di esultazione e di laude, festosi suoni di que’ che sono al banchetto.

5. Perché mai, o anima mia, sei tu afflitta, e perché mi conturbi? Spera in Dio, perocché ancora canterò le laudi di lui, salute della mia faccia e mio Dio.

6. Dentro di me è turbata l’anima mia; per questo mi ricorderò di te nel paese, che è dal Giordano fino a Hermon e alla piccola collina.

7. L’abisso chiama l’abisso al rumore delle tue cateratte. Tutte le tue procelle e i tuoi flutti son passati sopra di me. (3)

8. Nel giorno il Signore ordinerà che venga la sua misericordia, e la notte a lui darò laude. Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita;

9. Dirò a Dio: Tu se’ mio aiuto. Perché ti sei scordato di me, e perché vo io contristato, mentre il nimico mi affligge?

10. Mentre sono spezzate le ossa mie, dicono a me improperii que’ nemici che mi perseguitano; dicendomi ogni dì: dov’è il tuo Dio?

11. Anima mia, perché ti rattristi e ti conturbi? Spera in Dio, perocché ancora canterò le lodi di lui, salute della mia faccia e Dio mio.

(1). Il secondo Libro dei Salmi, che comincia dal XLI, comprende trent’uno salmi, dei quali i primi 8 sono dei figli di “Core”, e tutti gli altri, eccetto il 49 di Asaf, ed il 71, attribuito a Salomone, sono di Davide, di cui quasi tutti portano il nome. Questa collezione sembra essere stata compilata verso il ventesimo anno del regno di Ezechia, dai figli di Core, il cui nome si trova in cima ai primi salmi di questo libro. Essi avrebbero aggiunto ai loro, quelli che si conservano per tradizione orale o in famiglie separate, tra i musicisti del tempio. Nei salmi di questo libro Dio è designato ordinariamente con la parola Elohim, e raramente con Jehovah, al contrario dei primi libri (si comparino soprattutto i salmi XIII e LII, che non sono che uno solo), benché quasi tutti in questo secondo libro siano di Davide, come molti salmi del primo libro. Questo deriva dal fatto che la seconda raccolta è stata fatta in un periodo in cui la parola Jehovah cominciava ad essere per i Giudei il nome ineffabile, e quindi, nei Salmi, fino ad allora conservati solo dalla tradizione orale, la parola Elohim aveva già rimpiazzato il nome che non era più permesso pronunziare. Ora i Salmi sono scritti così come si cantavano allora. I salmi dal XLI al XLVIII sembrano essere riconducibili ai tempi di Ezechia, durante l’invasione di Sennacherib (Re, XVIII, 19, Paral. XXXIII, Ezech. XXXVI, 27). I Salmi XLI, XLVIII, salvo il XLIV ed il XLVIII, hanno un doppio senso letterale. Secondo il primo, essi cantano lo stato della Giudea prima e dopo la disfatta di Sennacherib. Nel secondo, essi abbracciano tutta la storia della Chiesa dalla caduta di Adamo fino all’ultimo giudizio. Tutti, salvo l’ultimo, possono applicarsi alle due venute di Gesù-Cristo, e soprattutto la seconda, alla quale si riferisce il Salmo XLVIII (Le Hir.). – Questi Salmi presentano tutte le bellezze più grandi, così come grandi difficoltà.

(2). La noia dell’isolamento nel rimpianto ardente della patria assente, la descrizione della terra straniera e la sua comparazione malinconica con il suolo natale, la speranza nell’avvenire, la speranza del ritorno mista e confusa al ricordo del passato in un toccante abbraccio: tali sono questi due Salmi, o piuttosto tali sono questi due Salmi XLI e XLII, pieni di tenerezza e di dolci lacrime, e da cui alcune armoniose rimembranze sono tutti i giorni ripetute nella Messa.

(3) Come l’abisso risponde all’abisso nel giorno in cui rumoreggiano la sue cataratte, esse, così dirompenti e come ondate, cioè le tribolazioni, sono passate sopra di me.

Sommario analitico

Davide, dopo aver considerato nei due Salmi precedenti la Passione e la Resurrezione di Gesù-Cristo, esprime qui l’ardente desiderio di provare l’eterna felicità contemplando il Salvatore nei cieli.

I. Egli esprime la vivacità, l’ardore dei suoi desideri, con l’aiuto di una doppia analogia.

1° del cervo che corre verso le sorgenti di acqua viva (1), 2° di un uomo che prova una sete ardente e come una sorta di impazienza sempre più grande di comparire davanti a Dio (2).

II – Egli fa conoscere la grandezza del suo dolore a causa del ritardo impiegato nel compirsi dei suoi desideri:

1° le sue lacrime scorrono notte e giorno (3); 2° la sua anima si scioglie in ferventi preghiere (4); 3° tuttavia conserva la speranza di vedere i suoi voti esauditi ed indica come essi saranno.

III – Egli si considera come in balìa alla tempesta, ed enumera tutte le ondate dalle quali è travolto:

1° egli è agitato da ondate di tristezza interiore, e ne indica i rimedi: – a) la speranza in Dio; – b) il suo amore e le sue lodi (5), c) – il pensiero che è il nostro Sanatore ed il ricordo cosante della sua presenza (6).

2° Egli è stato scosso dalle tentazioni raddoppiate del demonio (7).

3° Ha visto piombare su di lui tutte le calamità, sia quelle inviate direttamente da Dio, sia quelle che Egli ha semplicemente permesse. Ne attende il rimedio nella misericordia di Dio che: – a) dà una nuova forza all’anima; – b) la porta ad indirizzare a Dio ferventi preghiere; – c) produce una intera e perfetta fiducia in Dio (8, 9).

4° I flutti che lo circondano sono gli attacchi che gli portano i suoi nemici, i loro oltraggi, le loro derisioni, i loro rimproveri. Il rimedio è – egli lo ripete – la speranza in Dio che dissipa ogni tristezza (10, 11).

Spiegazioni e Considerazioni

I . — 1, 2.

ff. 1. – È normale per coloro che amano, non tenere il proprio amore segreto, ma far conoscere a tutti quelli che li circondano, l’ardore dal quale sono animati; perché l’amore è per sua natura come una fiamma ardente, che l’anima non può nascondere. Siccome la parola è incapace di esprimere il suo amore, il Re-Profeta cerca da ogni parte un esempio che possa farci comprendere questo amore e farci parte dei suoi trasporti (S. Chrys.). – Ma perché il salmista sceglie il cervo come termine di paragone? Il cervo possiede quattro qualità rimarchevoli: innanzitutto esso è nemico dei serpenti ed è continuamente in lotta con essi; in secondo luogo, quando è inseguito dai cacciatori, acquisisce una rapidità nella corsa sulle alte montagne più alte; poi esso osserva, per naturale istinto, quel che l’Apostolo raccomanda ai Galati, cioè « … portare i pesi gli uni degli altri », perché quando i cervi camminano nel branco, o attraversano i fiumi a nuoto, appoggiano la testa sui loro vicini; infine, affaticato dalla lotta contro i serpenti, o per le corse sulle alte montagne, cerca ardentemente l’acqua dalle fonti. Così è colui che ama Dio! (Bellarm.). – « Immaginate questo cervo che, inseguito da una muta di cani, non abbia più fiato, né gambe; come si getta avidamente sull’acqua che cerca, con quale ardore si slancia e si immerge in questo elemento. Sembra come se volesse volentieri fondere e tramutarsi in acqua, per gioire più pienamente di questa frescura. Oh! Quale unione del nostro cuore a Dio nell’alto del cielo dove, dopo questi desideri infiniti del vero bene, non più asserviti a questo mondo, troveremo la sorgente potente e vivente. Ecco allora, così come si vede un lattante affamato, incollato al fianco della madre e attaccato alla sua mammella, sollecitare avidamente questa dolce fontana di soave e desiderato nettare, e sembra quasi che voglia immergersi tutto nel seno materno, e succhiare il petto nel suo, così sarà la nostra anima, assetata totalmente dalla bruciante sete del bene, quando incontrerà la sorgente inesauribile nella Divinità, o vero Dio! Quale santo e divino ardore l’unirsi ed il congiungersi a queste mammelle feconde di ogni bontà, per essere tutto inabissato in essa ed essere un tutt’uno in noi » (S. Franc. De Sales, T. de l’am. de Dieu. L. III, C. XI.). – Dove si è mai visto questo desiderio di comparire davanti a Dio così vivamente espresso? Se non fosse soprannaturale, lo si troverebbe nelle preghiere di altre religioni; ma non è così, non lo sarà mai. Orazio predice ad Augusto che sarà un “dio”, cosa che è più che vedere Dio, ma gli consiglia di non affrettarsi, malgrado tutto il piacere che si possa avere nell’essere nell’olimpo: egli ha ragione, non occorre essere “dio” in questo modo se non il più tardi possibile (La Harpe). – Tutti, santi e peccatori, perfetti ed imperfetti, giovani e vecchi, innocenti o penitenti, uomini solitari o gente mondana, tutti devono incontrarsi nel santuario di questo amore di desiderio, tutti devono attingere alle acque di queste sorgenti celesti. Quale creatura ragionevole potrebbe non desiderare Dio con un ardore infinito ed irresistibile? Quale intelligenza creata non prova il bisogno di essere inondato dalla sua dolce luce? Quale volontà creata non langue in attesa dal momento in cui sarà abbracciata dal fuoco del suo amore estatico? Daniele è chiamato nella scrittura l’uomo del desiderio, magnifico titolo che ricorderà fino alla fine dei tempi l’ardore con il quale il Profeta cercava Dio. Come sarebbe bello vedere con gli occhi di qualche sublime intelligenza, come questo desiderio di Dio faccia la bellezza e l’ordine di tutta la sua creazione che tende verso di Lui, sia negli empirei spirituali della santità angelica, sia attraverso la terra ed i mari, le montagne e le valli del nostro pianeta, delle intelligenze e delle volontà senza numero, ognuna tracciante la propria strada nel movimento generale! È questo desiderio che salva e giustifica, che dà la corona e la gloria; è questo amore che i tremori di una santa paura rendono più elevato e squisito. È un amore che non solo ci fa desiderare Dio, ma ce Lo fa desiderare sopra ogni altra cosa, unicamente e sempre con intensità. Senza tiranneggiarci, esso ci attira a cercare esclusivamente Dio in tutte le cose di quaggiù, e a sospirare presso di Lui come se fosse Egli solo il magnifico avvenire che colmerà le nostre speranze nella vita futura (Faber, Le Createur et la creat., p. 184).

ff. 2. – Il cervo desidera le sorgenti d’acqua per dissetarvisi o per bagnarvisi, noi lo ignoriamo. Ascoltate cosa dice in seguito, ed il vostro dubbio cesserà: « La mia anima ha sete del Dio vivente ». Ma qual è questa sete? « Quando verrò e apparirò davanti al cospetto di Dio? » Ecco la mia sete di venire ed apparire davanti a Dio. Io ho sete nel mio viaggio, io ho sete nella mia corsa: arrivando sarò assetato. Ma: « quando arriverò? ». Ciò che è sollecito per Dio, è lento nell’arrivare per colui che desidera (S. Agost.). – Il profeta non dice: la mia anima ama Dio, o che abbia un’affezione per Dio; per meglio esprimerci la vivacità del suo amore, lo compara al bisogno della sete, per farci comprendere l’ardore e la continuità di questo amore. « La mia anima ha sete del Dio forte e vivente ». Sembra per far intendere questi rimproveri più in alto alle orecchie di coloro che sospirano dietro alle cose di questa vita. Perché questa passione insensata per la materia? Perché questo amore per le cose deperibili? Perché questa ambizione di gloria? Perché questi desideri della voluttà? Nessuna di queste cose dura e vive eternamente; esse tutte passano e spariscono con rapidità; esse sono più vane dell’ombra, più ingannevoli dei sogni, appassiscono e cadono più rapidamente dei fiori di primavera. Le une, in effetti, periscono per noi in questa vita, le altre ci lasciano anche prima di questo termine fatale. Il possesso ne è incerto, l’uso di breve durata, ed il cambiamento rapido. In Dio al contrario, nulla di simile: Egli vive e dimora eternamente, e non è soggetto ad alcun cambiamento, ad alcuna vicissitudine. Lasciamo tutte le nostre cose fragili ed effimere, per riporre il nostro amore solo in Colui la cui esistenza è eterna (S. Chrys.). – Desideriamo allora anche noi attingere vivamente alle sorgenti del Salvatore. In Lui ci sono diverse sorgenti, benché unica sia la sorgente; e San Bernardo si prende cura di nominarle: sorgente di misericordia, per lavare le nostre anime, sorgente di saggezza per estinguere la loro sete; sorgente di grazia, per fecondarle; sorgente bruciante di amore per riscaldarle. Ma a queste quattro prime, bisogna aggiungerne una quinta, quella sulla quale poggia l’eterna felicità, quella che Davide aveva visto in questo versetto del salmo: « … la mia anima ha sete di Dio, che è la sorgente vivente » (S. Bern.). – « Quando verrò e comparirò davanti a Dio? ». Vedete un’anima tutta infuocata e consumata dall’amore. Davide sa che egli deve vedere Dio all’uscita da questa vita, ma non può attendere questo momento, egli non può soffrirne il ritardo, e si mostra qui animato dallo stesso spirito dell’Apostolo, al quale la lunghezza del pellegrinaggio di questa vita strappa dei gemiti (S. Chrys.). – Quali sentimenti di intima dolcezza, di gioia ineffabile inondano e penetrano la nostra anima, quali lacrime rallegrano il nostro cuore, quando al ritorno da un lungo viaggio noi scorgiamo da lontano, sotto un cielo brumoso, su di un triste lido, la povera casa dove ci attende nostro padre, nostra madre; quando noi riconosciamo la nostra stessa madre che viene sulla soglia a contemplare questa strada alla quale ella da tanto tempo richiede suo figlio! E queste non sono che le gioie della terra. Che sarà, dunque, mio Dio, cosa sarà il ricordo di tutte le cose felici in questo mondo, quando noi ritorneremo non più nella casa di fango dei nostri genitori mortali, ma a questa casa che non è fatta da mani d’uomo, alla casa che vi siete preparata per l’eternità nei cieli; non più nel pergolato di questa vita piena di offese, ma nel palazzo della nostra santa origine e delle vostre immortali grandezze; … ma a Maria, la Madre del vostro amore le immortali grandezze; ma a Maria, la Madre del vostro amore, … a Gesù, che ha tanto sofferto per riscattarci; … ma a Voi per l’eternità, nostro Padre e Padre della nostra eternità! (L.V., Rome et Lorette, p. 180). « Quando verrò, e quando comparirò al cospetto di Dio? Quando spinterà questo giorno felice? … giorno di liberazione e di beatitudine senza fine? Quando cesserà il tempo dell’esilio, il tempo della speranza e delle lacrime? Quando vedrò declinare le ombre che nascondono ai miei sguardi la faccia di Dio che io amo? »

II. — 3, 4.

ff. 3. – Finora, mentre medito, corro, sono in cammino, prima che venga, che compaia davanti a Dio, « … le mie lacrime sono state per me un pane, giorno e notte » , quando mi si dice ogni giorno: « dov’è il tuo Dio? ». Le mie lacrime – egli dice – sono state per me non amarezze, ma un pane. Queste lacrime mi erano dolci nella sete in cui ero quando cercavo questa fonte alla quale non potevo ancora bere, e mangiavo con avidità le mie lacrime; perché egli non ha detto: le mie lacrime sono per me diventate una bevanda, per timore di sembrare di averle desiderate così come le sorgenti delle acque, ma conservando questa sete che brucia e mi precipita verso le sorgenti delle acque, le mie lacrime sono diventate il mio pane in tutto il tempo in cui stavo lontano dalla mia meta. E mangiando le sue lacrime, senza alcun dubbio, egli ha via via sempre più sete delle sorgenti. In effetti, giorno e notte, le mie lacrime sono diventate il mio pane. Gli uomini mangiano durante il giorno questo nutrimento che si chiama pane, e la notte dormono. Ma il pane delle lacrime è mangiato giorno e notte, sia che consideriate il giorno e la notte da un punto di vista temporale, sia che consideriate il giorno come le prosperità, e la notte come le avversità di questo secolo. In tale prosperità o nelle avversità, io verso le lacrime del mio desiderio, e nulla perdo dell’avidità del mio desiderio, ed anche quando tutto nel mondo è bene, tutto è male, finché io non compaia al cospetto di Dio. Perché sforzarmi di essere felice, in qualche modo, del giorno, se qualche prosperità del mondo mi sorride? Non è deludente? Transitoria, corruttibile, mortale? Non è forse temporanea, cangiante, passeggera? Non porta più delusione che diletto? Perché dunque, anche in seno a questa prosperità, le mie lacrime non sarebbero il mio pane? Perché, anche quando la felicità di questo mondo brilla intorno a noi in tutto il suo splendore, finché siamo in questo corpo, noi viaggiamo lontano da Dio (II Cor. V, 6). Ed ogni giorno mi si dice: « dov’è il vostro Dio »? Costui mi mostra il suo Dio col dito, stende il suo dito verso qualche pietra e dice: ecco il mio Dio, « … dov’è il vostro Dio? » Se io rido di questa pietra, e se colui che me l’ha mostrata arrossisce, egli distoglie lo sguardo da questa pietra, guarda il cielo, e mostrando col dito forse il sole, dice ancora: ecco il mio Dio, « dov’è il vostro Dio »? Egli trova quel che può mostrare ai suoi occhi di carne; dal mio canto, non è che io non abbia nulla da mostrargli, ma egli non ha gli occhi con i quale vedere ciò che potrei mostrargli. Egli ha potuto mostrare il sole, che è il suo “dio”, ai miei occhi di carne, ma con quali occhi mostrargli Colui che ha fatto il sole? (S. Agost.). – Talvolta le lacrime non hanno una causa precisa: ci sono lacrime in tutto l’universo, ed esse ci sono così naturali, benché non abbiano causa, esse colerebbero senza causa, per il solo fascino di questa ineffabile tristezza di cui la nostra anima è pozzo profondo e misterioso. (Lacord. I, Conf. T. 1, p. 47). – Si piange come il bambino nella culla, senza saperne il perché; si piange perché si è esiliati, e nell’esilio il sentimento della patria bagna le palpebre, anche quando non ci sia un ricordo distinto e presente. Si piange perché nulla ci soddisfa completamente: il miglior latte contiene un misto di assenzio, il vino più dolce possiede delle gocce di amarezza. Chi mi dirà la causa di queste lacrime? « … è – scrive Bossuet – quel che non si può dire ». Non è vero, prendendo in altro senso il pensiero di Virgilio, che ci sono dappertutto lacrime nelle cose, « sunt lacrymæ rerum ». – Ci sono lacrime più preziose, più feconde, lacrime divine, che sembrano cadere dal cielo nel cuore dell’uomo. Sono le lacrime di un cuore amante, di un cuore che è proteso al cuore di Dio, e che piange perché Lo ama. Non ne abbiamo mai versate di queste lacrime profumate, … come le chiama santa Caterina? Ne avremmo dovuto spargere se non altro all’epoca della nostra prima Comunione, dopo un ritiro, in una orazione fervente, in quei giorni di luce inopinata in cui Dio sembra voler entrare bruscamente nel nostro cuore? E non parlo solo delle lacrime esteriori; quello che voglio specialmente designare, sono le lacrime misteriose che scendono nel silenzio di un cuore liquefatto d’amore, lacrime immateriali, invisibili, che gli Angeli appena percepiscono, ma che Dio distingue e riceve con gioia, come la più pura essenza dell’anima! Siete Voi che io saluto, che vorrei poter adorare come questo liquore balsamico che fuoriesce da certe piante nei paesi orientali! Voi ne discendete sempre: non è necessario che il tronco che vi contiene sia tagliato col ferro, è sufficiente solo che le sue foglie siano agitate dalla più leggera brezza d’amore (Mgr. Landriot, Béat. Ev. XVIII Conf.).

ff. 4. –  Tuttavia, a forza di sentir dire ogni giorno: « dov’è il vostro Dio? », a forza di nutrirmi tutti i giorni delle mie lacrime, io ho meditato giorno e notte su tutto ciò che ho inteso: « … dov’è il vostro Dio »? Io ho anche cercato il mio Dio, per non essere ridotto a credere solo in Lui, ma per vederlo in qualche modo, potendo. Io vedo in effetti ciò che ha fatto il mio Dio, ma Egli che ha fatto tutte queste cose, io non Lo vedo. Ma poiché sospiro come il cervo presso le fonti d’acque; poiché il mio Dio è la sorgente della mia vita; infine poiché le meraviglie invisibili di Dio siano comprese e percepite con l’aiuto delle meraviglie visibili che Egli ha creato (Rom. I, 30), cosa farò per ritrovare il mio Dio? Io consideravo la terra, la terra che Egli ha creato. Grande è la bellezza della terra, ma la terra ha Qualcuno che l’ha fatta; grandi sono le meraviglie delle semenze e delle generazioni, ma tutte queste cose hanno un Creatore. Io contemplo l’immensità dei mari che circondano le terre: io sono stupefatto, ammiro e cerco Chi le abbia fatte. Alzo i miei occhi al cielo verso la magnificenza degli astri: ammiro lo splendere del sole che produce il giorno, e la luna, che consola le tenebre della notte; tutte queste cose sono meravigliose, sono degne di ogni lode, o piuttosto confondono il nostro spirito: esse non appartengono più alla terra, essendo delle cose tutte celesti; e pertanto la mia sete non si arresta ancora là: io ammiro queste bellezze, le lodo, ma io ho sete di Colui che le ha fatte. (S. Agost.). – « Io ho allargato l’anima mia al di sopra di me stesso », e non mi resta più nulla da desiderare se non il mio Dio. In effetti è là, al di sopra della mia anima, che è la casa del mio Dio. Là Egli abita, da lì mi vede, da lì mi ha creato, da lì mi governa, provvede ai miei bisogni, da lì mi chiama, mi dirige, mi conduce, mi volge al porto. Ora, Colui che possiede nel più alto dei cieli una casa invisibile, ha anche una tenda sulla terra. La sua tenda sulla terra è la sua Chiesa, ancora in cammino. È là che bisogna cercarlo perché nella tenda si trova la strada che porta alla casa. In effetti, quando ho allargato la mia anima al di sopra di me, per raggiungere il mio Dio, perché l’ho fatto? « Perché io entrerò nel luogo del tabernacolo ». In effetti, fuori dal luogo del tabernacolo, io non potrei che ingannarmi cercando il mio Dio. « perché io entrerò nel luogo del tabernacolo meraviglioso, fino alla casa di Dio ». Nel presente, in effetti, io ammiro molte cose nel tabernacolo. Quali incomparabili meraviglie ammiro in questo tabernacolo! Perché il tabernacolo di Dio sulla terra, è formato dagli uomini fedeli. Io ammiro in esso la maniera in cui i loro membri sono loro sottomessi, perché il peccato non regna in essi per asservirli al desiderio del male e perché non abbandonino i loro membri al peccato, come strumento di iniquità, ma li offrano al Dio vivente con le loro buone opere. (Rom. VI, 12). – Io ammiro quando l’anima serve Dio, come i membri del corpo combattono per Dio; io vedo l’anima stessa obbedire a Dio, che regola le opere che devono compiere, frenando le cupidigie, respingendo l’ignoranza, procedendo nelle più dure e penose sofferenze, trattando gli altri con giustizia e carità. Ammiro anche queste virtù nell’anima, ma io non sono che nel luogo del tabernacolo. Io passo oltre, e per quanto mirabile sia questo tabernacolo, io sono stupefatto quando giungo alla casa di Dio (S. Agost.). – « In mezzo ai canti di allegrezza e di lode, in mezzo ai concerti che celebrano la gioia delle feste ». Quando in mezzo a noi si celebra qualche splendida festa, vi è l’abitudine di riunire, davanti casa, dei suonatori di strumenti, dei cantori, dei musicisti utilizzati nelle feste per eccitare al piacere, e quando noi li ascoltiamo, cosa diciamo passando? Cosa si fa là? E ci si risponde: vi si celebra una nascita o le nozze, di modo che questi canti non sembrano inopportuni ed il piacere trovi la sua scusante nella festa che vi si celebra. Nella casa di Dio c’è una festa continua. In effetti, non vi si celebra nulla che sia passeggero. La festa eterna è celebrata dai cori degli Angeli; e il viso di Dio, visto allo scoperto, causa una gioia che nulla può alterare. Nessun inizio c’è a questo giorno di festa, nessuna fine che possa concluderlo. Da questa festa eterna e continua sfugge non so qual suono che giunge dolcemente alle orecchie del cuore senza che si mescoli a nessun brusio umano. L’armonia di questa festa incanta l’orecchio di colui che cammina in questa tenda e che contempla le meraviglie che Dio ha operato per la redenzione dei fedeli; ed essa conduce il cervo verso le sorgenti delle acque. (S. Agost.).

III. — 5-11.

ff. 5. – Benché talvolta noi perveniamo, camminando sotto l’impulso del desiderio che dissipa le nubi intorno a noi, ad intendere questi suoni divini, in modo da percepire con i nostri sforzi, qualcosa della casa di Dio, ciò nonostante, attratti per i piedi dalla nostra debolezza, ricadiamo ben presto nelle nostre abitudini e ci lasciamo introdurre alla nostra vita scostumata. Ed anche quando nell’avvicinarci a Dio, noi abbiamo trovato la gioia, ricadendo sulla terra, troveremo di cosa gemere. In effetti, questo cervo, questo giusto che mangia la sue lacrime notte e giorno, e che è guidato dal suo desiderio verso le sorgenti dell’acqua, cioè verso le dolcezze interiori di Dio che espande la sua anima sopra di lui, e marcia nel luogo di questa mirabile tenda fino alla casa di Dio, condotto dalle delizie del canto interiore che ha compreso, quand’anche giunga a disprezzare tutte le cose esteriori e a non desiderare che le cose interiori, questo giusto non è ancora che soltanto un uomo; egli ancora geme qui in basso, porta ancora una fragile carne, è ancora in pericolo in mezzo agli scandali del mondo. Egli ha dunque gettato uno sguardo su se stesso, ritornando per così dire nelle sue altezze; egli ha comparato le tristezze in mezzo alle quali si trova con le meraviglie che ha intravisto entrando nella casa di Dio, e che ha lasciato uscendone; e si sente dire: « … Anima mia, perché sei triste, e perché mi turbate? ». Ecco che già abbiamo gioito di una certa dolcezza interiore; ecco che nella parte più elevata del nostro spirito, noi abbiamo potuto intravedere, benché succintamente e di sfuggita qualche cosa di mirabile; perché dunque mi turbate ancora? Perché ancora siete triste? In effetti voi non avete dubbi circa il vostro Dio; non siete privo di risposte contro coloro che dicono « … dov’è il vostro Dio »? Ho già pregustato ciò che è immutabile; perché ancora mi turbate? « Sperate in Dio ». E la sua anima gli risponde in segreto: perché mi turbate, se non perché io non sono in questa dimora dove si gusta questa dolcezza e in seno alla quale io già sono stata trasportata come di passaggio? È che ora che io beva a questa sorgente senza nulla temere? Cosa fare al presente per non temere alcuno scandalo? Sono forse al presente in sicurezza contro le mie cupidigie? Il demonio, mio nemico, non tende tutti i giorni contro di me perfide insidie? E non volete che io mi turbi mentre sono nel mondo, ancora esiliato dalla casa di Dio? Allora, alla sua anima che lo turba e che gli chiede conto, per così dire, di queste turbe, esponendogli i mali di cui è pieno il mondo, egli risponde: « Sperate in Dio ». Aspettando, aspettate quaggiù nella vostra speranza; « perché la speranza delle cose che si vedono, non è più una speranza; ma se speriamo ciò che non vediamo, noi lo attendiamo con pazienza » (Rom. VIII, 24S. Agost.). – Diversi sono i tipi di tristezza: la tristezza di questo mondo, che proviene dal dolore di aver perso i beni del secolo; dell’attaccamento vivo a questi beni putrescenti; dell’impotenza nel non vedersi soddisfatte le passioni: è questa una tristezza criminale che ci accomuna agli empi e produce la morte. – Tristezza nell’umore, nell’aspetto, di disgusto delle cose di Dio, di turbamento e di inquietudine: tristezza imperfetta e talvolta dannosa. – Tristezza secondo Dio, che viene dal fatto che il giusto, persecutore irreconciliabile delle proprie passioni, si trova ancora perseguitato dalle ingiuste passioni degli altri. – Tristezza secondo Dio che « riempie il cuore dei fedeli », quando sui fiumi di Babilonia ed in mezzo ai beni passeggeri, essi sentono i loro esilio e piangono ricordando Sion, la loro cara patria. – Tristezza secondo Dio che soprattutto produce, dice l’Apostolo, una stabile penitenza; tristezza santa e salutare, semenza di gioia divina e di salvezza eterna (Dug. e Bossuet: Trist. des enf. de Dieu).

ff. 6. –  « La mia anima è turbata in me ». È turbata in Dio? Essa è turbata in me, essa è alleviata in Colui che è immutabile; essa è turbata in me, che sono soggetto a cambiamenti. Io so che la giustizia di Dio è stabile, io non so se la mia sia durevole, perché l’Apostolo San Paolo non sbaglia quando dice: « … colui che crede di essere in piedi, prenda cura di non cadere » (I Cor. X, 12). Dunque, poiché non mi piace impormi, io non pongo in me la mia speranza, e non amo essere in me turbato. Volete che essa non sia turbata? Che non resti in voi, dite al contrario: « Signore io ho elevato la mia anima a Voi » (Ps. XXIV, 1). Non riponete dunque la vostra speranza in voi, ma nel vostro Dio; perché se la mettete in voi, la vostra anima è turbata, poiché non trova in voi motivo di sicurezza. Dunque, poiché la mia anima è turbata in me, cosa mi resta se non di essere umile per evitare ogni presunzione? Cosa mi resta se non occupare l’ultimo posto; se non umiliarmi per essere elevato, se non nulla attribuirmi, affinché Dio mi doni ciò che mi è utile. Dunque, perché la mia anima in me è turbata, è l’orgoglio che produce questo turbamento, «a causa di ciò, io mi sono ricordato di voi, mio Signore, dalle rive del Giordano e dalla piccola montagna dell’Hermoniim ». Dove mi sono ricordato di voi? Da una piccola montagna e dalle rive del Giordano. Forse è dal Battesimo, ove si trova la remissione dei peccati? Nessuno in effetti corre alla remissione dei peccati, se non colui che si confessa peccatore, e nessuno si confessa peccatore se non umiliandosi davanti a Dio (S. Agost.).

ff. 7, 8. – Ecco l’espressione figurata per esprimere la grandezza delle afflizioni paragonate a tracimazioni d’acqua che si susseguono continuamente le une alle altre. – Orbene, secondo i Santi Padri, l’abisso della miseria degli uomini, attira l’abisso della misericordia. Nel senso opposto l’abisso della malizia del cuore umano attira l’abisso della giustizia divina. – O ancora, la profondità impenetrabile del cuore dell’uomo, richiede la profondità infinita della scienza di Dio stesso che sonda, come si dice, i reni ed il cuore di tutti gli uomini (Duguet). – Quando i flutti del mare si sollevano e minacciano una prossima morte, coloro che si vedono sul punto di essere ingoiati dalle furiose ondate, non sono più toccati da nessuna preoccupazione della terra, né dai piaceri dei sensi. Essi gettano fuori dal vascello tutte le cose per le quali hanno attraversato i mari, ed il desiderio di salvare la loro vita fa sì che considerino un nulla ciò che stimavano di più. È quel che succedeva al Profeta, quello che succede tutti i giorni alle anime afflitte che si trovano avvolte sotto i flutti della giustizia di Dio. Esse sono insensibili a tutto ciò che accade nel mondo, a tutti i vani piaceri del secolo (Idem). – Dopo che saranno passate queste grandi acque e questi orribili abissi, il Signore invia, nel giorno della prosperità, la sua misericordia nel visitarci e nel consolarci. È un bel giorno questo che sorge dopo una notte oscura. Questo felice cambio arriva per coloro che sono fedeli a Dio nel tempo dell’afflizione e che, in luogo di piangere e mormorare durante la notte della desolazione, Gli cantano un cantico di azioni di grazie.

ff. 9. 11. – « In me è la mia preghiera, etc. …»: io non andrò in effetti a comprare al di là dei mari le suppliche che devo fare a Dio; o, perché Dio mi esaudisca, non navigherò più in paesi lontani, per riportarne l’incenso ed i profumi; io non prenderò dal mio gregge delle vittime per offrirgliele in sacrificio: « in me è la mia preghiera al Dio della mia vita ». Io ho dentro di me la vittima da immolare, ho dentro di me l’incenso da offrire, io ho dentro di me il sacrificio per placare il mio Dio (S. Agost.). – « Dov’è il tuo Dio? ». Questa domanda ironica degli empi è ripetuta due volte in questo Salmo, e si sente che è una delle prove più difficili alle quali la pietà possa essere esposta. La più grande pena di Giobbe e di Tobia era questa domanda insolente che veniva loro rivolta all’apice della loro sofferenza: dov’è dunque il vostro Dio? Dove la vostra speranza? Dove sono le vostre elemosine? Gesù-Cristo ha voluto essere così l’oggetto di simili beffe: « … ha posto la sua fiducia in Dio, che Dio lo liberi se Lo ama ». Il mondo non cessa di utilizzare verso i servi di Dio quest’arma del sarcasmo e del ridicolo. Occorre prepararsi di buon ora a questo genere di combattimento, ove si trionfa solo con un’umile pazienza e con profondo sentimento dell’onore cristiano. Chi teme Dio sfida tutte le altre paure; chi spera in Dio disprezza tutte le altre speranze. Contro un tale uomo, il mondo è disarmato (Rendu). – Cosa mi interessano l’ignoranza, il disprezzo di questi beffardi di professione che mi dicono tutti i giorni: « … dov’è il vostro Dio? », dov’è la vostra aspettativa? Chi considera la vostra pazienza? Cosa è diventata la promessa del suo avvento? Cosa importano le loro risate e le loro negazioni, lasciamo loro i dubbi e le oscurità, i loro ristretti orizzonti, le loro aspirazioni limitate alla terra, il loro spirito che si imprigiona nei tempi, il loro cuore vuoto di Dio, la loro anima chiusa alla speranza, la loro vita cupa e desolata che si svolgerà con inutili rimpianti. Ma noi che abbiamo lo sguardo più fermo, che davanti abbiamo le più ampie prospettive, conserviamo la nostra fede e la nostra fiducia in Dio, e le nostre speranze eterne, con la parte migliore e più pura del genere umano (Mgr. Freppel). – Ah, senza dubbio, i nostri occhi, come quelli del Re-Profeta, si bagnano di lacrime a queste parole di insulto e di incredulità, ma queste lacrime, noi le riversiamo su di loro, perché essi non conoscono nulla del destino sublime dell’uomo, … non vedono nulla al di là della corruzione della morte e della polvere delle tombe; noi piangiamo su di essi, perché sono completamente estranei a questa alleanza spirituale che Dio ha voluto contrarre con gli uomini, perché essi sono senza speranze circa i beni promessi e come senza Dio in questo mondo; sono queste delle anime vuote di fede, legate alle loro basi, aperte solo al tumulto dei sensi ed al delirio delle passioni: noi piangiamo su di essi, perché quale spettacolo più deplorevole che vedere delle anime immortali dire a Dio: « … io non voglio la vostra immortalità; io amo piuttosto la morte, il niente ». Ma nello stesso tempo noi espandiamo la nostra anima fuori da noi stessi, e diciamo: noi passeremo un giorno nel luogo di questo tabernacolo mirabile, fino alla casa di Dio. Perché dunque, anima mia, ti rattristi per le loro beffe, e perché mi turbi? La testimonianza dei morti prova qualcosa contro i viventi? Cosa fa a noi Cristiani, l’essere accusati di illusione, di credulità, di vana speranza, da uomini che non hanno né la fede, né il senso delle cose di Dio? Sanno essi su cosa riposano le nostre speranze? Conoscono i fondamenti incrollabili della nostra credenza dell’immortalità? Possono farne delle congetture? Chi dice loro che siamo vittime di un miraggio ingannatore, che fissiamo gli occhi su queste sponde immortali come verso il termine della nostra traversata in questo mondo? Essi non sanno che la croce di Gesù-Cristo ci ha aperto queste immense regioni che noi percorriamo con passo fermo sotto la condotta dello Spirito di Dio; essi non sanno che la croce di Gesù-Cristo, ha unito questi due termini così lontani: la terra con il cielo; essi non hanno inteso come questa voce del cielo che ci ha detto: « … Beati coloro che muoiono nel Signore! » Da allora, dice lo Spirito Santo, essi si riposano dai loro lavori, perché le loro opere li seguono (Apoc. XIV, 13). – « Spera in Dio, anima mia, perché è Egli mia salvezza e mio Dio ». (Serm.)

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 2 OTTOBRE, FESTA DEGLI ANGELI CUSTODI

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

[Da: I Sermoni del Curato d’Ars, trad. it. di Giuseppe D’Isengard, vol. IV, Torino, libreria del Sacro Cuore – 1907]

2 Ottobre.

FESTA DEI SS. ANGELI CUSTODI.

“Angeli eorum in cœlii semper vident faciem Patris mei, qui in cœlis est”

Gli Angeli di questi fanciulletti veggon continuamente il volto del mio Padre celeste.

(S. MATTEO XVIII, 10).

Qual bontà, miei fratelli, e qual tenerezza da parte di Dio! Non contento d’averci dato il suo Figliuolo unigenito, l’unico oggetto delle sue compiacenze, per sacrificarlo alla morte più crudele; non contento d’averci strappato alla tirannia del demonio, e averci chiamati alla gloriosa qualità di figli di Dio e scelti coeredi del suo regno, vuol di più mandare a ciascun di noi un Angelo dal cielo che ci custodisca in tutti i giorni della nostra vita. Quest’Angelo non deve abbandonarci, se prima non è comparso con noi dinanzi al tribunale di Gesù Cristo per rendergli conto di tutto ciò che avremo fatto. Sì, miei fratelli, gli Angeli nostri custodi sono i nostri amici più fidi, perché stanno con noi giorno e notte, in ogni tempo e in ogni luogo. La fede c’insegna che li abbiam sempre a fianco; il che fece dire a David, « che nulla ci potrà nuocere, poiché il Signore ha comandato ai suoi Angeli d’aver cura di noi » (Ps. XC, 11); e per far intender quanto sia grande la cura che hanno di noi, il profeta dice che ci portano tra le lor mani, come la madre porta il suo figlioletto. Ah! Dio previde i pericoli innumerevoli, a cui saremmo esposti sulla terra, tra tanti nemici che cercano tutti la nostra perdita. Sì, miei fratelli, i nostri Angeli custodi ci consolano nelle pene, ci avvertono quando il demonio ci si accosta per tentarci, presentano a Dio le nostre preghiere e tutte le nostre opere buone, ci assistono all’ora della morte e presentano le nostre anime al Giudice supremo. Oh! fratelli miei, quanti beni riceviamo pel ministero dei nostri buoni Angeli custodi. Per eccitarvi ad avere in essi grande fiducia, vi dimostrerò: 1° Quanto gran cura si pigliano di noi; 2° che cosa dobbiam fare per attestar loro la nostra riconoscenza.

I. — Voler dimostrare, fratelli miei, che esistono Angeli, sarebbe un perditempo. Fin dai primi giorni del mondo il commercio degli Angeli cogli uomini è così frequente, che la santa Scrittura ne fa menzione ad ogni momento. Bisognerebbe non aver ombra di buon senso per poterne dubitare. Quando Adamo era nel paradiso terrestre, il Padre celeste gli mandò i suoi Angeli per comunicargli i suoi voleri. Quando Adamo sgraziatamente peccò, un Angelo lo scacciò dal Paradiso, (Genesi III, 24 – dice, sì, che Dio pose un cherubino alla porta del paradiso terrestre, poiché Adamo ne fu cacciato; ma non parla punto delle comunicazioni precedenti del primo uomo cogli Angeli buoni. – Nota degli editori francesi). Quasi tutti i patriarchi e i profeti dagli Angeli vennero informati dei voleri del Signore. Vediamo anzi spesso Dio farsi rappresentare dagli Angeli. — Ma, direte forse, se si vedessero, si avrebbe in essi maggior confidenza. — Se ciò fosse stato necessario alla salute della nostra anima, Dio li avrebbe resi visibili. Ma ciò importa poco, perché nella nostra Religione conosciamo per via di fede, e ciò avviene perché tutti i nostri atti sian meritori. D’altra parte siam certi della loro presenza, come se li vedessimo cogli occhi nostri. Se desiderate sapere il numero degli Angeli e i loro uffici, vi dirò che sono innumerevoli; gli uni sono stati creati per onorare Gesù Cristo nella sua vita nascosta, sofferente e gloriosa, o per essere custodi degli uomini, senza cessar tuttavia di godere della divina presenza (« Angeli eorum (parvulorum sive hominum) in cœlis semper vident faciem Patria mei, qui in cœlis est». – S. MATTEO XVIII, 10). Altri sono occupati a contemplare le perfezioni di Dio e vegliano alla nostra conservazione, assicurandoci tutti i mezzi necessari per la nostra santificazione. Sebbene Dio solo basti a tutto, pure si vale del ministero degli Angeli pel governo del mondo. Alcuni sono costituiti protettori dei regni, altri degli imperi, ecc. Se consideriamo quanta cura ha Dio della nostra vita, dovremo concluder che l’anima nostra è pur qualche cosa di grande e prezioso, dacché a conservarla e santificarla si serve di quanto è nella sua corte di più grande. Ci ha dato il suo Figliuolo per salvarci. E il suo Figliuolo poi dà il suo Corpo e il suo Sangue a nutrimento delle anime nostre, si adatta a rimanere notte e giorno in mezzo a noi, e a ciascun di noi dà uno o anche parecchi Angeli, solo occupati di chiedergli per noi le grazie e gli aiuti necessari alla nostra salvezza. Non è vero, fratelli miei, che non abbiamo mai pensato bene a quel che siamo, a quel che vale l’anima nostra? Oh! quanto poco l’uomo conosce che cos’è e per qual fine fu creato!… Leggiamo nella santa Scrittura che il Signore diceva al suo popolo: « Vi manderò il mio Angelo, perché vi guidi in tutti i vostri passi » (Es. XXIII, 20). Oh! miei fratelli, chi potrà numerare le grazie che riceviamo per la protezione dei nostri Angeli custodi? Sì, essi ci consolano nelle afflizioni. Quando Agar, dice la Scrittura, fu cacciata dalla casa del suo padrone, si ritirò in un deserto, e siccome quivi s’abbandonava alla tristezza, il Signore le mandò un Angelo che la consolasse e le dicesse: « Non ti lasciar andare alla disperazione, ma torna alla casa del tuo padrone, e sii più sottomessa » (Gen. XVI, 9).Un Angelo fu mandato dal Signore a Lot per dirgli che uscisse subito dalla città di Sodoma, prima che il Signore vi facesse cadere il fuoco dal cielo (ib. XIX). Gli Angeli preservarono dalle fiamme i tre giovanetti nella fornace di Babilonia (Dan. III), e chiusero le fauci dei leoni per impedir loro di divorare Daniele profeta (ibid. VI, 22).Gli Angeli, fratelli miei, sono ben lieti di assisterci nelle cose nostre, se queste sono secondo il beneplacito di Dio: e ne abbiamo un bell’esempio nella persona del giovine Tobia. Suo padre lo mandò a Bages per richiedere il suo denaro: non conoscendo la via, Dio gli mandò l’arcangelo Raffaele, che gli si presento sotto l’aspetto d’un giovine (Tob. V, 5). Tobia gli chiese, se conosceva la strada per andare a Bages. L’Angelo rispose che la conosceva, e conosceva anche Gabelo presso il quale doveva andare. Il giovane, lietissimo, corre a dire al padre che aveva trovato un uomo che sapeva la via per Rages e conosceva Gabelo. L’Angelopartì dunque con Tobia, e gli diede tutte le intormazioni necessarie pel suo viaggio. Durante il cammino, essendo Tobia andato sulle sponde del Tigri, parve che un pesce enorme venisse contro di lui per divorarlo. Ricorse subito al suo protettore senza sapere che fosse un Angelo; e questi gli disse: « Non temere, ma tiralo a te ». E tosto il pesce morì. Gli disse pure: « Prendi il fiele e portalo teco: ne fregherai gli occhi del padre tuo, e così gli renderai la vista ». Lo condussepoi presso Raguele, suo parente, ove tutto si conchiuse pel meglio. Gli salvò anche la vita incatenando il demonio. Tornati che furono, il giovine Tobia, non sapendo come compensare tanti benefizi, disse a suo padre: « Padre mio, quando pur dessimo alla mia guida la metà di quanto abbiamo portato, non basterebbe in ricompensa di tutti i servigi che m’ha reso nel viaggio: m’ha condotto e ricondotto sano e salvo, m’ha liberato da un mostro che stava per divorarmi, ha riscosso egli in persona il denaro che Gabelo ci doveva, m’ha fatto prendere in moglie una donna secondo il cuore di Dio, finalmente ha impedito al demonio di darmi la morte, come ai sette mariti ch’essa aveva sposato prima di me ». Or volendo il padre fargli accettare la metà di quanto avevano portato, l’Angelo si fece conoscere e disparve. Essi poi, per mostrare a Dio la loro riconoscenza, stettero lungo tempo prostrati con la faccia per terra. Vedete, fratelli miei, quanta cura hanno gli Angeli di noi, se abbiamo in essi confidenza?… Della protezione del nostro angelo custode abbiamo pure un bell’esempio in S. Agnese, vergine e martire (RIBADENEIRA al 21 di Gennaio). Siccome apparteneva a una grande famiglia romana, fu chiesta in isposa da Procopio, figlio di Sinfronio, allora prefetto della città. Agnese, che s’era già data a Gesù Cristo, rifiutò tal partito, sebbene per lei vantaggioso. E non temette di dire a Procopio, venuto in persona a visitarla: « Ritirati, tiranno, stimolo di peccato, pietra di scandalo e pascolo di morte, e non pensare ch’io voglia essere infedele a Gesù Cristo, mio sposo. Il mio cuore è tutto suo: Egli è buono, è bello, ha quanti pregi possono desiderarsi ». Il prefetto la fece chiamare e la scongiurò a non ricusare di maritarsi al suo figliuolo; che, se rifiutasse, la farebbe trascinare in un luogo infame, ove perderebbe quella purezza che le stava tanto a cuore di conservare. Agnese rispose al prefetto: «Non v i affannate: non temo nulla: ho mio custode un Angelo, che avrà cura di me, e in maniera prodigiosa prenderà la mia difesa ». Vedendo che non poteva conseguire il suo scopo, il magistrato ordinò che fosse spogliata delle sue vesti, e trascinata così per tutta Roma per esser poi data in balìa dei libertini. Per un miracolo dell’onnipotenza di Dio i suoi capelli crebbero a segno, che bastarono a coprire il suo corpo. Arrivata al luogo infame, il suo Angelo custode le si fece vedere visibilmente per difenderla e ricoprirla d’una veste candida come la neve; e in pari tempo, quell’antro di impurità fu illuminato da una luce più splendente che il sole. I libertini entrarono là; ma, stupiti di tante meraviglie, e colpiti di spavento vedendo quell’Angelo d’incomparabile bellezza, tutti si convertirono. Procopio volle venire alla sua volta a sfidar tutti quei prodigi; ma l’Angelo che custodiva Agnese, lo colpì e cadde morto a’ piedi della santa. Il prefetto della città, informato che suo figlio era morto in quel luogo infame, venne da Agnese maltrattandola « qual furia uscita dall’inferno, mostro nato a perdizione de’ mortali ». Agnese rispose che non essa aveva fatto morir Procopio, ma egli stesso con la sua sfrontatezza era stato causa della propria morte. Perciò il suo Angelo custode l’aveva colpito quando appunto stava per rapirle il tesoro della sua purità. Tuttavia la santa, volendo far conoscere al magistrato la potenza del suo sposo, e mostrargli che i Cristiani sapevano rendere ben per male, risuscitò Procopio, che corse per tutta Roma, ripetendo senza posa che il Dio de’ Cristiani era il solo vero Dio.. . Quest’esempio dimostra quanto grandi aiuti e quante grazie riceviamo dai nostri buoni Angeli custodi, seppure abbiano la buona sorte d’avere in essi grande fiducia, soprattutto nelle tentazioni e nei pericoli… Ma, direte forse, quand’è che Dio ci manda dal cielo i nostri Angeli custodi? — Appena le nostre anime son create, fratelli miei, ossia appena i nostri corpi sono in tal condizione da poterli ricevere, sicché una madre incinta ha il proprio angelo custode ed anche quello del figliuolo che porta nel suo seno, il quale veglia perché nulla possa togliergli la vita prima che abbia ricevuto il santo Battesimo. Bisognerebbe esser capaci d’intendere, fratelli miei, quanto sia grande la gioia de’ nostri Angeli custodi, quando siam portati alla chiesa per ricevere il santo Battesimo. Con qual gioia scrivono il nostro nome nel libro della vita! È fuor d’ogni dubbio che abbiamo intorno gran quantità di demoni per farci cadere in peccato; e se l’Angelo custode non fosse accanto a noi per difenderci, soccomberemmo ad ogni assalto che il demonio ci muove. L’Angelo nostro custode ci fa scorgere la tentazione; egli c’ispira ad invocare l’aiuto di Dio, e ci richiama alla mente il pensiero della sua santa presenza per farci temere il peccato. Se sgraziatamente vi cadiamo, i nostri Angeli custodi vanno a gettarsi a’ piedi di Dio e gli domandano grazia per noi. Infatti dopo ogni peccato sentiamo d’ordinario il rimorso d’aver fatto male, e promettiamo a Dio di non più ricadervi. Senza dubbio l’Angelo custode, con le sue preghiere, ci ottiene questa grazia. Se ci vede insensibili alle offese che abbiam fatto a Dio, ci minaccia i castighi della divina giustizia: ci fa pensare alla morte e al rammarico che avremo in quell’ora d’aver fatto male. Ci fa pensare a qualche morte subitanea o spaventosa. Il pensiero del giudizio c’incalzerà, e quello dell’inferno ci si fisserà nel cuore a straziare l’anima nostra, e così ci costringerà in certo modo a non rimaner più a lungo in peccato. – I nostri Angeli custodi, fratelli miei, ci accompagnano dappertutto. È narrato nella storia che un giovane vedeva in modo sensibile il suo Angelo custode. Quando entrava in chiesa l’Angelo vi entrava sempre prima di lui. Appena fu prete, l’Angelo non volle più passare pel primo; si vedeva talora quel sacerdote parlare e rimaner lungo tempo sulla porta. Gli si domandò perché. « Prima ch’io fossi prete, rispose, il mio Angelo sempre mi entrava innanzi; ora non vuol entrar più, se io non entro pel primo » (HAMON, Vita di S. Francesco di Sales, T. I , p. 468). Ah! fratelli miei, se quando veniamo in chiesa ricordassimo che i nostri Angeli custodi ci precedono, con qual rispetto vi verremmo! Con qual modestia assisteremmo alla santa Messa, pensando che abbiamo a fianco un Angelo custode prostrato dinanzi al Dio di ogni grandezza! Con qual sollecitudine l’incaricheremmo di offrire a Gesù Cristo le nostre preghiere! Si narra pure che un giovane prìncipe inglese aveva abbandonato il suo palazzo per ritirarsi in un deserto. Dio, per mostrargli quanto ne fosse contento, gli concesse la lieta sorte di vedere ogni mattina ed ogni sera il suo Angelo custode. Di S. Francesca (Romana) si racconta che vedeva continuamente il suo Angelo custode in forma d’un fanciullo d’incomparabile bellezza, il cui volto era così risplendente che spesso di notte alla luce ch’esso spandeva poteva leggere il suo ufficio. L’Angelo era così sollecito di condurla alla perfezione, che, se nella sua solitudine per un momento si fosse lasciata andare a pensieri inutili, o le fosse sfuggita nella conversazione una parola oziosa, ei le faceva conoscere la sua colpa con lo sparire. Allora, tutta piena di confusione e di dolore per avere allontanato da sé il suo fedele custode, piangeva amaramente, pregando Iddio ad aver pietà di lei e promettendogli di correggersi. Dopo aver pianto qualche poco, vedeva ricomparire il suo Angelo custode, a cui esprimeva il suo cordoglio per averlo costretto ad allontanarsi. Se avveniva che chi era con la santa le dicesse qualche parola che potesse ferire anche menomamente la carità, manifestava la pena che ne sentiva, coprendosi il volto con le mani (RIBADENEIRA, al 9 marzo) … Fratelli miei, quantunque noi non vediamo, come lo vedeva questa santa, il nostro Angelo custode, pur siamo egualmente certi d’averlo vicino a noi per vegliare alla conservazione dell’anima nostra. Ohimè! di quali torture e di quali amarezze dobbiamo abbeverarlo conducendo vita così perversa! Che cosa deve pensare l’Angelo custode di chi non fa Pasqua, né si confessa? O d’una persona avanzata in età che si avvoltola continuamente nel peccato dell’impurità? Ah! mio Dio, se gli Angeli fossero capaci di patire, non sarebbero infelici al pari dei riprovati che ardono nell’inferno? Come mai gli Angeli, così puri, possono restare vicini a questi infami? Gli Angeli sì caritatevoli possono rimanere a fianco d’uomini vendicativi e pieni di malanimo? Gli Angeli così umili, possono accompagnare un superbo? Come può un Angelo, che ama Dio, esser felice con un empio, con un incredulo, che nega tutto e non crede a nulla? Possibile che siamo così cattivi e così ingrati verso amici così benefici, così fedeli a non lasciarci neppur per un istante? Sappiamo che i nostri Angeli custodi si danno gran pensiero di consolarci nelle nostre pene e nei nostri patimenti. – Leggiamo nella santa Scrittura (Gen. XXVIII) che Giacobbe, fuggendo il furore di suo fratello, s’addormentò lungo la via. Iddio per consolarlo gli mostrò in visione una scala, che andava dalla terra al cielo; e vedeva per essa Angeli che salivano e scendevano per offrire a Dio le nostre preghiere e riportarne le grazie da noi domandate. L’Angelo che aveva condotto e ricondotto il giovane Tobia, poiché si fu fatto conoscere disse a Tobia padre: « Quando pregavi piangendo e sepellivi i morti, io medesimo presentavo al Signore le tue opere buone » (Tob. XII, 12). Nella vita di S . Nicola da Tolentino (RIBADENEIRA, al 10 settembre) si narra che, ne’ due mesi della sua malattia, quattro Angeli stavano tutta la notte nella sua stanza, e cantavano sì dolce melodia che gli faceva dimenticare i suoi patimenti. Gli ultimi sei giorni prima della sua morte vi stettero giorno e notte: e quanti ebbero la bella sorte d’entrar nella sua camera, ebbero pur la consolazione d’udirne il canto. Gli angeli condussero seco l’anima sua in cielo. Mentre S. Liduina pativa atrocissimi dolori, le apparve un Angelo di sì grande bellezza che dimenticò le sue sofferenze (RIBADENEIRA, al 14 di Aprile). Possiam dire che gli Angeli si dilettano di renderci tutti i servigi di cui sono capaci, e che sta loro grandemente a cuore di farci aver parte alla loro felicità. Per essi vi è tra cielo e terra un santo commercio. Dio si servì spesso del ministero dei santi Angeli nei più importanti avvenimenti. Per mezzo loro istruiva i patriarchi e i profeti, per mezzo loro parlava al suo popolo. Leggiamo nella santa Scrittura che il Signore mandò il suo Angelo per dire in suo nome agli Israeliti: « Vi ho tratto fuori dall’Egitto e vi ho fatto entrare nella terra promessa e vi ho dato parola che non vi abbandonerò mai, ma a patto che mi foste fedeli. Voi non avete voluto udir la mia voce; perché avete fatto così? E appunto a cagione delle vostre infedeltà e del niun conto che avete fatto delle mie grazie, non vi ho difeso contro i vostri nemici » (Lev. XXVI, 13-17). Gli Israeliti, udendo queste parole dell’Angelo, mandarono lamentevoli grida, e versarono molte lacrime pregandolo di aver pietà di loro e non abbandonarli. Vediamo ancora che tutti gli uomini, i quali furono grandi sulla terra, furono annunziati dagli Angeli: Un angelo annunziò la nascita di Sansone, vendicatore del popolo di Dio (Giud. XIII, 3). Un Angelo annunzio la concezione di S. Giovanni (S. Luc. I, 13). Un Angelo annunziò la concezione del Salvatore (Ibid. I, 31); un Angelo né annunziò ai pastori la nascita (Ibid. II, 19), un Angelo intimò a Giuseppe di fuggire in Egitto (S. Matth. II, 13). Un Angelo pure consolò Gesù nella sua agonia nell’orto degli olivi (S. Luc. XXII, 43), gli Angeli seppellirono ed accompagnarono il corpo della SS. Vergine dopo la sua morte. Gli Angeli accompagneranno il Signore nell’estremo giudizio (S. Matth. XXV, 31). « Ciò posto, fratelli miei, se ciascuno dev’essere onorato secondo la sua dignità, dice S. Bernardo, qual onore e qual lode non dovremo rendere ai nostri Angeli custodi, la cui natura è sì perfetta, la cui santità cosi eminente, e di cui è sì splendida la gloria? » Ma più di tutto deve muoverci a venerazione verso di essi la loro inviolabile fedeltà a Dio. La loro innocenza non fu macchiata mai neppur della macchia più lieve, il loro amore e il loro zelo rimasero sempre costantemente gli stessi. Se amassimo Dio veramente, fratelli miei, quanto ci rallegreremmo perch’Egli riceve da questi spiriti beati lodi così perfette! Ohimè! quanto imperfette sono le lodi anche di quelli tra noi che lo amano di più! Quante distrazioni nel trattenerci con Dio! Nulla invece è capace di distrarre gli Angeli dalla presenza di Dio: tanto sono assorti nella contemplazione della sua grandezza! l’anno senza interruzione risuonare le volte de’ cieli di (mesto cantico di letizia: « Santo, santo, santo il Signore Dio degli eserciti: a Lui sia reso onore, gloria ed adorazione ne’ secoli de’ secoli » (Apocalisse, IV, 8). – Dico altresì che i nostri Angeli custodi son fedelissimi a soccorrerci nelle afflizioni. Negli Atti degli Apostoli (Act. XII) leggiamo questo fatto. S. Pietro, ch’era stato imprigionato per ordine d’Erode, dormiva tra i due soldati che gli facevano guardia la notte, ed era la vigilia del giorno in cui si doveva farlo morire; ad un tratto gli appare un Angelo, lo sveglia, spezza le sue catene, egli apre le porte del carcere dicendo: « Levati su prontamente, e seguimi ». Guidato dall’Angelo, uscì di prigione, e andò a battere alla porta della casa ov’erano adunati i discepoli. Una fantesca, udita la voce di Pietro, non potendo frenar la gioia, senza aprir la porta corse ad annunziare che Pietro era là. Non le si volle credere: chi la trattava di dissennata, chi credeva che fosse un Angelo. Ma Pietro, entrato, narrò a tutti i suoi fratelli che cosa aveva fatto il suo Angelo custode per liberarlo. Vediam pure che Dio mandava spesso i suoi Angeli a dare aiuto ai martiri. Così ai quaranta martiri di Sebaste gli Angeli recarono le corone, il che fu cagione che anche colui che li custodiva si convertisse vedendo quel prodigio (RIBADENEIRA, al 10 Marzo). – Il santo re David, che conosceva quanto siano gradite a Dio le loro lodi, invitava gli angeli a lodarlo e benedirlo dicendo: « Benedite il Signore voi tutti che siete ministri delle sue volontà » (Ps. CII, 21). Seguiamo l’esempio di questo santo re, fratelli miei, e preghiamo spesso gli Angeli a lodare e adorare Dio per noi; preghiamoli di prendere vicino a Lui il nostro posto per ringraziarlo di tutte le grazie che ci ha fatto nel corso della vita. Chiediamo ad essi che preghino Iddio a mutare i nostri cuori e farne cuori tutti celesti.

II — Per meritare la buona ventura della protezione dei nostri Angeli custodi, dobbiamo invocarli spesso, rispettarli assai e soprattutto cercar d’imitarli in tutte le nostre azioni. La prima cosa, in cui dobbiamo imitarli, è il pensiero della presenza di Dio: conforme al loro esempio non perdiamolo di vista mai. Ah! fratelli miei! se avessimo questa bella sorte, quanti peccati di meno!… Infatti se fossimo ben compresi del pensiero della presenza di Dio, come potremmo trascorrere al male? Oh! quanto più gradite a Dio sarebbero le nostre virtù e tutte le nostre opere buone! Non avremmo più rispetto umano, né mire umane. Se rammentassimo sempre la presenza di Dio, come avremmo cuore di rimanere in peccato, considerando quanto facciamo soffrire Gesù Cristo? Come potremmo voler male al nostro prossimo, pensando che Dio, la cui bontà è influita, osserva, legge ed ascolta tutti i movimenti del nostro cuore? Perciò Iddio, volendo elevare ad alta perfezione il patriarca Abramo, gli disse: « Abramo, vuoi esser perfetto? Cammina alla mia presenza » (Gen. XVII, 1). Come può essere che ci dimentichiamo sì facilmente di Dio, mentre l’abbiamo sempre dinanzi! Perché non siamo pieni di rispetto e di riconoscenza verso i nostri Angeli che giorno e notte ci sono compagni? Principi della corte celeste!… O mio Dio, siam pur felici! … Ma come siam lontani dall’intenderlo! — « Son troppo meschino, direte forse, per meritarlo ! » — Non solo, miei fratelli. Dio non vi perde di vista neppur un istante, ma vi dà un Angelo che guidi continuamente i vostri passi. Oh! felicità troppo grande, ma dagli uomini troppo poco conosciuta! Dobbiamo pure imitare il loro amore verso Dio. La sua gloria sta ad essi tanto a cuore, che quando sgraziatamente cadiamo in peccato, ci precipiterebbero nel profondo dell’inferno, se Dio non proibisse loro di punirci. Vorrebbero piuttosto esser gettati in mezzo ai dannati, che spiacere a Dio anche nella minima cosa. Perciò Nostro Signor Gesù Cristo ci dice che provano immensa gioia quando un peccatore si converte (S. LUCA XV, 10). Or se la conversione d’un peccatore rallegra tutta la corte celeste, qual gioia per questi ministri di pace, fratelli miei, quando vedono regnare tra noi quella carità che li congiunge a Dio in cielo! Dobbiamo certamente aver gran divozione a tutti gli Angeli, perché tutti s’occupano della nostra salute; ma particolar divozione dobbiamo avere ai nostri santi Angeli custodi per le grandi cure che hanno di noi e il grande desiderio onde sono accesi di condurci al cielo. Non possono lasciarci soli un istante per timore che il demonio c’inganni. Oh! qual felicità e quale consolazione, quando andiamo al riposo, sapere per fede che il nostro Angelo custode veglia durante la notte a nostra conservazione, e che la passerà tutta intera a pregare per noi! Qual gioia sapere che, quando usciamo di casa, non siamo mai soli per via! Gli antichi avean sì vivo il pensiero delia presenza degli Angeli custodi, che non salutavano alcuno senza insieme salutare il suo Angelo custode; e di qui viene pure l’antica usanza di dire ad una persona, quantunque sola: Saluto voi e la compagnia! Qual compagnia, se non quella dell’Angelo custode. Ma si dice senza riflettere. Poiché i nostri Angeli custodi non ci abbandonano mai. Dobbiamo essere docili agli ammonimenti che ci danno. Un solitario aveva spinto le sue penitenze a sì alto grado di rigore, che non poteva più reggersi in piedi. Siccome l’acqua, che doveva cercare, era molto lontana, diceva tra sé: « Poiché devo durar tanta fatica per andare a prender l’acqua, avvicinerò alla fontana la mia colletta ». Mentre era intento a questo pensiero, udì una voce che diceva: uno. due. tre », come di persona die contasse qualche cosa. Stupito di questo parlare, si volta e vede il suo Angelo custode, che contava i suoi passi, dicendo che il Signore glielo aveva comandato, e che nessuno ne sarebbe perduto. Il santo, vedendo che quella sua fatica era gradita a Dio, invece d’avvicinar la colletta, l’allontanò di più per acquistar maggior merito (Vite dei Padri del deserto). Ohimè! siam pur disgraziati, poiché non facciamo per Iddio tutte le nostre azioni! Quanto guadagneremmo pel cielo e qual consolazione daremmo al nostro Angelo custode! E quanto ci troveremmo ricchi all’ora della morte! Ohimè! Fratelli miei, quante volte i nostri peccati hanno costretto i nostri Angeli buoni ad allontanarsi da noi, cioè lasciarci in balìa de’ nostri nemici, che sono il demonio e le nostre passioni! Un’altra grazia riceviamo da essi, quando, essendo noi in peccato, destano senza posa nel nostro cuore rimorsi, e, siccome sono continuamente vicini a Dio, lo scongiurano a non lasciarci morire in tale stato. Allontanano da noi ogni occasione, e adoperano ogni sorta di mezzi per rimetterci in istato di grazia. Ci consolano nelle afflizioni e nelle persecuzioni. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia di S. Vittore (RIBADENEIRA, ai 21 di Luglio. S. Vittore di Marsiglia.). Il suo Angelo custode gli si faceva vedere visibilmente per incoraggiarlo a soffrire il martirio, facendogli vedere la gloria grande che gli era preparata in cielo, e come si rendeva gradito a Dio. Perciò vediam pochi martiri, che abbiano sofferto con pari coraggio e pari gioia. Questo gran santo era soldato e viveva ai tempi di Diocleziano e Massiminiano. Questi due imperatori promulgarono l’editto che, chiunque non adorasse gli idoli, morrebbe tra i più crudeli supplizi. Vedendo che parecchi cristiani cominciavano a vacillare, Vittore andava di prigione in prigione, ove parecchi n’erano già rinchiusi, per accenderli del desiderio del martirio, ed anche li accompagnava al luogo del loro supplizio. Le sue parole avevano tanta forza e tanta grazia, che i martiri pareva non soffrissero punto, purché avessero accanto Vittore. Diceva loro: « Coraggio, amici miei, il cielo v’aspetta. Vedete Gesù Cristo che vi tende la mano; spregiate la vita che dura sì poco; innalzate verso il cielo i vostri cuori, e Gesù Cristo vi darà forza per combattere e vincere ». L’imperatore Massimiano, spinto dall’odio del nome cristiano, fa citare Vittore e ordina che sia attaccato ad un cavallo indomito, e trascinato per tutta la città: poi lo fa battere con le verghe, talché il corpo del santo era ridotto a un brano informe di carne. In mezzo a questi supplizi pregava Iddio che lo sostenesse con la sua grazia. Gesù Cristo, impietosito pei suoi patimenti, gli apparve con la sua croce e gli disse: « Coraggio, Vittore, io son Gesù Cristo, sono il tuo rifugio: non temere: sarò con te sino alla fine: abbi coraggio ». – Qualche tempo dopo gli apparve nella sua prigione il suo Angelo custode, gli tolse le catene, e lo consolò facendogli gustare anticipatamente le dolcezze che il Signore gli preparava in cielo. Poscia gli disse: « Esci di prigione, e fatti vedere all’imperatore, affinché sappia in che modo il Signore si prende cura di quei che lo servono ». Uscì di fatto. Il tiranno, stupito in vederlo, gli chiese chi l’aveva liberato. « Gesù Cristo, rispose, ha spezzato le mie catene pel ministero degli Angeli ». Massimiano fece ricondurre Vittore in prigione. Ma gli riapparve l’Angelo stesso, e riempì il carcere di sì viva luce, che tutti i prigionieri, che v’erano rinchiusi, domandarono istantemente il santo Battesimo. L’imperatore, informato di tutti questi prodigi, fece schiacciare Vittore con una enorme macina da mulino. Allora il suo Angelo custode ne condusse l’anima trionfalmente in cielo, ove Dio l’aspettava per darle la ricompensa. Perché dunque, fratelli miei, nelle tentazioni e nelle persecuzioni abbiam sì poco coraggio? A h ! perché facciamo assegnamento soltanto su noi medesimi, e non ricorriamo ai nostri Angeli custodi, che domanderebbero a Dio per noi la grazia di uscir vittoriosi, dai nostri combattimenti. Dico pure che, quando preghiamo, dobbiamo unirci bene ai nostri Angeli custodi, perché sono cosi accetti a Dio che Gesù Cristo non può ad essi negar nulla. Siam certi d’averli a fianco quando preghiamo, e specialmente quando ascoltiamo la santa Messa. Un discepolo di S. Giovanni Crisostomo ci narra che moltissime volte, mentre gli serviva la Messa, vedeva la casa di Dio piena d’una moltitudine d’Angeli; parte erano prostrati dinanzi al Corpo adorabile già presente sull’altare; parte andavano per la chiesa per ispirare ai fedeli il rispetto e l’amore, che dovevano avere per Gesù Cristo. Il diacono Pietro riferisce di S. Gregorio il fatto seguente: « Un giorno, nel tempo della Messa, giunto che fu a quelle parole che dice il celebrante: Pax Domini sit semper vobiscum: la pace del Signore sia sempre con voi, si udiron gli Angeli dir con voce risonante per modo che fu udita da tutti gli astanti: Et cum spiritu tuo: e col tuo spirito ». Perciò da quel tempo, quando il Sommo Pontefice celebra la Messa in pubblico, niuno risponde: Et cum spiritu tuo, per serbar memoria di quel miracolo. I nostri Angeli custodi non dimenticheranno poi segnar nel libro della vita tutte le nostre azioni buone per presentarle a Dio nel punto in cui saremo giudicati. Essi son depositari di tutto il bene da noi fatto in tutto il corso della nostra vita; essi, nel momento terribile della morte, ci ispireranno grande fiducia, e ci procureranno la bella sorte di ricevere gli ultimi Sacramenti. I nostri Angeli custodi chiedono a Dio per noi gran dolore dei nostri peccati. Raccogliamo tutto in due parole, fratelli miei: i nostri buoni Angeli custodi, dopo esserci stati compagni per tutta la nostra vita, dopo avere usato tutti i mezzi possibili o per farci uscir dal peccato o per farci perseverare nella grazia, conducono alfine le anime nostre trionfalmente in Paradiso. Se ne dubitate, udite Gesù Cristo il quale dice che gli Angeli recarono l’anima di Lazzaro nel seno d’Abramo, ch’è il luogo di salvazione. S. Antonio ci dice d’aver veduto l’anima di S. Paolo, primo eremita, portata in cielo dagli Angeli. – Ohimè! miei fratelli, chi potrà deplorare abbastanza la sciagura di quei Cristiani, che neppur sanno se abbiano un Angelo custode; e che lasceranno forse passare un tempo notevole senza ringraziare Iddio delle grazie che loro concede per la protezione del loro Angelo custode, o senza dire in suo onore un Pater ed Ave. Ah! non ci meravigliamo d’avere sì poco zelo per la gloria di Dio e la salute delle nostre anime! È perché il nostro Angelo custode ci abbandona a noi stessi in pena delle nostre ingratitudini; perciò facciamo molto male e poco bene. Ohimè! quanti Cristiani sono dannati per aver tenuto in niun conto i loro Angeli custodi. Quali rimproveri all’ora della morte, quando, nell’udirci implorare il suo soccorso, ci dirà, come a quel moribondo di cui si parla nella storia: « Va. sciagurato, non avesti per me che dispregio; perciò Dio m’ha comandato d’abbandonarti alla potenza dei demoni, di cui fosti servo fedele ». Ohimè! quant’è grande, mio Dio, il numero di costoro!… Vedete, fratelli miei, quanto la Chiesa desidera che abbiamo gran devozione verso gli Angeli. Ogni anno, nel mese d’Ottobre, celebra una festa in onore de’ santi Angeli e particolarmente de’ santi Angeli custodi. Com’è possibile dimenticare, fratelli miei, questi Angeli protettori, che ci son sempre a fianco e non ci abbandonano neppure un momento? Cerchiamo di ringraziare spesso Dio di questa grazia, e di ricorrere ad essi di frequente nelle nostre pene, nelle nostre malattie, nei nostri affanni, nelle nostre afflizioni. Sono i nostri migliori amici, ci amano e non si staccano da noi tinche non ci abbiano condotti in cielo. Cerchiamo di far di tratto in tratto qualche preghiera, qualche elemosina, e di far celebrare una Messa in loro onore; soprattutto lo facciano i padri e le madri per attirare sui loro figli e sui loro domestici la protezione de’ santi Angeli. Oh! se saranno fedeli a «presta pratica vedranno ben presto regnare nelle loro famiglie la pace e l’unione tra tutti i membri che le compongono; ma soprattutto la Religione, che li renderà felici in questo mondo aspettando d’esser felici nell’altro. Questa felicità vi desidero.