CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: NOVEMBRE (2019)

CALENDARIO LITURGICO DI NOVEMBRE (2019)

NOVEMBRE è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alle anime sante del PURGATORIO.

SEQUENZA DIES IRÆ

Dies iræ, dies illa
Solvet sæclum in favílla:
Teste David cum Sibýlla.

Quantus tremor est futúrus,
Quando judex est ventúrus,
Cuncta stricte discussúrus!

Tuba mirum spargens sonum
Per sepúlcra regiónum,
Coget omnes ante thronum.

Mors stupébit et natúra,
Cum resúrget creatúra,
Judicánti responsúra.

Liber scriptus proferétur,
In quo totum continétur,
Unde mundus judicétur.

Judex ergo cum sedébit,
Quidquid latet, apparébit:
Nil multum remanébit.

Quid sum miser tunc dictúrus?
Quem patrónum rogatúrus,
Cum vix justus sit secúrus?

Rex treméndæ majestátis,
Qui salvándos salvas gratis,
Salva me, fons pietátis.

Recordáre, Jesu pie,
Quod sum causa tuæ viæ:
Ne me perdas illa die.

Quærens me, sedísti lassus:
Redemísti Crucem passus:
Tantus labor non sit cassus.

Juste judex ultiónis,
Donum fac remissiónis
Ante diem ratiónis.

Ingemísco, tamquam reus:
Culpa rubet vultus meus:
Supplicánti parce, Deus.

Qui Maríam absolvísti,
Et latrónem exaudísti,
Mihi quoque spem dedísti.

Preces meæ non sunt dignæ:
Sed tu bonus fac benígne,
Ne perénni cremer igne.

Inter oves locum præsta,
Et ab hœdis me sequéstra,
Státuens in parte dextra.

Confutátis maledíctis,
Flammis ácribus addíctis:
Voca me cum benedíctis.

Oro supplex et acclínis,
Cor contrítum quasi cinis:
Gere curam mei finis.

Lacrimósa dies illa,
Qua resúrget ex favílla
Judicándus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu Dómine,
Dona eis réquiem.
Amen.

[Giorno d’ira sarà quello: il fuoco distruggerà il mondo come disse David con la Sibilla. – Qual terrore vi sarà, quando verrà il giudice ad esaminare tutto con rigore! – La tromba spanderà il suono mirabile sulle fosse della terra, radunerà tutti presso il trono. – Stupirà la morte e la natura, quando la creatura risorgerà per rispondere al Giudice. – Sarà aperto il libro scritto, dove è tutto quello riguardo a cui il mondo sarà giudicato. – Quando il Giudice si assiderà, tutto ciò che è occulto sarà svelato: niente resterà segreto. – Misero che sono! che dirò allora? A chi mi raccomanderò se appena il giusto sarà sicuro? – O Re di tremenda maestà, che salvi gratuitamente gli eletti, salvami, o fonte di pietà. – Ricorda, o Gesù pio, che io son la causa della tua venuta: non mi dannare in quel giorno. – Ti affaticasti a cercarmi, per salvarmi hai sofferto la croce: non sia vano tanto lavoro. – Giusto giudice vendicatore, dammi la grazia del perdono avanti il giorno dei conti. – Come reo gemo, la colpa copre di rosso il mio volto, o Dio, perdona a chi ti supplica. – Tu che assolvesti la Maddalena ed esaudisti il ladrone, da’ anche a me la speranza. – Le mie preghiere non son degne, ma tu buono e pietoso fa’ che non bruci nel fuoco eterno. – Mettimi tra le pecorelle, e separami dai capretti, ponendomi dalla parte destra. – Condannati i maledetti, e consegnatili alle orribili fiamme, chiama me coi benedetti. – Ti prego supplice e prosteso, col cuore contrito come la cenere, abbi cura del mio fine. – Giorno di lacrime sarà quello in cui dalla cenere l’uomo reo risusciterà per essere giudicato. – A lui dunque perdona, o Dio. O pio Signore Gesù, dona loro il riposo. Così sia.]

[indulg. Trium annorum. Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem pie recitata (S. Pænit. Ap. 9 mart. 1934]

PIA EXERCITIA

588

Fidelibus, qui in suffragium fìdelium defunctorum aliquas preces quolibet anni tempore pia mente effuderint, cum proposito idem pium exercitium per septem vel novem dies continuos iterandi, conceditur : Indulgentia trium annorum semel quovis die; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, expleto septenario vel novendiali exercitio (Pius IX, Audientia 5 ian. 1849; S. C. Episc. et Reg., 28 ian. 1850; S. C. Indulg., 26 nov. 1876; S. Pæn. Ap., 28 maii 1933).

[Per un settenario o un novenario in suffragio dei morti si concede indulg. di tre anni per ogni giorno, ed Ind. Plen. s. c. al termine dell’esercizio]

589

Fidelibus, qui mense novembri preces aliave pietatis exercitia in suffragium fìdelium defunctorum præstiterint, conceditur : Indulgentia trium annorum semel quolibet mensis die; Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis opus compleverint. – Iis vero, qui præfato mense piis exercitiis in suffragium fìdelium defunctorum in ecclesiis vel publicis oratoriis devote interfuerint, conceditur: Indulgentia septem annorum quolibet mensis die; Indulgentia plenaria, si memoratis exercitiis saltem per quindecim dies vacaverint, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontifìcis (S. C . Indulg., 17 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 30 oct. 1932).

[Se nel mese di novembre, si farà un esercizio per i defunti, si lucra ind. di tre anni (o sette anni se fatto in chiesa o in un oratorio pubblico) per ogni giorno, ed ind. Plen.  se fatto almeno per 15 giorni e s. c.]

590

Fidelibus, die quo Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum celebratur vel die dominico proxime insequenti, quoties aliquam ecclesiam aut publicum vel (prò legitime utentibus) semipublicum oratorium defunctis suffragaturi visitaverint, conceditur: Pro fìdelibus defunctis Indulgentia plenaria animabus in purgatorio detentis tantummodo applicabilis, si præterea sacramentalem confessionem instituerint, sacram Communionem susceperint et sexies Pater, Ave et Gloria ad mentem Summi Pontifìcis in unaquaque visitatione recitaverint (S. C. Officii, 25 iun. 1914 et 14 dec. 1916; S. Pæn. Ap., 5 iul. 1930 et 2 ian. 1939).

[per i fedeli che visiteranno una chiesa o un pubblico oratorio nel giorno dei defunti o nella domenica successiva, si concede Ind. Plen. s. c. e recitando 6 Pater, Ave, Gloria, per le intenzioni del Sommo Pontefice,  applic. alle anime del Purgatorio]

591

Missæ omnes, in quocumque altari et a quocumque sacerdote durante Commemorationis Omnium Fidelium Defunctorum octavario celebratæ, gaudent, prò anima tamen cui applicantur, privilegio ac si litatæ in altari privilegiato fuissent (S. C. Indulg., 19 maii 1761; Benedictus XV, Const. Ap. Incruentum Altaris, 10 aug. 1915; can. 917 § 1, C . I . C . ; S. Pæn. Ap., 31 oct. 1934 et 12 iun. 1949).

(Le Messe durante l’ottava della commemorazione dei defunti, godono del privilegio dell’altare privilegiato)

592

Fidelibus, qui, durante Commemorationis Omnium Fidelium Defunctorum octavario, coemeterium pie ac devote visitaverint et, vel mente tantum prò defunctis exoraverint, conceditur: Indulgentia plenaria suetis conditionibus, singulis diebus, defunctis tantum applicabilis.

Iis vero, qui eamdem visitationem et orationem, quovis anni die, peregerint, conceditur: Indulgentia septem annorum defunctis tantummodo applicabilis (S. Paen. Ap., 31 oct. 1934).

[Ai fedeli che visiteranno devotamente, durante l’ottavario della commemorazione dei fedeli defunti, un cimitero pregando per i defunti, si concede indulgenza plenaria s. c. nei singoli giorni. In altro giorno dell’anno sette anni.)

ACTUS HEROICUS CARITATIS

593

a) Fidelibus, qui actum heroicum erga animas in purgatorio detentas emiserint, conceditur:

Indulgentia plenaria fìdelibus tantum defunctis applicabilis: 1° quocumque die ad sacram Communionem accesserint, si præterea confessi aliquam ecclesiam vel publicum oratorium visitaverint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint; 2° qualibet anni feria secunda, vel aliquo obstante impedimento, Dominica insequenti, si Missæ sacrificio in suffragium eorumdem defunctorum fidelium adstiterint ac præterea suetas adimpleverint conditiones.

b) Sacerdotes, qui præfatum heroicum actum emiserint, indulto altaris privilegiati personalis gaudere possunt singulis anni diebus (S. C. Indulg., 30 sept. 1852 et 20 nov. 1854; S. Pæn. Ap., 26 ian. 1932).

[Per i fedeli che emettono l’Atto eroico di carità, è concessa indulg. Plen. s. c. in ogni giorno; con la sola visita di una chiesa o oratorio ogni lunedì dell’anno o, impediti, la domenica successiva. Al Sacerdote è concesso il privilegio dell’altare privilegiato]

* * *

…. nel vecchio Testamento, il santo re Davide (Ps. CXLII) diceva: « Signore non entrate in giudizio col vostro servo, perché niuno dei viventi può essere giustificato al vostro cospetto. Il nemico ha perseguitato l’anima mia, ha umiliato la mia vita sulla terra, mi ha collocato in luoghi oscuri, siccome si depongono i morti nel sepolcro, ed il mio spirito è travagliato sopra di me ed in me è conturbato il mio cuore. » Ecco in queste parole professato il dogma del Purgatorio. Il santo re Davide parla del divino giudizio, e lo mostra così esatto e tremendo da dire in modo generale, che non v’è alcuno, che comparendovi possa essere trovato pienamente giusto; quindi è, secondo lo stesso salmista, che il nemico nostro, ossia il peccato, dopo di averci umiliati in vita, ci caccia ancora dopo morte in un luogo oscuro, dove il nostro spirito e il nostro cuore è in preda al travaglio e al dolore. Lo stesso reale salmista in altro luogo mette in bocca alle anime eternamente salve queste parole: Siamo passate per il fuoco e per l’acqua, e così, o Signore, ci hai tratte al refrigerio dell’eterna salute: transivimus per ignem et per aquam, et eduxisti nos in refrigerium (Salm. LXV, 12). Ora che sono mai quest’acqua e questo fuoco, pel quale passano le anime per giungere alla eterna beatitudine? Origene e S. Ambrogio giustamente interpretando questo passo, dicono che l’acqua è il Santo Battesimo, senza del quale, almeno desiderato da chi non lo può formalmente ricevere, non si può andare in Paradiso, avendo detto Gesù Cristo: Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto non potest introire in regnum Dei, e il fuoco è propriamente ilpurgatorio, nel quale conviene passare assolutamente a purificarsi da chi non è ancor tutto mondo prima di entrare incielo. Ma passiamo al profeta Isaia: egli dice che ilSignore tergerà le macchie delle figlie di Sionne e laverà il sangue di Gerusalemme con spirito di giustizia e di fuoco: in spiritu iudicii et ardoris(IV, 4). Ecco anche in questo passo un bell’accenno al Purgatorio. Voi direte, che anche nell’inferno Dio fa sentire il suo spirito di giustizia e di fuoco. Ed è vero, ma notate tuttavia, che nell’inferno le colpe non sono lavate, come si dice qui, ma sono solamente punite, mentre invece nel Purgatorio, essendo temporalmente punite, sono pure lavate secondo il detto di Isaia. – Sentiamo ora Michea; rivolgendosi egli con santa allegrezza alla morte le dice: « Non ti rallegrare, o mia nemica, perché io sono caduto,  perciocché dopo di essere caduto nelle tenebre mi rialzerò, essendo il Signore la mia luce. Porterò il peso dell’ira di Dio, perché ho peccato contro di Lui, ma quando nella sua giustizia avrà compiuto il giudizio, pronunziato contro di me; mitrarrà alla luce e vedrò la giustizia sua. » (VII, 8, 9). Che cosa si vuole di più chiaro, domanda qui S. Girolamo, per dare una giusta idea del Purgatorio?

[A. Carmagnola: Il Purgatorio – Libr. Sales. Ed.; 1904]

Feste del mese di Novembre

1 Novembre Omnium Sanctorum    Duplex I. classis *L1*

I VENERDI’

2 Novembre In Commemorat. Omnium Fidelium Defunctorum   

                       Duplex I. classis *L1*

I SABATO

3 Novembre Dominica XXI Post Pentec. I. Novembris    Semiduplex  –Dominica minor *I*

4 Novembre S. Caroli Episcopi et Confessoris    Duplex

8 Novembre Ss. Quatuor Coronatorum Martyrum    Feria

9 Novembre  In Dedicatione Basilicæ Ss. Salvatoris

                         Duplex II. classis *L1*

10 Novembre Dominica XXII Post Pentecosten III. Nov. –   Semiduplex   Dominica minor *I*

                     S. Andreæ Avellini Confessoris    Duplex

11 Novembre S. Martini Episcopi et Confessoris    Duplex *L1*

12 Novembre S. Martini Papæ et Martyris    Semiduplex

13 Novembre S. Didaci Confessoris    Semiduplex

14 Novembre S. Josaphat Episcopi et Martyris    Duplex

15 Novembre S. Alberti Magni Episcopi Conf. et Eccl. Doct.    Duplex

16 Novembre S. Gertrudis Virginis    Duplex

17 Novembre Dominica XXIII Post Pentec. – IV. Novem.    Semid.Dominica minor *I

       S. Gregorii Thaumaturgi Episcopi et Conf.Duplex

18 Novembre In Dedicatione Basilicarum Ss. Apostol. Petri et Pauli      

                      Duplex *L1*

19 Novembre S. Elisabeth Viduæ    Duplex

20 Novembre S. Felicis de Valois Confessoris    Duplex

21 Novembre In Præsentatione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex

22 Novembre S. Cæciliæ Virginis et Martyris    Duplex *L1*

23 Novembre S. Clementis I Papæ et Martyris    Duplex

24 Novembre Dom. XXIV et Ultima Post Pentec. V. Novemb.    Semiduplex Dominica minor *I*

                      S. Joannis a Cruce Conf. et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

25 Novembre S. Catharinæ Virginis et Martyris    Duplex

26 Novembre S. Silvestri Abbatis    Duplex

30 Novembre S. Andreæ Apostoli    Duplex II. classis

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: 1 Novembre, FESTA DI TUTTI I SANTI

1 Novembre.

FESTA DI TUTTI I SANTI.

(Discorso primo).

SULLA SANTITÀ

Sancti estote, quia ego sanctus

 Siate santi, perchè santo son io.

(Levitico XIX, 2).

Siate santi, perché santo son Io, dice il Signore. Perché mai, miei fratelli, Dio ci fa un simile comandamento? Perché siamo suoi figli, e se santo è il Padre, devono esserlo anche i figli. I Santi soltanto possono sperare la sorte felice d’andare a godere la vision di Dio, ch’è santità per essenza. Infatti essere Cristiani e viver nel peccato, è contraddizione mostruosa. Un Cristiano dev’esser santo. Sì, miei fratelli, questa verità la Chiesa Ci ripete continuamente, e, per istamparla ne’ nostri cuori, ci mette dinanzi un Dio infinitamente Santo, che rende sante un’infinita moltitudine d’anime, le quali pare ci dicano: « Rammentate, o Cristiani, che siete destinati a vedere Iddio e possederlo; ma non avrete questa felicità, se, nel corso della vostra vita mortale non avrete ritratto in voi la sua immagine, le sue perfezioni e specialmente la sua santità, senza di cui niuno sarà ammesso a vederlo ». Ma se la santità di Dio, miei fratelli, ci si mostra al di sopra delle nostre forze, consideriamo quelle anime beate, quella moltitudine di creature d’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione, che furono soggette all’istesse miserie che noi, esposte ai medesimi pericoli, soggette agli stessi peccati, assaliti da’ medesimi nemici, circondati da’ medesimi ostacoli. Ciò che poteron esse, possiamo anche noi, e non abbiamo scusa per dispensarci dal lavorare alla nostra salute, cioè a divenir santi. Non debbo dunque dimostrarvi altra cosa se non l’obbligo indispensabile che abbiamo di farci santi; e a tal fine vi mostrerò:

l° in che consiste la santità;

2° che noi possiamo acquistarla, come l’acquistarono i Santi, perché abbiamo le medesime difficoltà e i medesimi aiuti

I. — I mondani, per esimersi dal lavorare ad acquistare la santità, il che certamente sarebbe ad essi d’impaccio nel loro modo di vivere, vogliono farci credere che per esser Santi bisogna fare azioni che facciano gran rumore, attendere a straordinarie pratiche di pietà, darsi a grandi austerità, far molti digiuni, ritirarsi dal mondo per internarsi nel deserto e passarvi giorni e notti in preghiera. Tutto questo è cosa buona, ed è la via seguita da molti Santi; ma Dio non domanda questo da tutti. No, miei fratelli, la nostra santa Religione non esige tanto; ma ci dice invece: « Alzate gli occhi al cielo, e vedete se tutti quelli che ne occupano i primi posti fecero cose fuor dell’ordinario. Dove sono i miracoli della SS. Vergine, di S. Giovanni Battista, di S. Giuseppe? » Udite, fratelli miei: Gesù Cristo medesimo dice: che nel giorno del giudizio molti grideranno: « Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in vostro nome; non abbiam cacciato i demoni e fatto miracoli? » — « Ritiratevi da me, risponderà loro il giusto Giudice: ecche? Comandaste al mare, e non avete saputo comandare alle vostre passioni? Liberaste gli ossessi dal demonio, e poi ne foste schiavi? Avete fatto miracoli, e non avete osservato i miei comandamenti?… Andate, sciagurati, al fuoco eterno: avete fatto grandi cose; eppur non faceste nulla per salvarvi e meritare il mio amore » (S. Matth. VII). Vedete dunque, fratelli miei, che la santità non consiste nel far grandi cose, ma nell’osservare fedelmente i comandamenti di Dio, e nell’adempiere i propri doveri in quello stato in cui Dio ci ha posti. – Si vede spesso una persona, che vive in mezzo al mondo, e compie fedelmente i piccoli doveri del suo stato, riuscire a Dio più gradita che i solitari nei loro deserti. Ecco un esempio che ve ne convincerà. Noi leggiamo nella storia, che due solitari domandavano a Dio la maniera di amarlo e servirlo, come si deve, poiché non avevano lasciato il mondo se non per questo. Essi intesero una voce che duceva loro di andare ad Alessandria, ove dimorava un uomo, di nome Eucaristo, e sua moglie che si chiamava Maria. Essi servivano il buon Dio più perfettamente dei solitari ed insegnavano loro come Egli debba essere amato. Contentissimi di questa risposta, si recarono celermente nella città di Alessandria. Là giunti, essi si informarono per diversi giorni senza trovare questi due santi personaggi. Temevano che questa voce li avesse ingannati ed avevano preso la decisione di tornare nel loro deserto, quando si accorsero di una donna sull’uscio della sua casa. Essi le domandarono se conoscesse per caso un uomo chiamato Eucaristo. Ma è mio marito, ella disse loro. – Voi dunque vi chiamate Maria, le dissero i solitari? Chi vi ha fsatto conoscere il mio nome? – Noi l’abbiamo conosciuto, con quello di vostro marito, per via soprannaturale, e veniamo qui per parlarvi. Il marito arrivò la sera, conducendo un piccolo gregge di montoni. I solitari corsero subito ad abbracciarlo, e lo pregarono di dirgli qual fosse il suo genere di vita. – Ahimè! padri miei, io non sono che un povero pastore. – Non è questo che vi chiediamo, gli dissero i solitari; diteci come vivete ed in qual modo, voi e vostra moglie, servite il buon Dio. — Padri miei, siete ben voi che dovete dire a noi cosa dobbiamo fare per servire il buon Dio; io non sono che un povero ignorante. — Non importa! Noi siamo venuti da parte di Dio a domandarvi come lo servite. — Poiché voi me lo comandate, allora io ve lo dico. Io ho avuto la fortuna di aver avuto una madre che temeva Dio, e che fin dalla mia infanzia, mi ha raccomandato di fare tutto e soffrire tutto per amor di Dio. Io soffrivo le piccole correzioni che mi si facevano per amor di Dio; io riferivo tutto a Dio: al mattino, mi alzavo, facevo le mie preghiere e tutto il mio lavoro per suo amore. Per amor suo, io prendo i miei pasti; soffro la fame, la sete, il freddo ed il caldo, le malattie e tutte le altre miserie. Non ho figli, ho vissuto con mia moglie come con mia sorella, e sempre in una grande pace. Ecco tutta la mia vita che è anche quella di mia moglie. — I solitari, meravigliati di vedere delle anime così gradite a Dio, gli domandarono se avesse dei beni. —  Io ho pochi beni, ma questo piccolo gregge di montoni che mio padre mi ha lasciato, mi è sufficiente, non ho altro. Dei miei guadagni ne faccio tre parti: ne do una parte alla Chiesa, un’altra ai poveri, ed il resto fa vivere me e mia moglie. Vivo in povertà, ma non me ne lamento: e soffro tutto questo per amor di Dio. — Avete nemici, gli chiesero i solitari? — Ahimè, padri miei, chi è colui che non ne ha? Io cerco di fare tutto il bene che posso, cerco di piacer loro in ogni circostanza, mi applico a non far male a nessuno. A queste parole i due solitari furono pieni di gioia nell’aver trovato un mezzo così facile di piacere a Dio ed arrivare alla più alta perfezione. Ecco, fratelli miei, che cos’è la santità, e che cos’è un santo agli occhi della Religione. Ditemi, è forse cosa molto difficile il santificarsi nello stato, in cui Dio v’ha messo? Padri e madri, imitate que’ due Santi: ecco i vostri modelli: seguiteli e voi pure diverrete Santi. Fate com’essi. In tutte le cose cercate di piacere a Dio, di far tutto per suo amore, e sarete predestinati. Volete anche sapere che cos’è un santo agli occhi della Religione? È un uomo che teme Iddio, l’ama sinceramente e lo serve con fedeltà; è un uomo che non si lascia punto gonfiare dalla superbia, né dominare dall’amor proprio, ma è veramente a’ propri occhi umile e meschino; che, se sprovveduto de’ beni terreni, non li desidera, o, se li possiede, non v’attacca il cuore; è un uomo ch’è nemico d’ogni acquisto ingiusto; è un uomo che con la pazienza e con la giustizia tenendo a freno l’anima sua, non s’offende d’un’ingiuria che gli vien fatta. Ama i suoi nemici, e non cerca di vendicarsi. Rende al prossimo tutti i servigi che può, divide volentieri coi poveri i suoi beni; cerca Dio solo e sprezza i beni e gli onori di questo mondo. Non desiderando che i beni celesti, sente nausea de’ piaceri della vita e trova soltanto nel servizio di Dio la sua felicita. È un uomo assiduo alle funzioni della Chiesa, che frequenta i Sacramenti e lavora seriamente alla propria salvezza; è un uomo, che, avendo orrore di qualsiasi impurità, fugge, quanto può, le cattive compagnie per conservar puri il suo corpo e l’anima sua. È un uomo, che interamente si soggetta alla volontà di Dio in tutte le croci e le avversità che gli sopravvengono; non accusa né l’uno né l’altro, ma riconosce che per cagione de’ suoi peccati pesa su lui la divina giustizia. È un buon padre che cerca solo la salute de’ suoi figli, dando loro egli medesimo buon esempio, e non facendo nulla che possa scandalizzarli. È un padrone caritatevole, che ama i suoi domestici come fratelli e sorelle. È un figlio che rispetta il padre e la madre e li riguarda come posti a tener le veci di Dio medesimo. È un domestico che nella persona de’ suoi padroni vede Gesù Cristo in persona, che gli comanda per bocca loro. Ecco, miei fratelli, quello che voi chiamate un uomo onesto. Ma ecco pure quel che Dio chiama l’uomo del miracolo, il santo, il gran santo. « Chi è costui? chiede il Savio: noi lo colmeremo di lodi, non perché abbia fatto cose meravigliose nel corso della sua vita: ma perché fu provato dalle tribolazioni e ritrovato perfetto: sarà eterna la sua gloria » (Eccli. XXXI, 9, 10). Che deve intendersi per santa fanciulla? Santa fanciulla è quella che fugge i piaceri e la vanità: che mette ogni suo diletto nel piacere a Dio e ai suoi genitori: che frequenta volentieri le funzioni e i Sacramenti: che sa amare la preghiera; quella in una parola che a tutto preferisce Dio. Ne citerò un esempio meraviglioso, ma vero, tratto dalla storia ecclesiastica, su cui ciascuno potrà modellarsi. Nel tempo della persecuzione, che infierì nella città di Tolemaide, le fanciulle cristiane spiccarono per la loro virtù. Ve n’erano moltissime di nascita illustre, ed erano sì pure che amavano meglio incontrare la morte anziché perder la castità: da se stesse si tagliarono le labbra e parte del viso per apparire più orribili agli occhi di chi loro s’accostasse. Furono lacerate con maglie di ferro e sotto i denti de’ leoni. Quelle impareggiabili giovinette vollero piuttosto tollerare sì acerbi tormenti, che esporre il loro corpo alla licenza dei libertini. Oh! qual condanna sarà quest’esempio per quelle fanciulle leggere, che pensano solo a comparire, ad attirarsi gli sguardi della gente, a segno da divenire spregevoli!… Citerò ancora l’esempio di Santa Coleta (Ribadeneira, al 6 Marzo), vergine sì pura e sì riservata, che temeva tanto di farsi vedere quanto le fanciulle mondane han premura di mostrarsi. Udì un giorno in una conversazione lodarsi la sua bellezza: ne arrossì, e corse subito a prostrarsi a’ piedi del suo crocifisso. « Ah! mio Dio, esclamava piangendo, questa bellezza che m’avete data, sarà cagione della perdita dell’anima mia e di quella d’altri con me? ». Da quel momento abbandonò il mondo, e andò a chiudersi in un monastero, ove soggettò il suo corpo ad ogni sorta di macerazioni. Morendo diede visibili segni d’aver serbata l’anima pura, non solo agli occhi del mondo, ma anche a quelli di Dio. Riconosco, sì, che questi due esempi sono un po’ straordinari, e pochi possono imitarli; ma eccone uno che si adatta assolutamente alle condizioni vostre. Udite attentamente, o giovani, e vedrete, che, se vorrete seguire le attrattive della grazia, ben presto sarete disilluse a riguardo de’ piaceri e delle vanità del mondo che vi allontanano da Dio. Si narra d’una giovane damigella della Franca Contea, per nome Angelica, che aveva molto spirito, ma era mondana assai. Avendo udito un predicatore predicar contro la vanità e il lusso nel vestire, andò a confessarsi da lui. Egli le fece intender sì bene quanto fosse colpevole e quante anime poteva trarre a perdizione, che, fin dal giorno dopo, lasciò tutte le sue vanità e si vestì in modo semplicissimo, da cristiana. Sua madre, ch’era come la maggior parte di quei poveri ciechi, i quali par non abbiano figliuole che per precipitarle all’inferno riempiendole di vanità, la riprese perché non s’abbigliava più come prima. « Madre mia, le rispose, il predicatore da cui sono stata a confessarmi, me l’ha proibito. Quella povera madre, accecata dalla collera, va a cercare il confessore, e gli domanda, se veramente ha proibito a sua figlia di abbigliarsi secondo la moda. « Io non so, le rispose il confessore che cosa abbia detto a vostra figlia: ma vi basti sapere che Dio proibisce di vestirsi conforme alla moda, se questa non è secondo Dio, ma colpevole e perniciosa alle anime ». — « Padre mio, qual moda chiamate voi colpevole e perniciosa alle anime? » — « Quella, per es., di portar vesti troppo aperte, o che mettan troppo in rilievo le forme del corpo; o portar abiti troppo ricchi e più costosi di quel che permette il proprio stato ». Le fece quindi vedere i pericoli di queste mode, e come dessero cattivo esempio. — « Padre mio, gli disse la donna, se il mio confessore m’avesse detto quanto m’avete detto voi, non avrei mai permesso a mia figlia di portar tutte quelle vanità, ed io stessa sarei stata più assennata; eppure il mio confessore è dotto assai! Ma che m’importa che sia dotto, se mi lascia vivere a mio capriccio, e in pericolo di perdermi eternamente? » Tornata a casa, disse a sua figlia: « Benedici Iddio d’aver trovato tal confessore e seguine gli avvertimenti ». La giovane damigella ebbe poi a sostenere terribili combattimenti da parte delle altre compagne, che se ne facevan beffe e la mettevano in ridicolo. Ma l’assalto più forte le venne dalla parte di talune che si provarono a farle mutar pensiero. « Perché, le dissero, non vi abbigliate voi come le altre? » — «Non sono punto obbligata a far come le altre, rispose Angelica: mi vesto come quelle che fan bene e non come quelle che fanno male ». — « Ecché? Facciam dunque male ad abbigliarci quali ci vedete? » — « Sì certamente, fate male, perché date scandalo a chi vi guarda ». — « Quanto a me, disse una tra loro, non ho alcuna intenzione cattiva; mi vesto a modo mio, e se alcuno se ne scandalizza, peggio per lui ». — « Peggio anche per voi, riprese Angelica, perché ne siete occasione; se dobbiam temere di cader noi in peccato, dobbiam pur temere di far peccar gli altri ». — « Checché ne sia delle vostre buone ragioni, replicò un’altra, se non vi vestite più come noi, le vostre amiche vi abbandoneranno, e non avrete più coraggio di comparire nelle belle conversazioni e nei balli ». — « Desidero piuttosto, rispose Angelica, la compagnia della mia cara madre, delle mie sorelle e di alcune morigerate giovinette che tutte codeste belle conversazioni e codesti balli. Non mi vesto per piacere, ma per coprirmi; i veri ornamenti d’una fanciulla non istanno negli abiti, ma nella virtù. Del resto, signore, se la pensate così, non la pensate da cristiane, ed è vergogna che, in una Religione santa come la nostra, vi sia chi si permette tali violazioni della modestia ». Dopo tutti questi discorsi una della compagnia disse: « Davvero è vergogna che una giovinetta di diciott’anni debba darci lezione: il suo esempio sarà un giorno nostra condanna. Siam pur cieche in far tanto per piacere al mondo, che poi si burla di noi! » Angelica perseverò sempre nelle sue buone disposizioni, non ostante tutto ciò che poterono dirle. Ebbene, fratelli miei, chi v’impedisce di far come questa giovine contessa? Essa si è santificata vivendo nel mondo. Oh! qual motivo di condanna sarà nel giorno del giudizio, quest’esempio per molti e molti Cristiani! Si può farsi Santi anche nello stato coniugale. Lo Spirito Santo nella sacra Scrittura si diletta di farci il ritratto d’una donna santa; e conforme alla descrizione che ce ne fa (1 Tim. II; Ephes. V) vi dirò che donna santa è quella che ama e rispetta il suo sposo, veglia con sollecitudine sui figliuoli e sui domestici, è attenta a farli istruire e farli accostare ai Sacramenti, s’occupa delle faccende domestiche e non della condotta de’ suoi vicini; è riserbata ne’ discorsi, caritatevole nelle opere, nemica dei divertimenti mondani: una donna siffatta, dico, è un’anima giusta: Dio la loda, la canonizza; insomma è una santa. Vedete dunque, fratelli miei, che per esser Santi, non è necessario abbandonar tutto; ma adempier bene i doveri dello stato, in cui Dio ci ha messo, e far tutto ciò che facciamo coll’intenzione di piacere a Lui. Lo Spirito Santo ci dice che per esser Santi basta allontanarci dal male e fare il bene (Ps. XXXIII, 13-14). Ecco, miei fratelli, qual santità ebbero tutti i Santi, e dobbiamo avere anche noi. Ciò ch’essi han fatto, possiam fare noi pure con la grazia di Dio; poiché abbiamo com’essi i medesimi ostacoli alla nostra salute e gli stessi aiuti per vincerli.

II. — Dico: 1° che i Santi incontrarono i medesimi ostacoli che noi, a giungere alla santità: ostacoli di fuori, ostacoli dentro di sé medesimi. Ostacoli da parte del mondo: il mondo era allora qual è a’ tempi nostri, del pari pericoloso ne’ suoi esempi, del pari corrotto nelle sue massime, del pari seducente ne’ suoi piaceri, sempre nemico della pietà e sempre pronto a metterla in ridicolo. N’è prova il fatto che la maggior parte de’ Santi disprezzò e fuggì il mondo con gran cura; preferirono la ritiratezza alle adunanze mondane; anzi molti, temendo di perdervisi, l’abbandonarono del tutto; gli uni per andarsene a passare il resto de’ loro giorni in un monastero, altri nel fondo dei deserti, quali un S. Paolo primo eremita, un S. Antonio (Vita dei Padri del Deserto. T. I), una santa Maria Egiziaca (Ibid. T. V, pag. 379) e tanti altri. – Ostacoli da parte del loro stato: parecchi erano, come voi, impegnati in affari del mondo, aggravati dagli impicci del governo d’una famiglia, dalla cura de’ figliuoli; obbligati, la maggior parte, a guadagnarsi il pane col sudore della loro fronte; ora, ben lungi dal pensar, come noi, che in un altro stato si salverebbero più facilmente, erano persuasi d’aver grazie maggiori in quello nel quale li aveva messi la Provvidenza. Non vediam forse che nel tumulto del mondo e tra gl’impicci d’una famiglia e le faccende domestiche si salvò un gran numero di Santi? Abramo, Isacco, Giacobbe, Tobia, Zaccaria, la casta Susanna, il santo Giobbe, S. Elisabetta: tutti questi illustri Santi dell’antico Testamento, non erano stabiliti nel mondo? E nella nuova Legge può forse contarsi il numero di coloro che si santificarono nelle ordinarie condizioni della vita? Perciò S. Paolo ci dice che i Santi giudicheranno le nazioni (1 Cor. VI, 2)). Non vuol dirci con ciò che non v’è uomo sulla terra, il quale non trovi qualche Santo nel suo stato, che sarà condanna della sua infingardaggine, facendogli vedere che avrebbe potuto far, come lui, ciò per cui ha meritato il cielo? Se dagli ostacoli esteriori passiamo adesso agli interni, vedremo che i Santi ebbero tentazioni e combattimenti quanti possiamo averne noi, e forse più. Primieramente dalle abitudini cattive. Non crediate, fratelli miei, che tutti i Santi sian sempre stati Santi. Quanti ve ne sono che cominciarono male e vissero lungo tempo in peccato. Vedete il santo re David, vedete S. Agostino, vedete S. Maddalena. Facciamoci dunque coraggio, fratelli miei; sebbene peccatori, possiamo pure divenir Santi: se non saremo tali per l’innocenza, lo saremo almeno per la penitenza; poiché una gran parte de’ Santi si è santificata così. Ma, direte forse, costa troppo! — Costa troppo, fratelli miei? E credete che ai Santi non abbia costato nulla? Vedete David, che bagna il suo pane con le sue lacrime, e il suo letto col suo pianto (Ps. CI, 10; VI, 7). Credete che ad un re, qual egli era, non costasse nulla? Credete che gli riuscisse indifferente darsi spettacolo a tutto il suo regno, e servire a tutti di zimbello? Vedete santa Maddalena: in mezzo ad una numerosa adunanza, si getta ai piedi del Salvatore, e piangendo dirottamente accusa alla presenza di tutti le sue colpe (S. Luc. VII); segue Gesù Cristo fino a’ piedi della croce (S. GIOVANNI, XIX, 25.), e ripara qualche anno di debolezza con lunghi anni di penitenza: credete forse, fratelli miei, che siffatti sacrifici non le costassero alcuno sforzo? Credo con certezza che chiamerete beati i Santi, i quali han fatto tale penitenza e versato tante lagrime. Ohimè! se potessimo anche noi, come quei Santi, intendere la gravezza dei nostri peccati e la bontà di Dio che abbiamo offeso; se, com’essi, pensassimo all’inferno che abbiamo meritato, all’anima nostra che abbiam perduta, al sangue di Gesù Cristo che abbiam profanato! Ah! se avessimo ne’ nostri cuori tutti questi pensieri, quante penitenze faremmo per cercare di placare la giustizia di Dio da noi irritata! – Credete forse che i Santi sian giunti senza fatica a quella semplicità, a quella dolcezza, ond’eran mossi a rinunziare alla propria volontà, ogni qual volta se ne presentasse l’occasione? Oh! no, miei fratelli! Udite S. Paolo: « Ohimè! io faccio il male che non vorrei, e non faccio il bene che vorrei: sento nelle mie membra una legge che si ribella contro la legge del mio Dio. Ah! me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? ». Quali combattimenti non dovettero sostenere i primi Cristiani nel lasciare una religione, che tendeva solo a blandire le loro passioni, per abbracciarne un’altra che mirava invece a crocifiggere la carne? Credete forse che S. Francesco di Sales non si sia dovuto far violenza per divenir dolce com’era? Quanti sacrifizi dovette fare!… I Santi non furon Santi, se non dopo molti sacrifizi e molte violenze!

2° Dico in secondo luogo che noi abbiamo le medesime grazie, da cui essi furono avvalorati. E primieramente il Battesimo non ha egual virtù di parificarci, la Confermazione di fortificarci, l’Eucaristia d’indebolire in noi la concupiscenza e d’accrescere nelle nostre anime la grazia? E la parola di Gesù Cristo non è sempre la stessa? Non udiamo noi ripetercisi ad ogni tratto quel consiglio: « Lasciate tutto e seguitemi? » E questo appunto convertì a santità S. Antonio, S. Arsenio, S. Francesco d’Assisi. Non leggiamo forse nel Vangelo quell’oracolo: « Che giova all’uomo guadagnar tutto il mondo, se poi perde l’anima sua ? (Matth. XVI, 26) Queste medesime parole non convertirono S. Francesco Saverio, e d’un ambizioso ne fecero un apostolo. – Non sentiamo pure ogni giorno ripetere: « Vegliate e pregate continuamente! » E da questa dottrina appunto furono formati i santi. Finalmente, fratelli miei, quanto a buoni esempi, per quanto sregolato sia il mondo, non ne abbiam ancor dinanzi agli occhi qualcuno, e certo più di quelli che potremo seguire? insomma la grazia ci manca più che non ai Santi? E non contiamo per nulla que’ buoni pensieri, quelle salutari ispirazioni di staccarci da quel peccato, di rompere quella cattiva abitudine, di praticare quella virtù, di fare quell’opera buona? Non sono grazie quei rimorsi di coscienza, quei turbamenti, quelle inquietudini che proviamo dopo d’aver litigato? Ohimè! miei fratelli, quanti Santi, che sono adesso in cielo, ebbero meno grazie di noi! Quanti pagani e quanti Cristiani sono all’inferno, che sarebbero divenuti gran Santi, se avessero avuto tante grazie, quante ne abbiam ricevute noi!… – Sì, miei fratelli, possiamo esser Santi, e dobbiamo lavorar tutti a divenirlo. I Santi furono mortali come noi, deboli e soggetti alle passioni come noi; noi abbiamo gli stessi aiuti, le stesse grazie, i medesimi Sacramenti; ma bisogna fare com’essi: rinunciare ai piaceri del mondo, fuggire il mondo, quanto possiamo, esser fedeli alla grazia; prenderli a modello: poiché non dobbiamo dimenticar mai che santi o riprovati dobbiamo essere, vivere pel cielo o per l’inferno: non v’è via di mezzo. – Concludiamo, miei fratelli, dicendo che, se vogliamo, possiamo esser Santi, perché Dio non ci negherà mai la sua grazia, che ci aiuti a divenirli. È nostro Padre, nostro Salvatore, nostro Amico: desidera ardentemente di vederci liberati dai mali della vita. Vuol ricolmarci d’ogni sorta di beni, dopo averci dato fin da questo mondo immense consolazioni, saggio di quelle del cielo, che io vi desidero.

LA PERFEZIONE NELLE OPERAZIONI ORDINARIE (3)

[P. Alfonso RODRIGUEZ S. J.: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane – S. E. I. Torino; rist. 1948]

TRATTATO II.

DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE (3)

CAPO VII.

D’un altro mezzo, che è assuefarsi uno a far bene le opere proprie.

1. Come praticare questo mezzo. — 2. Ci viene insegnato dalla

S. Scrittura, — 3. Efficacia del buon abito.

1. Quel grande ed antichissimo filosofo, Pitagora, dava un consiglio molto buono ai suoi discepoli e ai suoi amici per diventar virtuosi e per rendersi loro facile e soave la virtù. Diceva loro così: Eleggasi ciascuno un modo di vivere molto buono, e non si sgomenti, per parergli da principio faticoso e difficile; perché di poi, con la consuetudine, gli riuscirà molto facile e molto gustoso. Questo è un mezzo molto principale, e del quale ci abbiamo da valere, non tanto per essere di quel filosofo, quanto perché è dello Spirito Santo, siccome or ora vedremo; e perché è mezzo molto valevole pel fine che pretendiamo. Già noi abbiamo eletto il buon modo di vivere, o per dir meglio, già il Signore ci ha eletti per questo: « Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi » (Joan. XV, 16). Siane egli eternamente benedetto e glorificato. Ma in questa vita e in questo stato, nel quale il Signore ci ha posti, vi può essere il più e il meno: perché puoi esser perfetto, e puoi essere imperfetto e tiepido, secondo che andrai operando. Ora se vuoi far profitto e acquistare la perfezione in questo stato e nelle tue operazioni, procura di avvezzarti a far le opere e gli esercizi della religione ben fatti e con perfezione. Avvezzati a far bene l’orazione e gli altri esercizi spirituali; avvezzati ad esseremolto puntuale nell’ubbidienza e nell’osservanza delle regole e a far conto delle cose piccole; avvezzati al ritiramento, alla mortificazione e penitenza, alla modestia e al silenzio. Non dubitare; se nel principio sentirai in ciò qualche difficolta, dopo, con la consuetudine, ti si renderà non pur facile, ma soave e gustoso, e non ti sazierai di render grazie a Dio dell’esserti a ciò assuefatto.

2. Questa dottrina ci viene insegnata dallo Spirito Santo in molti luoghi della sacra Scrittura. Dicesi nei Proverbi: « Ti indirizzerò per la via della Sapienza » (Prov. IV, 11). Io t’insegnerò a prender sapore nella cognizione di Dio; che tanto appunto, per detto di S. Bernardo e di S. Bonaventura, vuol dire nella sacra Scrittura la parola sapienza, una « saporita cognizione di Dio ». – Or io t’insegnerò, dice lo Spirito Santo, la strada, per la quale tu venga ad aver sapore e gusto in conoscere, amare e servir Dio. « Ti condurrò nei sentieri della giustizia; e quando in essi sarai entrato, non troverai angustia ai tuoi passi, né inciampo al tuo corso » (Prov. IV, 11-12). Ti condurrò prima per i sentieri stretti della virtù, i quali chiama così, perché la virtù nei principi ci si rende difficile, per la nostra mala inclinazione, e ci pare uno stretto sentiero; ma passate che avrai quelle prime strettezze camminerai alla larga molto gustosamente e a piacer tuo; ed anche correrai senza inciampare, né troverai difficoltà in cosa alcuna. Lo Spirito Santo c’insegna elegantemente con questa metafora che, quantunque nei principi sentiamo difficoltà in questa strada della virtù e della perfezione, non abbiamo per questo da perderci d’animo; perché di poi, camminando avanti in questa strada, non solo non avremo difficoltà, ma vi troveremo molto gusto e grande contentezza ed allegrezza, e verremo a dire: « Io faticai per un poco ed ho trovato molto riposo » (Eccli. LI, 35). Lo stesso si replica nel capo sesto dell’Ecclesiastico: « Con un po’ di lavoro nella sua cultura ben presto ne godrai i frutti » (Eccli. VI, 20). E il glorioso Apostolo S. Paolo c’insegna anch’egli questo medesimo: « Ora qualunque disciplina sembra pel presente apportatrice non di gaudio, ma di tristezza: dopo però rende un tranquillo frutto di giustizia a coloro che in essa si sono esercitati » (Hebr. XII, 11). E così vediamo in tutte le arti e scienze. Quanto difficile non si rende ad un giovinetto lo studio nel principio! Molte volte bisogna condurvelo per forza, e si suol dire che l’apprender le lettere costa sangue; ma dopo con l’esercizio, quando va facendo profitto e imparando qualche cosa, gusta tanto dello studio, che alle volte tutto il suo trattenimento e la sua ricreazione è lo starsene studiando. Or così avviene ancora nella via della virtù e della perfezione.

3. S. Bernardo va dichiarando molto bene questa cosa sopra quelle parole di Giobbe: « Quelle cose che io per l’avanti non avrei voluto toccare, sono adesso nelle mie strettezze mio cibo » (Iob. VI, 7) . Vuoi tu sapere, dice egli, quanto fa l’esercizio e la consuetudine, e quanta forza ha! Al principio ti parrà una cosa molto difficile e insopportabile; ma se ti assuefai ad essa, coll’andar del tempo non ti parrà tanto difficile né tanto pesante: da lì a poco ti parrà cosa leggiera e facile; indi ad un altro poco non la sentirai più affatto: e in breve non solo non la sentirai più, ma ti darà ella tanto gusto e tanta contentezza, che potrai dire con Giobbe: Quello che prima l’anima mia aborriva, e non lo poteva vedere, ma mi cagionava orrore, adesso è mio cibo e nutrimento molto dolce e saporito (S. Bern. De cons. ad Eug. L. 1, c. 2)- Di maniera che ogni cosa riesce secondo che la persona si assuefà ad essa. Perciò a te riesce difficile l’osservar le addizioni e gl’indirizzi dell’orazione e dell’esame, perché vi sei poco assuefatto: perciò hai tanta difficoltà nel fissare e tener raccolta la tua immaginativa, acciocché non se ne scorra ove vuole subito che ti svegli e nel tempo dell’orazione, perché non hai fatto mai sforzo, né ti sei avvezzo a fissarla e a tenerla a freno, affinché non trascorra a pensar in altro che in quello che hai da meditare. Per questo ti cagiona tristezza e malinconia il silenzio e il ritiramento, perché poco l’usi. « La cella, dice il devoto Tomaso da Kempis, se ci si abita di continuo, riesce dolce; se male la si custodisce, ingenera noia » (De Imit. Chr. l. I, c. 20, 5) . Avvezzati tu adunque a startene in essa continuamente, che ti diventerà soave e gioconda. Per questo riescono difficili al secolare l’orazione e il digiuno, perché non vi si è assuefatto. E re Saul vestì Davide delle sue proprie armi, perché con quelle andasse a combattere col Filisteo; ma perché quegli non era avvezzo, non si poteva muovere con esse, e le lasciò: si assuefece poi alle armi, e con esse combatteva molto bene. – E quel che dico della virtù e del bene, dico anche del vizio e del male. Che se ti lasci trasportare dalla cattiva consuetudine, crescerà il male e piglierà forze maggiori; onde sarà poi più difficile il rimedio, e così te ne resterai tutta la tua vita. Oh se da principio tu ti fossi assuefatto a fare le cose bene, quanto ricco ti troveresti adesso e quanto contento, vedendo la virtù e il bene esserti ornai divenuti cotanto facili e soavi! Comincia ora ad assuefarti bene; che è sempre meglio tardi, che mai. Piglia a petto il far bene coteste cose ordinarie che fai, poiché tanto importa il farle bene, ed applica a questo, se sarà di bisogno, l’esame particolare, che sarà dei buoni esami che tu possa fare; e in questa maniera ti si andrà rendendo facile e soave il farle e il farle bene.

CAPO VIII.

Quanto importi al religioso il non allentare nella virtù.

1. Difficile dalla tiepidezza tornare al fervore. 2. Stato infelicedel tiepido. — 3. Diventa infermo con quello onde dovrebbeconservarsi sano. — 4. Rimedio.

1. Da quello che si è detto si verrà a conoscere assai bene, quanto importi al religioso il conservarsi nella devozione, l’aver sempre fervore negli esercizi della religione e il non lasciarsi cadere in tiepidezza, in lentezza e in rilassatezza; perché gli sarà di poi molto difficile l’uscire da essa. Potrà ben fare Iddio che ritorni dopo a vita infervorata e perfetta; ma questo sarà quasi come un miracolo. Dice questa cosa molto bene S. Bernardo, scrivendo ad un certo Riccardo, abate Fontanense, e ai suoi religiosi, coi quali aveva Dio fatto questo miracolo, che, avendo quelli menata sino a quell’ora una qualità di vita tiepida, lenta e rilassata, li aveva cangiati e trasferiti ad una molto infervorata e perfetta. Maravigliandosene e rallegrandosene assai, e congratulandosene con essi il Santo, dice cosi: « Qui vi è il dito di Dio: chi mi concederà che io colà mi trasferisca e veda, come un altro Mosè, questa prodigiosa visione? » Perché non è cosa meno meravigliosa questa che quella che vide Mosè nel roveto che bruciava e non si consumava. « È cosararissima e molto straordinaria il veder passar uno avanti e trascendere quel grado nel quale una volta si è fissato nella religione. Più facil cosa sarà ritrovare molti secolari, i quali dalla mala vita si convertano alla buona, che incontrarsi in un religioso, il quale da vita tiepida, lenta e rimessa passi a vita migliore » (S. Bern. Ep. 96; M. PL. V. 182, col. 22). E la ragione di ciò è perché i secolari non hanno i rimedi tanto continui quanto i religiosi; e così quando odono una buona predica, o vedono la repentina e disgraziata morte di un qualche vicino od amico, quella novità cagiona in essi spavento ed ammirazione, e li muove a mutare e ad emendare la loro vita. Ma il religioso, che ha questi rimedi tanto famigliari, tanta frequenza di Sacramenti, tante esortazioni spirituali, tanto esercizio di meditar le cose di Dio e di trattar della morte, del giudizio, dell’inferno, della gloria; se con tutto ciò se ne sta tiepido, lento e rimesso, che speranza si può avere che sia per mutar vita, essendo che già ha fatto l’orecchio a queste cose? E così quello che avrebbe da aiutarlo e muoverlo, e quello che suol muovere altri, non muove lui, né gli fa impressione alcuna.

2. Questa è anche la ragione di quella sentenza tanto celebre del glorioso S. Agostino: « Da che cominciai a servir Dio, siccome non ho conosciuti altri migliori di quelli che hanno fatto profitto nella religione; così non ho conosciuti altri peggiori di quelli che in essa sono caduti ». – S. Bernardo dice che di costoro, che sono caduti e che hanno mancato nella religione, molto pochi ritornano allo stato e grado di prima; ma più tosto vanno peggiorando (S. Aug. Ep. ad Cler. Et pleb. Hipon n. 9). Sopra dei quali, dice egli, piange il profeta Geremia: « Come mai si è oscurato l’oro! il suo bel colore si è cangiato? Quelli che erano stati allevati nella porpora, hanno brancicato lo sterco » (S. Bern. Serm. 3 in fest. App. Petri et Pauli, n. 2). Quelli cioè che erano tanto favoriti e accarezzati da Dio nell’orazione, e dei quali tutto il trattare e conversare era in cielo, si sono ridotti ad abbracciare lo sterco e a sguazzare nel fango e nelle pozzanghere.

3. Sicché, parlando secondo quello che ordinariamente accade, poco buona speranza si può avere di quelli che cominciano a dar indietro e a diventar cattivi nella religione. Cosa che ci dovrebbe cagionare grandissimo terrore. E la ragione di ciò è quella che abbiamo toccata; perché questi tali cadono infermi con le stesse medicine e rimedi, coi quali dovrebbero migliorare e guarire. Or se con quello con cui altri migliorano e guariscono, essi ammalano e peggiorano, che speranza si può avere della loro salute? L’infermo, nel quale non fanno operazione alcuna le medicine, ma più tosto si sente star peggio con esse, si può ben dare per disperato e spedito. Perciò facciamo tanto caso del peccato e della caduta di un religioso, e ne abbiamo tanta paura; mentre nei secolari non ne concepiamo tanto orrore. Quando il medico vede in una persona infermicela e debole uno svenimento, ovvero una gran debolezza di polso, non se ne piglia molto fastidio; perché quella cosa non è stravagante rispetto all’ordinaria disposizione di colui: ma quando vede una cosa simile in una persona molto sana e robusta, lo tiene per molto mal segno; perché tale accidente non può procedere se non da qualche umor maligno predominante, pronostico di morte o d’infermità molto grave. Così avviene nel caso nostro. Se un secolare cade in peccati, questi non sono casi molto disusati ed insoliti in quella vita tanto trascurata di chi si confessa una volta l’anno e di chi sta in mezzo a tante occasioni, che a tal vita lo portano; ma nel religioso, sostenuto da tanta frequenza di Sacramenti, da tanta orazione e da tanti santi esercizi, quando viene a cadere, è segno di virtù molto scaduta e d’infermità grave; onde v’è ragione di temere assai.

4. Non dico però questo, dice S. Bernardo (S. Bern. loc. cit. n. 3), perché nella disgrazia di qualche caduta ti abbia da disperare, specialmente se pensi a subito rialzarti; poiché quanto più lo differirai, tanto più si renderà difficile; ma lo dico acciocché non pecchi, acciocché non cada e acciocché non ti rallenti. Ma se alcuno cadesse, abbiamo un buono avvocato in Gesù Cristo, il quale può quello che non possiamo noi. «Figliuolini miei, scrivo a voi queste cose affinchè non picchiate. Che se alcuno avrà peccato, abbiamo nostro avvocato presso del Padre Gesù Cristo giusto » (1Joan., II, 1). Perciò nessuno si disperi, perché se si converte a Dio di cuore, senza dubbio conseguirà misericordia. Se l’Apostolo S. Pietro, dopo aver seguitato tanto tempo la scuola di Cristo ed essere stato tanto suo favorito, cadde sì gravemente, e dopo così grave caduta, come fu negare il suo Signore e Maestro, ritornò a tanto alto ed eminente stato; chi si dispererà? Peccasti tu colà nel secolo, dice S. Bernardo, più forse che 8. Paolo? Hai tu peccato qui nella religione più forse che S. Pietro? Or questi, perché si pentirono e fecero penitenza, non solo ottennero perdono, ma anche una santità e perfezione molto alta. Fa tu ancora cosi, e potrai ritornare non solo allo stato di prima, ma anche a perfezione molto maggiore.

CAPO IX.

Quanto importi ai novizi il valersi del tempo del noviziato e l’assuefarsi in esso a far bene; e come debbono esser fatti gli esercizi della religione.

1. Due ragioni di questa importanza. — 2. Quale in noviziato tale di poi. — 3. Difficile a vincere una passione invecchiata. — 4. Inganno di chi differisce l’emenda. — 5. Dalla buona educazione dei novizi dipende tutto  il bene della religione. — 6. Vantaggio di chi si dà alla virtù da giovane. — 7. Esempio.

1. Da quello che si è detto possiamo raccogliere per i novizi quanto importi a loro di valersi bene del tempo del noviziato e l’assuefarsi in esso a far gli esercizi della religione ben fatti: e questo potrà ancora servire per tutti quelli che cominciano a camminare per la via della virtù. La prima regola del Maestro dei novizi, che abbiamo nella Compagnia, ce lo dichiara molto bene e con poche parole, le quali non solo parlano a noi altri, ma anche a tutti i religiosi. « Persuadasi il Maestro dei novizi essergli stata commessa una cosa di molto grande importanza », dice detta regola, e ne rende due ragioni molto sostanziali, acciocché un tal Maestro apra gli occhi e conosca di quanto peso e momento è quel carico che ha sulle spalle. La prima è « perché da questa istituzione e prima educazione dei novizi dipende in maggior parte tutto il loro profitto per l’avvenire » : la seconda, perché in questa sta riposto il maggior capitale, essendo in essa « fondata tutta la speranza della Compagnia », e quindi dipende il benessere della religione (Reg. I Mag. Nov.). E per discendere a dichiarare più in particolare queste due ragioni, dico primieramente, che da questa prima instituzione e dalla positura nella quale uno si metterà nel noviziato, dipende, comunemente parlando, ogni suo o guadagno o scapito per l’avvenire. Se nel tempo del noviziato, come dicevamo nel capo antecedente, cammina uno tiepidamente e negligentemente nel suo profitto spirituale, tiepido se ne resterà sempre, senza far maggior frutto. Non occorre pensare che dopo, generalmente parlando, sia per camminare con maggior diligenza e fervore; perché v’è poca ragione per credere che dopo vi sia per essere questa mutazione e questo miglioramento; mentre ve ne sono molte per temere che non vi sarà.

2. Acciocché si possa veder meglio quello che dico, andiamo un poco parlando particolarmente col novizio, ponderando le ragioni e convincendolo con esse. Ora che è il tempo del noviziato, hai molto tempo per attendere al solo tuo profitto spirituale, e hai molti mezzi che in esso ti aiutano, perché a questo solamente attendono i Superiori, e questo è il principale ufficio loro. Ora hai molti esempi di tanti i quali non si occupano in altro che in questo; ed è cosa che dà grande animo e grande lena lo stare fra persone che non trattano d’altro, e il vedere che gli altri camminano avanti; sicché per pigro che uno sia, è come necessitato ad uscir di pigrizia. Ora hai il cuore sgombrato e libero da ogni altra cosa, e che pare desideroso della virtù; non hai occasione alcuna che ti dia disturbo né impedimento, ma molte che ti aiutano. Ora, se adesso che stai qui solamente per questo e non hai altro che fare, non attendi a far profitto e a stabilire per tuo capitale la virtù; che sarà, quando il tuo cuore si trovi imbarazzato e diviso in mille parti? Se adesso che stai tanto disoccupato e hai tante comodità e aiuti, non fai bene la tua orazione e i tuoi esami, né usi diligenza in osservare le tue addizioni e in far bene gli altri esercizi spirituali; che sarà quando ti trovi, con mille pensieri e sollecitudini di studi, e poi di negozi, di confessioni e di prediche? Se adesso con tanti ragionamenti ed esortazioni spirituali e con tanti esempi e stimoli non fai profitto; che sarà quando abbia occasioni e impedimenti che ti disturbino? Se adesso, nel principio della tua conversione, quando la novità delle cose dovrebbe cagionare in te maggiore divozione e fervore, te ne stai tiepido; che sarà poi quando ti trovi aver già fatto l’orecchio a tutto quello che ti potesse muovere ed aiutare? Di più, se adesso che la passione comincia appena a germogliare e la mala inclinazione non ha ancor forza, per essere nei suoi principi, non ti basta l’animo di farle resistenza, per la difficoltà che vi senti; come resisterai ad essa e la vincerai dopo, quando essa si sia fortemente radicata e abbia prese forze colla consuetudine?

3. Dichiarava S. Doroteo questa cosa con un esempio, che era solito raccontare di uno di quei Padri antichi. Stava questi coi suoi discepoli in una campagna piena di cipressi d’ogni sorta, alcuni grandi, altri piccoli, altri mezzani; e comandò ad uno dei suoi discepoli che sradicasse uno di quei cipressi; il quale, avendolo tirato, si svelse subito, perché era piccolo. Indi gli disse: Sradica ancora quell’altro, il quale era un po’ più grandicello; e lo sradicò, ma con maggior sforzo e fatica e con ambedue le mani. Per il terzo ebbe necessità di compagno: ma il quarto non lo poterono svellere tutti insieme. Allora il vecchio disse loro: Così sono le nostre passioni: nel principio, quando non sono ancora radicate, è facile estirparle; basta per farlo ogni poca forza che vi si metta: ma se mai avvenga che gettino profonde radici col lasciarle invecchiare, allora l’estirparle sarà molto difficile: gran forza sarete in necessità di mettervi, e ancora non so se vi riuscirete. (S. Doroth. Doct. 11, n.3)

4. Si vedrà quindi quanto grande inganno e quanto grave tentazione è il differire uno il suo profitto, e pensare che dopo si mortificherà e si vincerà in quelle cose, nelle quali adesso non gli basta l’animo di mortificarsi e di vincersi per la difficoltà che vi sente. Se quando la difficoltà è minore non ti basta l’animo di combattere contro di essa, come ti basterà quando sia maggiore? Se adesso, mentre la tua passione è un piccolo leoncino, contro esso sei sì codardo; che sarà quando sia cresciuta e fatta una grande e fiera bestia? Resta dunque persuaso che se adesso sarai tiepido e lento, tale sarai ancor dopo. Se adesso non sarai buon novizio e buono scolaro devoto e spirituale, non sarai dopo né buon veterano né buon operaio nella vigna del Signore. Se adesso sarai negligente nell’ubbidienza, o nell’osservanza delle regole, molto più negligente sarai per l’avvenire. Se adesso sarai trascurato negli esercizi spirituali e li farai malamente e a rappezzi, rappezzatore te ne resterai tutta la tua vita. Tutto il punto sta nella forma la quale adesso tu prendi. – Dicesi che nel mischiar l’acqua colla farina sta la facilità o la difficoltà del maneggiare e far bene la pasta. – Per questo S. Bonaventura dice: « Quella formazione, che uno prende da principio, a stento la smette. Chi sul bel principio della nuova maniera di vivere trascura la disciplina, difficilmente in seguito vi si adatta » (S. Bonav. In spec. disc. prol. N. 1). È proverbio questo, ed è proverbio dello Spirito Santo. « Il giovinetto, dice egli per bocca di Salomone, presa che ha la sua strada, non se ne allontanerà nemmeno quando sarà invecchiato » (Prov. XXII, 5). E perciò venne a dire S. Giovanni Climaco, che è cosa molto pericolosa e molto da temere che uno cominci tiepidamente e lentamente; perché, dice, è indizio manifesto della futura caduta (S. Io. Clim.: Scal. Parad. Grad. 1) . Per questo dunque è di somma importanza l’assuefarsi uno da principio alla virtù e a far bene gli esercizi spirituali. E così ce ne avverte lo Spirito Santo per mezzo del profeta Geremia: « Buona cosa è per l’uomo l’aver portato il giogo fin dalla sua adolescenza » (Ger., Thr. III, 27) perché sotto questo durerà poi sempre e gli sarà facile la virtù ed il bene: e quando no, la cosa gli riuscirà molto difficile, «Quello che tu non radunasti nella tua gioventù, come lo troverai nella tua vecchiezza? » ci domanda ancora lo stesso Spirito Santo nell’Ecclesiastico (Eccli. XXV, 5).

5. Da questa prima ragione viene in conseguenza la seconda: perché se tutto il profitto del religioso pel tempo avvenire dipende dalla prima sua istituzione, tutto il benessere della religione dipende altresì da essa. Poiché la religione non consiste nelle mura delle case o delle chiese, ma nell’adunanza dei religiosi: e quelli che stanno nel noviziato sono quelli che hanno successivamente a formare tutta la religione. Per questo la Compagnia non si contentò d’istituire i Seminari dei Collegi, nei quali si allevano i nostri in lettere e in virtù insieme; ma istituì a parte i Seminari di sola virtù, nei quali si attende solamente all’annegazione e mortificazione di se stessi, e all’esercizio delle virtù vere e sode, come a fondamento di più importanza che non sono le lettere. A questo servono le Case di Probazione, le quali, come dice il nostro Padre S. Francesco Borgia, sono per i novizi come una Betlemme, che s’interpreta « casa di pane »; perché quivi si fanno i biscotti e le provvigioni per la navigazione e per i pericoli grandi, incontro ai quali dobbiamo andare (S. Fr. Borgia. Epist. ad Soc.). Questo è il nostro agosto, questo è il tempo dell’abbondanza, questi sono gli anni della fertilità, nei quali avete da fare la provvigione delle vettovaglie e metter da parte per gli anni della carestia e della sterilità, come fece Giuseppe. Oh se quelli d’Egitto l’avessero preveduto e, con accorgersi della cosa, vi avessero fatta riflessione; di sicuro non avrebbero così facilmente lasciato uscire dalle case loro quello che Giuseppe radunava e riponeva nei granai Oh se ti accorgessi quanto t’importa l’uscire ben provveduto di vettovaglia dal noviziato, al certo non avresti desiderio d’uscire sì presto da esso, ma bensì dolore quando n’esci, considerando quanto poco provveduto vai di virtù e di mortificazione! E così il nostro Padre s. Francesco dice, che quelli i quali desiderano, o gustano d’uscire presto dal noviziato, mostrano difetto di cognizione e di non esser bene capacitati della necessità che hanno d’andare ben provveduti; e stimano poco la battaglia, poiché tanto poco temono l’uscire ad essa mal premuniti ed armati. – Oh quanto ricchi ed abbondanti di virtù si persuase il nostro Santo Padre che saremmo noi usciti dal noviziato. Così certamente lo presuppone egli nelle Costituzioni (Const. P. 4, c. 4, 1).Assegna due anni di prova e di esperimenti per questo, acciocché un novizio per tutto un tal tempo attenda al suo profitto, senza veder altri libri e senza far altro studio, che in quello che l’aiuta ad annegarsi maggiormente e a vieppiù crescere in virtù e perfezione. E poi, supponendo che il novizio esca dal noviziato tanto spirituale e infervorato, tanto amico della mortificazione e del ritiramento e tanto affezionato all’orazione e alle cose spirituali, che sia di bisogno ritenerlo; dà per avvertimento ai novizi, quando passano nei Collegi, che temprino i loro fervori durante il tempo degli studi, e che non facciano tante orazioni né tante mortificazioni; perché presuppone che la persona esca dal noviziato con tanto lume, con tanta cognizione di Dio e con tanto disprezzo del mondo, con tanta tenerezza di cuore e devozione, e tanto dal suo interno portata alle cose spirituali, che sia necessario andarla temperando con sì fatti avvertimenti. Procura tu dunque d’uscirne tale. Cava frutto da questo tempo tanto prezioso, che forse non ne avrai un altro tale in tutta la tua vita pel tuo profitto e per acquistare e radunare ricchezze spirituali. Non lo lasciar passare in vano e non ne perdere un punto. « Non ti privare di un buon giorno, e del buon dono non perdere nessuna parte » (Eccli. XIV, 14).

6. Una delle singolari grazie che il Signore fa a quelli che tira alla religione nella loro tenera età, e per la quale sono obbligati a ringraziarlo infinitamente, è perché allora è molto facile l’assuefarsi alla virtù e alla disciplina religiosa. L’albero, quando al principio è tenero, facilmente può essere raddrizzato, per farsi molto alto e bello; ma se si lascia crescere storto, più tosto che raddrizzarsi si romperà, e così se ne resterà per sempre. Nello stesso modo, quando uno tuttavia trovasi in età tenera, è facilmente raddrizzato e facilmente egli si applica al bene: e assuefacendosi a ciò da piccolo, vi va del continuo acquistando maggiore facilità, e così vi dura e persevera sempre. È gran vantaggio per una tintura l’essere fatta in lana, perché mai non smonta in colore. S. Girolamo dice: chi potrà mai rimettere nella sua bianchezza un panno tinto in porpora? Ed è del poeta Orazio quel detto che vaso uscito di fresco dalle mani del vasaio conserverà a lungo l’odore di quel liquore che per primo vi si pose dentro La divina Scrittura loda il re Giosia perché cominciò a servir Dio da fanciullo. « Essendo tuttora giovinetto cominciò a cercare il Dio di Davide suo padre » (II Paral.XXXIV, 2).

7. Racconta Umberto, uomo insigne e Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, che un religioso dopo la sua morte apparve per alcune volte di notte molto bello e risplendente ad un altro religioso suo compagno, e che in una di queste, menandolo fuori della sua cella, gli mostrò un gran numero d’uomini vestiti di vesti bianche e molto risplendenti, i quali portando su le spalle alcune croci molto belle, con esse andavano processionalmente verso il cielo. Poco dopo gli fece vedere un’altra processione più vistosa e più risplendente della prima, nella quale ciascuno portava in mano, e non su le spalle come i precedenti, una croce molto ricca e molto bella. Poco appresso gli fece vedere un’altra terza processione, senza comparazione più vistosa delle precedenti, e le croci di quelli che andavano in questa processione superavano di gran lunga in bellezza quelle degli altri; e non le portavano essi su le spalle, né in mano, ma a ciascuno portava la sua croce un Angelo, che andava loro innanzi, acciocché essi allegri e gioiosi lo seguissero. Meravigliato il religioso di questa visione, ricercò il compagno, da cui gli era stata mostrata, che gliela dichiarasse; ed esso gliela dichiarò dicendo, che quelli che aveva veduti portare le croci su le spalle, erano quelli che già d’età matura erano entrati in religione; i secondi che le portavano in mano, erano quelli che vi erano entrati nell’adolescenza; e gli ultimi che andavano tanto allegri e leggiadri, erano quelli che da piccoli avevano abbracciata la vita religiosa.

(Fine.)