LA GRAZIA (Note di Teologia Ascetica) -1-

LA GRAZIA

(Note di teologia ascetica)

NATURA DELLA VITA CRISTIANA (1)

[A. Tanquerey: Compendio di Teologia ascetica a mistica – Desclée e Ci. Roma-Tournai – Parigi; 1948]

CAPITOLO II.

Natura della vita cristiana.

88. Essendo la vita soprannaturale una partecipazione della vita di Dio per i meriti di Gesù Cristo, viene talora definita la vita di Dio in noi o la vita di Gesù in noi. Queste espressioni sono giuste, se si bada a spiegarle bene in modo da evitare ogni cenno di panteismo. Noi infatti non abbiamo una vita identica a quella di Dio o di Nostro Signore, ma una somiglianza di questa vita, una partecipazione finita, benché reale, di questa vita. – Possiamo dunque definirla: una partecipazione della vita divina, conferita dallo Spirito Santo che abita in noi, in virili dei meriti di Gesù Cristo, e che noi dobbiamo coltivare contro le tendenze che le si oppongono.

89. E chiaro quindi che la vita soprannaturale è una vita in cui Dio ha la parte principale e noi la parte secondaria. Dio, la terza Persona della SS. Trinità (che si chiama anche Spirito Santo), viene personalmente a conferirci questa vita, perché Egli solo può farci partecipare alla sua stessa vita. Ce la comunica per i meriti di Gesù Cristo (n. 78), che è causa meritoria,, esemplare e vitale della nostra santificazione. È quindi vero che Dio vive in noi, che Gesù vive in noi; ma la nostra vita spirituale non è identicaa quella di Dio o a quella di Nostro Signore; ne è distinta ed è solo simile all’una e all’altra. La vita nostra consiste nell’utilizzare i doni divini per vivere in Dio e per Dio, per vivere in unione con Gesù e imitarlo; e poiché resta in noi la triplice concupiscenza, noi non possiamo vivere che a patto di accanitamente combatterla; e avendoci inoltre Dio dotati d’un organismo soprannaturale, noi dobbiamo farlo crescere con gli atti meritorii e con la fervorosa frequenza dei Sacramenti. È questo il senso della definizione che abbiamo data; l’intero capitolo non ne sarà che la spiegazione e lo svolgimento e ci darà modo di trarre delle conclusioni pratiche sulla devozione alla SS. Trinità, sulla devozione e sull’unione al Verbo Incarnato, ed anche sulla devozione alla S. Vergine ed ai Santi che discende dalle loro relazioni col Verbo Incarnato. Benché l’azione di Dio e l’azione dell’anima si svolgano parallelamente nella vita cristiana, noi, per maggior chiarezza, tratteremo in due distinti articoli della parte di Dio e della parte dell’uomo.

ART. I

DELLA PARTE DI DIO NELLA VITA CRISTIANA.

Dio opera in noi sia per Se stesso, sia per mezzo della SS. Vergine, degli Angeli e dei Santi.

§ I . Della parte della SS. Trinità.

90. Il primo principio, la causa efficiente principale e la causa esemplare della vita soprannaturale in noi è la SS. Trinità, o, per appropriazione, lo Spirito Santo. Perché la vita della grazia, benché sia opera comune delle tre divine Persone, essendo opera ad extra, si attribuisce specialmente allo Spirito Santo, come opera d’amore.Ora questa adorabile Trinità contribuisce alla nostra santificazione in due modi: col venire ad abitare nell’anima nostra e col produrre un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando l’anima, la abilita a fare atti deiformi.

I . L’abitazione dello Spirito Santo nell’anima.

91. Essendo la vita cristiana una partecipazione della vita stessa di Dio, è evidente che Egli solo la può conferire. E la conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi interamente a noi, affinché possiamo rendergli i nostri ossequi, godere della sua presenza e lasciarci da Lui docilmente guidare a praticare le disposizioni e le virtù di Gesù Cristo: è ciò che i teologi chiamano grazia increata.

Vedremo : 1° in che modo le tre divine Persone vivono in noi; 2° come dobbiamo diportarci verso di loro.

[Su questa verità fonda l’Olier la sua spiritualità: Catéchisme chrétien pour la vie intérieure, pp. 35, 37, 43 ed. 1906-1922. : “Chi è colui che merita di essere chiamato cristiano? Colui che ha in sé lo Spirito di Gesù Cristo… che ci fa vivere interiormente ed esteriormente come Gesù Cristo” — “Egli (lo Spirito S.) vi è col Padre e col Figlio, e vi diffonde, come abbiamo detto, gli stessi sentimenti, gli stessi costumi e le stesse virtù di Gesù Cristo.”]

1° IN CHE MODO LE DIVINE PERSONE ABITANO IN NOI.

92. Dio, come dice S. Tommaso (S. Theol., I , q. 8, a. 3), abita naturalmente nelle creature in tre modi diversi: con la sua potenza, nel senso che tutte le creature stanno soggette al suo dominio; con la sua presenza, in quanto che vede tutto, anche i più segreti pensieri del nostro cuore “omnia nuda et aperta sunt oculis eius“; con la sua essenza, perché opera dappertutto ed è dovunque la pienezza dell’essere e la causa prima di tutto ciò che è di reale nelle creature, comunicando loro continuamente non solo il moto e la vita ma lo stesso essere: “in ipso vivimus, movemur et sumus[Act. XVII, 28.].Ma la sua presenza in noi per mezzo della grazia è di ordine molto superiore e più intimo. Non è soltanto la presenza del Creatore e del Conservatore che regge gli esseri da Lui creati ma è la presenza della Santissima e Adorabilissima Trinità quale ci è rivelata dalla fede: il Padre viene in noi e vi continua a generare il Verbo; con lui riceviamo il Figlio, perfettamente uguale al Padre, sua immagine vivente e sostanziale, che non cessa di infinitamente amare il Padre come infinitamente ne è riamato; dal qual mutuo amore procede lo Spirito Santo, persona uguale al Padre e al Figlio, vincolo reciproco fra i due eppur distinto dall’uno e dall’altro.Quante meraviglie in un’anima in stato di grazia!La particolarità di questa presenza è che Dio non solo è in noi, ma si dà a noi, perché noi possiamo godere di Lui. Secondo il linguaggio dei nostri Libri Sacri, possiamo dire che, per mezzo della grazia, Dio si dà a noi come padre, come amico, come collaboratore, come santificatore, e che così Eglidiviene veramente il principio stesso della nostra vita interiore, la sua causa efficiente ed esemplare.

93. A) Nell’ordine della natura Dio è in noi come Creatore e sovrano padrone e noi non siamo che suoi servi, sua proprietà, cosa sua. Ma nell’ ordine della grazia Egli si dà a noi come nostro Padre, e noi siamo i suoi figli adottivi; mirabile privilegio che è il fondamento della nostra vita soprannaturale. – Questo continuamente ripetono S. Paolo e S. Giovanni: ” Non enim accepistis spiritum servitutis iterim in timore, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus Abba (Pater). Ipse enim Spiritus testimonium reddit spiritui nostro quod sumus filli Dei[Rom. VIII, 15-16]”. Dio dunque ci adotta per figli, ma in modo assai più perfetto che non facciano gli uomini con l’adozione legale. Questi possono bene trasmettere ai figli adottivi il nome e le sostanze, ma non il sangue e la vita. ” L’adozione legale, dice con ragione il Cardinal Mercier, [la Vita interiore] è una finzione. Il figlio adottato viene considerato dai genitori adottivi come se fosse loro figlio e riceve da essi quell’eredità a cui avrebbe avuto diritto il frutto della loro unione; la società riconosce questa finzione e ne sancisce gli effetti; tuttavia l’oggetto della finzione non si trasforma in realtà… Ma la grazia dell’adozione divina non è una finzione… è una realtà. Dio largisce a coloro che credono nel suo Verbo la divina filiazione, dice S. Giovanni: “Dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius[Giov. I, 12]. E questa filiazione non è nominale ma effettiva: “Ut filli Dei nominemur et simus“. Noi entriamo in possesso della natura divina, divinæ consortes naturæ“.

94. Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione, ”consortes”, una somiglianza, un’assimilazione che fa di noi, non già degli dèi, ma degli esseri deiformi. Non è però men vero che essa non è una finzione ma una realtà, una vita nuova, non uguale ma simile a quella di Dio, e che, a detta della Sacra Scrittura, suppone una nuova generazione o rigenerazione: Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto… per lavacrum regenerationis et renovationis Spiritus Sancti… regeneravit nos in spem vivant… voluntarie enim genuit nos verbo veritatis».[Joan. III, 5; Tit., III , 5; 1 Petr., I, 3 ; Jac, I, 18]. Tutte queste espressioni ci mostrano che la nostra adozione non è puramente nominale ma vera e reale, benché molto bene distinta dalla filiazione del Verbo Incarnato. Ed è per questo che noi diventiamo di pieno diritto eredi del regno celeste, coere di di Colui che è nostro fratello maggiore: ” hæredes quidem Dei, cohæredes autem Christi… ut sit ipse primogenitus in multis fratribus ». O non è dunque il caso di ripetere le così soavi parole di S. Giovanni: ” Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur et simus? (I Jann. III, 1). Dio quindi avrà per noi la premura, la tenerezza d’un padre. Egli stesso si paragona a una madre che non potrà mai dimenticare il figlio: “Numquid oblivisci potest mulier infantem suum, ut non misereatur filo uteri sui? Et si Illa oblita fuerit, ego tamen non obliviscar tui ” (Is. XLIX, 15). E l’ha ben dimostrato davvero, poiché, per salvare i figli decaduti, non esitò a dare e a sacrificare l’unico suo Figlio: Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenituni daret, ut omnis qui credit in eum non pereat, sed habeat vitam æternam” (Jann. III, 16). Ed è questo stesso amore che lo spinge a darsi interamente, fin d’ora e in modo abituale, ai figli adottivi, abitando nei loro cuori: “Si quis diligit me, sermonem meum servabit, et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus” (Joan., XIV, 23). Egli abita dunque in noi come Padre amantissimo epremurosissimo.

95. B) Dio si dà pure a noi come amico. L’amicizia aggiunge alle relazioni di padre e di figlio una certa uguaglianza, “amicitia æquales accipit aut facit“, una certa intimità, una scambievolezza d’affetto che porta seco le più dolci comunicazioni. – Relazioni appunto di questo genere la grazia pone tra Dio e noi; è vero che quando si tratta di Dio e dell’uomo non si può parlare d’uguaglianza vera, ma solo d’una certa somiglianza che però basta a stabilire una vera intimità. Dio infatti ci apre i suoi segreti; ci parla non solo per mezzo della Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito: ” IIle vos docebit omnia et suggeret vobis omnia quæcumque dixero vobis ” (Jaon. XIV, 26). Quindi è che nell’ultima cena Gesù dichiara agli Apostoli che ormai non saranno più servi ma amici, perché Egli non avrà più segreti per loro: Iam non dicam vos servos, quia servus nescit quid faciat dominus eius; vos autem dixi amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis” (Jaon. XV, 15). Sarà quindi una dolce familiarità quella che governerà ormai le loro relazioni, la familiarità che corre tra amici che siedono alla stessa mensa: Ecco che io sto alla porta e picchio; se alcuno udirà la mia voce e mi aprirà la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me: Ecce sto ad ostium et pulso; si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum et cœnabo eum illo, et ipse mecum” (Apoc. III, 20). Mirabile intimità a cui noi non avremmo mai osato aspirare se l’Amico divino non si fosse fatto avanti Lui per il primo. Eppure una tale intimità si è avverata e si avvera ogni giorno, non soltanto presso i santi, ma anche in quelle anime interiori che acconsentono ad aprire le porte dell’anima all’ospite divino. E ciò che ci attesta l’autore dell’Imitazione, quando descrive le frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, le sue dolci conversazioni con loro, le consolazioni e le carezze di cui le colma, la pace che fa regnare in loro, la stupenda familiarità con cui le tratta: “Frequens illi visìtatio eum nomine interno, dulcis sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda nimis” (Imit. l. II, c.1, v. 1). Del resto la vita dei mistici contemporanei, di Santa Teresa del Bambin Gesù, di Suor Elisabetta della Trinità, della Beata Gemma Galgani e di tanti altri, ci prova che le parole dell’Imitazione si avverano tutti i giorni. È dunque vero che Dio vive in noi come un intimo amico.

96. C) Né vi resta ozioso ma vi opera come il più potente dei collaboratori. Sapendo bene che non possiamo coltivare da noi quella vita soprannaturale che pone in noi, Egli supplisce alla nostra impotenza, collaborando con noi per mezzo della grazia attuale. Abbiamo bisogno di luce per afferrare le verità della fede che dovranno ormai guidare i nostri passi? Verrà Lui, che è il Padre dei lumi, a illuminare il nostro intelletto sul nostro ultimo fine e sui mezzi per conseguirlo, e ci suggerirà buoni pensieri ispiratori di buone opere. Abbiamo bisogno di forza onde voler sinceramente dirigere la nostra vita verso il nostro fine, volerlo energicamente e costantemente? Ed Egli ci darà quel concorso soprannaturale che ci abilita a volere e ad eseguire le nostre risoluzioni, “operatur in vobis et velle et perficere” (Fil. II, 13). Se si tratta di combattere le nostre passioni o di disciplinarle, di vincere le tentazioni che talora ci assediano, Egli pure ci darà la forza di resistervi e di trarne profitto per rassodarci nella virtù: “Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam eum tentatione proventum (1 Cor., X, 13).Quando, stanchi di fare il bene, ci sentiremo tratti allo scoraggiamento e alla fiacchezza, Egli ci si avvicinerà per sorreggerci e assicurare la nostra perseveranza; Colui che in voi cominciò l’opera della vostra santificazione, la perfezionerà fino al giorno di Cristo Gesù; qui cœpit in vobis opus bonum, ipse perficiet usque in diem Christi Jesu” (Philip., I, 6). Insomma, noi non saremo mai soli, anche quando, privi di consolazione, ci crederemo abbandonati; la grazia di Dio sarà sempre con noi a patto che noi acconsentiamo a lavorar con lei: ” Gratia eius in me vacua non fuit, sed abundantius illis omnibus laboravi: non ego autem, se gratia Dei mecum…” (1 Cor., XV, 10). Appoggiati su questo onnipotente collaboratore, saremo invincibili, perché tutto noi possiamo in Colui che ci conforta: “Omnia possum in eo qui me confortat” (Philip., IV, 13).

97. D) Questo collaboratore è nello stesso tempo un santificatore: venendo ad abitare nell’anima nostra, la trasforma in un tempio santo ornato di tutte le virtù: “Templum Dei sanctum est: quod estis vos”. (1 Cor., III, 17).Il Dio infatti che viene in noi con la grazia, non è il Dio della natura, ma il Dio vivente, la SS. Trinità, sorgente infinita di vita divina, e che altro non chiede che farci partecipare alla sua santità; è vero che talora questa abitazione è attribuita, per appropriazione, allo Spirito Santo, perché è opera d’amore; ma, essendo operazione ad extra, è comune alle tre Persone divine. Ecco perché S. Paolo ci chiama indifferentemente tempii di Dio e tempii dello Spirito Santo: ” Nescitis quia templum Dei estis et Spiritus Dei habitat in vobis? ” (1 Cor. III, 10). – L’anima nostra diviene dunque tempio del Dio vivente, un sacro recinto riservato a Dio, un trono di misericordia donde si compiace di distribuire i suoi favori celesti e che Egli adorna di tutte le virtù. Descriveremo presto l’organismo soprannaturale di cui ci dota. Ma è evidente che la presenza in noi del Dio tre volte Santo, quale abbiamo descritta, non può essere che santificante, e che l’Adorabile Trinità che vive e opera in noi diviene veramente il principio della nostra santificazione, la sorgente della nostra vita interiore. E ne è pure la causa esemplare, poiché, essendo figli di Dio per adozione, dobbiamo imitare il Padre. Il che del resto intenderemo meglio spiegando come dobbiamo diportarci verso le tre divine Persone che abitano in noi.

2° I NOSTRI DOVERI VERSO LA SS. TRINITÀ CHE VIVE IN NOI.

98. Possedendo un tesoro cosi prezioso come la SS. Trinità, bisogna pensarvi spesso, “ambulare cum Deo intus“. Or questo pensiero fa nascere tre principali sentimenti: l’adorazione, l’amore, l’imitazione.

99. A) Il primo sentimento che scaturisce come spontaneamente dal cuore è quello dell’adorazione: ” Glorificate et portate Deum in corpore vestro ” (1 Cor. VI, 20). Come, infatti, non benedire, glorificare, ringraziare quest’ospite divino che trasforma l’anima nostra in un vero santuario? Dopoché Maria ebbe ricevuto nel casto suo seno il Verbo Incarnato, la sua vita non fu più che un perpetuo atto d’adorazione e di riconoscenza: Magnificat anima mea Domininum …fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus“; e tali pure sono i sentimenti, benché in grado minore, di un’anima che prende coscienza dell’abitazione dello Spirito Santo in lei: capisce che essendo tempio di Dio, deve incessantemente offrirsi come ostia di lode alla gloria delle tre divine Persone, a) Al principio delle proprie azioni facendo il segno di croce “ … in nomine Patris, Filii et Spiritus Sancti”, consacra loro ogni sua opera; terminandole, riconosce che tutto il bene da lei fatto si deve ad esse attribuire: Gloria Patri et Filio et Spiritili Sancto. b) Ama ripetere quelle preghiere liturgiche che ne celebrano le lodi: il Gloria in excelsis Deo, che esprime così bene tutti i sentimenti di Religione verso le divine Persone e specialmente verso il Verbo Incarnato; il Sanctus che proclama la santità divina; il Te Deum, che è l’inno della riconoscenza, c) Alla presenza di quest’ospite divino, molto amorevole senza dubbio ma che non cessa d’essere Dio, riconosce umilmente l’intera sua dipendenza da Colui che è il suo primo principio e il suo ultimo fine; la sua incapacità a lodarlo come Egli si merita, e questo sentimento si unisce allo Spirito di Gesù che solo può rendere a Dio quella gloria a cui ha diritto : “Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché noi non sappiamo che dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere secondo i nostri bisogni; ma lo Spirito prega Egli stesso per noi con gemiti inenarrabili; ” Spiritus adiuvat infirmitatem nostram; nam quid oremus sicut oportet, nescimus; sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus(Rom. VIII, 26).

100. B) Dopo avere adorato Dio e proclamato il proprio nulla, l’anima si abbandona al sentimenti del più confidente amore. Per quanto sia infinito, pure Dio si abbassa a noi, come il padre più amoroso verso il proprio figlio, e c’invita ad amarlo e a dargli il cuore: Præbe, fili, cor tuum mihi(Prov., XXIII, 26). questo amore Egli potrebbe esigerlo imperiosamente ma preferisce chiederlo dolcemente, affettuosamente, perché vi sia, a così dire, più spontaneità nella nostra risposta, più abbandono filiale nel nostro ricorso a Lui. E come non rispondere con confidente amore a tanti e sì delicati riguardi, a tante così materne sollecitudini? Sarà un amore penitente, per espiare le nostre troppo numerose infedeltà passate e presenti; un amore riconoscente, per ringraziare quest’insigne benefattore, questo collaboratore premuroso che lavora l’anima nostra con tanta assiduità; ma principalmente un amore d’amicizia, che ci farà conversare dolcemente col più fedele e più generoso degli amici, ci farà caldeggiare tutti i suoi interessi, procurarne la gloria e farne benedire il santo Nome. Non sarà quindi un semplice sentimento affettuoso, ma un amore generoso, che va fino al sacrifizio, all’oblio di sé, alla rinunzia della propria volontà, per sottomettersi ai precetti e ai consigli divini.

101. C) Quest’amore ci condurrà dunque all’imitazione dell’adorabile Trinità in quel grado che è compatibile con l’umana debolezza. Figli adottivi d’un Padre tre volte Santo, tempii viventi dello Spirito Santo, intendiamo meglio la necessità di rispettare il nostro corpo e la nostra anima. Tale era la conclusione che l’Apostolo inculcava ai discepoli: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di Dio, Dio lo sperderà; poiché santo è il tempio di Dio che siete voi; Nescitis quia templum Dei estis, et Spiritus Dei habitat in vobis? Si quis autem templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei sanctum est quod estis vos(1 Cor. III, 16). L’esperienza prova che per le anime generose non v’è motivo più potente di questo per allontanarle dal peccato ed eccitarle alla pratica delle virtù; infatti, non si deve forse purificare e ornare continuamente un tempio ove risiede il Dio tre volte Santo? Del resto quando Nostro Signore volle proporci un ideale di perfezione, non andò a cercarlo fuori della SS. Trinità: “Siate perfetti, Egli dice, come è perfetto il vostro Padre celeste: “Estote ergo perfecti, sicut et Pater vester celestis perfectus est(Matth., V, 48). A prima vista, quest’ideale sembra troppo elevato; ma quando ci ricordiamo che siamo figlia dottivi del Padre, e che Egli vive in noi per imprimervi la sua immagine e collaborare alla nostra santificazione, capiamo bene che nobiltà obbliga e che abbiamo il dovere d’avvicinarci sempre più alle perfezioni divine. Specialmente per praticar la carità fraterna Gesù ci chiede di avere dinanzi agli occhi quel perfetto modello che è l’indivisibile unità delle tre divine Persone: “Che siano tutti una cosa sola, come Tu sei in me, o Padre, e Io in te, che siano anch’essi una cosa sola in noi; Ut omnes unum sint, sicut tu, Pater, in me et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint(Joan. XVII, 21). Tenera preghiera, di cui san Paolo si faceva eco quando supplicava i cari discepoli di non dimenticare che, essendo un solo corpo e un solo spirito, non avendo che un solo ed unico Padre che abita in tutti i giusti, dovevano conservare l’unità dello spirito col vincolo della pace. (Ephes. IV, 3-6). Riepilogando possiamo conchiudere che la vita cristiana consiste prima di tutto in una unione intima, affettuosa e santificante colle tre divine Persone, che ci conserva nello spirito di Religione, d’ amore e di sacrifizio.

II. Dell’ organismo della vita cristiana.

102. Le tre divine Persone che abitano nel santuario dell’anima nostra si dilettano di arricchirla di doni soprannaturali e ci comunicano una vita simile alla loro, che si chiama la vita della grazia o vita deiforme. Ora in ogni vita vi è un triplice elemento: un principio vitale che è, per cosi dire, la sorgente della vita; delle facoltà che fanno produrre operazioni vitali; e in fine degli atti, che ne sono l’espansione e contribuiscono al suo accrescimento. Nell’ordine soprannaturale, Dio, che vive in noi, produce nelle anime nostre questi tre elementi, a) Ci comunica dapprima la grazia abituale, che fa in noi l’ufficio di principio vitale soprannaturale e divinizza, a così dire, la sostanza stessa dell’anima nostra, rendendola atta, benché remotamente, alla visione beatifica e agli atti che la preparano.

103. b) Da questa grazia sgorgano le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo, che perfezionanole nostre facoltà e ci danno il potere immediato difare atti deiformi, soprannaturali e meritori.

C) Per mettere in moto queste facoltà, Dio concede le grazie attuali, che illuminano la nostra intelligenza, fortificano la nostra volontà, ci aiutano ad operare soprannaturalmente e ad aumentano così il capitale di grazia abituale che ci ha compartito.

104. Questa vita della grazia, benché distinta dalla vita naturale, non è semplicemente a lei sovrapposta ma la compenetra tutta quanta, la trasforma e la divinizza. Si assimila tutto ciò che vi è di buono nella natura, nell’educazione nelle abitudini acquisite; perfeziona e soprannaturalizza tutti questi elementi volgendoli verso l’ultimo fine, che è il possesso di Dio per mezzo della visione beatifica e dell’amore che l’accompagna. – Spetta a questa vita soprannaturale il dirigere la vita naturale, in virtù del principio generale già esposto al n. 54, che gli esseri inferiori sono subordinati agli esseri superiori. Non può durare né svilupparsi se non a patto di dominare e serbar sotto la sua influenza gli atti dell’intelligenza, della volontà e delle altre facoltà; con ciò non distrugge né diminuisce la natura, ma anzi la esalta e la perfeziona. Il che dimostreremo, studiandone per ordine i tre elementi.

[1. Continua …]

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