SALMO 31: “BEATI QUORUM remissæ sunt iniquitates …”
CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES
ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.
[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]
Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,
CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.
TOME PREMIER.
PARIS
LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR, RUE DELAMMIE, 13 – 1878
IMPRIM.
Soissons, le 18 août 1878.
f ODON, Evêque de Soissons et Laon.
[1] Ipsi David intellectus.
Beati quorum remissæ sunt iniquitates,
et quorum tecta sunt peccata.
[2] Beatus vir cui non imputavit Dominus peccatum, nec est in spiritu ejus dolus.
[3] Quoniam tacui, inveteraverunt ossa mea, dum clamarem tota die. (1)
[4] Quoniam die ac nocte gravata est super me manus tua; conversus sum in aerumna mea, dum configitur spina.
[5] Delictum meum cognitum tibi feci, et injustitiam meam non abscondi. Dixi: Confitebor adversum me injustitiam meam Domino; et tu remisisti impietatem peccati mei.
[6] Pro hac orabit ad te omnis sanctus in tempore opportuno. Verumtamen in diluvio aquarum multarum, ad eum non approximabunt.
[7] Tu es refugium meum a tribulatione quae circumdedit me; exsultatio mea, erue me a circumdantibus me.
[8] Intellectum tibi dabo, et instruam te in via hac qua gradieris; firmabo super te oculos meos.
[9] Nolite fieri sicut equus et mulus, quibus non est intellectus. In camo et freno maxillas eorum constringe, qui non approximant ad te.
[10] Multa flagella peccatoris, sperantem autem in Domino misericordia circumdabit.
[11] Lætamini in Domino et exultate justi, et gloriamini omnes recti corde.
[Vecchio Testamento secondo la Volgata
Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.
Vol. XI
Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]
SALMO XXXI
Davide piange il proprio peccato, ed esorta gli nomini a penitenza. Essendo il salmo oscuro, ha per titolo di intelligenza, perché necessario è il dono dello Spirito Santo ad intenderlo. L’intelligenza del proprio peccato Davide l’ebbe dalla grazia divina.
Dello stesso Davide, salmo di intelligenza.
1. Beati coloro ai quali sono state rimesse le iniquità, e i peccati de’ quali sono stati ricoperti.
2. Beato l’uomo, cui Dio non imputò peccato e nello spirito di lui simulazione non è.
3. Perché io mi tacqui, si consumarono le mie ossa mentre io per tutto il giorno alzava le strida.
4. Perché di e notte si aggravò sopra di me la tua mano, mi avvolgeva nella mia miseria, mentre portava fitta la spina.
5. A te il delitto mio feci noto, e non tenni ascosa la mia ingiustizia. Io dissi: Confesserò contro di me stesso al Signore, la mia ingiustizia; e tu mi rimettesti l’empietà del mio peccato.
6. Per questo porgerà preghiere a te ogni uomo santo nel tempo opportuno. Certo che quando inonderanno le grandi acque, a lui non si accosteranno.
7. Tu se’ mio asilo nella tribolazione da cui son circondato; tu, mia letizia, liberami da coloro che mi assediano.
8. Io ti darò intelligenza, e t’insegnerò la via, per cui tu hai da camminare; terrò fissi gli occhi miei sopra di te.
9. Guardatevi dall’esser simile al cavallo e al mulo, i quali son privi del bene dell’intelletto. Stringi col morso e colla briglia le mascelle di coloro che si ritiran da te.
10. Molti i flagelli pei peccatori; ma la misericordia sarà a guardia di colui che spera nel Signore.
11. Nel Signore rallegratevi ed esultate, o giusti, e gloriatevi voi tutti, che siete di retto cuore.
(1) Queste tre parole, iniquitates, peccata, peccatum, in ebraico phesa, hataa, avon, esprimono il realtà la stessa cosa, cioè il peccato, ma il peccato considerato formalmente sotto un diverso aspetto; il primo significa più particolarmente la defezione, la ribellione, l’offesa di Dio; il secondo, il carattere impresso all’anima, o la privazione della grazia; il terzo, la pena dovuta al peccato. Lo stesso è per le tre parole remittere, traere, non imputare, che significano tutte e tre il perdono dei peccati, ma sotto una visuale differente; il primo significa la remissione gratuita, la seconda l’abbondanza della grazia che li cancella, la terza che Dio tratta il peccatore riconciliato con tenerezza maggiore che se fosse stato sempre innocente.
Sommario analitico
Questo salmo è stato composto da Davide, sulla testimonianza di San Paolo (Rom. IV, 6), verosimilmente quando ebbe riconosciuto il doppio peccato, il suo adulterio con Bethsabea, e l’omocidio di Uria, come confessato davanti a Natan.
I – Il Re-Profeta celebra il beneficio della giustificazione e proclama beati coloro:
1) ai quali sia stata rimessa l’offesa; 2) nei quali la traccia del peccato sia stata cancellata; 3) per i quali la condanna alla pena sia stata distrutta; nell’anima dei quali Dio diffonde la sincerità e la purezza.
II – Occorre conoscere i vantaggi inestimabili della confessione, la quale ci ottiene questo beneficio della giustificazione:
1° Prima della quale: – a) le forze della sua anima si erano come esaurite, – b) la mano di Dio si era appesantita su di lui, – c) i rimorsi lo hanno trafitto con punte acuminate (3, 4).
2° Nella quale occorre vedere con il suo esempio le sei condizioni di una buona confessione: – a) che sia personale, e che abbia come oggetto i propri peccati di colpevolezza; – b) che sia chiara e pulita « cognitum tibi feci »; – c) che sia intera … « ed io non ho nascosto la mia ingiustizia »; – d) che sia premeditata e preparata in anticipo: « io ho detto », – e) che sia una vera accusa « contro di me »; – f) che sia umile, « il mio sopruso al Signore », voi siete il mio sovrano, Signore, io sono il vostro servo.
3° Dopo la quale egli ha ricevuto i tre effetti della buona confessione: – a) la remissione dei peccati che sollecitano gli stessi Santi nel tempo opportuno, cioè durante questa vita; – b) la remissione della pena eterna figurata da questo diluvio di grandi acque (6); – c) la remissione della pena temporale, figurata dalle tribolazioni, etc. (7).
III – Egli insegna come si conserva questo beneficio della giustificazione:
1° Dio gli dice che Egli darà al giusto: – a) l’intelligenza a mo’ di fiamma per rischiararlo: – b) il soccorso esterno della sua Provvidenza per guidarlo; – c) il rafforzamento e la perseveranza nella grazia (8).
2° Gli raccomanda di evitare: – a) le affezioni sregolate nella volontà, – b) l’accecamento dell’intelligenza che lo renderebbe simile ad un animale senza ragione (9). –
3° Egli gli insegna come dovrà reprimere queste affezioni sregolate, con il morso ed il freno della legge divina, della mortificazione, etc. (10).
4° Davide avverte: – a) i peccatori che Dio usa al loro riguardo la severità, moltiplicando le loro punizioni; – b) i giusti, che la misericordia di Dio non cesserà di ricoprirli (10).
5° Egli invita tutti i giusti a rallegrarsi nel Signore, e tutti quelli che hanno un cuore retto, a rendere pubblica la sua gloria con i loro cantici (11).
Spiegazioni e Considerazioni
1. – 1, 2
ff. 1, 2. – Felici non sono coloro nei quali non siano stati trovati peccati, bensì coloro nei quali i peccati siano coperti, nei quali i peccati siano interamente coperti, pienamente nascosti, e di conseguenza non esistono più. Se Dio ha “coperto” dei peccati, non ha voluto notarli; se non ha voluto rimarcarli, non ha voluto usare la sua giustizia contro di essi, non ha voluto punirli, non ha voluto conoscerli, ma ha amato il rimetterli … Ma quando il Profeta parla dei peccati così coperti, cerchiamo di comprendere che questi peccati sussistono ancora e vivono nei peccatori. Perché si dice allora che i peccati sono coperti? È perché essi non sono più trovati (S. Agost.). – Mai un viaggiatore considera con più piacere la calma profonda del mare, se non dopo essere sfuggito ad una furiosa tempesta e scampato ad un naufragio certo; mai un uomo stima la salute se non dopo esser passato attraverso i dolori di una lunga e crudele malattia. Mai anche un Cristiano concepisce meglio la felicità di un’anima riconciliata con il suo Dio, se non dopo il gemere per qualche tempo sotto la servitù del peccato. La prima felicità è quella di non cadere più nel peccato, la seconda di rialzarsi con la penitenza (Duguet).
ff. 2. – Artificio e travestimento sono molto frequenti nella maggior parte di coloro che si credono penitenti: essi sono estremamente addestrati nell’ingannare gli altri, ma incomparabilmente più abili nell’ingannare se stessi, e mai più spesso che pericolosamente nella Penitenza. Che cosa è questo ingannare Dio, camuffandosi agli altri e a se stessi, se non voler ingannare se stessi? (Dug.). – Non cerchiamo scuse ai nostri crimini; non li rigettiamo sulla parte debole che è in noi; confessiamo che la ragione doveva presiedere e dominare i nostri appetiti; non cerchiamo di coprirci; mettiamoci davanti a Dio, Egli ci coprirà forse con la sua bontà così che saremo tra quelli dei quali è scritto: « Felici coloro le cui iniquità sono state rimesse, e i cui peccati sono stati coperti » (Bossuet, Elév. VI j. VIII E.).
II. – 3-7.
ff. 3. – Diversi sono i tipi di silenzio, sia buono, sia cattivo, secondo la Scrittura.
I. – Silenzio buono e lodevole: 1° Un silenzio di obbedienza: « il silenzio sarà frutto della giustizia ». (Isaia XXXII, 17). – 2° Un silenzio di prudenza: « Anche il folle, se tace, passa per saggio » (Prov. XVII, 28). – 3° Un silenzio di pazienza: « È nel silenzio e nella speranza che sarà la vostra forza » (Isaia XXX, 15). – .4° Un silenzio di saggezza: « Suo Padre considerava tutto ciò in silenzio ». (Gen. XXXVII, 11). – 5° Un silenzio di rispetto: « ascoltate in silenzio, e la vostra riservatezza vi acquisterà molta grazia » (Ecclei. XXXII, 9). – 6° Un silenzio di contemplazione: « Egli si siederà in solitudine, e tacerà ». – 7° Un silenzio di condiscendenza: « Io non ho potuto parlare come a degli uomini spirituali » (I Cor. III, 1). –
II. Il silenzio cattivo: 1° Un silenzio con il quale si cessa di lodare Dio: « Maledizione a me a causa del mio silenzio » (Isaia IV, 5). – 2° Un silenzio durante la confessione dei peccati, un silenzio che fa sì che si taccia, quando invece ci si dovrebbe correggere (I Re, III, 13). – 3° Un silenzio riguardo alla preghiera: « Se voi tacete ora, i Giudei saranno liberati in altro modo » (Esther. IV, 14). – 4° Un silenzio di lusinga. «Parla il ricco e tutti tacciono » (Eccli XIII, 23). – 5° Un silenzio di infedeltà: « Silenzio, non si deve ricordare più il nome del Signore » (Amos. VI, 11). – 6° Un silenzio che viene dalla cattiva coscienza « Ed egli tacque » (Matt. XXII, 12). – 7° Il silenzio qui in questione è un silenzio colpevole che impedisce a Davide di confessare il suo duplice crimine di adulterio e di omicidio. – Il peccatore « tace »: l’insensibilità è completa, il silenzio profondo ed universale, nulla in quest’uomo rimescola, nulla parla; la confessione della fede è muta, la preghiera è spenta; il figlio snaturato non ha più una parola da dire a suo padre, non ha più un sorriso da indirizzargli. Tale è lo stato del peccato; è un silenzio interiore, un’immobilità sacrilega … Lo stato del peccato è caratterizzato ancora da un altro segno: lo stato di senescenza e di malattia. Il peccatore è un vecchio languente e decrepito, tutto è distrutto, tutto è impotente, tutto è cancellato; lo sguardo smorto, la volontà si volge a capricci infantili, la memoria si lascia sfuggire tutta la scienza di una lunga vita. Il vecchio, come il peccatore, non è più che una rovina di se stesso, e delle grandezze primitive non ritrova più, se non dei ruderi mutilati (Doublet, Psaumes etc. III, 208). – Sembra che non ci sia contraddizione tra queste parole: « Perché io tacevo, le mie ossa sono invecchiate, mentre io gemevo ». Se gemeva, come faceva a tacere? Egli ha taciuto alcune cose, altre non le ha potuto tacere. Egli ha taciuto quello che poteva dire a suo vantaggio, non ha taciuto quello che ha detto a suo svantaggio. Egli ha taciuto la confessione dei suoi peccati, spinto da uno spirito di presunzione. Egli in effetti ha detto: io ho taciuto; cioè io non ho confessato tutti i miei peccati, occorreva qui che egli parlasse, che egli tacesse i suoi meriti e dicesse con forte grida i suoi peccati. Qui bisognava che egli parlasse, che tacesse i suoi meriti e dicesse con gran strepito i suoi peccati; ma al contrario ha commesso l’errore di tacere i suoi peccati e di proclamare i suoi meriti. Cosa dunque gli è successo? « Le sue ossa sono invecchiate ». Notate che se egli avesse proclamato i suoi peccati e nascosto i suoi meriti, le sue ossa, cioè la sua forza, si sarebbe rinnovata; egli è stato forte nel Signore, perché si è trovato debole in se stesso. Ma ora, poiché ha voluto essere forte in se stesso, è diventato debole e le sue ossa si sono logorate. È rimasto nella sua vecchiaia, perché non ha voluto acquisire una nuova giovinezza con la confessione dei suoi peccati (S. Agost.).
ff. 4. – Perché nel Vangelo, nostro Signore ci dice che il fariseo viene abbassato? Perché egli si è elevato. Perché il Pubblicano è elevato? Perché egli si è abbassato. Di conseguenza Dio, per abbassare colui che si eleva, appesantisce la sua mano su di lui. Egli ha rifiutato di abbassarsi confessando la sua iniquità, è abbassato sotto il peso della mano divina. Come sopporterà questo peso della mano che si abbassa? Al contrario, quanto leggera è stata la mano che elevava il pubblicano? Questa mano è ugualmente forte verso l’uno e verso l’altro: forte per pesare sull’uno e forte per sollevare l’altro (S. Agost.).- Quando Dio vuole convertire, il più spesso comincia con il colpire … l’anima dapprima si irrigidisce, e resiste « io mi rotolo nel mio dolore, e la mia spina ancor più si conficca ». Quando Dio ha lanciato in un’anima la sua freccia aguzza, quando cioè una misteriosa tristezza la devasta, quando il rimorso la dilania, quando il pungolo di qualche grande prova la mortifica, ella cade in crisi laceranti, si rotola nella sua sofferenza, approfondendo sempre più il tratto da cui è squarciata (Doublet, Psaumes, etc.). – Invano il peccatore rinvia sempre all’indomani l’accusa dei suoi crimini, e vorrebbe dissimulare lo stato deplorevole della sua coscienza; rimorsi cuocenti, come un avvoltoio impietoso, rodono il suo cuore notte e giorno, non permettendogli di gustare il minimo riposo. Coloro che di lui non vedono se non ciò che sembra all’esterno, sarebbero tentati di provare invidia per il suo buonumore; ma egli farebbe pietà a colui che, penetrando fino al fondo del suo cuore, vi avrebbero scoperto queste agitazioni eterne, questi turbamenti, queste inquietudini, questi allarmi che li assalgono nel tempo stesso in cui non sogna che di librarsi verso il piacere e la gioia. Dio permette che sia tormentato dal ricordo di mille cose compiute, perdonate, dimenticate, considerate come irreprensibili dal mondo, chiuse forse nella tomba. All’impotenza di sfuggire a questi ricordi brucianti, se egli comprendesse che la mano piuttosto vigorosa per serrarlo così nella catena dei rimorsi, può solo liberarlo aprendosi egli al perdono, e che avendo creato il supplizio del rimorso, Dio ha dovuto legare le grazie sovrane del perdono, alla libertà di pentirsi e di emendarsi! Ma no, per liberarsi da tanto fastidio e dall’angoscia che la colpa commessa genera in lui, questi li commette nuovamente, e domanda senza sosta una felicità che sa che esse non gli daranno mai; egli fa e rifà incessantemente e sempre, senza altro risultato che un rammarico più struggente, tutto ciò che la legge di Dio ha preso cura di proibire. Egli si volge e si rivolge da ogni lato, ma tutti questi movimenti inquieti non fanno che infiggere sempre più profondamente la punta aguzza della spina che lo penetra; egli ha un bel cambiare luogo ed oggetto, ma non può lasciare se stesso, e porta con sé i suoi nemici domestici, dei quali non può disfarsi: le sue agitazioni, i suoi turbamenti, i suoi allarmi, le sue inquietudini (Massil. & L. Veuill. Rome e Lorette).
ff. 5. – Io ho detto: « Io declamerò, etc. »; egli non dichiara ancora la sua ingiustizia, ma promette che la dichiarerà, e già Dio la rimette. Fate attenzione, questo punto è di grande importanza. Egli ha detto: « Io dichiarerò », non ha detto « Io ho dichiarato e voi mi avete rimesso », bensì : « io dichiarerò e voi mi avete rimesso ». Con questa parola. « io dichiarerò » egli prova che non ha ancora fatto con la bocca questa dichiarazione, ma che essa è fatta già nel suo cuore … ma la confessione non è giunta ancora alle mie labbra perché non ancora avevo detto queste parole: « io dichiaro contro di me »; ma Dio aveva inteso la voce del mio cuore. La mia voce non era ancora sulla mie labbra, ma l’orecchio di Dio era già nel mio cuore (S. Agost.). – Il profeta aggiunge a ragione: « … io declamerò contro di me ». In effetti ci sono molti che dichiarano la loro iniquità, ma contro il Signore stesso. Quando si trovano in peccato dicono: « è Dio che lo ha voluto. In effetti se qualcuno dice che non ha commesso questa azione, o questa azione che voi gli rimproverate non sia un peccato, egli non fa dichiarazioni né contro di lui né contro Dio. Ma se egli dice: « si, io l’ho fatto, è un peccato, ma Dio lo ha voluto, ed io l’ho fatto », Queste è una dichiarazione contro Dio. Forse, mi direte: nessuno parla così. E cosa intendete con « … Dio lo ha voluto »? Io ripeto che molti usano questo linguaggio; ma per coloro che non impiegano precisamente questi termini, ma non dicono altra cosa con queste frasi tipo: era il mio destino, così ha voluto la mia stella? Essi vanno alla larga per accusare Dio, essi che vogliono acchetarsi ma senza prendere il retto cammino. Essi dicono: era il mio destino; … ma che cos’è il destino? Così l’ha voluto la mia stella, … ma quali sono queste stelle? Apparentemente quelle che noi vediamo nel cielo, e chi dunque le ha create? Ma è Dio. E chi ne ha regolato il corso? Ma è Dio! Voi vedete dunque bene ciò che volevo dire: Dio ha fatto in modo che io peccassi. E così Egli è ingiusto e voi giusti; perché se Egli non vi avesse fatto peccare, voi non avreste peccato (S. Agost.). – È certamente vero che non c’è alcun colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori hanno la capacità di aggiungere all’audacia di scusare il loro peccato, quella di commetterlo; e come se non fosse poca l’iniquità di proseguire in esso, noi continuiamo ancora a difenderlo. Sempre si dichiara o che qualcuno ci ha trascinato, o che qualche incontro imprevisto ci ha coinvolti nostro malgrado; e se non troviamo fuori di noi qualcuno su cui rigettare la nostra colpa, cerchiamo in noi stessi qualcosa che non venga però da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, il nostro naturale. È il linguaggio ordinario di tutti i peccatori, che il Profeta Isaia ci ha espresso con semplicità con queste parole che fa loro dire: « Perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità » (LXIV, 6). – Non è mai una nostra scelta né la nostra depravazione volontaria; è un vento impetuoso che è sopravvenuto, è una forza maggiore, una passione violenta alla quale, quando per lungo tempo ci siamo lasciati dominare, siamo ben disposti a credere che sia invincibile (Bossuet, Serm. Sur l’Efficac. de la Pén. 1° P). – « Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto per rimetterceli, e per purificarci da ogni iniquità » (Giov. I, 9) – Chi si giudica da sé, anche senza misericordia, troverà misericordia davanti a questo tribunale che giustifica coloro che si accusano. – Occorre confessare la propria ingiustizia contro se stessi senza scusarla, senza sminuirla, senza farla ricadere sugli altri. – Bisogna confessare la propria ingiustizia, non le buone opere, non le cose inutili o indifferenti. – … la propria ingiustizia, non quella degli altri (Dug.). – È questo il fondo di empietà che si trova in ogni peccato. Chiunque voi siate, sotto qualunque cielo abbiate visto il giorno, di qualunque crimine abbiate macchiato la vostra anima, anche se foste tanto infelice da non provare neanche un desiderio di speranza, pieno di rimorsi da non gustare per un istante né il sonno né un attimo di oblio, inginocchiatevi ai piedi di questo tribunale; qui vi si trova un orecchio per ascoltarvi, un potere grande per assolvervi, un cuore buono per amarvi. Non vi si chiederà che nome portiate, o quale grado abbiate nel mondo; abbiate solo un pentimento sincero, sottomettetevi a questa voce che vi dirà di cambiare vita; Dio che sa e che vede, non ve ne chiederà più conto, ed ecco … la pace ritorna, ecco il cielo riconquistato (L. V.).
ff. 6. – E come il perdono accordato ad un grande peccatore, come Davide, o come ogni altro, sarà un motivo per l’uomo buono di pregare, di sollecitare la sua grazia in tempo opportuno? Accade che: 1° l’uomo buono, testimone dello stato infelice in cui era il peccatore prima della giustificazione, chiederà subito di non ricadere nello stesso precipizio; – 2° che questo uomo buono, che sa qual sia la fragilità della nostra natura, e che avrà potuto convincersene sempre più con la caduta dei peccatori, solleciterà la grazia di mantenersi nella giustizia. – 3° questo stesso uomo buono, avendo sempre delle debolezze e dei peccati da rimproverarsi, animerà la sua fiducia vedendo quanto il Signore sia misericordioso verso i grandi peccatori. – 4° Infine l’uomo buono spera di ottenere con le sue preghiere la protezione divina contro il diluvio delle tribolazioni, sia per esserne preservato, sia per avere la forza di sopportarle con gioia (Berthier).
ff. 7. – Èla onsolazione solida di un peccatore penitente il vedere tutti contro di lui, e non avere la gioia e le risorse se non in Dio. Più egli soffre da parte degli uomini, più ha speranza dalla parte di Dio. Egli sente di essere circondato da nemici temibili, e sa che il demonio ha la sua felicità nel perderlo, che questo nemico crudele e potente, trova le sue delizie nella ricaduta di un peccatore penitente che cercherà di ghermire con forza, mettendo in opera tutta la sua rabbia e la sua scaltrezza per farlo ricadere nella rete. Aggiungete le sollecitazioni del mondo che lo circonda e con il quale non riesce a rompere, le sue passioni che sono sì affievolite, ma non sono interamente estinte, che ancora fumano e che possono in ogni istante riprendere le loro forza primitiva, i temibili nemici che lo circondano (Duguet). – « voi siete il mio trionfo, riscattatemi ». Sento un grido di gioia: « Voi siete il mio trionfo »; sento un gemito: « riscattatemi ». Voi gioite e gemete. Sì, egli risponde, io gioisco e gemo; io gioisco nella mia speranza, gemo nello stato in cui mi trovo ancora. « Noi gioiamo nella speranza – dice l’Apostolo (Rom. XII, 11) – e soffriamo nelle tribolazioni ». Perché allora aggiunge: « riscattatemi »? … perché noi attendiamo ancora, gemendo dentro di noi, la redenzione del nostro corpo (Rom. VIII, 23), « perché è nella speranza che siamo stati salvati » (S. Agost.).
III. 8-11.
ff. 8. – Dio qui promette tre cose di cui noi abbiamo bisogno: l’intelligenza per non ingannarci nelle scelte del vero bene; la condotta o la conoscenza della strada in cui dobbiamo marciare; la protezione del Signore, il cui occhio veglia su di noi (Berthier). – La via della vera penitenza è sì difficile da tenere, che non c’è che Gesù Cristo che ci possa istruire e condurci con sicurezza. – « Io fisserò, arresterò i miei sguardo su di voi ». È la Provvidenza paterna di Dio per i peccatori nuovamente convertiti, è una maniera dolce e caritatevole con la quale Dio tratta i suoi nemici riconciliati; Egli non si accontenta di cancellare le loro macchie, né di lavare tutte le loro lordure, ma diviene Egli stesso loro direttore e loro Maestro, ed insegna con la sua bocca il cammino che devono seguire per espiare i loro crimini e fare penitenza; Egli aggiunge alla grazia della conversione, la grazia non meno preziosa della direzione, che ci fa raggiungere il termine felice della via della salvezza.
ff. 9, 10. – Nulla c’è che renda l’uomo più simile alle bestie del peccato, particolarmente quello dell’impurità, che obnubila i sensi e la ragione, abbrutisce l’uomo e lo fa scendere al livello degli animali senza ragione. Colui che ne è schiavo, e che San Paolo chiama: « l’uomo animale », non è più capace di comprendere, di gustare le cose spirituali; egli è tutto sensuale, e diventa così simile al cavallo ed al mulo, che sono privi di ragione (Dug.). – Quale pena sarà inflitta a coloro che vi somigliano? Voi volete non essere che un cavallo e un mulo? La vostra bocca sarà serrata con il morso ed il freno. Dio chiuderà questa bocca con la quale esaltate i vostri meriti, mentre tacete i vostri peccati; Dio metterà come un freno nella bocca per farvi andare ove piace a Lui (S. Agost.). – Le tribolazioni sono diverse dal castigo: le tribolazioni possono essere la parte dei giusti, i castighi sono esclusivamente propri ai peccatori. Il Re-Profeta ci dice in un altro salmo: « grandi tribolazioni sono riservate ai giusti » (Ps. XXXIII, 20), mentre parlando qui dei peccatori, egli dichiara che « numerosi castighi sono la ricompensa dei peccatori ». In effetti essi sono castigati esteriormente ed interiormente, nella vita presente e nella vita futura, per le colpe che essi hanno commesso e per le pene che hanno meritato, da Dio e dagli uomini, dal mondo e dal demonio, per le passioni alle quali si sono assoggettati e che fanno della loro vita una lunga e dura servitù (Innoc.).
ff. 11. – Non soltanto i penitenti, ma anche i giusti, devono gioire nel Signore. La gioia è l’appannaggio dell’innocenza e della virtù. Questa gioia dei giusti non può perdersi e nessuno può loro rapirla, Gesù Cristo ce lo assicura, perché essi la mettono, non nelle cose deperibili, ma nella speranza di possedere Dio eternamente. – La differenza che esiste tra un cuore retto ed un cuore depravato, è che ogni uomo che non attribuisce che alla giusta volontà di Dio ciò che prova contro la sua volontà, afflizioni, dispiaceri, umiliazioni, e che non accusa Dio di non sapere ciò che Egli fa flagellando un uomo e risparmiando quelli che gli sono simili, questi ha un cuore retto. Ma questi al contrario, hanno un cuore pervertito, depravato e deformato: sono coloro che pretendono di soffrire ingiustamente tutti i mali che patiscono, e che accusano di iniquità Colui la cui volontà infligge loro queste pene o che, se non osano accusarlo di iniquità, rifiutano comunque di credere che Egli governi il mondo (S. Agost.).