SECONDA DOMENICA D’AVVENTO
(MT. , XI, 2-10)
I.
IL PRECURSORE (1)
[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. I; Soc. Ed. “Vita e Pensiero” – Milano, 1939]
I.
Siamo vicini al Santo Natale. E la Chiesa, per tre domeniche consecutive, — oggi, la ventura e l’altra ancora — nel Vangelo, ci manda S. Giovanni a dirci: « Preparate i cuori, che il Signore sta per venire ». Ma chi è questo San Giovanni Battista che viene a rimbrottarci per i nostri peccati, e a persuaderci di fare più bene? Sarebbe utile conoscerlo un po’. Ascoltate il brano evangelico di questa seconda Domenica d’Avvento, e conoscerete dalla bocca stessa di Cristo, chi è il Precursore. Siamo nelle prigioni di Macheronte e Giovanni vi è rinchiuso. Tutti sanno perché. E fin là dentro, in quel luogo di martirio e d’ingiustizia, arriva la fama dei miracoli compiti da Gesù. Il Precursore, la cui anima impetuosa bruciava dal desiderio di far conoscere a tutto il mondo il vero Messia, gli mandò due discepoli con questo messaggio: « Sei tu il Salvatore, o ne dobbiamo aspettare un altro? » Giovanni sapeva bene ch’era lui; ma a quella domanda, Gesù sarebbe stato costretto a manifestarsi, e allora anche tutta la gente lo avrebbe riconosciuto, e lo avrebbe acclamato. Il Maestro divino accolse con benevolenza quel messaggio perché intravide l’amore di chi lo mandava, e appena i due discepoli del Battista ritornarono, si rivolse alla folla e disse: « Chi siete andati a veder nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? – « Chi, dunque, siete andati a vedere? Forse un uomo vestito alla moda? no; questa gente non si trova nel deserto, ma nel palazzo dei re. – « Chi allora, siete andati a vedere? Forse un profeta? sì, vi dico: un profeta e più che un profeta. Egli è l’Angelo, predetto da Malachia, che camminerà innanzi al Signore ». Poche parole, ma scultoree; balza d’un tratto la grande figura di Giovanni Battista, tutta. Dentro, senza debolezze: non è una canna. “Fuori, senza mollezze: non vestiva con lusso. Dentro e fuori, senza macchia di peccato: un Angelo.
1. NON FU UNA CANNA
« Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse una canna dondolata dal vento? ».
Quella folla ch’era accorsa ad ascoltare Giovanni, doveva conoscere molto bene questa pianta, simbolo di debolezza e di volubilità. Doveva averla vista sulle sponde paludose del Giordano tremare nell’aria, e piegarsi fino a terra, nel vento: re il vento tirava dal Mar Morto, la canna Piegava verso il mar di Genezareth; ma tosto che il vento, cambiata direzione, tirava dal mar di Genezareth, la canna piegava verso il Mar Morto. Giovanni, dunque, era forse una canna dondolata dal vento? No: era una Quercia che non si piega a nessun vento. Non come noi che alla mattina facciamo un proposito e alla sera lo troviamo trasgredito, non come noi che se anche ci confessassimo cento volte, cento vòlte siam quelli di prima; non come noi che siamo canne pieganti ad ogni vento di tentazione. Un giovane monaco era molto tentato. Una volta, che non ne poteva più, corse da S. Isidoro, si buttò sulla terra davanti a lui, e singhiozzava: Padre, perché non mi aiutate? » Il santo sollevò quell’anima sconvolta dalla bufera, e prendendola con sé, disse: « Vuoi che t’insegni a resistere? ». – Il giovane, alzò gli occhi pieni di lacrime: « È per questo che son venuto ». « Allora, ecco il rimedio: « preghiera e mortificazione ». Ubbidì il monaco, e tutti i giorni pregava e si mortificava: ma le tentazioni non cessavano. Ritornò da S. Isidoro e gli chiese nuovamente rimedio. « Come! sei caduto in peccato ? ». « No; grazie a Dio ». – « Che vorresti, allora? ». « Vorrei essere senza tentazioni ». – Sorrise il vecchio santo, esperto della vita, e gli rispose: «Vedi: io ho settant’anni e neppure un giorno potei requiare; ma non mi sono mai piegato al demonio, come una canna, perché ho pregato e mi son mortificato. Va, e fa lo stesso ». Questo episodio ci spiega bene due cose: ci spiega perché S. Giovanni Battista non ha mai ceduto a nessuna tentazione, ci spiega perché noi invece cediamo tanto spesso. Vicino ad ogni uomo c’è un demonio, nemico di Dio e di noi, e tutto il giorno suscita pensieri di odio, desideri di roba altrui, immaginazioni impure. Ci sono poi nella vita dei momenti in cui la tentazione è così forte da farci quasi disperare. Son quei brutti momenti che ha provato anche S. Francesco, quando si gettò, d’inverno, nella neve; son quei brutti momenti che ha provato anche S. Benedetto quando si slanciò a capo fitto nelle spine; son quei brutti momenti che ha provato anche S. Caterina, quando esclamava: — O Signore, ma dove sei? —; son quei brutti momenti in cui il vento della tentazione cerca di squassarci come una canna. Ebbene, ricordiamolo: senza preghiera e senza mortificazione, è impossibile resistere.
2. NON FU UN EFFEMINATO
« Che cosa siete andati a vedere nel deserto? forse un uomo vestito sfarzosamente? ».
Il Precursore viveva nella solitudine da molti anni, solo, senza casa, senza tenda, senza servi, senza nulla fuor di quello che aveva indosso. E indosso aveva una pelle di cammello, stretta al fianco da una cintola di cuoio. Appariva alto, ossuto, adusto dal sole. La figura austera del Battezzatore, e la lode che Gesù ha fatto del suo vestire, è un forte rimprovero per non pochi Cristiani e Cristiane che hanno la vanità del vestito: lo vogliono di lusso, moderno, scandaloso. In tali acconciature osano anche varcare la soglia della Chiesa, portarsi davanti ai purissimi marmi dell’altare, davanti al Crocifisso nudo e sanguinante sulla croce, davanti a Gesù che vive nella miseria dei nostri tabernacoli. Quello che più addolora è di vedere come perfino i bambini, innocenti e ignari del male, già dai genitori sono vestiti poco cristianamente. Quei piccoli che Gesù amava, che voleva stretti al suo cuore, crescono così, troppo presto, alla scuola del mal esempio. Mamme, che vi compiacete di profanare l’innocenza dei vostri bambini, sappiate che il Signore non li può abbracciare in duella guisa; e senza l’abbraccio di Gesù che cosa diventeranno i vostri figliuoli? So bene le scuse con cui taluni cercano di giustificarsi, ma non si possono accogliere per buone.
a) Ma è la moda, si dice, è la moda che porta così: noi viviamo nel mondo e bisogna che ci adattiamo. Mostrerò la sciocchezza di questa scusa con un esempio: Dionigi di Siracusa era corto di vista e camminava barcollando e spesso gli accadeva di urtare in qualche cosa, di rovesciare tavolini e di frantumare vasi. – Sembrerebbe incredibile eppure, in quella corte, per compiacere al tiranno, tutti i cortigiani stringevano le palpebre facendola da ciecuzienti e andavano tentoni, investendo sedie e tavolini e talvolta ruzzolando dalle scale. (Il fatto è raccontato da Plutarco). – Il mondo non solo è un tiranno corto di vista, ma è cieco di tutti e due gli occhi; e quelli che seguono la sua moda sono più ciechi e più stupidi di lui, e una volta o l’altra finiscono col ruzzolare per le scale giù nell’inferno.
b) Ma io non ho mai avuta intenzione cattiva, seguendo le mode. Scusa troppo ingenua per essere valevole. Non la voglio discutere: ricordate però che se le idee cattive non le avete voi, le fate venire agli altri. C’è nella storia sacra una frase espressiva. Un re terribile, con centoventimila fanti e ventiduemila cavalli, assediò la città di Betulia: fece deviare anche l’unico fiume che le dava acqua, e la tormentò con la sete. Gli assediati, piangendo lacrime disperate, si prostravano sulla nuda terra, invocando soccorso dal Cielo. Allora una vedova sorse; vestì gli abiti preziosi di quand’era sposa felice, si ornò con monili d’oro e con gemme, poi, sola, varcò la porta e uscì dalla città assediata verso il nemico in arme. I soldati la videro e la condussero dal re Oloferne. Oloferne pure la vide, ma non l’uccise perchè sandalia eius rapuerunt eum. Bastarono due sandali a far, perdere la testa a quel terribile guerriero; e la perse veramente perché, in quella notte, Giuditta gliela tagliò via. (Giuditta, X). Ma di quante altre persone, cadute in basso, si potrebbe ripetere: sandalia eius rapuerunt eum.
c) — Allora, — diranno alcuni, — dobbiamo proprio vestirci con pelle di cammello, alla S. Giovanni? Non è questo che io dico. V i dico soltanto la parola dell’Apostolo: « Nolite conformari huic sæculo ». Non vogliate seguire la moda scandalosa di questo mondo.
3. FU UN ANGELO
« Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Forse un profeta? Sì, vi dico, un profeta e più che un profeta. Un angelo che annunzia il Signore ».
Si può lodare di più un uomo? Mai nessuno fu esaltato così dal labbro di Cristo. Nel Vangelo però (Giov., X, 40) c’è un riferimento a S. Giovanni, forse poco meditato. Gesù, passato il Giordano, arrivò dove il Battista soleva battezzare. Le canne tremanti sulla sponda, il deserto che appariva in una lontananza giallastra e uniforme, l’acqua pura del fiume precipitoso rievocarono al Messia quella persona a lui tanto cara, che un re adultero aveva trucidato. Gesù commosso, quasi per riposare in quella melanconica ricordanza, si fermò là. Et mansit illic. Tutti compresero che il Maestro pensava a Giovanni Battista, ma non capivano come mai amasse tanto un uomo che non aveva fatto neppure un miracolo. Anzi molti osarono dirgli: « Del resto Giovanni non fece miracoli. Joannes quidem nullum signum fecit ». – E Gesù non rispose. Ma è tanto facile capire perché Giovanni non ha fatto miracoli! Perché noi lo potessimo imitare nella sua santità. Perciò la Chiesa in queste domeniche di Avvento ce lo propone quale modello.
Vengano dunque gli avari a specchiare la propria cupidigia in chi ha rifiutato ogni bene terreno. Vengano i superbi a specchiare la propria arroganza in chi predicava: « È necessario ch’io sia disprezzato e che lui, Cristo, onorino gli uomini ».
Vengano i disonesti a specchiare la propria anima infangata in chi visse vergine tutta la vita.
Vengano i golosi a specchiare la propria in chi non si cibava che d’erbe e di miele selvatico. Da questo confronto deducano un proposito di vita nuova.
CONCLUSIONE
Quando gli Ebrei, strappati dalla loro terra, furono confinati in Persia, alcuni timorati di Dio, presero il fuoco sacro dell’altare e lo nascosero in una valle ov’era un pozzo fondo, senz’acqua. E dentro là, lo riposero al sicuro, talché a tutti fu ignoto quel luogo. Ma quando, finiti gli anni della schiavitù, tornarono in patria, subito si cercò il fuoco sacrificale. Andarono nella valle, scoprirono il pozzo fondo : ma ivi il fuoco s’era spento e non trovarono che acqua marcia. Neemia allora ordinò che cavassero di quell’acqua e la ponessero sull’altare sopra la legna e si aspettasse la nascita del sole. Appena dietro le grasse nubi sfolgorò il primo raggio, un gran foco s’accese sull’altare e tutti ne restarono meravigliati ( II Macc. I, 19-22). Noi pure oggi, confrontando la nostra anima con quella di S. Giovanni Battista, abbiam trovato che in fondo al nostro cuore non c’è più il fuoco dell’amore di Dio, ma c’è l’acqua stagnante della nostra tiepidezza, o peggio c’è l’acqua marcia dei peccati e delle passioni. Cristiani! prendiamo, piangendo, questo nostro cuore pieno di miserie e poniamolo sull’altare. Appena Gesù Bambino, sole delle anime, nel prossimo Natale spunterà sul mondo, lo vedrà, ne avrà compassione, e riaccenderà quel fuoco che noi, coi nostri peccati, abbiamo spento.
2.
FORTEZZA
Gesù, nel Vangelo di questa domenica fa le lodi più belle della fortezza di S. Giovanni Battista: « Che cosa siete andati a vedere nel deserto? che avete contemplato lungo le rive del Giordano? Non era, una canna agitata dal vento! Non era un uomo mollemente vestito ». Quando Gesù parlava doveva avere in mente i folti canneti che si formano lungo le acque e che percossi dal soffio dei venti piegano ora da una parte ed ora dall’altra. Oggi il Battista, che non si lasciò piegare né dalla prepotenza d’un tiranno incoronato, né dalle sensualità della carne, ci deve insegnare ad essere forti contro il rispetto umano, forti contro le passioni.
1. FORTI CONTRO IL RISPETTO UMANO
Federico II, imperatore di Prussia, soleva tenere nel suo palazzo ed alla sua stessa mensa tanti uomini insigni per la scienza o per le arti. Strano e bizzarro come era, volle in giorno di venerdì invitare a pranzo un principe romano cattolico per tentarne la fede e mettere a prova il suo coraggio religioso. L’imperatore non era cattolico. Ma le vivande erano fatte con carne ed il principe romano, tranquillo e disinvolto, lasciava passare, accontentandosi di ingannare la fame soltanto con qualche pezzetto di pane. L’imperatore osservava senza parlare: ma poi, tra lo scherzoso ed il serio: « Perché, disse, non mangiate? Forse la cucina di Germania non vi piace? ». « No, Maestà, la vostra cucina è eccellente per gli altri giorni della settimana, ma oggi per un cattolico è cattiva. La chiesa proibisce di mangiar carne al Venerdì». – Alla nobile e franca risposta. Federico soggiunse: «Vi ammiro: avete reso un grande omaggio alla vostra religione ! Ora passate nella sala vicina, ove sono preparati cibi di magro. Verrò anch’io per farvi l’onore che meritate ». Quel principe di Roma, non era una canna agitata dal vento. Era un uomo di carattere. E sì che si trovava alla mensa dell’Imperatore, fra tante illustri personalità che non la pensavano come lui. I Cristiani dovrebbero tutti essere così. Se siamo persuasi che la nostra Religione sia la sola vera, che Dio esiste, che Gesù Cristo è la sola salvezza e fuori di Lui e della sua Chiesa non c’è che rovina eterna, dobbiamo sentirci capaci di manifestare queste idee anche all’esterno. Invece, purtroppo, ci sono ancora moltissimi Cristiani dalle mezze misure che non vogliono rinunciare alla fede e nello stesso tempo non hanno il coraggio delle proprie convinzioni. Sono schiavi di un sentimento vile che li piega come canne sotto il vento Tale sentimento si chiama rispetto umano: un bel nome, ma applicato malissimo. Prima bisogna rispettare Dio, prima bisogna rispettare la propria fede, poi, si abbia pure riguardo ai nostri fratelli. Questo tenete a mente quando fra persone che parlano male, che vestono male, che offendono apertamente le leggi di Dio, voi sentiste paura a fare diversamente da loro. Del resto capita spesso quanto occorse al principe cattolico alla mensa di Federico II Quelli stessi che scherzano o fanno le meraviglie sono i primi ad ammirare e stimare i buoni che hanno il coraggio delle loro idee. Alle volte, una fede sincera e aperta vale la conquista di anime per le quali i fatti contano assai più delle parole. Ricordiamo inoltre quello che Gesù affermava ai discepoli e a tutti quelli che lo seguivano: « Davanti al Padre mio che è nei cieli, anch’Io avrò vergogna di chi ha avuto vergogna di me davanti agli uomini » ( Matth., X, 32).
2. FORTI CONTRO LE PASSIONI
Prima che S. Vincenzo de’ Paoli cominciasse a fondare le grandi opere di carità, era Parroco di un piccolo paese della Francia. La fama della sua santità si era diffusa nelle terre vicine e a udire le sue prediche, a confessarsi da lui accorrevano anche alcuni che da tempo non erano a posto col Signore. C’era un conte rinomato per i tanti duelli che aveva sostenuto. Tutte le volte che veniva offeso anche leggermente, sfidava il suo avversario a combattere colla spada ed era sempre così fortunato che non si contavano più le sue vittime. Una volta però, udendo una predica di S. Vincenzo, fu tocco dalla grazia di Dio e si converti. Vendette le sue terre e col prezzo ricavato fondò monasteri e consolò i poveri. Bisognava che S. Vincenzo lo moderasse tanta era la generosità con cui si era dato al Signore. Ma gli rimaneva ancora la spada che gli era servita così spesso per offendere il Signore e non sapeva decidersi a separarsene. Quella spada teneva sempre acceso in lui un po’ di affetto alla sua vita passata; e siccome ai primi fervori erano successi dei momenti di freddezza, se avesse continuato a tenere quell’arma sarebbe forse ritornato alla vita di prima. Ma un giorno, preso dalla vergogna di tale debolezza, arresta il suo cavallo, scende, trae la spada e la spezza in mille scintille contro una roccia e, rimontando a cavallo, esclama: « Finalmente ora sono libero ». – Io paragono alla spada di quel conte alle passioni che ciascuno di noi porta con sé dalla nascita. Alcuni sono inclinati alla superbia, alla vanagloria, all’arroganza. Altri invece amano le cose terrene, hanno il cuore troppo attaccato ai denari, agli affari. Altri ancora sentono la smania del godere e vorrebbero sempre e solo soddisfare i cattivi istinti. D’aver le passioni non è un mate: è solo il segno di essere uomini. Ma possono diventare spade taglienti, strumenti di peccato quando non sono soggette alla legge di Dio. Se colla fermezza e una volontà risoluta noi non teniamo le redini ai nostri pensieri, ai nostri istinti, alle nostre inclinazioni, diventiamo canne agitate dal vento, e dopo un periodo breve di fervore e di bontà, pieghiamo subito ad una vita scorretta. Non le fragili canne, ma gli alberi robusti sanno resistere al soffio rovinoso del vento: le canne uniscono nella corruzione del fango. – Per evitare questa pessima fine, bisogna voler seriamente spezzare quelle spade. Un colpo solo non basta. La vittoria sulle nostre passioni non e così facile e neppur così pronta come poté essere l’infrangere la spada del duello. Bisogna resistere sempre ed ogni giorno, ogni ora che passa si devono dar colpi decisi, persuasi che soltanto la morte le spezzerà per sempre. – Però quanto più avanziamo in questa lotta spirituale noi diventiamo forti e la grazia di Dio, che si congiunge alla nostra volontà, dà all’anima cristiana una dolce sicurezza di vivere nell’amore dei Signore.
CONCLUSIONE
« Beato l’uomo che non va secondo il consiglio degli empi, e mette la sua compiacenza nella legge dei Signore. Egli è come un albero che è piantato lungo correnti d’acque, che darà il frutto a suo tempo e tutto quello che fa riesce bene » (Salmo I). – I cattivi invece sono come canne che il vento passa ed abbassa; anzi sono come un nuvolo di polvere che il vento solleva e disperde. Impii tamquam pulvìs quem projicit ventus.
3.
FATTI E NON PAROLE
Non avete osservato il bel tempo che si godettero gli uccelli dell’aria per tutto l’estate? Provveduti da natura di buone ali, entravano in ogni giardino, sorvolavano ogni siepe. Le primizie d’ogni stagione eran per loro: la prima uva che indorava sul filare, la prima biada che imbiondiva nel campo. Svolazzavano dal piano al colle, dall’arsura della strada maestra, alla frescura del bosco. Altro non facevano che cantare: di giorno, sotto l’ombra d’una frasca e, di notte, nel raggio umido della luna. Così non han fatto le api: dimoravano lungo tempo nella clausura dell’arnia, ed uscivano solo per far giornata: e appena s’erano caricate col nettare dei fiori, subitamente facevan ritorno per lavorare senza riposo, fabbricando cera e impastando miele. Esse non garrivano, non cinguettavano, non cantavano mai; solo le circondava il brusio lieve della loro faccenda operosa. Ma ora che l’inverno è tornato, e ogni solco si raggruma dal freddo, e tutta la terra s’incrosta di ghiaccioli, oh beate le api! oh infelici gli uccelli! Questi, gemendo, vanno di fienile in fienile a buscarsi il granello dimenticato nella spiga trebbiata; ma non basta al loro digiuno, ed ogni mattina qualcuno ne cade sotto la gronda, sfinito per freddo e per fame. Le api invece sotto il tetto del loro alveare, hanno il tiepido della loro cella per riparo, hanno il miele per pascolo, hanno la gioia del riposo. – Così sarà anche di ciascun uomo, quando finita l’estate di questa vita, verrà l’inverno della morte. Che giovarono agli uccelli i loro spassi e le molte cinguettate? Che giovano agli uomini le chiacchiere? nulla; solo le opere buone giovano alla fine, come han giovato alle api la cella e il miele sudato. Ci vogliono fatti e non parole. È questo il pensiero dello Spirito Santo quando loda l’ape così: « Piccola tra i volatili, ma il suo frutto ha il primato della dolcezza » (Eccl., XI, 3). – Ma non è necessario ricorrere alle api per convincersi che il Signore vuole opere e non parole: basta leggere il Vangelo di questa domenica. – Giovanni, dal carcere ove Erode lo teneva rinchiuso, manda due suoi discepoli a Gesù per, domandargli : « Sei tu il Messia che deve venire, o un altro ne dobbiamo aspettare? » Il Maestro non risponde: e sì ch’Egli, sapienza infinita, avrebbe, potuto intessere un magnifico discorso per dimostrare la sua messianicità. Soltanto si avvicina agli ammalati d’ogni malattia che la fede della turba aveva condotti a Lui e li risana. Poi si volge ai due messi del Battista: « Tornate, disse, e riferite a Giovanni quel che udiste e quel che vedeste. I ciechi vedono, gli storpi si raddrizzano, i lebbrosi son mondati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri sono evangelizzati ». – Le risposte di semplici parole, osserva S. Ambrogio, sono poco persuasive, né tutti vi prestano fede, perché sotto alle chiacchiere, tante volte si nasconde l’inganno; ma una risposta di opere non inganna, e tutti la credono. – Se alcuno ci domandasse : « Sei tu un Cristiano? » subito gli metteremmo sotto lo sguardo la fede di Battesimo; ma a Dio non basta, egli esige la fede delle buone opere. Sono dunque necessarie le buone opere: ecco il primo pensiero. Quali opere buone richiede da noi il Signore: ecco il secondo pensiero.
1. NECESSITÀ DELLE BUONE OPERE
Il centurione della coorte Italica in Cesarea si chiamava Cornelio. Costui era un pagano, ma tuttavia aveva religione: vir religiosus, passava lunghe ore in preghiera: déprecans Deum semper, aveva cura e premura d’istillare il santo timor di Dio a tutta la sua famiglia: timens Deum cum omni domo sua, faceva molte carità in denaro e in roba ai bisognosi del popolo: faciens eleemosynas multas plebi. Una volta, che era quasi mezzo giorno, vide un fiume di luce entrare nella sua casa; pareva che il sole fosse entrato per la sua porta. Ed ecco una voce uscir di mezzo allo splendore, una voce che lo chiamava: « Cornelio! ». Egli tremò di sacro spavento. « Non temere, Cornelio, — diceva l’Angelo, — le tue preghiere, le tue elemosine, tutte l’opere tue buone sono salite fino al Trono dell’Altissimo, che non ha potuto dimenticarle: Egli ha eletto Pietro, capo e primo pastore della Chiesa, perché venga ad annunziarti il Vangelo ed a battezzarti » (Atti, X ). – Se il centurione non avesse pregato, se nelle pubbliche necessità non avesse aperto il suo cuore e la sua borsa a soccorrere, egli sarebbe rimasto nelle tenebre del gentilesimo e sarebbe morto senza Battesimo. Ma Dio non poteva dimenticare un uomo di cui dicevan bene non solo quei di casa, non solo la centuria che comandava, ma anche i nemici, i Giudei. Testimonium habens ab universa gente Iudeorum. – Chi è di noi che possa citare a sua favore la testimonianza dei vicini, dei poveri, dei parenti, della sua famiglia? – Ai poveri io domando: — Che ne dite di quel Cristiano? — Ed ecco rispondermi che ha il cuore duro, che ha la mano sempre chiusa, che è un nuovo Epulone che preferirebbe veder Lazzaro morire sulla sua soglia piuttosto che distribuire le briciole della sua mensa. Ai vicini di casa io domando: — Che ne dite di quel Cristiano? — Ed ecco rispondermi che la sua lingua è velenosa, che mormora, che calunnia, che sobilla, che mette discordia nelle famiglie. Ai servi, ai dipendenti, a quanti lo conoscono, io domando: — Che ne dite di quel Cristiano? — E d ecco lamentarsi di lui come di un uomo collerico che non sa perdonare nulla, che tratta male gli inferiori; ed ecco accusarlo di frode negli affari, di oscenità nei discorsi, di scandalo nelle azioni. – Forse di lui diranno bene quei di sua famiglia; ma forse anche la moglie piange per non essere amata né aiutata, ma anche i figliuoli crescono in qualche modo. È un cristiano costui? Ha ancora il carattere del Battesimo, perché non si può cancellare, ma le sue opere non sono più quelle di un Cristiano: il carattere del Battesimo pero non basta senza le opere a salvarci. – Ed il centurione della coorte italica, poi che Pietro l’ebbe battezzato, esclamo: « O Dio! oggi veramente ho compreso come Tu non guardi in taccia a nessuno, e di tutti gli uomini ti piacciono soltanto coloro che nel tuo santo timore fanno opere di giustizia ».
2. QUALI OPERE CIASCUNO DEVE FARE
La perfezione cristiana non consiste nelle azioni grandiose. Gli Apostoli lasciarono e la casa e il loro mestiere, e senza danaro e senza bisaccia e senza un’arma, camminarono tutta la vita per regioni deserte e selvagge, predicando il Vangelo. Ma non a tutti conviene la missione degli Apostoli; pero tutti possono e devono far qualche cosa per difendere e propagale la nostra santa religione, E prima di tutto coi buon esempio, con l’assiduità alle funzioni di Chiesa, con rifuggire da ogni discorso, da ogni lettura che sia contro la fede, con l’aiutare i sacerdoti nell’Azione Cattolica, perché essi sono i successori degli Apostoli. I martiri nei tormenti e nella morte confessarono Cristo: e chi veniva sbranato da belve, e chi immerso in caldaie bollenti e in fuoco, e chi straziato con uncini e ricoperto di calce viva, e chi colpito con la spada. Ma non è questo che Dio vuole ora aa noi: pero tutti siamo obbligati alla mortificazione. Mortificazione degli istinti cattivi che si ridestano in noi, mortificazione dei nostri sensi. Che cosa vieta che anche un padre di famiglia sia temperante nei bere, nei giocare, nei fumare, per amor di Cristo? Che cosa vieta che una donna mortifichi il lusso delle vesti, la vanità della acconciatura, la frivolezza dei discorsi? Queste sono le opere buone che Dio vuole da noi specialmente in questo tempo di Avvento. Gli anacoreti fuggirono dalle città e dall’abitato, e s’inoltrarono nelle solitudini dei deserta e là trascorsero la vita in grotte e in capanne sconnesse, senza vivanda fuor che i frutti selvatici, senza bevanda fuor che l’acqua dei torrente. Dio, non questo esige da noi, non è nel deserto che Egli ci aspetta, ma nostra famiglia dove ognuno ha la sua croce da portare, ove i genitori devono essere di esempio ai figliuoli, ove ì figliuoli devono crescere nell’amore di Dio, nell’obbedienza, nella bontà. – I santi davano tutto ai poveri e poi si ritiravano a pregare, e Dio li favoriva con le estasi e le visioni. Ma non tutti sono cosi pieni di beni di fortuna per fare abbondanti elemosine; non tutti si ritrovano cosi indipendenti nella vita da poter rimanere nelle chiese per ore e ore, ogni giorno, conversando col Signore. Però, chi è quella persona cosi misera da non poter largire qualche soldo ai poveri, alle opere buone della parrocchia? Perfino la vedova del Vangelo trovò due danari da offrire al tempio di Gerusalemme, e fu tanto lodata da Gesù. E se non si ha tempo di fermarsi lungamente in chiesa, chi vieta all’operaio mentre lavora di ripetere, anche solo col cuore, delle fervorose giaculatorie? Chi vieta alla mamma di famiglia di pregare mentre culla, mentre nutre i suoi bambini? Per quante occupazioni si abbia, si può trovare il tempo anche d’ascoltare qualche Messa nei giorni feriali e di ricevere i santi Sacramenti con opportuna frequenza. – Son queste, o Cristiani, le opere buone che Dio domanda: sono le piccole azioni del proprio stato. Se in esse saremo fedeli, avremo il Paradiso. Quia super pauca fuisti fidelis, intra in gaudium Domini tui (Matth., XXV, 23).
CONCLUSIONE
Un’enorme fico aduggiava la terra con la sua ombra. Sotto, un giorno, vi passa il Signore: scruta tra i rami fronzuti e non trova un frutto. « Sii maledetta tu, pianta sterile! » Subito la ficaia inaridì. Una notte, quando più nessuno l’aspettava ed il sonno aveva vinto anche i più vigili, arriva lo sposo. Un grido e tutti si risvegliano e accendono le lampade: ma cinque vergini improvvide, si trovarono senz’olio. Corsero per acquistarne, ma al ritorno trovarono la porta del convito chiusa, e udirono una voce dal di dentro che disse: « Non vi conosco ». Un padrone ritorna da un viaggio lungo e chiama il servo al rendiconto. « Padrone », balbetta il poverino « io sapevo la vostra esosità, e che domandate fin quello che non avete dato, e che mietete fin dove non avete seminato: per ciò nascosi il vostro talento sotterra ed oggi ve lo rendo intatto ». « Prendete il servo inutile! — comandò il Padrone, — e gettatelo fuori nell’oscurità e nel dolore». Il Natale non è lontano e Gesù ritorna. Egli è il viandante che desidera dissetare le sue labbra con qualche frutto dell’anima nostra. Egli è lo sposo a cui bisogna muovere incontro con lampade provviste d’olio di buone opere. Egli è il nostro Padrone e viene a domandarci il rendiconto. Affrettiamoci a radunare un ricco tesoro di opere virtuose da presentargli davanti alla cuna insieme ai doni degli antichi pastori.
(1. – Continua …)