DISCORSO PER LA I DOMENICA DI AVVENTO

DISCORSO PER LA I DOMENICA

DELL’AVVENTO

[Mons. J. Billot: Discorsi parrocchiali; Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la seconda venuta del Figliuolo di Dio, ossia sopra il giudizio universale.

Tunc videbunt Filium hominis venientem in nube cum potestate magna et maiestate.”

Luc. XXI.

Eccovi, fratelli miei, una venuta del figliuolo di Dio assai diversa da quella in cui apparve la prima volta sopra la terra. Egli è per verità lo stesso Gesù Cristo Figliuol di Dio e figliuolo dell’uomo che si fa vedere nell’una e nell’altra. Ma in questa seconda venuta non è più quel Dio vestito d’infermità, nascosto nell’oscurità di una stalla, carico di obbrobri, oppresso sotto il grave peso di una croce, come si mostrò nella prima: Egli è un Dio rivestito dallo splendore della sua potenza e della sua maestà, che fa annunciar la sua venuta coi prodigi più stupendi, coll’ecclissarsi del sole e della luna, con la caduta delle stelle, con un intero rovesciamento di tutta la natura. Non è più un salvatore che viene con la mansuetudine di un agnello per esser giudicato dagli uomini e riscattarli; ma è un giudice irritato che viene a giudicar gli uomini e condannarli. Non è più un pastore misericordioso che viene a cercare la sua pecorella smarrita per perdonarle; ma è un Dio vendicatore che viene a separare i capretti dagli agnelli, i malvagi dai buoni, per far loro sentire tutto il peso delle sue terribili vendette. – Ora, fratelli miei, quando vedremo noi in tal modo comparire questo Figliuolo dell’uomo attorniato di gloria e di maestà? Ciò sarà al fine del mondo, nel gran giorno del giudizio, in cui gli uomini tutti risuscitati compariranno per ricevere la ricompensa delle loro opere buone ovvero il castigo delle loro colpe. Ma quando verrà questo giorno terribile e formidabile, questo giorno ripieno di amarezza e di spavento, che ci è descritto dal Vangelo? Non posso io dirvelo, perché Gesù Cristo, che ce ne dipinge le circostanze, ci assicura che la sua ora non si sa da alcuno, fuorché dall’eterno Padre e da coloro cui ad esso piaciuto è di rivelarlo. Ma in qualunque tempo sia per accadere, egli è sempre certo che noi dobbiamo tutti comparirvi e che vi Siam più vicini di quel che pensiamo, poiché potendo a ciascun momento morire, noi subiremo dopo la nostra morte la sentenza decisiva di nostra eternità, che sarà lo stesso che nel giudizio universale. – Ma qual sarà questa sentenza? Sarà quella, fratelli miei, che ci avremo meritata durante la vita. La nostra sorte è dunque nelle nostre mani: non dipende che da noi di renderci sin d’ora propizio e favorevole il nostro giudice. Ora il mezzo di riuscirvi si è di essere penetrati da un salutevole timore dei giudizi di Dio. Questo timore, che ha popolato i deserti ed ha fatto un sì gran numero di santi, farà su di noi le medesime impressioni, se, come essi, ci rappresentiamo alla mente uomo spaventevole, se attenti ci rendiamo a quella terribile voce che deve citare i morti al giudizio di Dio: Surgite, mortui, venite ad iudicium. – O voi che sepolti siete nella tomba del peccato, uscite da questa tomba e venite al giudizio; venite ad istruirvi del modo in con cui vi sarà trattato il peccatore per procurarvi una sorte più favorevole. Il peccatore al giudizio di Dio sarà oppresso dalla più amara confusione: prima parte. Il peccatore al giudizio di Dio sarà condannato con estremo rigore: parte seconda. Confusione del peccatore, condanna del peccatore; due motivi capacissimi d’indurlo a far di tutto per evitare con una sincera penitenza il rigore dei giudizi di Dio. Noi non tratteremo che il primo punto il quale ci fornisce una materia assai ampia d’istruzione.

I.° Punto. Appena gli uomini risuscitati alla voce dell’Angelo radunati si saranno nel luogo dal supremo giudice destinato, gli Angeli, ministri delle vendette del Signore, separeranno i capretti dagli agnelli, i malvagi dai buoni: i buoni collocati saranno alla destra di Gesù Cristo, i malvagi alla sinistra. Separazione crudele, separazione umiliante, separazione eterna, che sarà pei malvagi la sorgente della più terribile disperazione! Dissi separazione crudele, che dividerà il figliuolo dal padre, la madre dalla figliuola, il fratello dalla sorella, il marito dalla moglie, gli amici più intimi. Separazione la più umiliante, dove non si conosceranno più quelle distinzioni vane e chimeriche di cui si fa tanta stima dal mondo; dove non si avrà più riguardo né al grado, né alla qualità né alle ricchezze né al credito né alla grandezza né alla possanza; dove il povero umile sarà innalzato sopra il ricco superbo, il servo fedele sopra il duro e crudele padrone. Separazione umiliante: i santi e i reprobi compariranno in quel gran giorno, ma ohimè! qual differenza! i santi vi compariranno con corpi gloriosi, impassibili, risplendenti come stelle; i reprobi con corpi difformi, spaventevoli, la cui sola vista sarebbe capace di dare loro la morte, se potessero ancora una volta morire. Strana metamorfosi per quelle bellezze di cui adesso si pregiano le qualità e di cui si disprezzeranno allora le attrattive! Separazione eterna, che non sarà più per un dato tempo, come quella di una lunga assenza o quella che si fa presentemente con la morte, che separandoci dai nostri parenti, dai nostri amici, ci lascia la speranza di rivederli un giorno e di riunirci con loro. Ma la separazione che si farà al giudizio di Dio sarà irrevocabile, sarà eterna: giammai i cattivi, malgrado qualunque sforzo che possasi fare, non potranno riunirsi coi buoni: il peccato ha formato tra gli uni e gli altri un muro di separazione che non potranno mai superare. Eccoci dunque, diranno i malvagi nell’amarezza del loro cuore; eccoci divisi da quei felici predestinati di cui trattavamo di follia la condotta! Ma quanto eravamo noi insensati di non vivere come essi! Sono eglino nel numero dei santi, e noi saremo per sempre nel numero dei riprovati: O nos insensati! vitam illorum æstimabamus insaniam, et inter sanctos sors illorum est ( Sap. V). Ecco, fratelli miei, ciò che opprimerà i malvagi della più amara confusione al giudizio di Dio: ma quanto più si aumenterà questa confusione dalla manifestazione che si farà dei loro misfatti! Manifestazione la più esatta, in cui nulla verrà dimenticato; manifestazione la più desolante, perché si farà al cospetto dell’universo. – A forza di trasgressioni il peccatore si accieca, s’indura quaggiù, beve l’iniquità come l’acqua; la coscienza sua or non parla, muta la rendono le sue resistenze: ma nel gran giorno delle vendette essa ripiglierà i suoi diritti, importuni saranno i suoi gridi, e niente potrà soffocarli: si, al giudizio di Dio, il libro delle coscienze sarà aperto, tutte le azioni vi saranno ad una ad una notate, e ciascheduno potrà leggervi con agevolezza: già il supremo giudice, riassumendo i capi d’accusa che hanno servito al giudizio particolare, fa vedere i delitti tutti che il peccatore ha commessi e di cui è stato cagione, tutte quelle negligenze a far il bene che far doveva, oppure che non ha fatto come doveva: l’abuso di tutte le grazie ricevute. Si leggeranno in questo libro tutte le opere d’iniquità di cui il peccatore si è renduto colpevole durante la sua vita: quelle parole disoneste, ingiuriose a Dio o al prossimo; non vi sarà dimenticata neppure una parola oziosa. Vi si scopriranno tutti i movimenti sregolati del suo cuore, tutti i pensieri peccaminosi della sua mente, In una parola, tutti i peccati di pensieri, di parole, di opere di ciascun anno, di ciascun mese, di ciascun giorno vi saranno smascherati e descritti senza eccezione nel loro numero, nelle loro circostanze; il peccatore li vedrà, li vedrà tutti, li vedrà malgrado suo in un colpo d’occhio e ne fremerà di dolore: Peccator videbit, fremet, et tabescet. ( Psal. III). In qual confusione, in qual costernazione noi getterà la vista di questi oggetti sì spaventevoli, che si presenteranno a lui come opera sua? Imperciocché non sarà, fratelli miei, la conoscenza che avrà allora il peccatore delle sue iniquità come quella che ne ha al presente. L’ignoranza che offusca i lumi della sua mente, l’amor proprio, sempre industrioso a mascherare le sue azioni, sempre facile a perdonarsi, gli nascondono quaggiù i suoi difetti; egli confonde sovente il vero col falso, il bene col male, per via di false interpretazioni che una coscienza mal regolata dà alla legge del suo Dio. Ma nel gran giorno delle comparse ogni nebbia sarà dissipata, tutto comparirà alla scoperta; il peccato, spogliato di tutti i vani pretesti che gli servivano di scusa, si farà vedere coi più neri colori; Iddio, i cui occhi penetrarono sino i più occulti nascondigli delle coscienze, scoprirà, manifesterà tutto quanto vi sarà di più segreto: Nihil est opertum quod non reveletur (Luc. XII). Farà uscire dal fondo di queste coscienze, che non saranno più accecate dalla passione, un’infinità di peccati o dimenticati o non mai ben conosciuti. Qual sarà dunque, ripeto, la confusione del peccatore alla vista di tutti questi mostri che si presenteranno a lui in tutta la loro difformità? Allora sì che comparirà in piena luce o uomini vani e superbi, quell’orgoglio che vi predomina e che adesso chiamate grandezza d’animo; quella brama che avete di comparire e d’innalzarvi al di sopra degli altri; quegli artifizi di cui vi servite, quei raggiri perversi che la vostra ambizione v’inspira per giungere al fine che vi proponete; quei mezzi d’iniquità che soliti siete metter in opera per ingannare gli uni e soppiantare gl’altri, per introdurvi in impieghi di cui siete indegni: allora la luce di Dio vi circonderà, essa dissiperà le vostre tenebre, e voi conoscerete i vostri errori: Nihil est opertum quod non reveletur. Allora si conoscerà, o uomini sensuali e voluttuosi quell’amor profano che tiene schiavo il vostro cuore, quei pensieri disonesti, quei desideri malvagi, quegli sguardi lascivi, quei segreti maneggi di cui vi servite per mantenere un commercio illecito, quelle infedeltà tra i maritati, quei vergognosi piaceri che vorreste potere a voi medesimi occultare: Nihil est opertum, etc. Allora si scoprirà, o uomini avari, quella cieca passione che vi attacca ai beni della terra, quella pretesa economia che serve di velo alla vostra passione: quelle precauzioni in avvenire non passeranno più che per sordida avarizia, per cieco attaccamento ai beni del mondo, mostruosa insensibilità alle miserie dei bisognosi: Nihil est opertum, etc. Allora si manifesterà, o uomini vendicativi, tutta la malignità di quelle inimicizie che conservate, quelle affettazioni di rispetto che usate, quei pretesi sentimenti di onore di cui vi prevalete nel cercare la vendetta di un’ingiuria. – E voi, o ingiusti usurpatori, che vi credete in sicuro perché nascondete agli occhi degli uomini le vostre ingiustizie, o che per commetterle vi appoggiate sopra i principii di una falsa coscienza che vi accieca; usurai, che palliate le vostre usure sotto il nome di contratto legittimo, di compensazione o d’interesse permesso; voi che nei vostri negozi vi servite delle frodi e delle menzogne per ingannar coloro che trattano con voi, tutte le vostre trufferie, i vostri inganni saranno in pieno giorno manifestati, verranno da tutto l’universo conosciuti, In una parola, peccatori di qualunque sorta voi siate, qualsivoglia peccato abbiate commesso dal primo istante di vostra ragione sino all’ultimo respiro di vostra vita, benché siano stati nascosti, se voi non li avete cancellati con una sincera penitenza, compariranno sveltamente agli occhi di tutti gli uomini; questo è ciò che accrescerà la vostra confusione: Nihil est absconditum, quod non sciatur (ibid.). – E per verità, in quale stato umiliante comparirete voi! Di qual obbrobrio non sarete voi oppressi, voi che prendete tante precauzioni per occultare i vostri misfatti agli occhi degli uomini, allora quando il Signore li farà conoscere a tutte le nazioni della terra? Cercate pur adesso quanto vi piace i luoghi più oscuri, i tempi più favorevoli ad appagare le vostre passioni: il Signore metterà alla luce tutte le vostre opere di tenebre: Illuminabit abscondita tenebrarum (1 Cor. IV) . Valetevi pure di tutti gli artifizi che ingannar possano gli uomini per comparire agli occhi loro quel che non siete; voi potete ingannarli, ma non ingannerete Iddio che conosce tutto e scoprirà tutto quello che siete. Coprite pure i vostri vizi col manto della virtù per conservarvi la stima degli uomini; Dio saprà squarciar il velo che l’ingannava, aprirà Egli quei sepolcri imbiancati per manifestarne la corruzione. – In quale stato comparirete voi, e quale sarà la vostra confusione, voi che la vergogna trattiene di scoprire al ministro del Signore l’ulcera che infetta l’anima vostra? Giudicatene da quella che risentite nel tribunale di penitenza quando dichiarate le vostre laidezze ad un sol uomo di cui sicuri siete del segreto. Giudicatene da quella che ricevereste, se le vostre azioni venissero vedute da qualche persona che aveste in considerazione, e ai cui occhi vorreste involarvi; peggio sarebbe ancora se i vostri peccati fossero conosciuti da tutta questa assemblea, se in questo momento Iddio rivelasse tutti i pensieri della vostra mente, tutte le inclinazioni disordinate del vostro cuore a tutti coloro che sono qui presenti? Che sarà dunque il comparire carichi dei misfatti più vergognosi non agli occhi di un piccol borgo, di una città, di una provincia, ma in faccia dell’universo? Voi avrete, o peccatori, tanti testimoni dei vostri mancamenti, quanti uomini vi saranno stati dal principio del mondo sino al fine. Oh chi sostener potrà una

confusione così generale e così vergognosa! Che sarà dunque del peccatore, il quale, oltre i suoi mancamenti personali si vedrà ancora carico dei peccati altrui, o per esserne stato la cagione o per non averli impediti? Gl’imputerà Iddio questi peccati e gliene farà subir la vergogna alla presenza dell’universo insieme raccolto. Tremate, scandalosi, che comunicate a coloro che vi frequentano la contagione di cui siete infetti, che coi vostri cattivi consigli, coi vostri esempi perniciosi loro insegnate il male che ignoravano, li inducete nelle vostre dissolutezze, nei vostri intrighi scellerati; voi che con le vostre parole oscene, coi vostri discorsi seducenti, coi vostri modi lusinghieri servite di pietra d’inciampo ad anime innocenti, o che vi valete della vostra autorità per farle vittime della vostra passione. Quali rimproveri amari dal canto loro! qual conto terribile vi farà rendere Dio della perdita loro! Sanguinem eius de manu tua requiram (Ezech. III). – Tremate , padri e madri e voi tutti cui Dio ha data l‘autorità per correggere e reprimere i disordini; se, invece di riprendere i vostri figliuoli e quelli che vi sono soggetti, trattenuti li avete nel vizio con la vostra indolenza dell’istruirli e nel correggerli; più ancora, se li avete autorizzati coi vostri cattivi esempi o portati al male con le malvage impressioni che loro avete dato, voi sarete nel giorno del giudizio carichi delle loro iniquità, voi ne porterete l’onta e la confusione: sanguinem eius de manu requiram. Quei figliuoli, quegl’inferiori chiederanno a Dio vendetta contro di voi che foste la causa della loro dannazione. Almeno se il peccatore avesse fatto opere buone che avessero riparato i suoi mancamenti, se avesse fatto penitenza dei suoi peccati, se riscattati li avesse con limosine, espiati con mortificazioni, si sarebbe messo al coperto dalla confusione che dovrà subire, dal rigore con cui sarà trattato al giudizio di Dio: ma quanti peccatori avranno a soffrire dalla parte del supremo Giudice i rimproveri più giusti della loro negligenza a far il bene che erano obbligati di fare! Quanti peccatori la cui vita comparirà nel giorno del Giudizio miseramente vuota affatto di penitenza, di preghiere, di limosine, di opere buone! Ed eccovi ancora uno dei capi che servirà particolarmente a confondere e a far condannare il peccatore nel finale giudizio: dico a confonderlo per lo cambiamento d’idee e di sentimenti che si avranno a suo riguardo, ben differenti da quelli che altre volte si avevano. – Quel peccatore era tenuto nella opinione del mondo per uomo giusto perché non faceva torto ad alcuno; perché non si abbandonava ad eccessi: ma Dio farà vedere che, per esser giusto ai suoi occhi, non bastava evitar il male, bisognava anche far il bene; ed ecco il perché dissi che l’omissione delle opere buone servirà a far condannare il peccatore, e lo dico appoggiato all’autorità del Vangelo. Partitevi da me, dirà Gesù Cristo ai reprobi, perché ho avuto fame, e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete, e non mi avete dato da bere, ignudo non m’avete vestito, pellegrino non m’avete ricevuto, infermo non mi avete visitato. Ma quando fu mai, o Signore, diranno i reprobi, che noi vi abbiamo ricusati questi soccorsi? Ogni qualvolta ricusati voi li avete ai poveri, che avevate in mia vece, a me stesso li avete ricusati: Quandiu non fecistis uni de minoribus his, nec mihi fecistis (Matt. XXV). – Ma a che dunque serviranno, o gran Dio, quei digiuni, quelle preghiere, quelle limosine, quelle confessioni, quelle Comunioni? E non è questo il contrappeso di tanti peccati, di tante negligenze? Voi l’avete creduto, peccatori addormentati; ma quel che giudica le giustizie medesime, come parla il Profeta, ha trovato tanta condiscendenza ed amor proprio in questi digiuni, tante volontarie distrazioni in queste preghiere, tanta ostentazione in queste limosine, tante ricadute dopo queste confessioni, tanta irriverenza in queste Comunioni fatte per usanza, che al giorno d’oggi la sua giustizia trova tutte le vostre opere degne del suo sdegno, senza trovarne una che meriti le sue ricompense: Ego iustitia iudicabo (Psal. LXXIV 74). In questa maniera, fratelli miei, il divino scrutatore dei cuori farà, come dice l’Apostolo, l’esatta ricerca dei nostri pensieri e delle nostre intenzioni; separerà i motivi e i fini che ci hanno fatto operare; e farà vedere ad un gran numero di coloro che si credevano ricolmi di meriti pel cielo che nulla han fatto per meritarlo. Qual sorpresa per tanti Cristiani ingannati che, oppressi dai travagli durante la loro vita, non avranno avuto che la pena della virtù, senza averne la ricompensa? Perciocché la loro virtù non

aveva che una corteccia di santità, che loro aveva meritata la stima degli uomini, ma non già quella di Dio: mentre il Signore giudica assai diversamente degl’uomini intorno alle nostre azioni. Gli uomini si attengono all’esteriore, ma Iddio esamina il fondo dei cuori, penetra sino le intenzioni più segrete, che rendono difettose le nostre azioni: Appenda corda Dominus. Nuovo motivo di confusione per li pretesi sapienti del secolo, che, vedendo la loro virtù spogliata delle belle apparenze, perderanno al giudizio di Dio tutta la riputazione e tutta la stima che questa falsa virtù loro aveva attirata sopra la terra. Voi credevate, dirà il Signore, le vostre virtù perfette, perché gli uomini le canonizzavano; ma adesso che pesate sono nella bilancia del mio santuario, non hanno esse il peso ed il valore che aver debbono per meritar le mie ricompense: Juventus es minus habens (Dan. V). Voi vi credevate ricchi in virtù ed in meriti sopra la terra; ma siete veramente poveri e miserabili, spogliati di ogni merito pel cielo. Terribile discussione, fratelli miei, che ha sempre fatto tremare i più gran santi per le loro medesime opere buone; che faceva dire al Re-Profeta, e che con più di ragione deve far dire a noi: Ah! Signore, Signore, non entrate in giudizio col vostro servo, perché nessun uomo sarà innanzi a voi giustificato: Non intres in iudicium (Psal.141). Guai, dice s. Agostino, alla vita più lodevole, se Dio la giudica con rigore! Ciò essendo, qual precauzione non dobbiamo noi prendere non solo per non fare cosa alcuna che offender possa gli occhi di un giudice sì illuminato, ma ancora per adempierne tutti i nostri doveri con tutta la perfezione che da noi richiede, per mettere a profitto tutte lo grazie che ci ha fatte, ed il cui abuso finirà di confondere il peccatore al giudizio di Dio’! – Ed invero, senza parlare di tutti i beni della natura e della fortuna che servir potevano al peccatore, quali mezzi di salute pel santo uso che far ne doveva, quante grazie e quanti aiuti non ha egli ricevuto nell’ordine soprannaturale, dei quali non dipendeva che da lui il profittare per guadagnarsi il cielo! Grazia di vocazione al Cristianesimo, dove il Signore l’ha fatto nascere a preferenza di tanti altri che non hanno avuto questo vantaggio; grazie ricevute nel seno del Cristianesimo per i Sacramenti a lui amministrati, per le istruzioni e gli avvisi ricevuti. Quante vive illustrazioni che hanno rischiarata la sua mente! quanti buoni movimenti che hanno toccato il suo cuore, che l’hanno allontanato dal male, e portato al bene! Quanti aiuti dalla parte di quelli con cui egli ha conversato, dei buoni libri che ha letto e dì mille occasioni cui Dio attaccato aveva la sua salute. Ma perché egli se n’è abusato, saranno per lui queste grazie per funesto cambiamento altrettanti motivi di riprovazione. Guai a te, diceva altre volte Gesù Cristo a Corozain, guai a te, o Bethsaida, perché se Tiro e Sidone avessero veduti gli stessi prodigi, avrebbero fatta penitenza; ma perché voi l’avete omessa, quantunque abbiate ricevute maggiori grazie che quei popoli, voi sarete trattati con maggior severità di loro: Tyro et Sidoni remissius erit in iudicio quam vobis (Luc. X) . Terribile, ma pure assai naturale figura del vostro destino al giudizio di Dio, peccatori che mi ascoltate: farà vedervi allora per vostra confusione una folla di nazioni più barbare che popolato avrebbero il cielo, se avessero avuto una parte solamente delle grazie che ha dato a voi. Non avran dunque motivo quelle nazioni di sollevarsi contro di voi e di rimproverarvi la vostra infedeltà alla grazia di vostra vocazione? L’augusto carattere di cui siete ornati, che doveva fare la vostra gloria, non servirà allora che a coprirvi d’ignominia, né vi distinguerà dagli altri che per far vedere quanto più colpevoli siete stati di non esser vissuti in quella maniera che richiedeva la santità di vostra vocazione. E che? Esclameranno allora quei popoli idolatri ed infedeli; se noi avessimo avuti i medesimi aiuti per guadagnar il cielo, le istruzioni di cui non han fatto profitto, i Sacramenti che hanno profanato, non saremmo presentemente le vittime destinate all’inferno. Vendicatevi, o Dio giusto, dell’ingiuria che quei Cristiani vi han fatta; meritano, meritano essi più di noi di provare i vostri castighi. A rimproveri sì amari, e sì desolanti che avranno a rispondere i Cristiani, se non se confessare con altrettanto dolore che confusione il torto ch’essi hanno avuto di non aver profittato delle grazie di salute? Guai a noi, diranno nell’amarezza del loro cuore, guai a noi, perché abbiamo peccato! Ma confessione inutile, penitenza infruttuosa, che non sarà più a tempo! Nel trasporto di un’orribile disperazione pregheranno le montagne di cader sopra di essi per involarli alla confusione, che li desolerà: montes cadite super nos. Ma le montagne saranno sorde alle loro grida. Converrà portare tutto il peso della confusione che ne verrà dalla manifestazione dei loro peccati. Converrà ancora subir la sentenza di condannazione che sarà contro di essi fulminata. Ma prima d’intendere questa sentenza, facciamo, fratelli miei, alcune riflessioni sopra noi medesimi per frutto di questo primo punto.

Pratiche. Giacché la separazione che si farà al giudizio di Dio dei buoni e dei cattivi deve cagionar al peccatore sì pungenti rammarichi, bisogna dunque, o peccatori, profittare adesso dei vantaggi che cavar potete dalla compagnia dei buoni, seguendo i loro avvisi ed imitando le loro virtù. Giacché il peccatore deve essere oppresso da amarissima confusione al giudizio di Dio per la manifestazione che si farà de’ suoi misfatti, bisogna dunque, o peccatori, farne adesso una sincera penitenza che li cancelli e li faccia per sempre dimenticare. Il mezzo di risparmiarvi la confusione che dovreste soffrire nel gran giorno delle rivelazioni si è di subir quella che si prova a dichiarar i vostri peccati al ministro del Signore. Manifestarli al tribunale della penitenza si è nasconderli per sempre: una volta perdonati, non vi saranno rimproverati più mai. Ora non è meglio soffrire una confusione leggiera e di passaggio, dichiarando i vostri peccati ad un sol uomo, che vederli un giorno manifestati non ad un uomo solo, ma a tutto quanto l’universo? – Animatevi con questa riflessione a superare la difficoltà che trarne potete nel dichiararli. Formate la sincera risoluzione di nulla fare al presente di che possiate pentirvi al giudizio di Dio; fate al contrario tutto ciò che vorreste allora aver fatto. Ora, se aveste a comparire oggi avanti al vostro giudice, che cosa vorreste aver fatto? In qual modo vorreste aver vissuto? Vorreste voi comparire al giudizio con la roba altrui, col rancore contro del vostro prossimo, infangato in qualche pratica peccaminosa o in qualche cattivo abito? No, senza dubbio: non differite più adunque a restituire la roba altrui, a riconciliarvi col prossimo, a romper quella pratica, a correggere quell’abito. Quale stima farete voi al giudizio di Dio dei beni, degli onori, dei piaceri della terra? Giudicatene adesso come ne giudichereste allora, e subito ne concepirete un assoluto disprezzo. Quale stima all’opposto non farete voi della povertà, delle croci, delle umiliazioni? Vorreste allora esser vissuti come i più ferventi anacoreti ed esservi arricchiti di tutti i tesori delle buone opere. Fate dunque al presente tutte quelle provvisioni che non sarete più

in tempo di fare allora. Oh quanto più grandi piaceri, dice l’autore dell’imitazione, cagioneranno allora le lagrime dei penitenti che le allegrezze tutte della terra! Quanto saremo più contenti di aver castigata la nostra carne colla mortificazione che di averla nutrita nelle delizie e di aver frequentate le chiese, visitati gl’infermi, che di aver assistito alle profane combriccole! Quanto ci troveremo più soddisfatti di esser stati assidui all’orazione, a frequentar i sacramenti, che d’esserci dati ai divertimenti del mondo! L’amor del silenzio, la pazienza nelle afflizioni saranno molto più stimati che la più splendida fortuna, la riputazione più gloriosa: l’umiltà sarà preferibile agli onori, la povertà alle ricchezze, la mortificazione ai piaceri. Pensiamo, operiamo come vorremmo aver fatto allora. Adempiamo con fedeltà gli obblighi tutti del nostro

stato. Temiamo per tutte le nostre opere diffidiamo delle intenzioni che ci fanno operare, per far tutto il bene che dipende da noi con la perfezione che Dio domanda; assicuriamo la nostra predestinazione con le buone opere, le quali saranno tutta la nostra consolazione e ci faranno comparire con fiducia al giudizio in compagnia dei santi, per ricevervi una egual ricompensa, che sarà la vita eterna. Così sia.

 

TEMPO DELL’AVVENTO (2018)

TEMPO DELL’AVVENTO.

[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]

Sopra la prima venuta del Figliuolo di Dio, ossia sopra il mistero dell’Incarnazione.

Venit fortior me post me, cuius non sum dignus solvere corrigiam calceamentorum eius

S. Luc. III.

Non possiamo meglio, fratelli miei, impiegare il santo tempo dell’Avvento, che incominciamo nel giorno d’oggi, che occupandoci con la Chiesa intorno alla venuta del Figliuolo di Dio sopra la terra : tale è l’oggetto che questa santa Madre propone alle nostre riflessioni durante questo santo tempo, sia negli uffizi che celebra, sia nelle istruzioni che ci dà. Ora convien distinguere due sorta di venuta del Figliuol di Dio: l’una, che ha fatto comparire la sua misericordia e deve darci confidenza: l’altra, che manifesterà la sua giustizia e deve ispirarci timore. La prima apparve nel mistero dell’incarnazione, quando il Figliuolo di Dio si fece uomo per salvarci. La seconda si farà nel fine del mondo, allorché questo stesso Figliuolo di Dio fatto uomo verrà per giudicarci. Di quella prima venuta del Figliuolo di Dio nel mistero dell’incarnazione rende testimonianza S. Giovanni Battista, allorché, parlando di Gesù Cristo, dice che viene uno dopo di lui, il quale è stato prima di lui ed è di lui più potente, a cui non è egli degno di slacciare i legami delle scarpe: Venit fortior me, etc. mentre dicendo che Gesù Cristo è stato prima di lui, che è più potente di lui, confessa con questo la sua divinità; ed aggiungendo che viene dopo di lui, esprime la generazione temporale della sua umanità, e dichiara con ciò che Gesù Cristo è Dio e uomo tutto insieme, per l’unione che si è fatta in Lui della natura divina con la natura umana, e che per conseguenza è il Messia da tanti secoli aspettato, il desiderato dalle nazioni, il Salvatore del mondo. Testimonianza di S. Giovanni, che era tanto più capace di persuadere ai Giudei la venuta del Messia nella persona di Gesù Cristo, quanto che veniva da un uomo, che era creduto egli stesso il Messia; e che ricusando quest’augusta qualità per attribuirla a Gesù Cristo, doveva senza dubbio essere sulla sua parola creduto. Questa venuta del Figliuolo di Dio nel mistero dell’incarnazione, dovrebbe, fratelli miei, essere il soggetto continuo delle nostre riflessioni, poiché il fondamento della nostra più ferma speranza. – Che però, per richiamarlo alla memoria dei fedeli, la Chiesa ha specialmente destinato il santo tempo dell’Avvento; e a questo fine mette nella bocca dei suoi ministri i discorsi che S. Giovanni faceva al popolo per disporlo alla venuta del Redentore. Entriamo, fratelli miei, nei disegni di questa santa Madre; procuriamo di penetrare, per quanto la fede ce lo permette, la profondità di questo mistero per scoprirvi l’eccesso di amore che un Dio vi ci dimostra: ma non arrestiamoci ad una sterile speculazione; sforziamoci di mostrare al nostro Dio che abbiamo tutta la riconoscenza che merita dal canto nostro un sì grande amore. Quale è stato dunque l’amor di Dio per gli uomini nel mistero dell’incarnazione? Primo punto. Qual esser deve il nostro amore per un Dio incarnato? Secondo punto. Si compì questo mistero quando l’Angelo del Signore indirizzò alla santissima Vergine il saluto che i predicatori costumano indirizzarle: Ave Maria, etc.

I. Punto. Il Figliuolo di Dio, uguale in tutto a suo Padre, Dio da tutta l’eternità com’Egli, che, senza lasciar di essere ciò ch’era, è divenuto ciò che non era prima, vale a dire un uomo simile a noi, composto della medesima natura che noi e che si chiama Gesù Cristo. – Ecco, fratelli miei, lo ripeto, ecco ciò che noi chiamiamo l’incarnazione del Verbo, il mistero nascosto in Dio avanti ai secoli, dice l’apostolo S. Paolo, che si è manifestato nella nostra carne, che è stato veduto dagli Angeli, predicato alle nazioni, che è stato predetto da un gran numero di profezie contenute nei libri, che ci sono stati trasmessi dagli Ebrei nemici della nostra santa Religione: le quali profezie, per confessione anche dei pagani, si sono verificate appuntino nella persona di Gesù Cristo, ed il cui adempimento è stato confermato da un’infinità di miracoli di quest’uomo-Dio e dei suoi discepoli: miracoli che hanno persuaso ai più grandi ingegni del mondo, e a tutte le nazioni della terra la verità della sua dottrina, la divinità della sua missione. Voi siete, fratelli miei, pienamente convinti di questo gran mistero, voi fate professione di crederlo; senza arrestarci dunque a più lunghi ragionamenti entriamo in questo abisso di carità che Dio ha manifestato agli uomini; mentre quivi è, dice lo stesso Apostolo, dove la bontà e l’amore del nostro Salvatore veramente comparve: Apparuit humanitas et benignitas Salvatoris nostri (Tit. 3). Ma qual bontà, quale amore! Si è l’amore più pietoso che l’ha indotto a liberarci dalle miserie, in cui ridotti ci aveva il peccato; l’amore più generoso che l’ha portato a tutto sacrificare per la nostra liberazione. Si, fratelli miei, i mali da cui Gesù Cristo ci ha liberati, ci comprovano la tenerezza del suo amore; siccome il prezzo da lui dato pel nostro riscatto ci fa abbastanza conoscere la generosità del suo amore. Per meglio convincerci dell’immensa carità del nostro Dio per gli uomini nel mistero dell’incarnazione, rammentiamo per un momento lo iato lagrimevole a cui ci aveva il peccato ridotti. C’insegna la fede che il primo uomo peccando perdette non solo per lui ma ancora per tutti i suoi discendenti la giustizia originale e gli altri vantaggi di cui godeva, nello stato d’innocenza: siccome Dio aveva messo la nostra sorte nelle sue mani, e la nostra felicità dipendeva dalla sua fedeltà nell’osservare il comando che il Signore gli aveva fatto, la sua caduta fu la cagione della nostra disgrazia; la sua prevaricazione ci diede il colpo della morte, privandoci della vita della grazia che Dio ci aveva data nella sua persona, per sua pura misericordia (per un effetto della sua, sapienza: divenuti sin d’allora figliuoli d’ira, ci ha chiuso il cielo, e fummo condannati alla morte e alle altre miserie che accompagnano la trista condizione degli uomini. Questo è quel funesto peccato di origine ch’è entrato nel mondo per un solo uomo, che ci fa morire prima di nascere, che ha cancellato in noi i bei tratti di divinità che erano impressi nella nostra anima per porvi l’immagine del demonio; questa si è quella piaga profonda che ha avuto bisogno di un medico tanto caritatevole, come Colui che l’ha lavata nel suo sangue: Lavit nos a peccatis in sanguine suo (Apoc. 1). imperciocché finalmente, fratelli miei, che saremmo noi divenuti, se Dio, mosso dalle nostre miserie, non ci avesse steso la mano per cavarci dall’abisso in cui eravamo precipitati? Privi del diritto che avevamo alla celeste eredità, non potevamo da noi medesimi ricuperarlo, perché era un dono di Dio, che dipendeva dalla sua misericordia e che poteva non restituirci. Ma ciò che rendeva somma la nostra miseria si è, che al peccato originale, il quale ci aveva chiuso il cielo, avevamo noi aggiunto per lo cattivo uso della nostra libertà, un gran numero di peccati attuali, che ci avrebbero fatto condannare all’inferno per ivi soffrire con i demoni i più orrendi supplizi. O misera e disgraziata condizione degli uomini! Indotti ella li avrebbe alla disperazione, se alcun rimedio non si fosse trovato alla loro sventura. Ma grazie infinite siano per sempre rese alla misericordia del nostro Dio che ci ha visitati nelle nostre miserie, e ci ha redenti dalla schiavitù: Visitavit et fecit redentionem plebis suæ (Luc. 1). Senza aver bisogno di noi, Egli ci ha il primo ricercati: toccava a noi fare i primi passi; ma non potevamo farne neppur uno per andare a Lui. Ha avuto dunque riguardo alla nostra impotenza; ci ha stesa la mano per rialzarci, ha distrutto il muro di divisione che posto aveva tra noi e Lui il peccato. Questo medico caritatevole è venuto Egli stesso vicino al suo infermo, dice S. Bernardo, questo buon Pastore è corso presso la sua pecorella smarrita per liberarla dal furore del lupo infernale; questo tenero padre è andato incontro al suo figliuol prodigo, l’ha ricevuto nella sua amicizia, l’ha ristabilito nei diritti che aveva perduti. Di già la grazia della riconciliazione ci è offerta: sottratti dalla schiavitù del demonio, ricuperiamo la libertà dei figlioli di Dio: liberati dagli orrori della morte, ripigliamo una nuova vita; in una parola, il cielo, nostra cara patria, ci è aperto; i nostri seggi vi sono assicurati; tali sono, fratelli miei, i frutti ammirabili dell’incarnazione di un Dio, tali sono gli effetti di suo amore pietoso; poiché egli è per liberarci dalle nostre miserie che ha operato questo grande mistero. Egli, per riscattarci e renderci la vita, dice s. Paolo, che il Padre celeste ha mandato il suo Figliolo nella pienezza dei tempi a nascere da una donna; egli è per salvarci che questo Figliolo adorabile è disceso dal trono della sua gloria e si è per noi annientato: Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de cœlìs; e qui si è dove dobbiamo noi riconoscere la generosità dell’amore di Dio in questo mistero, dal prezzo ch’Egli dà pel nostro riscatto. Ed invero, questo Signore le cui misericordie sono infinite non poteva Egli perdonare all’uomo il suo peccato con una grazia del tutto pura e ristabilirlo nei suoi diritti senza alcuna soddisfazione; o almeno contentarsi di una soddisfazione men nobile e meno perfetta di quella che ha ricevuto in questo mistero? Sii, senza dubbio, il poteva; padrone dei suoi diritti, non dipendeva che da Lui il cederli, avrebbe spiccato in ciò la sua misericordia, ma non sarebbe stata soddisfatta la sua giustizia. – Chiedeva pertanto la giustizia di Dio questa soddisfazione uguale all’offesa che aveva ricevuto; e siccome l’offesa era infinita, bisognava una vittima di un prezzo infinito per riparare all’ingiuria fatta alla divina Maestà. Or chi poteva, fratelli miei, dare alla giustizia di Dio questa soddisfazione che in rigore esigeva? Non vi erano che i meriti di Gesù Cristo, perché era Dio; e se la misericordia di Dio non fosse venuta in soccorso dell’uomo, per fornirgli onde soddisfare, invano l’uomo avrebbe cercato in se stesso e nelle sue virtù onde pagare i suoi debiti: non vi trovava che fiacchezza ed impotenza; vi trovava bensì l’origine del suo male, ma non già il rimedio per guarirlo; la sua infinita bassezza, che infinita rendeva la sua offesa, avviliva per questa cagione appunto i suoi meriti: Non dabit Deo placationem suam (Psal. XLVIII). Invano sarebbe ricorso alle altre creature per ritrovare nei loro meriti onde soddisfare alla divina giustizia: tutte le virtù degli Angeli e degli uomini non avrebbero mai avuta proporzione alcuna con l’offesa fatta a Dio dall’uomo peccatore: Frater non redimit (ibid.), che però sarebbe sempre rimasto senza poter pagare. Bisognava dunque per una giusta compensazione dell’ingiuria fatta alla divina Maestà, che Dio stesso si addossasse la causa dell’uomo per farsi a sue proprie spese la soddisfazione che domandava e per risparmiare all’uomo colpevole i castighi di cui era minacciato. Nulladimeno, siccome era l’uomo che aveva peccato, e Dio per sua natura è incapace di soffrire e di morire, bisognava, dice S. Agostino, che la vittima che espiare doveva il peccato fosse tratta dalla natura umana: Peccatum adeo tantum erat ut illud solvere non haberet, nisi homo. Ma siccome Iddio solo poteva dare ai patimenti dell’uomo i meriti e la dignità che necessari gli erano, bisognava, conchiude questo S. Padre, che questa vittima fosse Dio ed uomo insieme: Ita opus erat ut idem esset homo qui erat Deus. – Ora questo si è, fratelli miei, l’incomparabile mezzo che la misericordia di Dio ha fornito all’uomo peccatore nel mistero dell’incarnazione per pagare il debito di cui era caricato; si è per l’unione ammirabile della natura divina con la natura umana nella persona di Gesù Cristo, che la misericordia e la giustizia si sono riscontrate, come dice il profeta: Misericordia et veritas obviaverunt sibi (Psal. LXXXIV). L’una e l’altra hanno avuto i loro diritti, la misericordia ha perdonato all’uomo colpevole, e la giustizia è stata vendicata, così la terra è stata riconciliata col cielo, l’uomo con Dio. E non è questa, fratelli miei, dalla parte di Dio la prova dell’amore più liberale e più generosa verso gli uomini? E non sembra che in questo mistero le tre Persone adorabili della santissima Trinità abbiano voluto per così dire, prodigalizzarsi ed esaurirsi in favore dell’uomo peccatore? Quando risolvettero nel loro adorabile consiglio di cavarlo dal nulla: “Facciamo, dissero, l’uomo a nostra immagine e somiglianza”: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram (Gen. I). Ma questo che costò loro? una parola, un soffio di vita, con cui Iddio animò un poco di terra. Ecco l’uomo formato: e per riscattarlo costa al Padre Eterno un Figlio unico, l’oggetto delle sue compiacenze; non aveva Egli che questo Figlio, dice l’Apostolo, ed ha talmente amato il mondo che l’ha dato per redimerlo; Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum dare (Jo. III). Pesiamo la forza e l’energia di queste parole: Dio, che non bisogno aveva dell’uomo, Dio oltraggiato dall’uomo, ha avuto tanto amore per questa vile creatura che gli ha dato, abbandonato, non uno dei suoi Angeli, ma il suo unico Figliuolo, uguale in tutto a Lui stesso, vero Dio, generato da un vero Dio, l’oggetto delle sue eterne delizie. E perché l’ha Egli dato? Per essere sacrificato, immolato per la salvezza di questo mondo medesimo. Qual eccesso di amore! Lo comprendete voi, fratelli miei? Sic Deus dilexit mundum. Questo Figliolo adorabile, per obbedire alla volontà di suo Padre, si è offerto di buon grado ad essere mallevadore dell’uomo incapace di soddisfare alla divina giustizia; si è caricato delle nostre iniquità, si è abbassato, annientato sino a prendere la forma di uno schiavo, Exinanivit semetipsum formam servi accipiens (Philip. II). In questo stato si è Egli offerto alla giustizia di suo Padre per essere l’anatema e la vittima di espiazione per i peccati dell’uomo. Voi non avete voluto, disse al Padre suo, i sacrifici che gli uomini vi presentavano, avete rigettate le loro vittime, come incapaci di soddisfarvi: ma Voi mi avete formato un corpo; eccomi, io vengo, io son pronto: dìxi: Ecce venio (Heb. X). Io già mi destino ad essere l’oggetto dell’ira vostra e del furore dei miei nemici; sopra di me voi scaricherete i flagelli che hanno meritato gli uomini, io mi pongo in vece loro; vendicatevi a spese della mia vita, non mi risparmiate, ma perdonate loro: Ecce venio. Oh eccesso dell’amor di Dio per gl’uomini! Appena, dice l’Apostolo, troverebbesi qualcheduno che morir volesse per un giusto: Vix prò insto quis moritur (Rom. V). Quanto grande dunque non è stata la carità del nostro Dio, che si è offerto alla morte per uomini peccatori? Qual ammirabile genere di rimedio, dice s. Agostino, che il medico stesso siasi fatto infermo per guarire i suoi infermi! Che Iddio si abbassi per innalzar l’uomo, che facciasi povero per arricchirlo, che si renda simile all’uomo per render l’uomo simile a Lui, non è questo io ripeto, la prova dell’amore più generoso? Non è egli a dirsi che lo Spirito Santo, il quale è tutto amore, presiedesse ad una sì grand’opera? Gli Angioli e gli nomini avrebbero mai immaginato un simil disegno? E se Dio ci avesse permesso di domandargli il nostro riscatto ad un sì gran prezzo, avremmo giammai osato portar sin là le nostre speranze? E pur questo è quel ch’Egli ha fatto nel mistero dell’incarnazione. Quale amore? Fuvvene mai alcuno più pietoso e più generoso? Ma qual deve essere il nostro per un Dio incarnato? Ecco il soggetto della seconda parte.

II. Punto. É proprio dell’amore di non pagarsi che con l’amore: più grandi cose ispira in favore di coloro che si amano, più ha diritto di aspettarne. Amiamo dunque il nostro Dio, dice s. Giovanni, poiché Egli ci ha amati il primo con una maniera sì tenera e sì generosa nel mistero della sua incarnazione. – Il suo amor tenero e pietoso ci ha liberati dalle miserie in cui precipitati ci aveva il peccato; il suo amor generoso l’ha sacrificato per essere il prezzo delia nostra redenzione: questa immensa carità di un Dio richiede dal canto nostro un amor tenero e riconoscente che ci renda sensibili ai suoi benefici, un amor generoso che ci sottometta ai suoi voleri. Qual sarebbe, fratelli miei, la nostra riconoscenza per un ricco della terra, per un grande del secolo, che ci avesse liberati dalle catene, che col suo credito ci avesse risparmiata una morte vergognosa e crudele? Che sarebbe poi, se questo ricco, questo grande del secolo si fosse egli stesso caricato delle nostre catene per metterci in libertà, si fosse offerto alla morte per conservarci la vita? Che sarebbe mai se il figliuolo di un re della terra avesse calmata con la sua morte l’ira di un padre? Ci scorderemmo giammai di un liberatore così benefico? Ma che dico io? Quando ciò non fosse, che ad un uomo simile a noi, all’infimo anche degli uomini, che noi fossimo debitori della libertà o della vita, quest’uomo non ci diverrebbe tante caro, quanto la nostra propria persona? E non sarebbe un rendersi colpevole della più nera ingratitudine il non riconoscerlo o il dimenticarlo? Ora voi lo sapete, fratelli miei, non e già un uomo come noi, non è né un grande né un re della terra; Egli è l’unico Figliuolo dell’Altissimo, il Re dei re, che ci ha liberati non dalla prigione dove l’umana giustizia rinchiude i colpevoli, ma dalla schiavitù del demonio e dalla prigione dell’inferno; non da una morte temporale, ma da una morte eterna; che ci ha liberati non a prezzo d’oro e d’argento: non in corruptibilibus auro et argento (1 Piet. I), ma a prezzo del suo sangue e della sua vita. Un cuore insensibile a tali benefici non è egli un mostro che fa arrossir la natura? Quando leggiamo nelle Scritture che il profeta Eliseo risuscitò il figliuolo della vedova sunamite, noi facilmente entriamo nei sentimenti di riconoscenza di cui questa vedova fu penetrata. Quel profeta, dice il sacro testo, s’aggiustò per tal modo sopra il corpo del fanciullo che le membra dell’uno corrispondevano a quelle dell’altro; con quest’atto rianimò miracolosamente il natural calore di lui, lo risuscitò e riempì sua madre di allegrezza. Allo stesso modo, fratelli miei, pel più stupendo di tutti i miracoli, il Verbo di Dio si è, a così dire, raccorciato per renderci la vita, come dice S. Bernardo: Verbum abreviatum est. Egli, quantunque immenso, si è rinchiuso nella piccolezza di un bambino; l’immortale si è reso soggetto alla morte: col suo abbassamento ci ha innalzati, con la sua morte ci ha risuscitati, di modo che noi siamo più debitori alla debolezza di cui si è rivestito per riscattarci, che alla sua onnipotenza che ci ha creati: con la sua onnipotenza ci ha dato l’essere; ma che cosa giovato ci avrebbe il nascere, dice S. Ambrogio, se non fossimo stati redenti? Non prodesset nasci, nisi redimi profuisset. A che servito ci avrebbe la vita naturale, se non avessimo ricevuta quella della grazia, che ci rende figliuoli di Dio ed eredi del suo regno? Benedetto sia dunque per sempre il Dio delle misericordie, che ha gettato gli occhi di compassione sopra le nostre miserie! Benedetto sia il pietoso Samaritano, che è venuto in soccorso dell’uomo piagato dal peccato! Questo Dio Salvatore, dopo aver lavate le nostre piaghe nel suo sangue, ci ha rese le ricchezze che tolte ci aveva il nemico: alla sola sua carità compassionevole noi dobbiamo la vita; di questo beneficio non perdiamo giammai la rimembranza; dimentichiamo la nostra destra e quando abbiamo di più caro, piuttosto che dimenticare questo favore. Eccovi ciò, fratelli miei, che la riconoscenza richiede da noi; rammentare incessantemente il beneficio inestimabile della nostra redenzione, farne in tutti i giorni di nostra vita il soggetto delle nostre più serie riflessioni per cantare eternamente le misericordie di Dio che ci ha liberati dalla potestà delle tenebre per metterci in possesso del regno del suo figliuolo: Transtulit nos de potestate tenebrarum in regnum lucis suæ (Coloss. 1). Ma ohimè! quanto sono lontani gli uomini dal considerare come dovrebbero questo mistero ineffabile, che è il fondamento della loro felicità? A quanti far non si potrebbe il medesimo rimprovero che faceva il Battista altre volte ai Giudei? Il Messia è in mezzo di voi, loro diceva, e voi non lo conoscete! Medius vestrum stetit quem vos nescitis (Jo. I). Il Figliuolo di Dio, la luce del mondo, è venuto per illuminarlo e dissipare le sue tenebre; e gli uomini acciecati dalle loro passioni, hanno chiusi gli occhi a questa luce: i Giudei si sono scandalizzati della sua dottrina, i gentili l’hanno trattata di follia e i Cristiani non la conoscono. Non parlo io solamente di quegli ignoranti che non sanno che cosa sia Gesù Cristo, ma di quei falsi sapienti del secolo che si fan gloria di esser dotti in tutt’altra scienza che in quella del Cristiano e che intorno a tutt’altro oggetto si aggirano: sensibili ai più leggieri benefizi che ricevono dagli uomini, non riconoscono il dono di Dio e, per un’ ingratitudine senza esempio, non vi corrispondono che con offese ed oltraggi. – Ah! Se noi penetrato avessimo con gli occhi di una viva fede questo abisso profondo della carità di Dio verso gli uomini, vi rifletteremmo ogni giorno; non contenti di abbandonarci ai sentimenti della più viva riconoscenza, l’ispireremmo agli altri, pubblicando dappertutto le misericordie del Signore; renderemmo amore per amore ad un Dio che ci ha amati sino a sacrificare se stesso per la nostra salute; gli sacrificheremmo i nostri cuori con una perfetta ubbidienza alle sue leggi. Ecco, fratelli miei, quanto chiede in ricompensa del suo amore liberale e generoso; non chiede i nostri beni, Egli non ne ha bisogno, dice il profeta, ma chiede i nostri cuori; non è forse giusto ch’Egli ne sia il padrone, poiché li ha meritati a sì gran costo? Siccome la somiglianza produce l’amore, il figliuolo di Dio, per guadagnar il nostro cuore, si è reso simile a noi: In similitudinem hominum factus (Philip. II). Ma oh quanto gli ha costato questa rassomiglianza! Egli si è spogliato della sua grandezza per rivestirsi della nostra viltà; ha nascosta la gloria della sua divinità sotto l’ombra della debolezza; si è sottomesso ai comandi più rigorosi del Padre suo, non solo sino a comparire, ma sino ad essere trattato come un peccatore carico di tutte le iniquità del mondo. E non è questo, fratelli miei, comprare ad assai caro prezzo il nostro amore? E non ha Egli diritto di esigere tutto quel che siamo, poiché, per averlo, ha dato tutto quel che è, dice S. Bernardo: Totum me exigit qui toto se totum me redemit. Ma in che consiste questa integrità dell’amore che Gesù Cristo, ci chiede? In consacrargli tutti i movimenti del nostro cuore, di modo che non ve ne abbia alcuno che non sia per Lui; in distaccare questo cuore da ogni oggetto che possa contrastargliene il possesso, bandirne il peccato e tutto ciò che può esserci occasione di peccato; in combattere quelle inclinazioni perverse che ci portano verso le creature; in sacrificare quella passione che ci predomina, quel risentimento che c’inasprisce, in rinunciare a quel bene che ci alletta, a quel piacere che c’incanta, a quegli impegni peccaminosi che ci traggono a perdizione. Come? Sarà egli possibile che un Dio abbia fatti tanti passi per distruggere in noi il regno del peccato, e che noi ve lo lasciassimo signoreggiare? Sarà possibile ch’Egli abbia spezzate le nostre catene per rimetterci di bel nuovo da noi medesimi in ischiavitù? Sarà possibile ch’Egli siasi reso ubbidiente ai voleri del Padre suo sino alla morte della croce, e che noi non ci facciamo violenza alcuna, né in nulla annegare la nostra volontà, che niente sacrificare vogliamo per ubbidire alle sue divine leggi, e dargli con questo la prova ch’Egli chiede del nostro amore? Sarà possibile finalmente che, dopo di essersi un Dio abbassato insino a noi per innalzar noi insino a Lui, vogliamo sempre avere bassi pensieri ed affezioni terrene, indegne di un’anima che ha meritato l’amore d’un Dio? Ah! no, Signore, non sia mai vero che Voi abbiate fatto tanto per guadagnar il mio cuore, e ch’io ricusi di darvelo. Conosco troppo, o mio Dio, quel che vi debbo per non rimettere in Voi tutto quello che io sono: Voi siete venuto sulla terra per accendervi il fuoco del vostro amore; fate che il mio cuore ne sia tutto infiammato, che riconoscente ai tratti d’amore con cui l’avete penetrato, egli non ami che Voi nel tempo per amarvi nell’eternità.

PRATICHE PEL SANTO TEMPO DELL’AVVENTO.

I. Fate sovente atti di fede sopra il mistero dell’incarnazione.

II. Unite i vostri desideri a quelli dei Patriarchi, che domandavano la venuta del Messia coi voti più ardenti.

III. Adorate il Verbo incarnato coi medesimi sentimenti con cui l’adorava la ss. Vergine allorché il portava nelle sue caste viscere; fate principalmente questo atto di adorazione quando il sacerdote s’inginocchia alla Messa a quelle parole del Credo: ET HOMO FACTUS EST.

IV. Ringraziate Iddio di avervi inviato il suo Figliuolo per riscattarvi, ed il Figliuolo di essersi incarnato per salvarvi.

V. Recitate l’Angelus in ginocchio ogni qual volta la campana ve ne avverte. È un tempo acconcio a fare gli atti suddetti; i sommi Pontefici hanno concesso delle indulgenze a chi recita questa preghiera.

VI. Fate qualche atto d’umiltà per adorare le umiliazioni del Verbo incarnato; occultate tutto ciò che può attirarvi gloria agli occhi degli uomini.

VII. Fate qualche mortificazione, almeno i venerdì dell’Avvento ciascuno secondo il suo stato, per imitare in qualche cosa quelle di tanti santi religiosi che digiunano in questo santo tempo: offritevi a Dio ogni mattina in unione del sacrificio ch’Egli ha fatto di sé stesso per salvarvi.