LO SCUDO DELLA FEDE (XVII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

LO SCUDO DELLA FEDE XVII.

L’ORDINAMENTO SOCIALE.

Perché Dio vuole tanti poveri e tanti ricchi? — Non sarebbe meglio l’effettuazione del socialismo? — Come mai chi fa bene trova male, e chi fa male trova bene? — E perché Dio non punisce tosto certi malfattori?

— E come mai Iddio a taluni dà tanti beni, tante ricchezze, e tanti altri lascia nella più squallida povertà? Questo suo ordinamento riguardo alla società non è forse inesplicabile? E questa sua disposizione come si può conciliare con la sua bontà, con la sua saggezza, con la sua provvidenza?

Dunque, secondo te, perché l’ordinamento divino riguardo alla società fosse buono, saggio, provvido, sarebbe necessario che tutti gli uomini fossero di egual condizione, e tutti s’intende di condizione ricca. Ma dimmi: È, sì o no Iddio, Padrone assoluto di tutti gli uomini?

— Chi ne dubita?

Ed essendo il padrone di tutti gli uomini può Egli, sì o no, metterli in quella condizione che più gli piace? E se Egli, potendo senza alcun dubbio fare ciò, mette taluno in condizione ricca e tale altro in condizione povera, fa Egli forse torto ad alcuno? Alla fin fine non siamo noi sicuri, che per quanto è da Lui non lascerà mai mancare il necessario ad alcuno? – E poi, se vi hanno taluni che si trovano nello stato di povertà, spesso, anziché all’ordinamento di Dio, non dovrà attribuirsi alla loro colpa? cioè ai loro vizi, ai loro bagordi, alle loro spese inutili e sconvenienti?

— Ad ogni modo non sarebbe meglio che tutti gli uomini fossero ricchi e stessero bene?

A prima vista può sembrare così, ma la ragione stessa dimostra facilmente essere meglio il contrario. Nella società ci vogliono assolutamente per il suo bene coloro che comandino, quelli che dirigano, quelli che amministrino, quelli che giudichino, quelli che studino, quelli che esercitino le discipline più difficili e più importanti al bene pubblico. E tutti costoro per trovarsi a compiere tali offici oltre all’aver maggior ingegno, maggior scienza, maggior energia, maggior volontà, maggior attività, è pure necessario che abbiano la possibilità e il comodo di compiere i loro uffici dal maggior possedimento dei beni di fortuna. Ma nella stessa società ci vogliono pure di coloro che esercitino le arti servili, che coltivino la terra, che fabbrichino le case, che facciano gli abiti e le calzature, che costruiscano le macchine, che si applichino insomma a tutte quelle cose, che sono indispensabili per il sostentamento, per il commercio, per l’industria dell’uomo. Ora chi si darebbe ad esercitare queste arti, se non fosse costretto da necessità? Nessuno certamente.

— Ma ho inteso dire che se si effettuassero le idee del Socialismo, e cioè se si mettessero tutte le ricchezze in mano dello Stato o del comune, e queste poi si distribuissero in parti eguali fra tutti, allora gli uomini si accorderebbero fra di loro pienamente intorno all’arte, che devono esercitare.

E ciò praticamente ti par possibile? Chi mai allora si adatterà ad esempio a fare il facchino o il lustrascarpe? E quando pure avvenisse per impossibile che tutti si adattassero di comune accordo ad accettare ciascuno l’arte assegnatagli dai capi dello Stato, qual regola si terrebbe nel retribuire il lavoro di ciascuno? Si darebbe forse a tutti un’egual mercede? Ma allora che stimolo ci sarebbe ancora a lavorare e a compiere bene il proprio ufficio o il proprio mestiere? Si darebbe invece la mercede in proporzione dell’arte che si esercita e del lavoro che si compie? Ma allora chi esercita un’arte più nobile e lavora di più, sarà pagato di più, e mettendo egli da parte i suoi risparmi, non tarderà ad accumulare del denaro, ed eccoci da capo con i ricchi e con i poveri come prima. – Adunque tutt’altro che essere contrario alla Divina Provvidenza che vi siano le diverse condizioni dei ricchi e dei poveri, è una sua ammirabile disposizione, per mezzo della quale i poveri, che abbisognano dei ricchi, e i ricchi, che abbisognano dei poveri, si rendono un mutuo e vicendevole servigio e mantengono così l’armonico andamento della società. – E lo è tanto più nell’ordine cristiano in cui Iddio vuole che questa differente condizione serva ai poveri, e ai ricchi per acquistare il loro ultimo fine; ai primi col sopportar con pazienza i disagi della loro condizione, ai secondi con l’impiegar le ricchezze a far quelle buone e sante opere, cui le ricchezze sono necessarie.

— Le sue considerazioni mi hanno ben persuaso. Ho tuttavia ancora delle difficoltà riguardo all’ordinamento sociale. Ella non mi potrà negare che in questo mondo chi fa bene trova male e chi fa male trova bene; il buono, il giusto è sfortunato; l’empio, il malvagio, prospera e trionfa. E questo le par ordinamento saggio?

Amico mio, ritieni anzitutto che la vita dell’uomo non è tutta qui in questo mondo, e che se la giustizia, la bontà di taluni è ora oppressa, trionferà certamente nella vita ventura, mentre invece nella vita ventura sarà punita, ed eternamente, l’empietà dei tristi. Hai posto mente alle volte quando si accordano gli strumenti per una musica? Che confusione! Che frastuono! che strazio alle nostre orecchie! Ma ad un cenno del direttore d’orchestra si fa silenzio e comincia la musica soavissima. Così in questo mondo, che è luogo di preparazione, può parere, ed anche essere, che vi sia questa stonatura dei buoni oppressi e degli empi prosperati. Ma cessata la presente vita questa stonatura sparirà e non vi sarà più che ordine e giustizia trionfante. – E poi, se ben consideri, la prosperità degli empi, più che essere per noi oggetto di invidia, deve farci tremare, perché questa prosperità, lasciando loro facilmente credere che Dio non ci sia o non si occupi di loro, li acceca talmente, che continuando ad operare il male sino al termine della vita si procacciano così sventuratamente la perdizione eterna.

— Tutto ciò va bene, ma non toglie che le cose quaggiù stiano come ho detto.

Mio caro, tu sbagli perché sentenzi senza ponderazione. Fatti invece a considerar meglio le cose, e se vi hanno delle eccezioni, dovrai tuttavia riconoscere che in generale anche quaggiù non manca il bene a chi fa bene, e il male a chi fa male. Fa’ passare innanzi a te tutta la storia sacra e profana, e considera la quotidiana esperienza, e vedrai, che anzitutto la prosperità dei cattivi e l’oppressione dei buoni è per lo più temporanea, e che inoltre mentre l’infelicità dei buoni è temperata dal testimonio della buona coscienza e dalla benedizione del Signore, fonte di rassegnazione, di pace e persino di gaudio, la prosperità degli empi, quando non è colpita da tremende sventure, dalla fame, dalla miseria, dalla vergogna, dalle malattie, dalle condanne, dalle prigionie, è amareggiata internamente da angosce, da rimorsi, da strazi, da rabbie, da tristezze, da affanni, da tormenti inenarrabili. Eh! caro mio, ha detto bene il Metastasio:

Se a ciascun l’interno affanno

Si leggesse in fronte scritto,

Quanti mai che invidia fanno

Ci farebbero pietà!

Si vedria che i lor nemici

Hanno in seno e che consiste

Nel parere a noi felici

Ogni lor felicità.

No, non dire che i malvagi sono prosperati. Iddio è giusto; e se pur non punisce tutte le umane malvagità nella vita presente, perché non vuol togliere a noi la fede dovuta alla vita avvenire, non di rado tuttavia anche qui fa palese la sua tremenda giustizia.

— Ma non sarebbe meglio che Iddio punisse subito certi malfattori, certi profanatori sacrileghi, certi acerrimi nemici e persecutori della Chiesa?

E se Iddio punisse subito, anche a noi accade di offenderlo, dimmi, saremmo noi ancora in vita! Del resto Iddio, essendo eterno non ha premura, ed essendo sapientissimo sa cogliere il momento giusto anche per punire. Aggiungi che talora, per punire gli empi subito, come vorresti tu, dovrebbe mandare dei castighi che colpirebbero anche i buoni. Se ad esempio Dio dovesse fulminare un figlio scellerato, non cagionerebbe così un immenso dolore anche alla sua povera Madre? Se Iddio dovesse mandare un terremoto a punire un paese, dove i più sono malvagi, a meno di qualche miracolo, non dovrebbero sopportarne le conseguenze anche i buoni! E poi… anche gli uomini più scellerati che vi sono al mondo, qualche po’ di bene lo fanno sempre. – E Iddio non vuole lasciare questo po’ di bene senza ricompensa, epperò per intanto risparmia a quei scellerati la vita. Soprattutto poi, Iddio tardando a punire vuol far risplendere la sua misericordia nel dare spazio di penitenza anche all’uomo più empio, e la sua bontà verso i buoni dando loro in tal guisa occasione di esercitare meglio la fede e le altre cristiane virtù e di ripararlo degli oltraggi, che riceve dai malvagi, con atti di pietà e di religione.

— Ho compreso. E grazie.