I PAPI DELLE CATACOMBE (9)

I Papi delle Catacombe [9]

[J. Chantrel: I Papi delle Catacombe. Dillet ed. Parigi, 1862]

V

Successione dei Papi.

I Papi meritavano di essere i generali di queste armate di martiri, di queste legioni di dottori, di santi, di vergini? Quasi tutti coloro che si succedettero sulla cattedra di San Pietro, nei due secoli che vennero ad attraversare la storia, morirono martiri, e tutti furono modello di ogni virtù, tutti si mostrarono intrepidi difensori della fede e della dottrina; nelle difficoltà gli occhi erano voltati a loro, ad essi venivano indirizzati. Tutte le Chiese li riconoscevano come i Vescovi dei Vescovi: il loro primato brilla, da questi primi secoli, di un bagliore sul quale la sola empietà può tentare di ammassare nubi. Non li si vede indubbiamente produrre delle opere così magnifiche come quelle conosciute di diversi dottori; ma essi, quasi continuamente nascosti nelle catacombe, regnano spesso solo qualche anno o qualche mese, sostenendo le fatiche delle persecuzioni, affaticati dalle sollecitudini di una Chiesa tormentata più vivamente di tutte le altre, e dalla sollecitudine di tutte le Chiese del mondo, avrebbero mai potuto avere il tempo di scrivere magnifiche opere come quelle dei dottori che tutti i secoli hanno studiato ed ammirato? L’autorità ha generalmente un’azione meno eclatante, ma non meno utile e spesso più efficace della discussione, e questo lo si vede precisamente nell’oscurità relativa che circonda i primi Papi, una prova in più dell’universalità della loro azione e dell’autorità generale di cui essi godevano. Un rapido colpo d’occhio sulla loro successione fa vedere quale posto importante occupino nella Chiesa. Il Primato di san Pietro nel collegio apostolico non può essere contestato. Avendo Gesù-Cristo promesso alla Chiesa di essere con essa fino alla fine dei secoli, è ai successori di San Pietro che doveva passare questo Primato, con tutti i privilegi del Principe degli Apostoli, il potere supremo delle chiavi, e l’infallibilità che gli permetteva di confermare i suoi fratelli, secondo le stesse parole del Salvatore. Avendo San Pietro occupato successivamente due sedi, quella di Antiochia e quella di Roma, non potevano aversi dubbi che su queste due sedi. Ora non è ad Antiochia che Pietro è morto; il suo successore ad Antiochia, non potendo essere il capo della Chiesa quando S. Pietro viveva, non poteva trasmettere al suo successore se non i suoi privilegi, cioè quelli di un semplice Vescovo. Infatti mai Antiochia ha reclamato il primato; e si è visto sant’Ignazio, scrivendo ai romani, distinguere la loro Chiesa tra tutte le altre. Tutto si riduce dunque nel constatare che San Pietro è morto Vescovo di Roma e, fatto stabilito nel modo più incontestabile, a constatare la successione legittima degli altri Vescovi di Roma. Ora se c’è qualche difficoltà nell’ordine della successione dei due o tre Pontefici e sulla data precisa della loro nomina e della loro morte, queste difficoltà si spiegano perfettamente con lo stato di violenta persecuzione in cui essi si trovavano, e per le differenze di cronologia che esistono anche per i fatti più universalmente ammessi nella storia di tutti i tempi. Così, nel primo secolo, esistono delle difficoltà per i primi tre o quattro primi successori di San Pietro: alcuni dànno i nomi di Lino, Cleto, Clemente e Anacleto, altri non ammettono che tre Pontefici: Lino, Cleto e Clemente. Questo proverebbe solo che ci sono stati recenti dubbi su questa successione, e non certo che ai tempi dei Papi i Cristiani ignorassero in quale ordine questi si fossero succeduti. L’erudizione moderna è venuta poi a risolvere la difficoltà: si riconosce oggi generalmente che Cleto ed Anacleto non formano che un solo Papa. Cleto, eletto come successore a San Lino, l’anno 78, fu compreso in un ordine di esilio contro i Cristiani reso, sotto Vespasiano, dal prefetto di Roma; al suo ritorno, sotto il regno di Tito, egli prese il nome di Anacleto, che in greco significa “richiamato”.

San Lino successe dunque a San Pietro, nell’anno 65 dopo Gesù-Cristo.

San Cleto o Anacleto successe a San Lino nel 76.

San Clemente successe a San Anacleto nel 91.

San Evaristo successe a San Clemente, nell’anno 100.

Il Pontificato di San Evaristo (dal 100 al 109), vide la terza persecuzione, quella di Traiano. Si attribuisce a questo Papa, che fu una delle vittime della persecuzione, l’istituzione dei Cardinali-Preti, poiché fu il primo che divise Roma in titoli o parrocchie, assegnandovi a ciascuna un sacerdote; egli ordinò pure che sette diaconi accompagnassero il Vescovo quando predicava.

Sant’Alessandro I (109-119), morto pure martire, ordinò ai preti di richiamare nella Messa il ricordo della Passione; egli ordinò la mescolanza dell’acqua e del vino nel calice, ed introdusse tra i Cristiani l’avere acqua benedetta nelle loro case. Gli si attribuisce pure l’uso del pane senza lievito per il santo sacrificio. « Così, sottolinea in questa occasione il cardinale Baronio, le pie tradizioni venute dagli Apostoli venivano confermate e ricevevano una sanzione regolare dai loro immediati successori. »

San Sisto I (119-128), che fu martirizzato sotto Adriano, emanò un decreto per riservare ai soli ministri il potere di toccare le cose sante, e completò la liturgia della Messa con il canto del Sanctus. Egli ordinò pure che i Vescovi che erano stati inviati alla Cattedra apostolica, non potessero essere ricevuti nel luogo della loro giurisdizione, se non con lettera della Santa-Sede, indirizzata in forma di saluto al loro popolo. La gerarchia si costituiva dunque nell’unità di governo, nell’autorità dei successori di San Pietro, e nessuno vi resisteva perché si riconosceva che il Vescovo di Roma non faceva che uso di un legittimo diritto.

San Telesforo, che governò la Chiesa dal 128 al 139, confermò l’istituzione apostolica della quaresima, ordinando un digiuno di sette settimane prima di Pasqua, mantenendo così l’uso di non celebrar Messa prima dell’ora terza (le nove del mattino), eccetto per la Messa di mezzanotte di Natale, ed introdusse nella liturgia il canto del Gloria in excelsis. Un glorioso martirio pose fine alla sua vita come a quella dei suoi predecessori.

San Igino (139-142), era nato ad Atene, e si era convertito dalla filosofia pagana alla fede. Egli scomunicò l’eresiarca Cerdone, che era venuto a predicare i suoi errori a Roma; tentò di ricondurre all’ovile con la dolcezza un altro eresiarca, Valentino; ma costui continuò a propagare le sue dottrine gnostiche, ed il successore di Igino dovette allontanarlo dalla comunione con la Chiesa. Igino morì martire, gli si attribuisce il costume di prendere un padrino ed una madrina per il Battesimo dei bambini.

San Pio I (142-157) morì martire. Uno dei suoi decreti mostra che il Battesimo dato dagli eretici è stato in ogni tempo considerato valido, quando le condizioni richieste per la somministrazione di questo Sacramento, fossero state adempiute.

Sotto il pontificato di Sant’Aniceto (157-158), cominciò ad agitarsi una questione che preoccupò per lungo tempo la Chiesa: quella della celebrazione della Pasqua. Siccome si era trasferita la celebrazione del sabato alla domenica, San Pietro aveva trasferito ugualmente in questo giorno la celebrazione della festa di Pasqua, ma non ne aveva fatto un obbligo, ed i Pontefici romani tollerarono in Oriente la celebrazione del sabato. Ben presto si ebbero delle discussioni tra i Cristiani sul soggetto di questa differenza. San Policarpo venne a Roma per conferire con Sant’Aniceto: il venerabile discepolo di San Giovanni aveva lavorato con successo a sradicare diversi usi introdotti nella Chiesa dai giudei convertiti; egli non credeva di dover sradicare questo uso, al quale egli stesso teneva perché lo aveva sempre visto seguito dall’Apostolo suo maestro. Aniceto pensò che non fosse ancora venuto il momento di cambiare su questo punto la disciplina della Chiesa orientale; egli permise anche agli asiatici che si trovavano a Roma di seguire l’usanza dei loro paesi. Policarpo fu trattato con grandi onori;  Aniceto gli fece celebrare i santi misteri in sua presenza; molti eretici si convertirono alla predicazione del Vescovi di Smirne, e l’insolenza di Marcione fu confusa da queste parole, che sono state già riportate: « Io ti conoscono come il figlio primogenito di satana. » I due santi Pontefici si diedero il bacio di pace prima di separarsi; essi non dovevano più rivedersi che nel cielo, ove il martirio li condusse entrambi. Il viaggio di San Policarpo a Roma è una preziosa testimonianza del primato della Cattedra apostolica e romana. Sant’Aniceto proibì ai chierici di lasciarsi crescere i capelli, secondo il precetto dell’Apostolo, ciò che si deve senza dubbio intendere della tonsura.

San Sotero gli successe (168-177); egli ebbe a sostenere la persecuzione di Marco Aurelio: i gloriosi martîri di Santa Felicita, di San Policarpo, dell’apologista San Giustino e di migliaia altri, precedettero il suo. Egli mostrò un grande zelo contro l’eresia, principalmente contro quella dei montanisti che allora si moltiplicavano, ed una grande carità per le chiese che soffrivano della persecuzione. Una lettera di San Dionigi di Corinto richiama l’antica e toccante carità di questi Pontefici romani, la cui sollecitudine paterna si estendeva ai bisogni di tutte le chiese dell’universo, e sovveniva all’indigenza ed alle necessità dei fedeli esiliati per la fede, o condannati dai persecutori alle cave ed alle miniere: « il vostro beato Vescovo Sotero, diceva San Dionigi ai romani, non soltanto ha conservato questo costume, ma ha fatto ancor più, distribuendo delle elemosine più abbondanti agli indigenti delle provincie, accogliendo con affettuosa carità i fratelli che si recano a Roma, prodigando loro le consolazioni della fede, con la tenerezza di un padre che riceve dei figli nelle proprie braccia. »

Il Pontificato di San Eleuterio (177-186) è celebre per il martirio di San Potino, di Santa Blandina, si San Sinforiano e altri migliaia in Gallia. La persecuzione non impediva che la fede si estendesse. Mentre essa infuriava, un piccolo re della Bretagna (Inghilterra), chiamato Lucio, inviò al Papa Eleuterio una lettera in cui lo pregava di procurargli la conoscenza della Religione cristiana. Eleuterio inviò in Bretagna dei sacerdoti che battezzarono Lucio con un grande numero dei suoi sottoposti. La luce della fede era penetrata nelle isole britanniche fin dal primo secolo; una tradizione vuole  che San Paolo sia stato a predicare il Vangelo fino a queste isole lontane; la conversione di Lucio rianimò la fede e ne estese l’impero. Era senza dubbio un re tributario dei Romani, forse anche di origine romana; checché ne sia, si può considerarlo come il primo re cristiano dell’Europa. Qualche storico moderno, fondandosi su dei testi non compresi degli antichi Padri, ha accusato San Eleuterio di avere ad un certo punto tollerato e condivisa l’eresia dei montanisti. [tra gli altri, M. Amédée Thierry, nella sua Histoire de la Gauli sous l’administration romaine.]. Alcuni di questi testi, come ha dimostrato il sapiente abbate Gorini, [Défense de l’Église contre les erreurs historiques.], non prova ciò che si sostiene; ce n’è uno di Tertulliano che si cita, che non prova niente, mentre ce n’è un altro che prova il contrario. Tertulliano dice: « Prassea denunciava i montanisti e le loro assemblee e, per farli condannare, si appoggiava sull’autorità dei predecessori del Papa a cui parlava. » Ora questo Papa, a cui parlava Prassea, era San Vittore, i cui predecessori sono San Sotero e san Eleuterio »; questi ultimi non si erano però mai mostrati favorevoli a Montano. San Ireneo, del quale si invoca l’autorità contro Eleuterio, dice, dopo aver dato la lista dei Pontefici che si sono succeduti sulla sede di Roma, da San Pietro fino ad S. Eleuterio, dice inclusivamente: «  È da essi che la tradizione e la predicazione apostolica è stata conservata nella Chiesa, ed è arrivata fino a ni. È di tutta evidenza che la fede vivificante di questi Vescovi è la medesima di quella degli Apostoli conservata e trasmessa in tutta purezza fino a questo momento ». [S. Ireneo: Contra Hæres.]. –  Una terza testimonianza si legge nel libro dei Pontefici [L’abbé Constant, l’Histoire et l’infaillibilité des Papes.]: « San Eleuterio, vi si dice, rinnovò e confermò con decreto la proibizione, fatta ai Cristiani, di respingere, adducendo motivi superstiziosi, alcun genere di nutrimento di cui gli uomini hanno costume di servirsi. » Questa privazione di certi alimenti era evidentemente una pratica della nuova setta. A San Eleuterio, morto martire per questa fede che lo si accusa falsamente di aver abbandonato, successe San Vittore I (186-200), sotto il cui Pontificato cominciò la persecuzione di Settimo Severo. La questione della Pasqua si ripropose: gli orientali celebravano sempre questa festa il quattordicesimo giorno della luna, come i Giudei; gli Occidentali la rinviavano alla Domenica seguente. I Papi avevano tollerato questa divergenza disciplinare, ma gli orientali, e soprattutto il metropolita di Efeso e le Chiese che erano sotto la sua dipendenza, se ne prevalsero per dire che la Chiesa latina aveva torto, e portarono una tal vivacità nei loro attacchi, che divenne urgente adottare una decisione definitiva. Il Papa decise che l’uso della Chiesa romana dovesse essere seguito dappertutto. Un Concilio dei Vescovi italiani, riuniti a Roma, era di questo avviso. I concili provinciali, riuniti in Oriente, accettarono la decisione venuta da Roma; solo il Concilio di Efeso rifiutò di accettarle: Vittore minacciò di scomunicare gli Asiatici che vi resistessero. Sant’Ireneo intervenne per consigliare misure di conciliazione; il Papa giudicò che si potesse attendere ancora qualche tempo prima di imporre la sua decisione e la diatriba si quietò. Quasi tutte le Chiese d’Oriente adottarono l’uso di Roma, che alcuni del resto già seguivano; gli altri si videro sempre più isolati nel loro sentimento, ed il Concilio di Nicea poté chiudere interamente questo affare che aveva fatto brillare l’autorità della Sede di Roma. A coloro che continuarono nella pratica dei Giudei, si diede il nome di Quartodecimani, o uomini del quattordicesimo giorno. Alcuni autori moderni hanno accusato San Vittore di durezza e di ira eccessiva in questa questione della Pasqua; lo studio serio dei fatti però ridimensiona questa accusa, come quella di montanismo che pure si è intentata nei suoi riguardi, appoggiandosi senza ragione su di un testo di Tertulliano già caduto in questa eresia. [Si veda in: l’abbé Constant, l’Histoire et l’infaillibilité des Papes.]. San Vittore aveva, in effetti, inviato in un primo tempo delle lettere di comunione a Montano, Ma questo avvenne su di un esposto che non mostrava alcun errore nella dottrina dell’eresiarca; quando il Papa si informò meglio circa questa dottrina, revocò le sue lettere. San Vittore confessò la fede nei tormenti; egli ha ricevuto il titolo di martire, ma si ignorano i particolari della sua morte. Egli emise un decreto con il quale dichiarava che l’acqua comune della fontana, di stagno, di fiume o di mare, potesse servire, in caso di necessità, per l’amministrazione del Battesimo. Questo decreto mostra che fino ad allora ci si serviva di acqua benedetta per amministrare questo Sacramento. San Zefirino (200-217), successore di San Vittore, ebbe a sopportare tutto il peso della persecuzione di Settimo Severo; ebbe il dolore di vedere la caduta di Tertulliano; vide elevarsi, al posto del dottore caduto, il sapiente Origene, la cui dottrina non fu sempre irreprensibile, ma i cui immensi lavori hanno reso onore alla Chiesa. Origene aveva per padre San Leonida, che morì martire. San Zefirino mostrò un grande zelo contro le eresie che andavano allora moltiplicandosi, ed ebbe la gloria di soffrire per la fede; ma non si sa se egli morisse tra i tormenti; qualche storico nota che fosse il primo Papa che non terminasse la sua vita da martire. Gli si deve qualche decreto importante, come quello che ordina di consacrare d’ora innanzi, il prezioso Sangue di Gesù-Cristo in coppe di vetro o di cristallo, e non in vasi di legno. San Callisto, o Callisto I (217-222), morì martire sotto Eliogabalo dopo aver fatto ingrandire considerevolmente il cimitero che porta il suo nome. Regolò l’istituzione del digiuno delle quatempora. La scoperta fatta, in questi ultimi tempi, di un libro intitolato “Philosophumena”, attribuito falsamente a San Ippolito, vescovo di Porto, e che è l’opera di un eretico del terzo secolo, ha fatto nascere delle gravi controversie sull’ortodossia e sulle legittimità di questo Papa, indegnamente calunniato dallo scrittore sconosciuto. Ecco come questo scrittore racconta la storia di Callisto: « Callisto era schiavo di un cristiano di nome Carpoforo, che faceva parte della casa dell’imperatore. Poiché professava la medesima fede del suo padrone, questi gli affidò una somma considerevole per fargli fare delle operazioni di banca. Callisto stabilì il suo “banco” in un luogo che si chiamava la “piscina publica”, e in qualità di incaricato degli affari di Carpoforo, ricevette da un certo numero di vedove e di fedeli, dei depositi importanti. Egli perse tutto e cadde nel più grande imbarazzo. Si ebbero delle persone che avvertirono il padrone dei disordini nei suoi affari, e Carpoforo annunciò l’intenzione di chiederne conto. A questa nuova, Callisto tentò di nuocere chi lo minacciava, e prese la fuga verso il mare. Trovò ad Ostia un vascello pronto a partire e vi si imbarcò; ma quanto avvenuto venne risaputo da Carpoforo che, sulla base delle indicazioni ricevute, si diresse verso il porto e si dispose a salire su di un naviglio che stazionava in mezzo alla rada. La lentezza del pilota fece sì che Callisto, che era nel bastimento, scorgesse da lontano il suo padrone; vedendo che stava per essere preso, e non badando alla sua vita in questa triste estremità, si gettò in mare; ma i marinai, gettandosi a loro volta dalla barca, lo salvarono, malgrado lui e, tra i clamori che spingevano coloro che erano sulla riva, lo consegnarono al suo padrone, che lo riportò e lo mise a girare la macina. Dopo qualche tempo, come di solito succede, alcuni Cristiani vennero a trovare Carpoforo per pregarlo di perdonare al suo schiavo, assicurando che dichiarava di aver affidato a certe persone una somma considerevole. Carpoforo, che era un uomo pio, rispose che egli faceva poco caso a ciò che gli apparteneva, ma attribuiva importanza ai depositi, perché molte persone venivano a lamentarsi da lui lamentandosi del fatto che si erano affidati a Callisto sulla sua raccomandazione. [Il sapiente abbate Doellinger, in Germania, e Mgr. Cruice, vescovo di Marsiglia, hanno fatto giustizia di tutte le calunnie lanciate dall’autore delle Philosophumena contro San Callisto. – L’Histoire della Chiesa di Roma, dall’anno 192 all’anno 224, di Mgr. Cruice, allora direttore della scuola ecclesiastica degli studi superiori. Parigi, 1856]. Tuttavia Carpoforo si lasciò persuadere ed ordinò di liberare lo schiavo; ma costui che non aveva nulla da rendere, e che si trovava nell’impossibilità di fuggire di nuovo, perché sorvegliato, immaginò un mezzo per esporsi alla morte. Un sabato, fingendo di andare a trovare dei creditori, si recò alla sinagoga, ove i Giudei erano radunati, e cercò di eccitare una turba durante la loro riunione. Essendosi i Giudei sollevati contro di lui, lo insultarono e lo caricarono di colpi; poi lo trascinarono davanti a Fusciano, prefetto della città, e deposero contro di lui in questi termini: “i Romani ci hanno permesso di esercitare pubblicamente il culto dei nostri padri, ed ecco, quest’uomo viene ad impedirlo e disturba le nostre cerimonie, dicendo che egli è Cristiano”.  Fusciano si indignò della condotta che i giudei rimproveravano a Callisto, e riferì a Carpoforo ciò che succedeva. Costui si affrettò ad andare dal prefetto e gli disse: “vi prego, signor Fusciano, non crediate che questo uomo sia Cristiano, perché egli cerca un’occasione per morire avendo dissipato grosse somme di denaro, come vi proverò”. I giudei credendo di vedere in ciò un sotterfugio usato da Carpoforo per liberare il suo servo, e ne reclamarono immediatamente le sentenza dal pretore. Egli cedette alle loro sollecitazioni, fece frustare Callisto e l’inviò alle miniere in Sardegna. Qualche tempo dopo, siccome altri martiri erano esiliato in quest’isola, la concubina di Commodo, Marcia, che aveva qualche sentimento religioso, volle fare una buona azione; fece venire il beato Vittore, Vescovo della Chiesa in questa epoca, e gli domandò chi fossero i martiri di Sardegna. Vittore le diede i nomi di tutti, eccetto quello di Callisto, di cui conosceva la condotta colpevole. Marcia, che godeva di grande favore presso Commodo, ne ottenne le lettere di liberazione che affidò ad un vecchio eunuco chiamato Giacinto. Costui si recò in Sardegna, ed avendo portato l’ordine al governatore di questo paese, liberò i martiri ad eccezione di Callisto. Ma Callisto, gettandosi alle ginocchia e versando lacrime, lo pregò di non escluderlo. Giacinto si lasciò commuovere e consentì a chiedere al governatore la libertà del prigioniero, dicendo che aveva egli stesso allevato Marcia, che si assumeva la responsabilità della decisione favorevole che sollecitava. Il governatore, cedendo a questa preghiera, liberò Callisto con gli altri. Essendo questi tornato a Roma, Vittore fu vivamente afflitto da ciò che era successo; ma poiché aveva buon cuore, mantenne il silenzio. Tuttavia, per evitare i rimproveri di un gran numero di persone (perché i crimini di Callisto erano recenti, e per soddisfare Carpoforo, che non cessava dal reclamare), ordinò a Callisto di ritirarsi ad Antium [Anzio] assegnandogli una pensione per il suo sostentamento. Dopo la morte di Vittore, Zefirino, suo successore, avendo scelto Callisto come amministratore degli affari ecclesiastici, gli fece un onore che divenne funesto a se stesso; lo richiamò da Antium e gli conferì la sorveglianza dei cimiteri dei Cristiani. Callisto, trovandosi sempre con Zefirino, gli rendeva delle cure ipocrite, giungendo ad affossarlo completamente. Il Vescovo divenne incapace di discernere ciò che si diceva e di sorprendere il disegno segreto di Callisto, che si accomodava a tutto ciò che facesse piacere al suo protettore. Dopo la morte di Zefirino, Callisto, credendo di essere pervenuto allo scopo che si era prefisso da tempo, cacciò Sabellio come eretico. » – Questa recita, disseminata da inverosimiglianze e contraddizioni, è come il modello di tutti coloro che si sono dati da fare per calunniare altri Papi. Non è difficile infatti dare giustificazioni a Callisto. Innanzitutto nulla prova che Callisto abbia commesso delle frodi: da ciò che si vede, egli fece delle speculazioni maldestre, che si lasciò ingannare, che mancò di abilità; ma quando si vedono i Cristiani intercedere per lui presso Carpoforo che lo aveva condannato a girar la mola, non si può essere impediti dal pensare che Callisto non demeritasse la stima dei suoi confratelli. Carpoforo stesso non mostra egli stesso la stima e l’affetto che ha conservato per Callisto tentando di sottrarlo alla sentenza provocata dai giudei? Quanto al dolore che provò il Papa San Vittore al suo ritorno, il calunniatore ha cura di dire che il Pontefice non testimoniò nulla; aggiungendo poi che San Vittore gli assegnò una pensione per farlo vivere ad Antium, egli dimostra che il Papa non lo considerasse con tanta pena e gli affidasse poi un impiego importante. Infine quest’uomo che si pretende essere così disprezzato e spregevole, diventa sacerdote, cosa che prova, essendo egli schiavo, che Carpoforo lo stimasse sempre e lo considerasse veramente come un martire che aveva sofferto per la fede. La fiducia che gli assegnò poi San Zefirino nel corso di un Pontificato di diciannove anni, ci completa la giustifica che rende sovrabbondante l’ultimo tratto della recita: San Callisto scaccia da Roma l’eretico Sabellius; il suo odio per l’eresia, le misure che aveva indubbiamente suggerito a San Zefirino contro gli eretici: ecco la spiegazione delle calunnie che lo perseguitano. L’autore dei “Philosophumena” fa tre rimproveri principali a San Callisto dopo l’elevazione all’Episcopato: secondo lui il Papa errava sul dogma della Trinità, nella disciplina relativa alla penitenza, e nella disciplina relativa al matrimonio ed al celibato imposto agli ecclesiastici. Sul primo punto c’è la testimonianza anche dall’autore dei Philosophumena stessi, che la dottrina di Callisto era perfettamente ortodossa, e quando dice che la parte di Callisto, componente la maggioranza, conservò anche dopo la morte la sua dottrina, egli confessa implicitamente che la fede del Papa era quella di tutta la Chiesa. I rimproveri relativi alla disciplina della penitenza provano semplicemente che Callisto mostra grade dolcezza nei riguardi dei settari che tornano alla Chiesa Cattolica, e che rendendo facile il ritorno degli apostati pentiti, agisse con una carità ed una saggezza che trovano imitatori tra i suoi più illustri successori. San Callisto pretendeva di rendere la legislazione ecclesiastica relativa al matrimonio affatto indipendente dalla legislazione romana. Egli dichiarava validi, contrariamente alla legge romana, i matrimoni contratti dalle giovani libere o nobili con gli schiavi o con gli uomini liberi, ma poveri. Così la Chiesa migliorava sempre più la condizione della schiavitù, ed elevava la dignità dell’uomo; non è certo ai nostri giorni che si possono rimproverare al santi Papa le misure adottate a questo riguardo. – Quanto alla legge del celibato ecclesiastico, l’autore del “Philosophumena” dice solamente che S. Callisto aveva ammesso nel clero degli uomini sposati; ma non fa intendere se non che fossero membri del basso clero, che allora erano molto numerosi. – Così nessuna delle calunnie lanciate contro Callisto sussiste, anzi molte tornano a sua gloria, ed il libro, recentemente ripubblicato, serve come tanti altri, scritti per ben altro scopo, alla glorificazione della Chiesa romana e del Papato. Noi lo constateremo più di una volta nel corso della storia della Chiesa.

Sant’Urbano I (222-230), trascorse quasi tutto il suo Pontificato nelle catacombe; abbiamo già visto come il suo martirio seguì di poco quello di Santa Cecilia. Questo grande Papa si distinse per un grande zelo per la fede, ed operò numerose conversioni tra i pagani. Nello stesso tempo provvide alla dignità ed allo splendore del culto. Rinnovò i vasi dell’altare in argento, e fece fare venticinque patene per le diverse parrocchie della città.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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