DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2018)

DOMENICA TRA L’ASCENSIONE (2018)

Incipit
In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI:7; XXVI:8; XXVI:9

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI:1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo? [Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja. [Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre. [Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero.].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV:7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

Omelia I

 [Mons. Bonomelli: “Omelie” – Torino 1899; vol. II, Omelia XXV]

“Siate prudenti e vegliate nelle preghiere; ma sopra tutto abbiate costante carità tra di voi; perché la carità copre una moltitudine di peccati. Osservate la scambievole ospitalità, senza mormorio, volgendo ognuno a beneficio degli altri il dono che ha ricevuto, come buoni amministratori della molteplice grazia di Dio. Se alcuno parla, lo faccia come della parola di Dio: se alcuno ministra, sia come con potere datogli da Dio, acciocché in ogni cosa Dio sia glorificato per Gesù Cristo, al quale sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. Amen „ (I. di S. Pietro, IV, 7-11).

In questa Domenica dopo l’Ascensione la Chiesa ci fa leggere nella santa Messa le poche linee che avete udite, e che si trovano nella prima epistola di S. Pietro. L’avrete rilevato voi stessi, o cari; sono poche linee, ma in esse si racchiude un vero tesoro di dottrina morale e pratica, che è una applicazione della gran legge della carità fraterna. Vero è che queste verità più e più volte le avete udite nelle omelie che vi tengo: ma se i Libri santi spesso le ripetono egli è perché è utile il ripeterle. Avviene dello spirito ciò che avviene del corpo. Per conservare e ristorare le forze di questo noi più volte al giorno pigliamo lo stesso cibo e la stessa bevanda e non ce ne stanchiamo: per conservare e ristorare le forze dello spirito, è necessario nutrirlo collo stesso cibo e colla stessa bevanda, e cibo e bevanda dello spirito sono le verità che Gesù Cristo ci ha insegnato. Ascoltiamole dunque con animo riverente e docile, e studiamoci di porcele ben addentro nell’animo. – Il Principe degli Apostoli, dopo aver esortati i fedeli a staccarsi dai peccati, dei quali vissero schiavi da Gentili: dopo aver accennato allo stupore dei Gentili, vedendoli signori delle basse voglie del senso, tocca del giudizio divino, che si avvicina: “Omnium finis appropinquavit.” – Dobbiamo tutti prepararci a quel giorno, che infallibilmente verrà, quantunque ignoriamo quando verrà. E come prepararci? “Siate prudenti — Estote prudente», . risponde S. Pietro. La prudenza! Essa importa anzi tutto il conoscimento delle cose che dobbiamo fare o fuggire [“Prudentia est rerum appetendarum et fugiendarum scientia” – S. August., De lib. arb., lib. 1, c. 13]. Non basta: essa importa il conoscimento del fine che in ogni cosa ci proponiamo e dei mezzi, che siano più acconci per raggiungerlo più perfettamente. Ond’è che la prudenza deve tener d’occhio il tempo, il luogo, le circostanze tutte, affinché l’opera felicemente riesca ed esige ponderazione, sagacia e costanza di propositi. La prudenza è non solo virtù cardinale, ossia fondamentale riguardo alle virtù morali, ma tiene fra di esse il primo luogo, perché essa deve regolare l’intelligenza, come questa deve poi regolare la volontà, e perché non vi è virtù senza la prudenza, anzi potrebbe essere, che una virtù, anche eccellente, scompagnata dalla prudenza, tralignasse in vizio. Così la fortezza separata dalla prudenza può diventare temerità, la giustizia durezza, la pazienza pusillanimità; la generosità, prodigalità; l’umiltà bassezza e via via. E in vero quante virtù si tramutano in vizi perché non regolate dalla prudenza! Il coraggio di Pietro diventa temerità e presunzione. La prudenza pertanto deve accompagnare sempre i nostri atti, deve essere l’arme di tutte le virtù. Siate prudenti, „ grida S. Pietro, e perciò a tutte le nostre azioni vada innanzi la face della prudenza, affinché non poniamo il piede in fallo e delle parole ed opere nostre non sentiamo il tardo ed inutile pentimento. Sorella inseparabile della prudenza è la vigilanza, che ha il suo alimento ed il suo appoggio nella preghiera; il perché S. Pietro soggiunge tosto: “Vegliate nelle preghiere —Vigilate in orationibus. „ Si direbbe che qui l’Apostolo ripete ai fedeli l’ammonimento di Cristo, là nell’orto, e che doveva risonar continuamente all’orecchio: “Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem.” Egli, S. Pietro, non poteva non aver sempre innanzi agli occhi quella notte fatale, in cui egli e Giacomo e Giovanni erano là nel Getsemani in preda alla tristezza e al sonno. Doveva ricordare come Gesù per ben tre volte l’aveva riscosso dal sonno e ripetute quelle parole — Vegliate e pregate, — e come conseguenza di quella sua trascuratezza nel vegliare e pregare era stata la sua miserabile caduta. Perciò qui la ripete anche egli ai primi Cristiani. “Vegliate nell’orazione. „ Noi Cristiani siamo come soldati in campo, che ad ogni istante, di giorno, di notte, possiamo essere assaliti da nemici astuti e potenti: bisogna stare sempre in sull’avviso, con l’arme in pugno per difenderci e rigettarli, e l’arme più spedita per tutti è la preghiera, e perciò S. Pietro ha congiunto la vigilanza e l’orazione: la vigilanza ci fa scorgere il nemico, che si avanza, e scoprire le insidie, che tende; l’orazione è il grido che leviamo a Dio perché ci aiuti, che gettiamo contro il nemico per atterrirlo: “Vigilate in orationibus”. Segue un’altra raccomandazione, che sì spesso si incontra nei Libri santi: “Sopra tutto abbiate costante carità tra di voi. „ Qui si parla della carità del prossimo, che deve essere l’effetto e la prova della carità verso di Dio, e S. Pietro vuole che, tra le altre, abbia due doti, sia cioè costante e mutua o vicendevole. Generalmente parlando gli uomini si amano tra loro, giacché l’odiarsi è di poche anime volgari e schiave d’una passione che ripugna alla natura. Ma che amore è desso? E forza confessarlo: è un amore debole, interessato, che al primo urto, alla prima prova cede e forse si muta in risentimento e rancore mal dissimulato. L’amore nostro verso i fratelli deve essere costante e saldo, e lo sarà se la scintilla che l’accende, scende dall’alto, viene da Dio. Se l’amore verso del prossimo ha la sua radice o nell’interesse, o nelle sole qualità fisiche o morali, ond’esso è fornito, non potrà essere costante: cessi l’interesse, deve cessare con esso l’amore; se le qualità fisiche o morali fanno difetto nel prossimo, o possedute da esso un tempo, poi scemarono od anche interamente si dileguarono, con esse dovrà pure andarsene l’amore. Perché dunque l’amore del prossimo sia costante, conviene che sia costante il motivo che l’accende ed alimenta, conviene che si appunti in Dio, che non si muta mai. Oh! quando amiamo il prossimo in Dio e per Iddio, noi lo ameremo sempre, anche quando agli occhi nostri apparisce indegno, anche quando ci odia e ci perseguita perché Dio merita sempre che Lo amiamo! In secondo luogo l’amore del prossimo vuol essere mutuo o vicendevole, simile al sole, dice S. Basilio: il sole, dice il Santo, quanto è da sé, spande egualmente in ogni parte la sua luce e il suo calore, ancorché non tutti gli oggetti lo ricevano in egual misura; ciascuno dunque sia come il sole e spanda su tutti l’amor suo, e la terra presenterà lo spettacolo del cielo, dove l’amore regna sovrano. Dopo avere inculcata la carità costante e vicendevole, il nostro Apostolo accenna ad uno dei suoi frutti, dicendo: “La carità copre una moltitudine di peccati — Quia charitas operit multitudinem peccatorum. „ La copre dinanzi agli uomini, dissimulando e dimenticando le loro offese, e per tal modo inducendo gli offensori a riconciliarsi con Dio e con gli offesi: la copre, sedando le discordie tra i fratelli e ristabilendo tra loro la pace: la copre, correggendo gli erranti, e con la soavità dei modi riconducendoli alla verità: la copre, beneficando tutti, e con la larghezza della elemosina guadagnando i cuori: la copre dinanzi a Dio, perché, amandoLo perfettamente, come la Maddalena e Paolo, monda le anime e tosto a Dio le riconcilia: la copre, perché, quantunque non perfetta, essa dispone l’uomo a cancellare tutti i suoi peccati col Sacramento della Penitenza. La carità dunque, nel senso più largo della parola, copre, cioè cancella, distrugge i peccati e giustifica l’uomo o lo prepara alla giustificazione, onde fu paragonata al fuoco, che consuma ogni cosa. Carità dunque, o cari, carità verso Dio, che è la carità stessa, carità verso gli uomini; carità nelle parole, più nelle opere, carità che erompa dal cuore: carità verso i buoni e carità anche verso i cattivi, perché diventino buoni, o meno cattivi, perché è questa la virtù delle virtù, il compimento della legge. Di questa carità S. Pietro rammenta ai fedeli una applicazione a quei tempi e in quei luoghi importantissima, e a noi, nei nostri paesi e coi nostri usi moderni, quasi inesplicabile. Frequentemente nei libri del nuovo Testamento si inculca e si loda la ospitalità, e Cristo la pose tra le opere della misericordia: per formarci un’idea dell’importanza della ospitalità e dell’opera caritatevole ch’essa era, bisogna dimenticare tutti i comodi, tutti gli agi di vie sicure, di alberghi, che noi abbiamo oggidì e che rendono facilissimo il viaggiare; ma a quei tempi non strade, o malagevoli, infestate da ladroni ed assassini, non servigi pubblici, malsicuri, e perciò l’ospitalità era un bisogno, una necessità pubblica e in pari tempo una squisita carità, come nei paesi poco inciviliti lo è tuttora. Eccovi la ragione delle tante lodi e sì calde raccomandazioni della ospitalità, che troviamo nei nostri Libri santi. Da ciò che ho detto intorno alla ospitalità sì necessaria ai tempi degli Apostoli, ospitalità, che era una esplicazione della carità e che oggi ha sì poca importanza, si fa manifesto che anche la virtù regina, che è la carità, può mutare e muta le sue applicazioni secondo i tempi e i luoghi e gli uomini, che certe opere di carità necessarie in altri tempi, oggidì sono cessate, ed altre ignote nei tempi passati oggidì sono imposte. Non si muta la virtù nella sua radice, ma si mutano le sue applicazioni e noi, figli del Vangelo, dobbiamo essere uomini di tutti i tempi, come lo è il Vangelo, ed esercitare la carità quale è richiesta nei vari paesi e nei vari tempi. Né si vuole dimenticare una avvertenza che riguarda questa lettera. Essa è indirizzata ai Cristiani dispersi nelle provincie dell’Asia Minore, e prima tra queste da S. Pietro è nominata la provincia del Ponto: ora è a sapere che quella provincia aveva fama d’essere inospitale, come sappiamo dagli scrittori pagani (Ovidio), e forse fu questa una ragione di più che indusse l’Apostolo a ricordare a quei popoli il dovere della ospitalità, aggiungendovi una raccomandazione particolare, ed è di usarla “sine murmuratione”, senza mormorio o lamento. — Vi sono persone, che esercitano la carità, ma in mal modo, brontolando, lagnandosi: questa non è carità secondo il Vangelo. – Ciò che si dice della carità, devesi pur dire della ospitalità, che ne è una parziale applicazione: anch’essa deve essere benigna, graziosa e offerta con volto ilare, anzi S. Gregorio Magno vuole che in qualche modo sia imposta: “Peregrini ad hospitium non solum invitandi, sed etiam trahendi sunt”. Seguitiamo il nostro commento. Alla raccomandazione della scambievole ospitalità tiene dietro un’altra raccomandazione più particolareggiata e più grave. Uditela: “Ognuno volga a beneficio degli altri il dono che ha ricevuto, come buoni amministratori della molteplice grazia di Dio. „ Qui si parla di coloro che tengono qualche officio o ministero sacro nella Chiesa, come sarebbe l’officio o ministero dell’annunciare la parola di Dio, del dispensare i Sacramenti, o del governo delle anime. S. Pietro intima a tutti costoro senza eccezione, che si considerino non come padroni, ma amministratori dei doni ricevuti, delle grazie loro largite, non a proprio vantaggio, ma a vantaggio e beneficio altrui. Noi, uomini di Chiesa, ministri e dispensatori dei misteri di Cristo, come ci chiama S. Paolo, siamo tali, non per nostra utilità, ma sì per la vostra, o figliuoli dilettissimi: “Uniquique datur manifestatio spiritus ad utilitatem” (I Cor. c. XII, vers. 7). Il nostro ministero è un potere, vero potere, che abbiamo ricevuto non da voi, ma da Cristo, ma che dobbiamo esercitare a vostro beneficio; è un servizio, non un dominio, e se il nostro Capo supremo, il Romano Pontefice si chiama ed è Servo dei servi di Dio, cioè deve servire al bene di tutti i fedeli, che sono servi di Gesù Cristo, quanto più lo saremo noi sacerdoti e parroci? Perciò è nostro dovere prestare l’opera nostra a tutte le vostre domande ragionevoli, anche con nostro disagio, con nostro sacrificio, in certi casi, ne andasse la vita. Noi siamo amministratori dei doni di Cristo, non padroni, e guai a noi se per la nostra trascuratezza, per nostra imprudenza, per nostra colpa, alcuni ne rimanessero privi: ne dovremmo rendere strettissima ragione a Dio, dal Quale li teniamo! Specificando meglio la cosa, S. Pietro dice: “Se alcuno parla, cioè se ha l’officio di istruire, lo faccia come è richiesto di farlo, e come la parola di Dio deve essere annunziata; se alcuno amministra, cioè esercita l’officio di dispensatore dei Sacramenti, lo faccia in quel modo e con quello spirito che domanda sì alto potere. Così facendo, l’opera nostra sarà profittevole a noi, a quelli ai quali la prestiamo, e ne sarà glorificato Iddio per Gesù Cristo, al quale sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. „ È il fine ultimo e supremo di tutte le cose sulla terra e particolarmente della grand’opera della redenzione da Gesù Cristo stabilita in mezzo a noi: è la gloria, di Dio, che si ottiene colla santificazione delle anime!

 Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XLVI:9

V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja. [Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo. Alleluja.]

Joannes XIV:18 V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja. [Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rallegrerà. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem Joannes XV:26-27; XVI:1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”. OMELIA II

[Ut supra, Omelia XXVI (vol. II)

“Quando sarà venuto il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità, il quale procede dal Padre, quegli farà testimonianza di me, e voi lo attesterete, perché siete stati con me fin da principio. Queste cose vi ho detto, affinché non prendiate scandalo. Vi cacceranno dalle sinagoghe; anzi verrà tempo, che chiunque vi uccida, pensi di fare omaggio a Dio. E faranno ciò con voi, perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. Ma queste cose vi ho dette, affinché, quando sarà venuta l’ora, vi ricordiate, che ve le ho dette , (S. Giovanni, XV, 26, 27 ; XVI, 1-4).

Se bene considerate, vi accorgere che tutti i Vangeli, che la Chiesa ci fa leggere in queste ultime Domeniche dopo Pasqua sono tutti di S. Giovanni ed hanno costantemente un doppio fine: il primo, di confortare gli Apostoli e raffermarli nella fede, prepararli alle fiere lotte che dovevano sostenere: il secondo, di rassicurarli della prossima venuta dello Spirito Santo, che avrebbe compiuta l’opera di Gesù Cristo. E questo doppio fine è par manifesto nei pochi versetti, che vi debbo spiegare. – Facciamo risparmio del tempo, e con animo docile e riverente ascoltiamo e meditiamo le parole di Gesù Cristo agli Apostoli, come se fossero dette a noi stessi. Gesù, dopo aver ricordato ai suoi Apostoli ciò che aveva fatto per il popolo, le opere, e i miracoli compiuti in mezzo di Lui e la mala corrispondenza avutane; dopo aver detto che i beneficii da Lui largiti rendevano più inescusabili gli Ebrei, che con l’odio avevano ripagato l’amor suo; dopo avere ammoniti i suoi cari, che non si aspettassero migliore accoglienza dagli uomini, quasi per abbreviare il suo discorso, dice: “Quando verrà il Paraclito, che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità, il quale procede dal Padre, quegli farà testimonianza di me. „ Consideriamo partitamente queste parole. –  A che, così sembra ragionare Gesù Cristo, a che vo Io dicendovi queste cose? Verrà il Paraclito, lo Spirito Santo, che vi ho promesso, che terrà il mio luogo e continuerà la mia missione: Egli colla sua luce interna rischiarerà le vostre menti e vi farà conoscere il senso delle cose, che da me avete udite, perché Egli è lo Spirito della verità. “Io ve lo manderò dal Padre. „ Osservate bene: è Gesù che lo manderà questo Spirito di verità. Ora chi è mandato ha una certa dipendenza da colui, che lo manda: lo Spirito Santo dunque, che si dice mandato da Gesù Cristo e mandato dal seno del Padre, deve avere una certa dipendenza da Gesù Cristo. Come da Gesù Cristo? Forse da Lui come uomo? No, sarebbe cosa empia il pur sospettare che la Persona divina dello Spirito Santo dipenda dall’umanità di Gesù Cristo, che è creata e finita ed è opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Dunque lo Spirito Santo ha codesta dipendenza da Gesù Cristo come Dio. Ma il Figlio e lo Spirito Santo sono due Persone divine, eguali perfettamente, perché aventi la stessa sostanza; lo Spirito Santo dunque non può avere dipendenza dal Figlio per ragione della sostanza, che loro è comune; resta dunque che questa dipendenza dal Figlio sia dipendenza di origine, come lo è quella del Figlio stesso dal Padre, e perciò lo Spirito Santo si dica mandato da Gesù Cristo, perché da Lui ha origine, precisamente come Gesù Cristo si dice mandato dal Padre, perché dal Padre è generato. – E qui ponete mente al modo di parlare delle sante Scritture: il Padre, che non ha origine da nessun’altra Persona, non si dice mai neppure una sola volta mandato: il Figlio, che è generato dal Padre, si dice anche costantemente mandato dal solo Padre, e giammai mandato dallo Spirito Santo, perché da Esso non riceve l’origine: lo Spirito Santo poi  si dice mandato, ora dal Padre, ed ora dal Figlio, perché dall’uno e dall’altro procede egualmente. È dunque verità di fede, o cari, che lo Spirito Santo procede non dal Padre, come con noi confessano i fratelli nostri erranti, Greci e Russi, ma anche dal Figlio, come noi Cattolici professiamo, ed essi negano, male interpretando le sante Scritture. Questo Spirito di verità, che procede dal Padre, dice Gesù Cristo, e che Io manderò, e perciò procede anche da me, farà testimonianza di me, cioè vi dirà, vi farà conoscere chi Io sia, sarà testimonio irrecusabile, che le cose ch’Io vi ho dette, son vere. Egli, avendo meco comune la natura ed essendo Dio come me, conosce tutto ciò ch’Io conosco, e il suo insegnamento non può essere che il mio stesso insegnamento, e perciò in ogni parte confermerà ciò che avete da me appreso. E che ne avverrà? Udite: “E voi pure lo attesterete, perché siete con me fino a principio.„ Ciò che apprendeste da me, vi sarà confermato dallo Spirito Santo, e voi a vostra volta lo annunzierete al mondo come testimoni. Chi erano gli Apostoli? Che ufficio avevano essi, ed hanno ed avranno fino al termine dei secoli i loro successori? Gli Apostoli erano i testimoni di Cristo, dei suoi miracoli e dei suoi insegnamenti, e testimoni devono essere tutti i loro successori. Testimoni son quelli, che hanno veduto od udito ciò che affermano: essi non devono aggiungere, né levare una sillaba a ciò che hanno veduto ed udito, allorché sono chiamati a deporre la verità: essi devono sapere ciò che attestano, essi devono essere sinceri e intrepidi nel dirlo, n’andasse la vita, e ciò che è più caro della vita, l’onore. Ora gli Apostoli, cominciando dal battesimo di Gesù Cristo fino alla sua morte, alla sua Risurrezione e Ascensione al cielo erano sempre stati con Gesù Cristo. ” Voi siete con me fino a principio — Quia mecum est a principio. „ Perciò avevano udita tutta la dottrina di Gesù Cristo; avevano veduti i miracoli, con i quali aveva confermata la dottrina stessa: che dovevano essi fare, dopo la partenza di Gesù Cristo? Una sola cosa: attestare ciò che avevano udito da Gesù e veduto fare a Lui e ripeterlo fedelmente a tutte le genti. Ecco l’ufficio, il ministero degli Apostoli, l’ufficio e il ministero di testimoni. Il perché Gesù Cristo disse loro: Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme, nella Giudea, nella Samaria e fino ai confini della terra. — San Pietro, proponendo la elezione d’un Apostolo in luogo del traditore, disse: “Conviene, che fra gli uomini, che sono stati della nostra compagnia in tutto il tempo che Gesù è andato e venuto fra noi, sia scelto uno e sia testimonio con noi della risurrezione di Gesù „ (Att. c. I , 21, 22). Gli Apostoli tutti, ripetutamente negli Atti, si dichiarano testimoni delle cose dette e fatte da Gesù Cristo. — La Chiesa che è dessa? È il testimonio perenne di ciò che udì da quelli, che per non interrotta successione risalgono agli Apostoli e a Cristo stesso, come Cristo stesso protesta d’essere testimonio di ciò che apprese nel seno del Padre: “Quod audimus testamur vobis” (Giov. III, 11). Ascoltiamo dunque con venerazione ed amore questa testimonianza incorrotta ed incorruttibile, che attraversa i secoli, che comincia con Cristo e cesserà col mondo, testimonianza, a cui è legata la verità e la salvezza nostra. – La mente di Gesù, anche in quei supremi ed angosciosi momenti, era tutta intesa a provvedere ai suoi cari, a confortarli, a prepararli alle lotte future, e non fa meraviglia udirlo ripetere le stesse cose. Egli è come un padre amoroso, che deve partire per lontano paese e lasciare per lungo tempo i suoi figliuoli, e che salutandoli e abbracciandoli, non si stanca di ripetere le cose dette e che maggiormente gli stanno a cuore. Io vedo l’avvenire, Egli diceva, e sento il bisogno di premunirvi, affinché non pigliate scandalo e vi diate vinti alla violenza delle prove, che vi attendono, e perciò nuovamente vi metto in guardia. Badate “che vi sbandiranno dalle sinagoghe, e verrà tempo, nel quale chiunque vi uccida, crederà di prestare omaggio a Dio. „ Queste parole sì terribili e che saremmo tentati di credere esagerate, si avverarono alla lettera, e per convincervene non avete che a leggere gli Atti degli Apostoli e la storia della primitiva Chiesa. – I poveri Apostoli furono tutti senza pietà perseguitati, costretti a correre le vie dell’esilio, gettati nelle carceri, lapidati, messi crudelmente a morte: fu tanta la rabbia, specialmente degli Ebrei contro di loro, che peggio non avrebbero potuto fare contro i loro più fieri nemici. Le ire, gli odi di partiti politici sono profondi, feroci, e la storia è piena di stragi che fanno ribrezzo: ma le ire e gli odi di religione sono ancora più profondi e più implacabili, perché hanno radice in ciò che l’uomo ha di più intimo, di più delicato, di più sacro, che è il sentimento religioso, e perciò le guerre di religione furono sempre le più spaventose, e i Giudei vi tengono certamente il primo posto. Per essi uccidere chi credevano ribelle a Mosè, alla legge, alle tradizioni d’Israele, era un dovere, era un atto di culto, era un omaggio reso a Dio, e S. Paolo prima della sua conversione ne fu prova manifesta. E qui cade in acconcio toccare alcune considerazioni che non mi paiono superflue. Primieramente è da ammirare la franchezza con cui Gesù Cristo annunzia cose sì tremende ai suoi cari. Egli non si studia di scemarle, di velarle, no; le annunzia con una crudezza di linguaggio, che può sembrare eccessiva, giungendo a dire: Ricordatevelo bene: non solo vi cacceranno dalle sinagoghe, ma crederanno di fare cosa grata a Dio e santa ammazzandovi. Gesù non vuole che i suoi cari si ingannino: vuole che sappiano tutto, e così non siano impreparati. – In secondo luogo è da por mente ad una cosa manifesta e poco avvertita, benché riguardi noi stessi. Le parole indirizzate da Cristo agli Apostoli non riguardavano gli Apostoli, ma quelli ancora, che avrebbero continuata l’opera loro, in altre parole guardavano la Chiesa, e la Chiesa più o meno di tutti i tempi. E invero: le parole con le quali Cristo diede ogni suo potere agli Apostoli, mentre si riferiscono agli Apostoli, non si riferiscono eziandio agli eredi del loro potere? Che se a noi pure si riferiscono le parole di Cristo riguardanti il potere e la dignità concessa agli Apostoli, come non si riferiranno a noi pure quelle altre parole indirizzate agli Apostoli, e nelle quali si annunziano le prove, i dolori e le persecuzioni? Come! Vorremmo noi forse dividere ciò che Cristo ha congiunto? Vorremmo noi essere gli eredi degli Apostoli solamente in parte? Vorremmo noi avere comuni con essi il potere divino, i diritti e gli onori, e non i patimenti, i doveri e le umiliazioni? Vorremmo noi respingere una parte della eredità santa di Cristo e degli Apostoli, e della parte più bella e più preziosa che formò la loro gloria? Gesù Cristo e gli Apostoli furono bersaglio di contraddizione, di calunnie, di persecuzioni: bagnarono di sudori, di lacrime e di sangue le vie che percorsero; la loro missione fu un martirio continuo, e noi avremmo la strana pretensione che il mondo ci debba colmare di onori, di poteri e di ricchezze? Ma come sarebbero vere le sentenze di Cristo, che diceva: “Se han perseguitato me, voi pure perseguiteranno? Se han chiamato Beelzebub il padre di famiglia, quanto più quelli della sua famiglia? „ Nessuna meraviglia pertanto, o dilettissimi, che la Chiesa, e specialmente i reggitori della Chiesa, e il suo Reggitore supremo, soffrano pressure e dolori: sarebbe meraviglia se così non fosse; verrebbe meno in essi un segno sicuro che li mostra continuatori dell’opera di Gesù Cristo e degli Apostoli. Guai a noi, uomini di Chiesa, se il mondo ci trattasse in modo diverso da quello con cui trattò il nostro Capo e gli Apostoli: sarebbe una prova che siamo uomini del mondo, come diceva Cristo, e che non apparteniamo a Lui. Quando ci tenessimo scolpite ben addentro nell’animo queste sapientissime verità, delle quali son pieni i Vangeli e le lettere degli Apostoli, non piglieremmo scandalo, vedendoci fieramente combattuti e tribolati, anzi ce ne rallegreremmo, come se ne rallegravano gli Apostoli. Ora più che mai è necessario che noi, uomini di Chiesa, ci informiamo e tempriamo le nostre anime a queste verità solenni e maschie del Vangelo di Gesù Cristo, perché i giorni che corrono, direbbe S. Paolo, sono cattivi e secondo ogni verosimiglianza diverranno peggiori. Chi non vede addensarsi d’ogni parte la procella, che tutti ci involgerà, non ha occhi in fronte, o se li ha, li chiude per non vederla. Prove amare, durissime, terribili ci attendono; ma noi confidiamo in Lui che disse: Confidate: Io ho vinto il mondo. – ” Tutto ciò faranno, proseguiva il divino Maestro, perché non hanno conosciuto né il Padre, né me. „ Il mondo si leverà contro di voi, e di voi farà il peggior governo che si possa immaginare, o Apostoli: ve l’ho detto: e volete saperne il perché? Perché non hanno conosciuto, cioè non hanno voluto conoscere il Padre, né me. Con la parola Padre Gesù Cristo indica certamente la prima Persona dell’augusta Trinità, ma senza escludere le altre due, anzi nominando il Padre implicitamente e necessariamente comprende le altre due, perché Egli ne è il Principio eterno, onde fu come se Gesù Cristo dicesse: gli uomini vi perseguiteranno e faranno scempio di voi, perché non hanno voluto conoscere Dio, né Colui che venne ad ammaestrarli e provò la sua divina missione con tanti miracoli. Ed ecco che Gesù Cristo ripete ancora una volta il motivo pel quale fa sì tristi vaticini ai suoi Apostoli: Tutto questo ve l’ho detto, perché allorquando queste cose si compiranno sopra di voi, vi rammentiate che ve le dissi, e comprendiate bene che le ho conosciute prima che avvenissero, e che come il mio occhio signoreggia il futuro, così il mio braccio potrà avvalorarvi, ancorché più non mi vediate in mezzo a voi. – Sia pur questo il nostro conforto in mezzo alle grandi lotte della vita: Gesù Cristo che con l’occhio suo le vide ed annunziò prima che fossero, le vede quando vengono, e con la sua mano onnipossente ci sostiene e ci guida alla vittoria: ciò che fece con gli Apostoli, lo fa con noi e lo farà con quanti crederanno in Lui fino al termine dei secoli. Non dimentichiamo, o cari, che come il potere e la dottrina di Cristo e degli Apostoli è, e sarà sempre, il potere e la dottrina dei Vicari di Cristo e dei successori degli Apostoli, così anche la vita di Cristo e degli Apostoli si deve ripetere nei Vicari di Cristo e nei successori degli Apostoli: credere che possa essere altrimenti, sarebbe un disconoscere il Vangelo e la natura stessa delle cose: sarebbe un credere che il mondo cessi di essere mondo e il Vangelo di Cristo cessi di essere Vangelo di Cristo: quello farà sempre guerra a questo e a chi lo predica e perciò la croce sarà sempre la bandiera della Chiesa e in tutti i secoli si dovrà ripetere la sentenza del suo divino fondatore: “Se han perseguitato me, perseguiteranno voi pure. „

Credo

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.]

Communio

Joannes. XVII:12-13; XVII:15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja. [Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus. [Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

 

I PAPI DELLE CATACOMBE (4)

[J. Chantrel: I Papi delle Catacombe. Dillet ed. Parigi, 1862]

Quarta persecuzione (166).

Si è detto di Marco Aurelio che fu la “filosofia assisa sul trono”, giustificando le parole di Platone: “… che il popolo sarebbe stato felice quando i filosofi fossero diventati re”. Marco Aurelio fu in effetti riformatore dei costumi con lo stoicismo, sottomesso al senato per orgoglio, clemente per vanità; ma questo filosofo spinse l’empietà fino a fare di suo fratello Vero, l’uomo più crudele e dissoluto del tempo, e di Faustina, sua sposa pubblicamente adultera, una doppia e scandalosa apoteosi; egli manifestò un tale disprezzo per il pudore che accordò delle dignità ad uomini di notoria impudicizia; egli stesso viveva in pubblico concubinaggio e questo modello di filosofi, per i quali i moderni scrittori non trovano che elogi, fu uno dei più violenti persecutori dei Cristiani, cioè degli uomini più virtuosi del suo impero. Dopo un regno contrassegnato da inondazioni, carestie, pestilenze, rivolte e guerre quasi continue, egli morì, probabilmente avvelenato, lasciando il trono a suo figlio Commodo, un pazzo furioso incoronato, che fece crudelmente espiare ai Romani quel poco di tranquillità e di gloria di cui avevano goduto sotto Marco Aurelio: … è così che i popoli sono felici quando loro re sono i filosofi pagani! L’editto che rinnovò la persecuzione era così concepito: « L’imperatore Aurelio a tutti i suoi amministratori ed ufficiali. Ci hanno riferito che coloro che nei nostri giorni si chiamano Cristiani, violano le ordinanze della legge. Arrestateli; e se essi non sacrificano ai nostri dei, puniteli con supplizi diversi a tal sorta che la giustizia sia congiunta alla severità e che la punizione cessi quando cessa il crimine. » Marco Aurelio era dunque filosofo nello stesso senso dell’epicureo Gelso, che allora scriveva contro i Cristiani; allo stesso modo di Crescente il cinico che, vinto da San Giustino nella disputa, lo denunciò e lo fece mettere a morte [Rohrbacher Histoire de l’Église, liv. XXVII.,]. La persecuzione di Marco Aurelio fece illustri martiri, oltre ai santi Papi Aniceto e Sotero. Il più illustre è San Policarpo che san Giovani Evangelista aveva ordinato vescovo della Chiesa di Smirne intorno all’anno 96, governandola per settanta anni, in maniera tale da meritare questo elogio indirizzato nell’Apocalisse all’Angelo di Smirne: « Così parla il Primo e l’Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana. Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. » [Ap. II, 8-10]. Policarpo in effetti fu fedele fino alla morte. Di concerto con sant’Ignazio combatté l’eresia con un vigore degno di un immediato successore degli Apostoli. – Egli si recò a Roma per conferire con il Papa Aniceto sulla celebrazione della Pasqua. Qui incontrò l’eretico Marcione che gli domandò se lo conoscesse: « … senza dubbio, disse il santo Vescovo, io ti conosco come il figlio primogenito di satana. » Policarpo meritò bene di essere uno delle prime vittime della persecuzione di Marco Aurelio. Il proconsole d’Asia, Stazio Quadrato, si distingueva per la sua crudeltà. Una lettera scritta dalla Chiesa di Smirne a quella di Filadelfia e a tutte le Chiese del mondo, ci ha trasmesso dei dettagli che mostrano a qual punto fosse giunto il furore dei pagani, e qual era il coraggio dei cristiani: « I martiri, si dice in questa lettera, erano frustati a tal punto che erano scoperte le loro ossa e si potevano contare le loro vene e i loro tendini. Mossi da compassione, gli assistenti non potevano frenarsi dal gemere per come essi sembrassero estranei al loro corpo, o che Gesù Cristo stesso fosse venuto a consolarli con la sua presenza. Coloro che erano stati condannati alle fiere, furono sottomessi, nella prigione, a diverse torture. I tiranni si illudevano così di costringerli a rinnegare la loro fede. Ma i loro sforzi infernali restavano inutili. Il giovane e coraggioso Germanico, segnalò la sua costanza sopra tutti gli atri. Al momento di combattere, il proconsole lo esortava ancora ad aver pietà della sua giovane età. Senza rispondere nulla, l’intrepido atleta di Gesù-Cristo si lanciò con un salto davanti alle bestie che sbranarono voracemente le sue membra sanguinanti: egli aveva voluto uscire più prontamente da questo empio mondo. Sorpreso ed irritato da questo coraggio eroico, il popolo gridò a gran voce: A morte gli atei! Che si cerchi Policarpo! » Il vegliardo, dopo aver resistito lungo tempo alle insistenze dei fedeli, si era ritirato in una casa di campagna alle porte della città. Tre giorni prima del suo martirio, Dio gli rivelò il genere di morte che egli avrebbe subito: « Io sarò bruciato vivo, » disse ai suoi discepoli. Un servo lo tradì rivelando il suo rifugio e guidò i soldati che lo cercavano. La casa fu circondata. Il santo poteva ancora scappare ma non volle, ed andando innanzi a coloro che lo cercavano, fece loro gli onori di casa e parlò loro con tanta dolcezza che più di uno si rifiutò di catturare un vegliardo così venerabile. Lo si condusse in città caricato su di un asino, come un tempo lo fu il Salvatore quando entrò in Gerusalemme. Due magistrati lo incontrarono, lo presero con loro e cercarono di convincerlo: « Che male c’è, gli dicevano a riconoscere la divinità di Cesare o a sacrificare agli dei per salvare la propria vita? » Policarpo li ascoltò dapprima senza rispondere, infine disse loro: « io non farò mai quanto mi chiedete. » A queste parole essi lo caricarono di insulti, e lo spinsero così rudemente fuori dal carroccio che lo portava, che il santo cadde e si ruppe una gamba. Il vegliardo accettò gaiamente questi cattivi trattamenti e si lasciò condurre nell’anfiteatro. Appena vi entrò, intese una voce dal cielo che diceva: « Coraggio Policarpo, tieniti saldo! » Il proconsole tentò allora di far capitolare il santo Vescovo: « Abbi pietà della tua età, gli disse, giura per la fortune di Cesare, rinnega il Cristo, ed io ti rilascerò. » Policarpo rispose: « Sono ottantasei anni che io servo il Cristo ed Egli non mi ha mai fatto del male. Come potrei rinnegare il mio Salvatore e Re? Ascoltate qual è la mia religione: io sono Cristiano; se volete conoscere la dottrina dei Cristiani, datemi un giorno ed io vi istruirò in essa. – Persuadi il popolo! … disse il proconsole. – No, rispose Policarpo. La nostra religione ci insegna a rendere ai potenti l’onore loro dovuto e che non è incompatibile con la legge di Dio; io devo dunque parlare quando voi mi interrogate; ma il popolo non è il mio giudice, ed io non devo giustificarmi ai suoi occhi. – Lo sai, gridò il console infuriato, che io posso ordinare che tu venga esposto alle bestie? – Voi potete farle venire, disse tranquillamente il vegliardo. – Io ti farò consumare dal fuoco, se disprezzi le bestie, rispose il proconsole. – Voi mi minacciate, disse il Santo, con un fuoco che brucia in un’ora e che dopo si spegne, perché voi non conoscete il fuoco del giudizio imminente e del supplizio eterno riservato agli empi. » Allora il popolo gridò: « È il dottore dell’Asia, il padre dei Cristiani, il distruttore dei nostri dei: che si lanci un leone contro Policarpo! » Gli si fece sapere che questo non era possibile, perché i combattimenti delle bestie erano finiti: « Che Policarpo sia bruciato vivo!, gridò allora il popolo ad una voce. E quando il proconsole ne ebbe ordinato l’arresto, il popolo corse in massa a prendere legna nelle case e nei pubblici bagni; si notò tra l’altro che i Giudei erano i più lesti ed accaniti a preparare il supplizio. Quando la catasta di legno fu pronta, Policarpo allentò la sua cintura e si spogliò dei suoi abiti. E quando gli aguzzini si accinsero a legarlo ad un palo in mezzo al falò, disse loro: « Lasciatemi, questa precauzione è inutile; Colui che mi da la forza di soffrire, me ne darà pure per restare fermo in mezzo alle fiamme. » Ci si contentò di legargli le mani dietro il dorso. Allora il santo vegliardo levò gli occhi al cielo e fece questa preghiera: « Signore Dio Onipotente, Dio di tutte le creature, io vi rendo grazia di ciò che mi avete procurato in questo giorno in cui devo essere ammesso nel numero dei martiri. Io prendo parte al calice del vostro Cristo, per resuscitare alla vita eterna dell’anima e del corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo. Che in questo giorno possa io essere ammesso alla vostra presenza come vittima di gradevole odore. Io vi benedico, vi glorifico per il Pontefice eterno Gesù-Cristo, vostro Figlio diletto, al quale sia resa gloria insieme a Voi ed allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen. » Appena completata la preghiera si dette fuoco alla catasta e si levò una gran fiamma. Allora si compì un miracolo che riempì di consolazione i fedeli: le fiamme si dislocarono intorno alla testa del martire come una vela di nave gonfiata dal vento; il santo, dicono i suoi Actes, somigliava all’oro o all’argento provato nel crogiuolo, ed esalava un odore di incenso o di qualche prezioso profumo. I pagani, vedono che le fiamme rispettavano il corpo del santo vegliardo, comandarono ad uno di quelli che negli anfiteatri davano il colpo di grazia agli animali selvaggi, di finirlo con un colpo di spada. Il “confector”, era questo il nome di questa specie di aguzzino, eseguì l’ordine e trafisse Policarpo. Il sangue che ne uscì in abbondanza spense il fuoco. I Cristiani speravano che potessero ottenere le reliquie del loro Vescovo; ma la malizia dei giudei, levò loro questa consolazione. Costoro fecero una tal guardia intorno al falò, che i Cristiani non poterono prendere nulla, il corpo fu gettato nelle fiamme ed i fedeli non poterono conservare che le ossa del martire. Queste ossa, più preziose di gemme, come dicono gli Atti di San Policarpo, furono deposte con onore in un luogo confacente ove ci si riuniva ogni anno per celebrare il glorioso trionfo del santo. Così morivano i capi della Religione Cristiana. Si comparino questi trapassi alla morte degli imperatori! Ma il demonio, che cerca sempre di sedurre le anime, operava delle parodie. Nel primo secolo egli aveva ispirato quell’Apollonio di Tyana, del quale si è voluto fare un personaggio degno di essere paragonato a Gesù-Cristo; questa indegna parodia non aveva però arrestato il progresso del Cristianesimo. Nel secolo secondo il demonio volle avere anche un suo martire illustre, ed ispirò così il cinico Peregrinus, che era morto su un rogo l’anno precedente. Questo Peregrinus, nato vicino a Lampsaco, in Asia minore, aveva trascorso la sua gioventù nella totale dissipazione. Si rifugiò in giudea, ove si fece Cristiano; poi abbandonò la sua nuova religione per farsi filosofo e venne a Roma da dove si fece cacciare per aver declamato contro l’imperatore Marco Aurelio. Si comparava volentieri ad Epitteto, e si spacciava per martire della filosofia. Infine, vedendo che nessuno più gli prestava attenzione, rese pubblica dichiarazione che ai giochi olimpici si sarebbe gettato nel fuoco, sull’esempio di Ercole, per insegnare ai mortali a non temere la morte. In effetti si fece preparare un’immensa catasta e la notte, all’ora in cui cominciava a spuntare la luna, uscì con una truppa di filosofi cinici, che portavano tutti in mano delle torce illuminate. Là, alla presenza di una folla numerosa di popolo attirata dalla singolarità dello spettacolo, fu dato fuoco alla pila di legna di sarmenti. Peregrinus vi gettò qualche grano di incenso, poi invocò i geni di suo padre e di sua madre, e si lanciò in mezzo alla fiamme ove restò consumato, martire dell’inferno e della vanità. [Rohrbacher, Histoire de l’Église, liv. XXVII]. Lo stesso paganesimo si prese burla di questa stravaganza; i Martiri Cristiani non avevano timore del confronto. La Chiesa possedeva all’epoca un santo, decorato pure con il nome di filosofo, ma che amava veramente la saggezza, e che le rendeva testimonianza con la sua morte, come lo aveva fatto con la sua vita ed i suoi scritti: era San Giustino. Nato a Neapolis, o Napluse, l’antica Sichem della Palestina, aveva fatto solidi studi letterari e filosofici; ma né la dottrina di Pitagora, né quella di Platone soddisfavano la sua intelligenza avida di verità. La lettura della Sante Scritture e l’esame della condotta dei Cristiani lo convertirono. Egli visitò l’Egitto e venne a Roma. Da allora non pensò più che a far brillare a tutti gli occhi, la verità che aveva avuto la felicità di scoprire. Le opere che ha lasciato sono annoverate tra le migliori opere di polemisti Cristiani, soprattutto le due Apologie che egli indirizzò l’una ad Antonino Pio, e l’altra a Marco Aurelio. La prima aveva contribuito a far rallentare la persecuzione; la seconda, irritando i suoi nemici, lo condusse al martirio: « Voi ci accusate, diceva in essa, di commettere in segreto dei crimini orribili. Ma questi abomini che noi detestiamo e che voi ci rimproverate, con la calunnia più ingiusta, non temete di commetterli voi stessi in pubblico. Non potremmo noi forse, forti dei vostri esempi, sostenervi arditamente che queste sono delle azioni virtuose? Non potremmo noi rispondervi che macellando bambini, come voi ci accusate falsamente, noi celebriamo i misteri di Saturno, o che le mani dei più illustri personaggi dell’impero si arrossiscano di sangue umano? Quanto ai nostri pretesi incesti, non potremmo noi dire che seguiamo l’esempio del vostro Giove o degli dei, o che noi mettiamo in pratica la morale di Epicuro, dei vostri filosofi e dei vostri poeti? Adunque, è perché noi insegniamo che bisogna fuggire da tali massime, è perché noi cerchiamo di praticare le virtù opposte a questi vizi mostruosi, che voi ci perseguitate senza sosta e ci mandate a morte ? … Ma qualunque giudizio voi portiate su di noi, la nostra dottrina vale molto meglio di tutti gli scritti degli epicurei, di tante infami poesie, di tante opere impudiche che si rappresentano o si leggono con intera libertà. » San Giustino diceva ancora: « I Cristiani non soffrivano la morte con tanta gioia, se fossero stati capaci dei crimini di cui li si accusa. La loro vita e la loro dottrina offre loro molti vantaggi sui filosofi. Socrate ha certamente avuto discepoli, ma non ne ha trovato nessuno che sia stato martire per la sua dottrina. Io so bene, continuava, che questo scritto mi costerà la vita, e che diventerò la vittima del furore di coloro che portano un odio implacabile alla Religione che difendo. » – San Giustino, non si sbagliava: il vigore di questa apologia finì per irritare i suoi nemici contro di lui: un filosofo cinico, Crescente, con il quale aveva disputato e che aveva vinto, non si diede pace finché Giustino non fu arrestato per “crimine” di Cristianesimo, con alcuni dei suoi discepoli: Caritone, Ierace, Peone, Evelpisto e Liberiano. Rustico, prefetto di Roma, cominciò l’interrogatorio: « Obbedite agli dei e conformatevi agli ordine dell’imperatore. – Non si può, senza ingiustizia, diceva Giustino, accusare o punire coloro che obbediscono ai comandamenti d Gesù-Cristo nostro Salvatore. – Di qual genere di filosofia ti occupi? domandò a Giustino il prefetto. Io ho esaminato ogni tipo di dottrina; infine mi sono fermato a quella dei Cristiani, benché sia calunniata da coloro che non la conoscono. – Cosa! Miserabile, tu parteggi per questa dottrina? – Io me ne faccio una gloria, perché essa mi mette nel cammino della verità. – Quali sono i dogmi della religione cristiana? – Noi altri Cristiani, crediamo in un solo Dio, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili, e confessiamo Nostro Signore Gesù-Cristo, Figlio di Dio, predetto dai profeti, Fautore e predicatore di salvezza, giudice di tutti gli uomini. » Il prefetto comandò allora dove si tenessero le assemblee dei Cristiani: « I Cristiani, disse Giustino, si adunano dove vogliono e dove possono. Il nostro Dio non è chiuso in un luogo particolare; poiché Egli è invisibile e riempie il cielo e la terra, lo si adora e si glorifica dappertutto. – Io voglio sapere dove riunisci i tuoi discepoli, riprese il giudice! – Io ho abitato fin qui ai bagni di Timoteo, vicino alla casa di un certo Martin; quando sono venuto a Roma per la seconda volta, non ho frequentato altri luoghi, ed ho insegnato la dottrina della verità a coloro che venivano a trovarmi. – Tu dunque sei un Cristiano? – Si, lo sono. » I discepoli di San Giustino fecero la medesima confessione. Il prefetto disse allora a Giustino: « Ascolta, tu che passi per eloquente e che credi di aver trovato la vera dottrina, quando sarai smembrato dai colpi di frusta dal capo fino ai piedi, immagini dunque che potrai salire al cielo? – Io non lo immagino, rispose Giustino, ne sono certo, e non ho alcun dubbio su lassù. Gesù-Cristo ha promesso questa ricompensa a coloro che avranno osservato la sua legge. » Quando il prefetto vide che non ricavava nulla dal disputare con il santo confessore, ordinò a lui ed ai suoi discepoli di andare a sacrificare agli dei. Giustino rispose a nome di tutti: « Noi non desideriamo altro che soffrire per Gesù-Cristo. I tormenti affretteranno la nostra felicità, e ci ispireranno fiducia in questo tribunale davanti al quale dovranno comparire tutti gli uomini per essere giudicati. » I discepoli aggiunsero: « È inutile farci languire per più tempo; noi siamo Cristiani, non sacrificheremo agli idoli. » Allora il giudice pronunciò la sentenza in questi termini: « … Che coloro che hanno rifiutato di sacrificare agli dei e di conformarsi all’editto dell’imperatore, siano frustrati pubblicamente, poi condotti a morte, così come le leggi prescrivono. » Essi furono dunque condotti sul luogo del supplizio, e dopo aver patito la flagellazione, ebbero la testa tagliata. La morte di San Giustino, si converrà, ha tutto un altro carattere che quella di Peregrinus. Un evento miracoloso venne a dare un cero conforto ai Cristiani. Marco Aurelio faceva guerra ai Quadi, popolo insediato nell’attuale Boemia. Egli si vide chiuso tra le montagne, nel 174, ed i Romani, si trovarono nell’impossibilità di sfuggire a nemici ad essi superiori per numero, e inoltre ridotti agli stremi dalla mancanza d’acqua e dal calore soffocante. Nell’armata imperiale c’erano diversi Cristiani, soprattutto nella legione chiamata “Fulminante” che ordinariamente aveva i suoi quartieri a Melitene, in Armenia. I Cristiani si misero in ginocchio ed implorarono Dio per la salvezza dell’armata. Tutto ad un tratto apparvero grosse nubi in cielo, e cadde una pioggia abbondante. I Romani erano così assetati, che essi ricevettero dapprima l’acqua in bocca, la raccolsero dopo nei loro scudi e nei loro elmi, potendo abbeverare i cavalli, dopo avere abbondantemente soddisfatto la loro sete. I nemici vollero approfittare di questo disordine e piombarono su di essi, ma alla pioggia videro mescolarsi fulmini e grandine che si abbatterono sui barbari e risparmiarono i Romani. I Quadi furono completamente disfatti. – La riconoscenza dell’imperatore per un tale beneficio, non durò però a lungo. I sacerdoti dei falsi dei finirono per persuaderlo che egli doveva la vittoria a Giove e a Marte, e la persecuzione ricominciò in capo a tre anni. I martiri si moltiplicarono. I Cristiani di Lione e di Vienne ebbero particolarmente a soffrire. San Ireneo ha raccontato le loro lotte in un’ammirevole lettera indirizzata da lui e dai fedeli di Lione ai loro fratelli d’Asia, da dove veniva il loro Vescovo san Potino, discepolo di san Policarpo, come san Ireneo. Non sapremmo far di meglio che riprodurre i principali passaggi di questa lettera: « L’animosità dei pagani contro di noi era tale, dicevano i Cristiani di Lione e di Vienne, che venivamo cacciati dalle nostre case, dai bagni e dalle piazze pubbliche. La nostra presenza, in qualunque luogo fosse, era sufficiente ad attirare su di noi gli oltraggi della moltitudine. I santi confessori supportarono con la più generosa costanza tutto ciò che si può sopportare da una popolazione insolente: vociferazioni ingiuriose, saccheggi, insulti, sassaiole ed altri eccessi ai quali si abbandona un popolo furioso contro colo che considera suo nemico. Trascinati sulla pubblica piazza ed interrogati dai magistrati, essi confessarono altamente la loro fede e furono gettati in prigione fino all’arrivo del governatore. Dato che colui che fu incaricato di questo affare, fece arrestare i Cristiani più distinti e fermi sostenitori delle due chiese di Vienne e di Lione, il furore della moltitudine, del governatore e dei soldati si accanì particolarmente contro Santo, diacono di Vienne, contro Maturo, neofito pieno di coraggio e di zelo, contro Attalo, originario di Pergamo, uno dei principali difensori della fede, e contro Blandina, giovane schiava, delicata e debole, che trovò nella sua costanza tanta forza per lasciare che i carcerieri incaricati la torturassero a turno dalla mattina fino alla sera. Quando essi le fecero soffrire tutti i generi di supplizi, si dichiararono vinti, non comprendendo come fosse possibile che ella respirasse ancora dopo mille specie di torture, delle quali una sola sarebbe stata capace di toglierle la vita. « Il diacono Santo non si dimostrò meno irremovibile nella fede. A tutte le interrogazioni del governatore circa il suo nome, la sua origine, la sua patria, non volle rispondere che con le parole. “Io sono Cristiano”. Lame di rame si resero incandescenti sul fuoco, e si applicarono sui distretti più sensibili del suo corpo. Il santo martire vide così arrostire la sua carne, ma senza cambiare posizione, perché la fonte della vita, Gesù-Cristo, spandeva su di lui una rugiada celeste che lo rinfrescava e lo fortificava. Qualche giorno dopo, gli aguzzini lo sottomisero ad un nuovo tormento, quando l’infiammazione delle sue prime piaghe le rendeva così dolorose che egli non poteva soffrire il tocco più leggero. Il suo corpo, lacerato dal dolore, lungi dal soccombere a questa nuova prova, riprese la sua solida flessibilità, di modo tale che, per grazie di Gesù-Cristo, le ultime piaghe divennero un rimedio alle prime. Infine si condannarono alle bestie gli eroici confessori: Maturo e Santo, esposti per primi nell’anfiteatro, furono dapprima battuti con verghe; li si fecero poi sedere su uno scanno di ferro incandescente; la loro carne bruciata spandeva un odore insopportabile; ma gli spettatori non erano ancora sazi di chiedere nuovi supplizi, onde infrangere questa pazienza irriducibile. Li si abbandonò ai morsi delle bestie, e fornirono così, per un giorno intero, il crudele divertimento che diverse coppie di gladiatori davano ordinariamente al popolo. Poiché dopo tanti tormenti, essi ancora respiravano, gli aguzzini furono obbligati a sgozzarli nell’anfiteatro. « Attalo era conosciuto dal popolo come un atleta intrepido della fede. Gli spettatori chiedevano a gran voce che lo si introducesse nell’arena. Per soddisfare la loro rabbia cieca, il santo martire vi fu condotto. Gli si fece fare il giro dell’anfiteatro, con una scritta che portava in latino queste parole: “Attalo il Cristiano”. Prima di essere esposto alle bestie fu posto su di una sedia incandescente. Mentre lo si arrostiva, e l’odore de questo olocausto umano si spandesse lontano, egli diceva al popolo, rispondendo alle accuse di omicidio portate contro i Cristiani: « Siete voi che fate arrostire carne umana per mangiarne. Ma noi non mangiamo uomini, e la nostra religione ci vieta ogni crimine. » – « Blandina, ultima di questa eroica società di martiri, entrò in scena con tanta gioia, come ad un festino nunziale. Dopo ver sofferto le fruste, i morsi delle bestie, la sedia infuocata, la si chiuse in una rete, e la si presentò ad un toro, che più volte la lanciò in aria. Ma la Santa presa dalla speranza che le dava la sua fede, si intratteneva con Gesù-Cristo, e non era più sensibile ai tormenti. Infine si sgozzò questa vittima innocente, ed i pagani stessi confessarono che non avevano mai visto una donna soffrire tante orribili torture con un coraggio simile. « Anche il discepolo di san Policarpo, il vecchio san Potino, rese, con la sua morte, testimonianza alla fede. Vecchio di novant’anni, era attualmente malato e lo si dovette trasportare al tribunale. Sembrava che la sua anima non fosse che legata al suo corpo se non per servire al trionfo di Gesù-Cristo. Mentre i soldati lo trasportavano, egli era seguito da una folla di popolo vociante mille ingiurie contro di lui. Ma questi oltraggi non potettero smuovere il santo vegliardo, né impedirgli di confessare vigorosamente la sua fede. « Qual è il Dio dei Cristiani? Gli domandò il governatore. – Voi lo sapreste se ne foste degno, rispose il Vescovo. Subito, senza rispetto per la sua età, fu indegnamente maltrattato dalla popolazione infuriata. Coloro che potevano avvicinarsi a lui lo colpivano con pugni e calci; i più distanti gli lanciavano tutti i proiettili che trovavano sottomano. Essi non ritenevano essere un crimine insultare il santo vecchio, per vendicare sulla sua persona l’onore dei loro dei. Dopo aver sopportato, senza farsi sfuggire un lamento, questo orribile trattamento, Potino fu gettato in prigione e morì in capo a due giorni per le sue ferite. » La persecuzione continuò, nulla di più toccante che il martirio di San Alessandro e san Epipodio, due giovani delle più illustri famiglie di Lione, legati da una stretta amicizia, si esortavano reciprocamente a soffrire coraggiosamente per amore di Gesù-Cristo. Li si separarono, ma non si mostrarono men coraggiosi; non ci fu che la morte che impedì loro di confessare altamente Gesù-Cristo. Ad Autun, un altro giovane manifestò un coraggio simile. Si faceva una processione solenne in onore della dea Cibele: questo giovane, chiamato Sinforiano, non potette impedirsi di testimoniare il più alto disprezzo che gli ispirava questa cerimonia. I pagani lo condussero davanti l tribunale del proconsole Eraclio. « Perché non vuoi onorare Cibele, la madre degli dei? … domandò costui. – Io adoro il vero Dio, rispose Sinforiano. Per quanto riguarda l’idolo dei vostri demoni, se lo permettete, io lo frantumerò a colpi di martello sotto i vostri occhi. – Non ti basta essere sacrilego; tu vuoi pure farti punire come ribelle? » Si batté con le verghe Sinforiano. Qualche giorno dopo, Eraclio tentò di persuaderlo, promettendogli onori e piaceri. Sinforiano rigettò questi propositi con orrore e, prendendo la parola, si mise a descriverne, facendone risaltare la stravaganza e il ridicolo, le corse insensate dei coribanti in onore di Cibele, la soverchieria dei sacerdoti che rendevano oracoli in nome di Apollo, e le caccie superstiziose in onore di Diana. Egli fu condannato ad avere la testa troncata; mentre si conduceva al luogo del supplizio, fuori dalle mura della città, ecco uno spettacolo sublime e toccante: egli ritardò un momento la marcia … si vide sui bastioni una dama venerabile per l’età e le virtù; era la madre di Sinforiano, che era accorsa a vedere un’ultima volta ed incoraggiare il martire: « Sinforiano, figlio mio, gli gridò, coraggio caro figlio mio, ricordati del Dio vivente, mostra la costanza della tua fede. Non si deve temere una morte che conduce sicuramente alla vita. Tu non devi rimpiangere la terra: riguarda in alto, caro figlio mio, e disprezza i tormenti che durano tanto poco; là in alto c’è la ricompensa! Coraggio! Questi tormenti si cambieranno in una eterna felicità. » Degno figlio di tal madre, Sinforiano soffrì generosamente il martirio e fu decapitato. Si raccolsero le sue reliquie, che formarono più tardi uno dei più preziosi tesori di una basilica elevata sul luogo dove lo si era deposto.