J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. III]

J.J. Gaume

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA,

gaume-282x300

LETTERA III.

ROVINA DELLA RELIGIONE (seguito).

9 aprile,

I.

Signore e caro amico,

Voi mi perdonerete, io spero, d’avere nella precedente mia lettera lasciato scorrere un po’troppo la mia penna, del che v’arreco due scuse: d’una parte mi sembrò che le ultime considerazioni che vi sommisi, assai troppo presentemente poste in oblio, erano di natura a penetrare l’anima d’un gran rispetto pel riposo sacro del settimo giorno, d’altra parte la conversazione scritta o parlata gode, a’ miei occhi, dell’avventuroso privilegio d’essere un pochetto vaga, non ho voluto spogliarnela. Se quest’è un fallo, mi terrò in guardia e nulla tramanderò per esser breve. Io continuo:

II.

Nessun precetto più fortemente sanzionato di quello del riposo ebdomadario. L’importanza d’una legge si riconosce dalla severità delle pene e dalla grandezza delle ricompense, per le quali il legislatore ne assicura l’esecuzione. Considerata sotto questo riguardo, è incontrovertibile, che la legge del riposo ebdomadario occupa il primo luogo fra le divine leggi, anzi negli stessi codici delle nazioni cristiane. – Se questo fatto abbisogna di prove, i vostri lumi nella legislazione, signor rappresentante, vi mettono in istato di dedurle voi assai meglio, che non valga io a farlo. Perciò, a lutto altro che a voi spettano le seguenti circostanziate particolari osservazioncelle. – Il riposo sacro del settimo giorno né è un semplice consiglio, libero ad ognuno l’osservare, o no; né un comandamento senz’importanza che sia a piacimento di ciascheduno di violare per minimi pretesti; né che qualunque possa di sua propria privata autorità dispensarsene. Esso è un precetto capitale: pena di morte contra chi oserà a questo contravvenire. Israele stava accampato al mezzo del deserto. Un giorno di sabato s’imbattono certuni ne’ contorni dell’accampamento in un uomo cogliente alcune legnerella: viene costui da Mosè tradotto. Il santo legislatore, denominato dalla Scrittura fra gli uomini mitissimo, non ardisce addossarsi l’esecuzione della legge in tutta la severità d’ essa; si porta a consultare il Signore. Niuna grazia, risponda gli il Dio d’ Israele; che sia egli lapidato: e fu sepolto sotto una violenta pioggia di sassi [Num. XV, 52]. – Ad imitazione di quest’esempio venuto da sì alto, tutti i popoli davvero cristiani ebbero leggi terribili contro a1 profanatori delle domeniche. L’ammenda, la flagellazione, la degradazione, la perpetua servitù, sono le punizioni inflitte tanto dagl’imperatori romani dell’Oriente e dell’Occidente, quanto dai più grandi monarchi d’Europa [Instit. du dimanche, par M. Perennes page 84 e segg.]. Coleste sono particolari osservazioncelle.

III.

Se il crimine diventa nazionale, minacce tremende seguite da spaventose calamità ricorderanno alle società colpevoli la santità di questa legge fondamentale. « Va, o profeta, dice il Signore, a Geremia, fermati in sulla porta della città, per cui passano i figliuoli ed i re d’Israel, e loro annuncia: Eccovi quello che dice il Signore: Volete voi salvare vostri beni e vostra vita? Non portate pesi né trasportatene nel giorno di sabato; non mettete in mostra in giorno di sabato le mercanzie di vostre case, ed astenetevi d’ogni opera servile: Santificate il giorno di sabato secondo quanto prescrissi io ai vostri padri. Se voi non ubbidirete, io darò fuoco alle porte di vostra città; esso divorerà le magioni di Gerosolima, e nonostante i vostri sforzi, voi non perverrete a spegnerlo » [Jer., XVII, 19-27]. – Giuda fu sordo alla voce del profeta. Nabucodonosorre ebbe il mandato d’eseguire le minacce dell’Onnipotente, e di vendicar la legge sacra del riposo ebdomadario: si sa di qual maniera se ne sia disimpegnato. Saccheggiata, rovinata , trascinata in schiavitù, conculcata dagli infedeli per aver violato il sabato del Signore , la nazione giudaica non se ne emenda. Ritornata dalla cattività, ella ricommette la colpa che cagionò tutti i suoi disastri. « E vidi io allora, continua uno de suoi condottieri, Israeliti, che premevano col piedi torcolari in giorno di sabato; altri portavano dei fardelli, altri che trasportavano in sur de’ somari vini ed uve, fichi, e mercanzie d’ogni sorta, ed altri che le introducevano in Gerusalemme. Ed i Tiri parimente vi concorrevano, e vendevano in giorno di sabato a1 figliuoli di Giuda e di Sion oggetti di vari generi. Ne feci io i più severi rimproveri ai capi della città, e loro dissi: qual è adunque il peccato, che voi commettete? Come!, voi profanale il giorno di sabato! È forse che i padri nostri, non si resero colpevoli del medesimo misfatto? ed avete voi dimenticato purtroppo essere per questo appunto, che il nostro Dio versò sopra di noi e della città tutti i mali, i quali abbiamo sofferto? E volete voi riaccendere la collera del Signore violando il giorno sacro del riposo! » [Esdr. XII, 15-20]. – Le minacce e le punizioni non sono sufficienti al sovrano legislatore. L’osservanza del settimo giorno è infra tutti gli atti di sottomissione per parte del mortale, quello di cui egli si mostra il più geloso. Pertanto, onde rassicurare l’adempimento di siffatta legge, presentagli un novello motivo nelle magnifiche ricompense, con le quali coronerà la fedeltà di lui. « Se voi ascoltate la mia voce, replica Egli, e che non profaniate voi il giorno di sabbato né pel negozio, né pel lavoro, i principi ed i re passeranno per le porte di Gerusalemme; trarranno in essa d’ogni contrada colle mani piene di offerte, e questa prosperità sarà eterna » [Jer., XVII, 24-26]. – Alla prosperità materiale aggiunge Egli l’allegrezza, la gloria e la potenza della nazione. « Se voi v’astenete, riconferma esso, di viaggiare nel giorno di sabato, e di fare la vostra volontà nel giorno a me consacrato; se voi lo riguardate come un riposo delizioso, come il giorno santo e glorioso del Signore, nel quale voi Gli renderete l’omaggio a Lui dovuto, allora troverete voi la vostra gioia nel Signore; io vi innalzerò sovra tutto ciò che havvi di più elevato in sulla terra » [Is., LVIII, 13-14]. Nulla è più facile che il moltiplicare le scritturali testimonianze, nelle quali sono contenute sotto differenti forme le medesime promesse e le medesime minacce.

IV.

Iddio si è cangiato Egli? Per essere stato trasferito alla domenica il riposo del settimo giorno è esso meno sacro? Perchè trasricchi Egli i cristiani di benefizj più grandi di quelli dei Giudei? Il Padrone sovrano esige Egli meno di gratitudine, e la decima che si riserbò Egli sui giorni del mortale, deve essa essere a Lui pagata con inferiore fedeltà? – Il figliuolo del Calvario è Egli meno obbligato alla perfezione che lo schiavo del Sinai, e i1 riposo settenario cessò esso d’essere la condizione indispensabile della cultura dell’anima? Se non havvi che una sola maniera da risolvere queste questioni, ne conseguita che l’importanza estrema del sabato sotto la legge di Mosè , la domenica la conserva sotto il Vangelo. Ora, noi l’abbiamo veduto, siffatta importanza è tale, che punto non v’è nel codice divino precetto più antico, più universale, più sovente replicato, più fortemente sanzionato, per conseguenza fondamentale, che il precetto della santificazione del settimo giorno. Se la Religione dunque vuol dire alleanza, o società del mortale con Dio, vincolo il quale unisce l’uomo a Dio, è evidente che la profanazione francese della domenica, cioè la violazione pubblica, generale, permanente della condizione essenziale di questa alleanza, è la rovina stessa del contratto divino. Tra gli uomini, forse che una convenzione non è rotta allorquando una delle parli ne viola, anche una sola volta, le condizioni fondamentali? Che ne succederebbe poi, se, come nel caso presente, la violazione fosse abituale? Per cotesto primo titolo, la profanazione della domenica pertanto è la rovina della Religione.

V .

Questo non basta, quella gode di cotesto miserando privilegio per un secondo titolo assai più marcato. In effetti, signore e caro amico, voi non troverete in tutto il codice divino precetto, la cui violazione trascini altresì cotanto infallibilmente la rovina d’ogni altro. Sapete voi, qual fu presso ciascun popolo, per quanto alto rimontare si possa negli annali del mondo, il grido di guerra di tutti gli uomini, l’orgoglio de’quali intraprese di detronare l’Ente Supremo? L’Ateismo? No. Il Deismo? Neppure. La voluttà? Nemmeno; sebbene la distruzione del giorno della Preghiera! In su tutti i loro stendardi, rimiro io scritto ciò che David vi leggeva di già tre mila anni fa : « Scancelliamo i giorni di festa d’Iddio dai calendarj di tutta la terra) (Quiescere faciamus omnes dies festos Dei a terra. (Ps. LXXV). Qui più che altrove si verifica il detto del conte de Maistre: « il male ha un istinto infallibile: esso non percuote sempre forte, ma continuamente esso percuote giusto ». Sopprimete la domenica, o ciò che ritorna allo stesso, fate che sia questa giornalmente profanata presso d’un popolo, e prestamente voi non avrete più né conoscenza, né pratica della Religione, né frequenza de’Sacramenti, né culto esteriore. L’esperienza è stata fatta; le conseguenze ne sono evidentissime per ognuno. Se abbisognasse allegarne la ragione, io direi che nessuno può asserire sé conoscere la Religione, per aver sovra questa scienza insieme sì profonda, e varia le nozioni imperfette ricevute nella fanciullezza. Arrogerei che tali nozioni, necessariamente assai incompiute, sovente leggermente udite, più ordinariamente mal comprese, vengono tostamente obliale fra il rumore del laboraloio, fra la dissipazione del collegio, al contatto d’una società come la nostra, le cui abitudini, le preoccupazioni, le massime troppo sono adattissime ad oscurar le idee cristiane, e ad estinguere perfino i sentimenti della Fede. Se adunque, uscito d’infanzia, l’uomo, chiunque sia, non viene più ad ascoltare i documenti della Religione, smarrisce egli celermente assai più di quello non si possa pensare l’esile somella delle religiose conoscenze che aveva acquistate. – Quanto spesso non ho io sentito de’ vecchioni impacciati nel rispondere alle questioni le più elementari del catechismo, affermare pubblicamente: « una volta lo sapevo io pure; ma ora l’ho me ne sono dimenticato!» Quante altre volte non ho veduto io degli adulti e dei giovanotti da sedici a diciotto anni, o muti sulle cose che avevano imparate all’epoca della prima comunione loro, o miseri sino al ridicolo nelle loro risposte avventate? Ora, colla profanazione della domenica, niuna istruzione religiosa. I templi, i mezzi, o la volontà mancheranno; quest’è un fatto cotanto lampante, quanto il sole. – Ma supponiamo, che non si pongano in dimenticanza i ricevuti insegnamenti elementari, supponiamo altresì che questi insegnamenti siano compiuti. Nulla ostante la profanazione della domenica non diventa essa punto meno la rovina della religione, la quale non può più esercitare alcuna importante influenza. Di fatto, si converrà facilmente che non basta il conoscere speculativamente le condizioni del divino patto, bisogna meditarle, rimeditarle replicatamente, o, come dice l’istesso legislatore, legarle al suo braccio, e porle in sul suo cuore, affinché divengano esse la regola costante della condotta. – Questo difetto di meditazione delle verità della religione è la cagione di tutti i mali del mondo [“Desolatione desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde”. (Jer., XII, 11)]. Qui ancora, colla profanazione della domenica, dassi niuna seria meditazione di queste salutari verità. Chi dunque le rnediterà fra la settimana? L’operaio, il bracciante, costretto a guadagnarsi il suo pane col sudore della sua fronte? Ma non ne ha spazio. L’uomo d’ una casta più distinta? Ma l’opportunità eziandio a lui manca; non ne viene egli distratto da suoi affari, da’ suoi piaceri, da suoi giornali? E poi, gli si doni pure il tempo, n’è egli volonteroso ? In tesi generale, mai no. Per lui, non meno che per l’uomo dello stento, la profanazione della domenica è dunque la rovina della religione. Queste considerazioni deortatorie acquistano una novella forza, se riflettasi, che l’osservanza del riposo settenario diventa più che una condizione fondamentale della società del mortale con Dio. – Essa è in qualche maniera questa società stessa. La parola formale dell’Altissimo protegge la mia asserzione: « Il sabato, dice egli, è il mio patto co’ figliuoli d’Israel, e il segno eterno di questo patto » [“Pactum est sempiternum inter me, et filios Israel signumque perpetuum” . (Esod. XXI, 16, 17, etc.)]. Ciò che era, sotto simile rapporto, il sabato nell’antica alleanza, trovasi la domenica sotto la nuova legge. Donde originò questa locuzione cotanto profondamente vera dei primi persecutori della Chiesa ai nostri padri nella fede, diretta: « lo non t’interrogo punto se tu sei cristiano, ricerco da te io, se ne hai tu osservato la domenica ». La fedeltà sopra questo precetto dispensava d’ogni altra questione. Tanto egli è vero, al giudizio stesso del semplice buon senso, che la santificazione della domenica è la base della religione, e che la profanazione della domenica diventane la rovina, cioè che la religione sussiste, o no, secondo che la domenica viene, o no santificata.

VI

Inoltriamoci. La profanazione della domenica è ancora la rovina della religione, perché, essa è una rivolta aperta contra Dio, ed una professione pubblica d’ateismo. Questo, lo confesso io, mi spaventa assai più del socialismo, da cui veniamo minacciati. Quale spettacolo, signore, e caro amico, presenta ciascuna settimana la nostra infelice patria! Ogni otto giorni la Francia si mette in pubblica insurrezione contro all’Esser supremo! Ogni otto giorni costei getta all’Onnipotente un’insolente disfida! Quando dall’alto delle nostre vetuste cattedrali le campane invitano alla preghiera, la folla rimane immobile, e il tempio deserto. I clamori della contrada, il rotamento de’ carri, 1’agitazione del commercio, il ripercotimento de’ martelli, l’esposizione delle mercanzie continua come nella vigilia. L’insulto non è ancora abbastanza oltraggioso. Nei paesi cristiani, dalla vigilia si preparano per la domenica i fedeli con disposizioni d’ordine e di proprietà nelle case e nelle contrade; e se la festa è solenne con digiuni, purificazioni o pubbliche orazioni. Nella più parte di nostre città francesi [ed in quelle italiane e dell’Europa, un tempo cristiana, oggi –ndr.-] il sacrilego fa parodia di queste cose sì sante! Il lunedì diventa la domenica dell’oscenità e dell’empietà; esso ha i suoi primi vespri, allorquando appunto l’ora solenne del gran sacrifizio è passata, e che così la profanazione della domenica è consumata, il movimento esteriore s’allenta, i magazzini a poco a poco si chiudono. Una folla gremita, lasciati i panni dimessi ed adusati ferialmente, indossa vestimenta pulite e pompose, e si riversa per tutte le vie. – Dove sen vanno questi uomini, queste donne, questi fanciulli, liberi ornai di loro occupazioni? Volgono questi, senza dubbio, i loro passi verso il tempio; quivi si portano per ristorare con un riposo doppiamente salutare le forze del loro corpo e la salute dell’anima loro. No, figliuoli prodighi non conoscono più la magione del padre loro! Dove si dirigono essi dunque? Domandatelo alle barriere, ai teatri, alle taverne, ai luoghi di prostituzione: Per essi, le tavole de’ bagordi hanno rimpiazzato la santa mensa; i canti osceni sono i loro sacri inni. Il teatro è il loro tempio; i balli e gli spettacoli tengono loro luogo d’istruzione e di preghiera. – La notte stessa non pone fine all’immenso scandalo. À quest’ora calamitosa l’innocenza incontra più sovente la seduzione; misteri d’iniquità si compiono nell’ombra. L’indomani ripigliansi i proprj lavori col corpo estenuato dalle intemperanze della veglia, collo spirito affaticato dalla dissipazione, e dagl’intrighi, col cuore corrotto, coll’anima straziata da rimorsi, e la settimana ricomincia con la maledizione dell’Ente supremo. – Così, per un disordine, il quale grida vendetta dal cielo, il santo giorno è il giorno il più profanato della settimana. – L’oltraggio può egli mai salire più alto? Sì, che lo può. Tutti i profanatori della domenica sono ben lungi dal ritornar al lavoro il lunedì. La maggior parte consacra questo giorno all’oziosaggine ed alle turpitudini: questa è la domenica della crapula, e la fanno. Ma perché cotesto giorno a preferenza d’ un altro? Come mai non vedere in simile scelta, io non so, un certo satanico istinto, che vuole per siffatto avvicinamento rendere insultante il disprezzo di Dio e della sua legge? – Io ve lo ripeto, questo disordine mi spaventa più del socialismo.

VII.

Allo spavento s’aggiugne l’onta, che mi copre di vergogna. Qual esempio noi diamo al mondo intero! Che devono pensare di noi gli stranieri che vengono in Francia, e che veggono la nostra scandalosa profanazione del giorno sacro? Io non parlo solamente de’ cattolici, de’ quali noi offendiamo profondamente il sentimento religioso, e cui noi umiliamo crudelmente pel disprezzo d’una religione che è eziandio la loro; parlo io de’ protestanti. Passate nell’eretica Inghilterra, la metropoli dell’attività e del commercio. Vi vedrete voi un solo metro di stoffa messo in vendita avanti un solo magazzino? No, neppure uno, sono almeno essi poi i magazzini aperti? No; appena quei dei commestibili, e ciò in fino a mezzo giorno soltanto; e ciò senza niuno apparato di mostra: anzi ciò è una sola semplice tolleranza. Le vetture vi circolano esse come nelle nostre città, facendo tremolare le invetriate di nostre chiese, intorbidando incessantemente la calma della preghiera, e rendendo impossibile ogni raccoglimento? No; i carri di trasporto punto non vi circolano; le sole carrozze de’particolari si mostrano, ed in picciolissimo numero, alle ore del servizio religioso. Le usine, queste immense usine, che hanno da fornire dei prodotti all’universo intiero, sono esse in azione? No. Nella Scozia stessa le strade ferrate obliano la loro divorante attività: l’interesse, il piacere, tutto s’arresta rispettosamente dinanzi la sacra legge. Le poste stesse, che trasportano dalle quattro parti del mondo, e vi devono recare lettere e così numerose, e così premurose, e così importanti sotto ogni riguardo, queste poste fanno esse il loro servizio? No. Né a Londra, né in Iscozia, neppure una lettera ne viene distribuita, ovvero ne parte alla domenica. Havvene un’unica distribuzione nelle altre ville del regno. -Ma questo tempo, ch’essa toglie al lavoro, l’Inghilterra io dona forse, come noi, ai teatri, alle biscazze? No. Giammai si trova un teatro aperto la domenica; giammai una bettola durante l’ora degli uffizj. La medesima severità vi regna negli Stati Uniti d’America. – Che ne risulta di cotesto umiliante contrasto? Questo, che la nostra scandalosa violazione della legge sacra al riposo ebdomadario, cotanto religiosamente osservata in ogni luogo illuminato dal sole, induce lutti i popoli a diffidare di noi, ed a tenerci in vilissima disistima. In Europa, cotesta spacciatamente ci condanna per decaduti dalle nazioni incivilite, ed in Àfrica ci butta al rango dei cani. Dire, che somigliante disprezzo sia l’effetto d’un pregiudizio , è difenderci con un’ingiuria. Agli occhi di tutti i popoli, la violazione pubblica, abituale, generale del sacro riposo è una periodica insurrezione contro del medesimo Dio. – Ora, l’orrore che inspira al genere umano la rivolta d’un popolo contro all’Altissimo, non fu no giammai l’effetto d’un pregiudizio. Incapaci a pretenderlo, ciò sarebbe aggiungere la scipitaggine all’ingiuria, e raccogliere per soprappiù la derisione dell’intero universo, legittimo salario della burbanza e della procacia.

VIlI.

Cotesto disprezzo è altrettanto meglio dimostrato, quanto che la nostra profanazione della domenica non è solamente un’insurrezione contra l’Onnipotente, ma una pubblica professione d’ateismo. Tale è il suo più vero e il suo più odioso carattere. La religione, voi lo sapete, è il vincolo che unisce a Dio, non soltanto l’uomo individuale, ma eziandio l’uomo collettivo, che si chiama popolo. – Questo vincolo non esiste mica per un popolo, a meno che egli non si manifesti per certi atti pubblici adempiuti in comune, per mezzo de’ quali questo popolo testimoni la sua fede, come popolo, e la sua dipendenza a riguardo della divinità; ogni nazione, la quale non esercita un pubblico culto, obbligatorio per la nazione, fa pubblica professione d’ateismo. I membri di cotesta nazione possono aver individualmente una religione; ma la nazione per se stessa non ne ha: essa è atea come nazione. Ecco quello che credettero, compresero, quello che credono, comprendono ancora tutti i popoli del globo. Cristiani, Giudei, Maomettani, Pagani, tutti, un solo eccettuato: il popolo di Francia! [Ed oggi, grazie al modernismo e al luciferino ecumenismo, la situazione descritta così lucidamente da mons. Gaume, coinvolge anche l’Italia, la Spagna, la Polonia, l’Irlanda, gli Stati Uniti, etc. etc. –ndr.-]. Ora, questi atti di pubblico culto, adempiuti in comune, ed obbligatori per la nazione, esigono, di tutto rigore, un tempo, un giorno fisso , lìbero d’ogni lavoro, onde il popolo intero possa radunarsi nei suoi templi, e dimostrare per orazioni e sacrifici solenni il sacro vincolo, il quale lo stringe a Dio. Ecco ancora ciò che comprendono tutte le nazioni della terra. Cosi non trovasene una sola, la quale non abbia il suo giorno di riposo e di culto pubblico. Pei cristiani questo è la domenica, pei giudei il sabato, pei musulmani il venerdì, pegli idolatri di Ormulz e di Goa il lunedì, pei negri della Guinea il martedì, pei mongoli il giovedì; presso certe nazioni, depositarie meno fedeli delle primitiva legge del riposo settenario, come i chinesi, i cocincinesi, i giapponesi, trovasi il principio dell’anno, parecchie novelle lune, ed anche il 15 e il 28 di ciascun mese, consacrato al culto solenne della divinità [V. Lamoire, Le Vayer, tom . XU, epit. l1, p. 32]. – Dunque qualunque popolo privo dei giorni legalmente riserbati al culto nazionale è un popolo non decorato del nome di religioso infra gli altri popoli: egli non è né cristiano, né giudeo, né maomettano, né pagano; esso è qualche cosa di mostruoso: desso è ateo.

IX.

Profanazione della domenica vuol dire rovina della religione; tale è, signore, e caro amico, la proposizione che aveva io a stabilire nelle mie prime lettere: mi sembra essermi sgravato del compito. Avanti di finire, voglio richiamare, per un istante, la vostra attenzione sopra queste due parole: rovina della religione! Considerata sotto questo primo rapporto, si comprende bene tutta la gravità della questione, la quale ci occupa, o se voi amate meglio, l’inesprimibile gravità del disordine che noi combattiamo. Alla presenza di ciò, che si passa in Europa, e più ancora nell’apprensione di quello che ci minaccia, è forse d’uopo ridire la necessità assoluta della religione, la colpevole clemenza di coloro che la distruggono? Chi dice mina della religione, dice: rottura del vincolo che unisce il mortale a Dio, negazione di Dio, negazione della Provvidenza, negazione dell’autorità, negazione della società, negazione della famiglia, negazione della prosperità, negazione della moralità degli alti umani. – Chi dice rovina della religione, dice: anarchia nelle intelligenze, anarchia nei cuori, anarchia nei fatti, dubbi, tenebre, angosce, sensualità, egoismo, orgoglio, rivolta, febbre dell’oro, febbre della voluttà, sprigionamento compiuto di tutte queste belve furiose denominate passioni, e l’immondo covile delle quali è il cuore di ciascun mortale. Chi dice rovina della religione, dice: potere senza diritto, istituzioni senza fondamento, autorità senza rispetto, società senza difesa, privazioni senza indennizzazioni, sacrifici senza ricompense, dolori senza consolazioni, demenza, disperazione, suicidio, rivoluzioni, saccheggi, dispotismo, subbisso, barbarie, caos. Chi dice rovina della religione, dice, in una parola, degradazione dell’uomo sino al livello del bruto, ed al disotto. Gradite, ecc.