LE QUARANT’ORE

ISTRUZIONE SULLE QUARANT’ORE

[da:”Manuale di Filotea” del sac. Giuseppe Riva, Milano 1888]

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Lo scopo della devozione: delle Quarant’Ore è d’indennizzare Gesù Cristo di quella specie di abbandonamene in cui fu lasciato dagli uomini dal momento della sua morte sopra la croce fino a quello della risurrezione del sepolcro. – Una cosi bella istituzione ebbe l’origine seguente. Nel 1537 città di Milano, desolata ancor dalla peste, che dodici anni prima l’aveva spogliata di cento quaranta mila abitanti, abbattuta da civili discordie, tiranneggiata da guerre sanguinose, venne da un formidabile esercito minacciata di assedio e di saccheggio. Cessato il dominio del ducato di Milano in Francesco Sforza, secondo di questo nome, morto senza successione verso la fine di Ottobre del 1535, i Milanesi si misero sotto l’ubbidienza dell’imperator Carlo V, cedendogli spontaneamente lo Stato di Milano a lui dovuto per le antiche ragioni dell’impero, e per disposizione dello stesso duca Francesco. – Appena n’ebbe sentore Francesco I re di Francia, che determinò di rendersene egli padrone in forza delle ragioni che aveva sul ducato di Milano per l’eredità di Valentina, figlia di Giovan Galeazzo Visconti, e già moglie di Lodovico duca d’Orleans, dal cui secondogenito proveniva Carlo padre di Francesco. Raccolta quivi una poderosa armata, la quale guidata dal figlio Enrico il Delfino, era già scesa in Piemonte, egli stava per investire Milano con tanto più di violenze, in quanto che all’araldo, che era stato spedito dalla Corte francese per domandare le chiavi, il Senato di Milano aveva risposto colla più assoluta fermezza. – In questo stato di cose dovevasi cominciare in Duomo la quaresimale predicazione da un cappuccino celebratissimo per santità e per dottrina, il padre Giuseppe da Ferno, piccolo paese presso Gallarate nella Diocesi di Milano. Ma qual frutto poteva promettersi da una città tutta in disordine per la vicina invasione del nemico! Non si smarrì tuttavia l’uomo di Dio. Cominciò egli la sua predicazione, e il concorso degli uditori andò crescendo di giorno in giorno. Quando investito da lume particolare propose al popolo l’adorazione di Gesù Cristo sacramentato, esposto per quarant’ore continue sull’altare, come mezzo il più opportuno ad allontanar il flagello che stava per piombare sulla città, il popolo accolse con entusiasmo un progetto cosi santo, e lo realizzò subito col dar principio a questa esposizione nella Domenica delle Palme, due ore prima di sera, intervenendo alla Processione preparatoria, non solo l’Arcivescovo con tutto il Clero secolare e regolare, ma ancora i deputati della città, tutti vestiti di sacco. L’esposizione si fece quella volta nella cappella della Madonna che si dice dell’Albero. Si vedeva quindi la ss. Eucaristia circondata da cento e più lumi, collocata sopra un gran trono a cui si ascendeva per dodici gradini. La prima ora d’adorazione fu fatta dal Cardinale, dagli ecclesiastici e dai deputati, le successive dal popolo che, distribuito in diverse processioni vi veniva da tutte le parti con torce accese. Il concorso fu veramente straordinario, che più è da notarsi, tutti i concorrenti erano in abito di penitenza, con croce sulle spalle e strumenti di mortificazione alla mano. Il Padre Giuseppe, con una corona di spine in capo, una fune al collo, un crocifisso nelle mani, inginocchiato al lato destro del ss. Sacramento, faceva ogni ora dei brevissimi discorsi ai concorrenti che si scambiavano, lavorando sempre il suo dire sul testo di Giona : “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. — Terminata questa funzione in Duomo, si rinnovò collo stesso metodo nelle altre chiese della città, in ognuna delle quali l’indefesso uomo di Dio si trovava sempre a declamare dal pergamo per la santificazione del popolo. Né fu vana la speranza dei Milanesi di ottenere con questo mezzo l’allontanamento dei loro nemici. Negli animi inaspriti dei due monarchi rivali sì risvegliarono sentimenti d’amicizia e di pace; si fece una tregua di sei mesi. Poi il Delfino che stava per piombar sopra Milano, rivalicó le Alpi e se ne ritornò in Francia, e lasciò pacifico il Milanese sotto il dominio dell’imperatore. Un beneficio così grande che ebbe l’aspetto di un miracolo, impegnò i Milanesi alla più viva riconoscenza verso Gesù sacramentato, e quindi resero perpetua l’esposizione della sant’Ostia, facendo delle Quarantore una pratica indispensabile per tutte quante le chiese. Da Milano poi si diffuse in tutti gli Stati cattolici, i quali ne sperimentarono sempre un gran vantaggio. Il Papa Clemente VIII con la Bolla Graves et diuturna, del 25 Nov. 1592 volle che in Roma fosse perpetua, passando coll’ordine da lui stabilito dall’una all’altra chiesa, incominciando nella I Domenica d’Avvento nella Cappella del Palazzo Apostolico, e accordò ai fedeli accorrenti alcune indulgenze che furono poscia confermate da Paolo V, il 10 Maggio 1606. Tali indulgenze sono : 1° la Plenaria a chi veramente pentito, confessato e comunicato visiterà devotamente per quello spazio di tempo che potrà il Santissimo esposto e vi pregherà secondo i soliti fini; 2° indulgenza di 10 anni e 10 quarantene per ogni altra visita fatta col fermo proposito di confessarsi. Tale Indulgenza fu confermata da Pio IX, 26 Nov. 1876. Clemente XI nella sua istruzione per le 40 Ore pubblicata il 21 Gennaio 1705 ne stabilì dettagliatamente le norme liturgiche obbligatorie per Roma e lodevolmente praticabili in tutto il mondo. Pio VII poi col rescritto 10 Maggio 1807, dichiarò privilegiati tutti gli altari di quelle chiese ove si fa la lodata Esposizione, ma solo nei giorni in cui essa ha luogo.

Il dottore serafico: SAN BONAVENTURA.

14 luglio

Il dottore serafico: SAN BONAVENTURA,

[Dom. Guéranger: L’ANNO LITURGICO, vol. II]

Bon. Ant. Tomm.

Tommaso e Bonaventura.

       La pittura ha illustrato la celebre visione in cui la Vergine presentò al suo Figliolo i suoi due servi Domenico e Francesco i quali dovevano ricondurre a lui l’umanità in preda ad una profonda corruzione. – Ha illustrato pure l’incontro dei due santi che si abbracciano e si promettono scambievolmente di rimanere uniti nell’azione apostolica che inauguravano quasi nello stesso tempo. Anche due dei loro più nobili figli dovevano rassomigliarsi per lo splendore della dottrina e per l’unione che godono nell’ammirazione e nella gratitudine della Santa Chiesa. Tommaso e Bonaventura, la cui opera intellettuale non avrà che uno scopo: condurre gli uomini mediante la scienza e l’amore a quella vita eterna che consiste nel conoscere l’unico vero Dio e colui che egli ha mandato. Gesù Cristo (Gv. I7. 3). – Entrambi furono lampade ardenti (ibid. 5, 15) che illuminarono il loro secolo e infervorarono le anime. Ma il Signore volle che la Chiesa attingesse particolarmente da san Tommaso la sua luce e da san Bonaventura la sua ardente carità. Abbiamo già festeggiato il Dottore Angelico durante la quaresima; oggi la Chiesa rivolge i nostri cuori verso il Dottore Serafico, perché gli offriamo la nostra lode e la nostra preghiera, e riceviamo l’insegnamento della sua vita.

Lo studioso.

Era ancor giovinetto, quando allo scadere dei suoi primi anni di vita religiosa fu mandato alla celebre Università di Parigi per apprendervi la teologia. In mezzo alla moltitudine di studenti spesso chiassosi e leggeri, egli conservò la sua anima così semplice e distaccata, che il suo maestro Alessandro di Hales diceva pieno di ammirazione: « Pare che Adamo non abbia peccato in lui ». Alessandro di Hales sembrava allora, secondo l’espressione del Papa Alessandro IV, « racchiudere in sé la fonte viva del paradiso, da cui scorreva a grandi flutti sulla terra il fiume della scienza della salvezza ».

Il Dottore.

Sotto la sua guida, Bonaventura fa mirabili progressi nella scienza e nella santità. Studia dapprima la Sacra Scrittura, copiando parecchie volte di sua mano i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento; riassume e analizza i Padri della Chiesa e si compenetra tanto di tutte le scienze sacre che, malgrado le regole dell’Università, viene chiamato a 27 anni ad occupare una cattedra. Allo stupore causato dalla sua giovine età seguì presto l’ammirazione. Investito dell’eredità di Alessandro di Hales che era chiamato il « Dottore irreprensibile, il Dottore dei Dottori » Bonaventura poteva dire della divina Sapienza: « È essa che mi ha insegnato tutto; essa mi ha insegnato la giustizia e le virtù, e le sottigliezze del discorso e il nodo dei più forti argomenti» (Sap. VII, 21; IV, 7-8). – Questo è appunto l’oggetto dei Commentari sui quattro Libri delle Sentenze che ci hanno conservato le lezioni tenute da Bonaventura da quella cattedra della Sorbona dove la sua amabile parola, animata da un soffio divino, teneva prigionieri i più nobili intelletti. Il giovane maestro rispondeva già al suo titolo predestinato di Dottore Serafico, vedendo nella scienza solo un mezzo per amare di più, e ripetendo senza posa che la luce che illumina l’intelletto rimane sterile e vana se non penetra fino al cuore, dove unicamente riposa e si diletta la Sapienza (Exp. in Lib. Sap., Vili, 9, 16). Cosicché – ci dice sant’Antonio – qualunque verità appresa da lui si cambiava in affetti, diventando così preghiera e lode divina (Antonin., Chronic, p. III, tit. 24, cap. 8). Il suo scopo – dice un altro storico – era quello di giungere all’incendio dell’amore, di bruciare egli stesso al fuoco divino e di infiammare quindi gli altri; indifferente alle lodi come alla fama, unicamente preoccupato di regolare i suoi costumi e la sua vita, intendeva innanzitutto ardere e non solo risplendere, essere fuoco per accostarsi così maggiormente a Dio, in maggior conformità a colui che è fuoco; tuttavia, come il fuoco non può concepirsi senza luce, così egli fu pure una fiaccola risplendente luce che potè raccogliere, ne fece l’alimento della sua fiamma e della divina carità (H. Sedulius, Histor. seraph.). – Si seppe bene a che cosa attribuire questa unica direttiva dei suoi pensieri allorché, inaugurando il suo insegnamento pubblico, dovette prendere una decisione riguardo al problema che divideva la Scuola circa il fine della teologia: scienza speculativa per gli uni pratica a giudizio degli altri, secondo che gli uni e gli altri erano maggiormente colpiti dal carattere teorico o morale delle nozioni che essa ha per oggetto. Bonaventura, cercando di unire le due tendenze nel principio che era ai suoi occhi la legge universale ed unica, concludeva che « la Teologia è una scienza affettiva, la cui conoscenza procede per contemplazione speculativa, ma tende principalmente a renderci buoni». La Sapienza della dottrina infatti – diceva – deve essere ciò che indica il suo nome (Eccl. 6; I Sent. 9, 3): saporosa all’anima.

Il santo.

Ma, come fece notare più tardi il Papa Sisto V, egli non eccelleva soltanto per la forza del ragionamento, per la facilità dell’insegnamento e per la chiarezza delle definizioni, ma trionfava soprattutto per una virtù del tutto divina nel potere di commuovere le anime. Mentre illuminava le menti, predicava ai cuori e li conquistava all’amore di Dio. I suoi stessi amici ne stupivano, e avendogli un giorno san Tommaso chiesto, in uno slancio di fraterna ammirazione, in quale libro avesse potuto attingere quella scienza sacra, Bonaventura, mostrando il crocifisso, rispose umilmente: « Ecco la sorgente da cui attingo tutto ciò che io so; studio Gesù, e Gesù crocifisso »! – Questo è il segreto della composizione di tutta quella serie di meravigliosi opuscoli in cui, senza un piano prestabilito, semplicemente per appagare il desiderio dei suoi discepoli o per effondere la propria anima, Bonaventura ha trattato insieme dei primi elementi dell’ascesi e degli scritti più sublimi della vita mistica, con una pienezza, una sicurezza, una chiarezza e una divina forza di persuasione che fanno dire al Sommo Pontefice Sisto IV che lo Spirito Santo stesso sembra parlare in lui {Liti. Superna Caelestis). Scritto sulla vetta della Verna e come sotto l’influsso più immediato dei Serafini del cielo, l’Itinerario dell’anima a Dio rapiva a tal punto il cancelliere Gersone da fargli dichiarare «quell’opuscolo, o piuttosto – diceva – quell’opera immensa, superiore alla lode di qualsiasi bocca mortale » (1); egli avrebbe voluto che insieme con il Breviloquium, meraviglioso compendio della scienza sacra, fosse imposto come manuale indispensabile ai teologi {Tract. de examinatione doctrinarum). «Infatti -dice per l’Ordine benedettino l’abate Tritemio – chi considera lo spirito dell’amore divino che si esprime in Bonaventura, riconoscerà facilmente che egli sorpassa tutti i Dottori del suo tempo per la forza persuasiva delle sue opere. Molti espongono la dottrina, molti predicano la devozione, pochi nei loro libri insegnano l’una e l’altra; Bonaventura sorpassa quel grande e quel piccolo numero, poiché in lui la scienza forma alla devozione e la devozione alla scienza. – Se dunque vuoi essere studioso e devoto, vivi come lui » (De scriptor. eccl.). Ma, meglio di chiunque altro, Bonaventura ci rivelerà in quali disposizioni convenga leggerlo per farlo con frutto. All’inizio del suo Incendium amoris, nel quale la triplice via che conduce, mediante la purificazione, l’illuminazione e l’unione, alla vera sapienza, così dice: « Offro questo libro non ai filosofi, non ai sapienti del mondo, non ai grandi teologi occupati da infinite questioni, ma ai semplici, agli ignoranti che si sforzano più di amare Dio che di sapere molto. Non già discutendo, ma agendo s’impara ad amare. Quanto a quegli uomini pieni di questioni, superiori in qualunque scienza, ma inferiori nell’amore di Cristo, penso che non saprebbero comprendere il contenuto di questo libro; a meno che lasciando da parte la vana ostentazione del sapere, non si applichino, in una profonda rinuncia, nella preghiera e nella meditazione, a far nascere in sé la divina scintilla che, riscaldando il loro cuore e dissipando ogni oscurità, li guiderà al di là delle cose del tempo fino al trono della pace. Perciò stesso che sanno di più, infatti, essi sono più atti ad amare o potrebbero esserlo, se disprezzassero veramente se stessi e fossero contenti di essere disprezzati dagli altri » (Incend. amoris, prologus).

Il ministro generale dei frati minori.

Tuttavia san Bonaventura non doveva restare a lungo sulla cattedra della Sorbona. A 35 anni veniva eletto Ministro Generale dei Frati Minori. Costretto ad abbandonare l’insegnamento della Scolastica lasciava il posto ad un giovane amico, fra Tommaso d’Aquino, la cui scienza e santità avrebbero illustrato l’Università di Parigi e l’intera Chiesa. – San Francesco era morto da 31 anni. Egli aveva posto le basi del suo Ordine, la linfa serafica era scaturita dal suo cuore, ma la sua opera richiedeva di essere organizzata: fu il compito di san Bonaventura. Senza uscire dallo spirito di san Francesco, egli si dedicherà a disciplinare tutte le energie e a dare all’Ordine la sua forma definitiva e le sue sapienti e mirabili costituzioni che dovevano formare l’armatura di quell’immenso edificio. Lo vediamo così percorrere tutte le Province del suo Ordine. Va successivamente a Parigi, a Narbona, a Pisa, e dopo i suoi lunghi itinerari, si ritira in un’umile cella, sulla Verna, là dove Francesco ha ricevuto le sacre stimmate. Qui scrive la vita del serafico Padre, onde penetrare tutti i suoi figli del suo spirito.

Cardinale d’Albano.

La profondità della scienza, la santità della vita e la potenza della parola attirano su di lui l’attenzione della Chiesa. A Perugia, quando il Papa Clemente IV vuole nominarlo Arcivescovo di York, cade ai suoi piedi e lo supplica di allontanare da lui tale dignità. Deve tuttavia cedere alle istanze di san Gregorio X e obbedire agli ordini « che Io nominavano cardinale e arcivescovo di Albano e gli imponevano di raggiungere il Papa con tutta umiltà e sottomissione, senza scuse né ritardi». I legati del Papa, incaricati di quell’importante messaggio, trovarono il santo occupato a lavare i piatti. Egli partì per preparare i lavori del Concilio che doveva tenersi a Lione nel 1274, e fu appunto in quella città che, dopo aver moltiplicato i suoi tentativi, i suoi discorsi, le sue fatiche, rese la sua bell’anima a Dio, all’età di 53 anni, quattro mesi dopo la morte di San Tommaso.

Vita.

Giovanni Fidanza nacque nel 1221 a Bagnoregio, cittadina situata tra Viterbo e Orvieto. Essendo caduto gravemente malato, la madre lo portò a san Francesco d’Assisi che lo prese fra le braccia, lo benedisse, lo accarezzò, lo guarì e lo restituì alla madre dicendo : « O buona ventura ! » donde il suo nome. A 17 anni, entrò presso i Frati Minori, dove il suo fervore mise in dispetto il demonio che tentò di strangolarlo. Presto, mandato alla Sorbona per studiarvi la teologia, vi ricevette una cattedra all’età di appena 27 anni. A 35 anni divenne Maestro Generale dei Frati Minori e promulgò le Costituzioni nel Capitolo di Narbona tenuto nel 1260. Creato cardinale, ricevette la consacrazione episcopale nel novembre del 1273 e, durante il secondo concilio ecumenico di Lione, si spense in quella città, il 14 luglio 1274. I suoi principali trattati spirituali sono il Breviloquium apparso nel 1256; l’Itinerario dell’anima a Dio che è senza dubbio la più bella fra le opere mistiche del XIII secolo; la Triplice Via; l’Albero di Vita; le Cinque feste del Bambino Gesù ed infine l’Apologia dei Poveri.

Preghiera.

Tu sei entrato nel gaudio del tuo Signore (Mt. 25, 21), o Bonaventura; quali debbono essere ora le tue delizie, poiché, secondo la regola che hai ricordata, « tanto più uno ama Dio quaggiù, tanto più lassù esulta in Lui » (De perfectione vitae, ad Sorores, VIII). Se il grande sant’Anselmo, dal quale attingevi quelle parole, aggiungeva che l’amore si misura dalla conoscenza, tu che fosti uno dei principi della scienza sacra e insieme il Dottore dell’amore, mostraci che realmente ogni luce, nell’ordine della grazia e in quello della natura, non ha altro scopo che di condurre all’amore. – Dottore Serafico, guidaci attraverso quella sublime ascesa di cui ogni riga delle tue opere ci manifesta i segreti, le sofferenze, le bellezze e i pericoli. Nel raggiungimento della divina sapienza, che nessuno percepisce senza estasi anche nei suoi più lontani riflessi, preservaci dall’illusione che ci farebbe ritenere come fine la soddisfazione trovata negli sparsi raggi discesi a noi per ricondurci dai confini del nulla fino ad essa. Infatti, quei raggi che per se stessi procedono dall’eterna bellezza, separati dal centro, distolti dal fine, non potrebbero essere altro che illusione, inganno, occasione di vana scienza o di falsi piaceri. Inoltre, più elevata è la scienza, più si avvicina a Dio in quanto oggetto di teoria speculativa, ma più si deve temere la deviazione; se essa distrae l’uomo nelle sue ascensioni verso la Sapienza posseduta e gustata per se stessa; se lo arresta alle sue sole attrattive, tu non esiti a paragonarla alla città seduttrice che soppianterebbe negli affetti del figlio di un re la nobilissima Sposa che lo attende (Illuminationes Eccl, II). E certo un simile affronto, che provenga dalla serva o dalla dama d’onore, è forse meno sanguinoso per un’augusta regina? Per questo tu dichiari che «pericoloso è il passaggio dalla scienza alla Sapienza, se non vi si pone in mezzo la santità ». Aiutaci a superare il pericoloso passo; fa’ che ogni scienza non sia mai per noi se non un mezzo della santità per giungere a un più alto amore. Questo è appunto sempre il tuo pensiero nella luce di Dio, o Bonaventura. Se ve ne fosse bisogno, ne potremmo avere come prova le tue serafiche predilezioni manifestate più d’una volta ai tempi nostri per i luoghi in cui, a dispetto della febbre che spinge all’azione tutte le forze vive di questo secolo, la divina contemplazione continua ad essere ritenuta come la parte migliore, come il principale scopo e l’unico fine di ogni conoscenza. Degnati di continuare a porgere ai tuoi devoti fedeli una protezione che essi stimano nel suo giusto valore. Difendi come già un tempo nelle loro prerogative e nella loro vita, gli Ordini religiosi, più che mai sulla breccia ai giorni nostri. La famiglia francescana ti sia ancora grata di crescere in santità e in numero; benedici le iniziative prese in seno ad essa, con il plauso del mondo, per illustrare come meritano la tua storia e le tue opere. Per la terza volta e per sempre, se è finalmente possibile, riconduci l’Oriente all’unità e alla vita. Che tutta la Chiesa si riscaldi ai tuoi raggi; che il fuoco divino così validamente alimentato da te bruci nuovamente la terra.

SACRILEGIO

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SACRILEGIO

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, vol. III SEI Torino, 1930]

1.- Il sacrilegio è il più enorme dei misfatti. — 2. Empietà del sacrilego. — 3. Castigo dei profanatori dei sacramenti.

  1. IL SACRILEGIO È IL PIÙ ENORME DEI MISFATTI . — Sono perentorie, a questo proposito, le sentenze di S. Paolo ai Corinzi ed agli Ebrei: «Chiunque, scriveva a quelli, mangerà questo pane (l’eucaristico), o berrà il calice del Signore indegnamente, si farà reo del corpo e del sangue del Signore… egli si mangia e beve la sua condanna… » — “Quicumque manducaverit panem hunc, vel biberit calicem Domini indigne, reus erit corporis et sanguinis Domini … Iudicium sibi manducat et bibit non diiudicans corpus Domini( I Cor. X I , 27 – 29 ) . Agli Ebrei poi, dopo di aver detto che il profanatore crocifigge un’altra volta in sé il Figlio di Dio: — “Rursum cruciflgentes sibimetipsis Filium Dei(Hebr. VI, 6 ), così ragiona: « Se colui che per deposizione di due o tre testimoni è convinto di avere trasgredito la legge di Dio, viene senza pietà condannato a morte; pensate quanto più acerbo supplizio meriti colui che ha calpestato il Figlio di Dio, ha macchiato il sangue dell’alleanza nel quale era stato santificato ed ha oltraggiato lo spirito di grazia » — “Irritum quis faciens legem Moysis, sine ulla miseratione, duo bus vel tribus testibus, moritur. Quando magis putatis deteriora mereri supplicia, qui Filium Dei conculcaverit, et sanguinem testamenti pollutum duxerit, in quo sanctificatus est, et spiritui gratiae contumeliam fecerit” (Id. X, 28 – 29 ). – A tutta ragione pertanto S. Vincenzo Ferreri predicava che colui il quale si comunica indegnamente, commette peccato più enorme di colui che gettasse il Santissimo Sacramento in una fogna: [“Maius peccatimi est, quam si proiiceret corpus Christi in cloacam(Conc. de Corpor. Ch.)], e S. Bernardo chiama i profanatori del corpo di Gesù Cristo, peggiori di Giuda, perché costui consegnò il Salvatore in mano ai Giudei, mentre quelli lo consegnano al demonio, perché ne mettono il Corpo adorabile in un luogo soggetto alla potestà del demonio, tale essendo il loro corpo e il loro cuore [“Iuda traditore deteriores effecti, eo quod, sicut ille tradidid Iesum Iudaeis, ita isti tradunt diabolo, eo quod illum ponunt in loco sub potestate diaboli costituto(Serm. LV, c. III)] . « Non tanto indegno di ricevere il corpo di Gesù Cristo è il fango, dice Teofilatto, quanto l’impuro cuore del profanatore [“Lutum non adeo indignum est corpore divino, quam indigna est carnis tuae impuritasIn Hebr. XX, 16 ]. Di quale orribile misfatto non si farebbe reo, chi profanasse una chiesa, un altare, un tabernacolo, i vasi sacri! Ora che cosa pensare del delitto di chi si comunica indegnamente? – « Chi sarà così empio, domanda S. Agostino, che osi trattare il santissimo Sacramento con mani fangose? (2 (2) [“Quis adeo impius erit, qui lutosis manibus sacratissimum sacramentum tractare praesumat?” Serm. CCXLIV de Temp.]. – Ma chi tratta indegnamente il corpo di Cristo regnante nei cieli, pecca assai più gravemente di coloro che lo confissero in croce mentr’era su questa terra [“Gravius peccant indigne offerentes Christum regnantem in coelis, quam qui eum crucifixerunt ambulantem in terris” – S. AUGUST. In Psalm. LXVII, 22]. Perché, come nota Tertulliano, i Giudei soltanto una volta catturarono, malmenarono e crocefissero il Cristo; mentre il sacrilego Lo prende, Lo lega, Lo maltratta, Lo crocifigge tutte le volte che indegnamente si comunica. Di quale misfatto si fa colpevole chi cambia la Redenzione in perdizione, la Comunione in veleno, la vita in strumento di morte!… « Ah tolga Iddio! esclama S. Pier Damiani, che colui il quale adora idoli di carne, ardisca accogliere nel tempio di Venere, il Figlio della Vergine! [“Absit ut aliquis h-uic idolo substernatur, et filium Virginis in Veneris tempio suseipiat!” – In Epist.] ». « E se volete peccare, dice S. Bernardo, cercatevi un’altra lingua che ancora non rosseggi del sangue di Gesù Cristo [“Quando peccare volueris, quaere aliam linguam quam eam quae rubescit sanguine Christi”  (Serm. in die Passion.)].

2. EMPIETÀ DEL SACRILEGO. — Il Vangelo racconta che Giuda, recatosi dai principi dei sacerdoti, disse loro: Che cosa volete darmi, ed io vi consegnerò nelle mani il Cristo? Essi gli promisero trenta monete d’argento, e da quel punto Giuda studiò l’occasione di tradire Gesù Cristo ( MATTH. XXVI, 14 – 16 ). Il sacrilego fa anch’egli un patto con Satana e gli dice: Che cosa vuoi darmi, ed io ti consegnerò Gesù? Dammi quel piacere impuro, quelle ricchezze, quello sfogo di vendetta, ed io ti darò in cambio il mio Dio!… – I sacrileghi vendono, tradiscono Gesù a imitazione di Giuda, con questa differenza che il tradimento di Giuda si cambiò in bene per la salute universale, ma il peccato del profanatore sacrilego non serve che a oltraggiare Gesù e a rallegrare l’inferno. Dio è nostro Padre, ed il migliore dei padri … E che cosa fa il sacrilego? Egli s’innalza contro Dio, Lo flagella, Lo crocifigge, Lo annienta per quanto gli è possibile… Non è dunque un parricida?… Dio l’ha colmato e tuttavia gli è largo di benefizi, ed egli insolentire, disprezzarlo, perseguitarlo come suo mortale nemico… Non si deve chiamare mostro d’ingratitudine?… Udite com’egli se ne lamenta: «Se fosse un mio nemico quello che m’insulta, lo sopporterei; se contro di me si fosse sollevato chi mi odia, forse mi sarei sottratto alle sue persecuzioni: ma ribellarti a me, combattermi, insultarmi tu che io riguardava come un altro me stesso; tu che vivevi con con me alla familiare; tu il confidente dei miei segreti, che ti cibavi alla mia mensa; tu col quale io camminava d’accordo nella casa del Signore? » {Psalm. LIV, 12-15); ah! questo è un tale eccesso d’ingratitudine, che supera la malizia dell’uomo… Vi è in questo procedere tale mostruosa impostura, che sa di diabolico. Giuda con un finto bacio tradisce il maestro… il profanatore sacrilego con le mani giunte sul petto, con gli occhi fìssi a terra, con le ginocchia piegate, in atteggiamento di rispetto e di preghiera, vende il Salvatore a satana. – Ma non basta il dire che nella condotta del sacrilego vi è un certo non so che di diabolico; bisogna dire che è egli medesimo un demonio in carne ed ossa. Infatti non è forse il nome con cui Gesù Cristo medesimo chiamò Giuda allorché si preparava a tradirlo? — [“Unus ex vobis diabolus est” IOANN. VI, 71). E S. Paolo non lascia anch’egli intendere chiaramente questa verità, cioè che il sacrilego diventa un demonio, dove scrive ai Corinzi: « Io non voglio che voi abbiate società alcuna coi demoni. Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; nè stare alla mensa del Signore e alla tavola dei demoni » — [“Nolo vos socios fieri daemonium. Non potestis calicem D o m i n i bibere, et calicem daemoniorum; non potestis mensae Domini participes esse et mensae daemoniorum( I Cor. X , 20-21)]. « Colui che si comunica, conscio a se medesimo di peccato mortale, è peggiore di un diavolo», dice S. Giovanni Crisostomo – [“Multo daemonio peior est, qui peccati conscius, accedit ad altare (Homil. ad pop. )]. E S. Isidoro dice che in questo traditore sacrilego il demonio entra tutto intero [“Totus daemon se insinuat in proditore (Epist.).]. Ciò non ostante, o come frequentemente Gesù Cristo potrebbe dire a quelle turbe di gente che fanno ressa al sacro altare: « Voi siete mondi, ma non tutti » — [“Vos mundi estis, sed non omnes” ( Joan. XIII, 10), « e vi è tra di voi chi mangia il pane con me, il quale alzerà contro di me il calcagno » — [“Qui manducat mecum panem, levabit contra me calcaneum suum (Ib. 18)]. « Io vi dico in verità che si trova qui chi mi tradirà » — [“Amen dico vobis, quia unus ex vobis tradet me” (Ib. 21). Risponderete forse voi con Giuda: sono io, o Signore? Sì, siete proprio voi, il sacrilego, il traditore, se avete celato in confessione qualche peccato mortale … ; siete voi il traditore, se vi siete accostati al tribunale della penitenza senza contrizione…; siete voi, se non avete fatto un saldo proponimento di non peccare, se conservate qualche colpevole attaccamento a cosa peccaminosa… Le vostre comunioni vi fanno esse perdere le vostre cattive abitudini? Domanda S. Bonaventura, e risponde che se così non è, avete ragione di credervi sacrileghi profanatori.

  1. CASTIGO DEI PROFANATORI DEI SACRAMENTI. — « Guai a colui che tradirà il Figliuolo dell’uomo! Meglio sarebbe per costui che non fosse mai nato » — “Vae homini per quem Filius hominis tradetur. Bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille” ( MATTH. XXVI, 24), disse il Maestro Divino alludendo non solamente a Giuda, ma a tutti quelli che, imitatori di Giuda, l’avrebbero sacrilegamente ricevuto. E volete vedere l’adempimento di questa minaccia? Uditelo dalla bocca di S. Giovanni: « Dopo che Giuda si fu comunicato, Satana se ne impadronì » — “Post buccellam, introivit in eum Satanas” (JOANN. XIII, 27). Terribile castigo, diventare schiavo e corpo di Satana! e qual altro castigo tien dietro al primo? Lo dice S. Giovanni Crisostomo: « Il primo traditore, il primo sacrilego, perde l’anima sua, egli si trova al presente nell’inferno sottoposto a inevitabile supplizio [“Proditor aniinam suam perdidit; proditor in inferno nunc est inevitabile ferens Supplicium” (Hom. I in Prodit Iudae)]. A tutta ragione dunque, esclama spaventato S. Bernardo: “Guai e mille volte guai a chi con anima immonda si accosta al sacro altare! [“Multum vae illi, qui immundus accesserit!(De Ori. vitae)] ».Come abbiamo veduto, S. Paolo dice apertamente, che chi mangia e beve indegnamente il corpo e il sangue di Gesù Cristo, si mangia e beve la propria condanna ( I Cor. II , 29), e che se si condannava a morte chi aveva violato la legge di Mose, molto più acerbi supplizi aspettano colui che conculca il Figlio di Dio, ne profana il sangue, ne contrista lo spirito (Hebr. X, 29); ai Corinzi poi rivela che se vi sono tra di loro molti infermi e deboli e molti colpiti di morte, se ne deve dare la colpa alle comunioni loro indegne e sacrileghe: — [“Ideo inter vos multi infirmi et imbecilles, et dormiunt multi” (I Cor. XI, 30) ]. Ah! quanto è vero che sui sacrileghi profanatori piovono quelle tremende imprecazioni di Davide: « Piombi su di loro la morte e discendano vivi nell’inferno » — “Veniat mors super illos, et descendant in infernum viventes” (Psalm. LIV, 16). « Sia questa mensa per loro un laccio; si oscurino gli occhi loro, affinché non veggano » — [“Fiat mensa eorum ipsis in laqueum; obscurentur oculi eorum ne videant” (Psalm. LXVIII, 23-24). « Versate, o Signore, sopra di essi l’ira vostra, e il fuoco della vostra collera li investa; siano dimenticati per sempre dalla vostra clemenza, e scancellati dal libro della vita » — “Effunde super eos iram tuam; et furor irae tuae comprehendat eos; non intrent in iustitiam tuam; deleantur de libro viventium (Psalm. LXVIII, 25, 28-29). Oza porta imprudentemente la mano sull’arca del Signore, ed eccolo cadere morto, percosso dall’ira del Signore: — “Extendit Oza manum ad arcam Dei; iratusque est Dominus contra Ozam, et percussit eum, qui mortuus est ibi( II Reg. VI, 6-7) . Oh, a quanti cristiani invisibilmente avviene quello che il Salmista dice degli ebrei mormoratori e ribelli a Dio, nel deserto: «Avevano tuttavia in bocca le loro vivande, e già la vendetta di Dio li aveva colpiti di morte » (Psalm. LXXVII, 34-35). « Chiunque, dice S. Pier Damiani”, osa accostarsi ai sacri altari col fuoco della concupiscenza carnale nelle viscere, questi è senza dubbio consunto dal fuoco della divina vendetta [“Quisquis carnalis ooncupiscentiae fiamma aestuat, et assistere altaribus non formidat; ille, procul dubio, divinae ultionis igne consumitur(Opusc. XXVI, c. 3)]. Guai alle mani sacrileghe! Esclama S. Tommaso da Villanova, guai ai cuori immondi che indegnamente ricevono il loro Dio! Non vi è supplizio, né tormento che basti a punire l’oltraggio che a Gesù Cristo fa il sacrilego profanatore del Sacramento [“Vae sacrilegis manibus! vae pectoribus immundis! Omne supplicami minus est delicto quo Christus contemnitur in hoc sacrificio! (Conc. III, de Sanct. Altar.)]. San Cipriano parlando di una femmina che, essendosi sacrilegamente comunicata, cadde morta sull’istante ai piedi della sacra mensa, dice: « Essa ricevette non un cibo, ma una spada; cadde a terra come se avesse ingoiato un veleno; e colei che aveva ingannato l’uomo, trovò per vendicatore un Dio [“Non cibum sed gladium sibi sumens, et velut quaedam venena laethalia, palpitans et crepidans concidit; et quae fefellerat hominem. Deum sensit ultorem” (Serm. V, de Lapsis)] – Molti altri esempi di castighi repentini e visibili incolti ai sacrileghi sono registrati dalla storia. S. Ottato, vescovo di Milevi nell’Africa, narra, cosa incredibile e orrenda! che avendo alcuni vescovi Donatisti (eretici) ordinato che le specie eucaristiche fossero gettate ai cani., si videro allora sensibili indizi della collera divina, perché quegli animali, divenuti improvvisamente arrabbiati, si avventarono contro i loro padroni, e coi loro denti ne misero i corpi a brandelli [“Sancti eorporis reos, dente vindice, tamquam ignotos et inimicos laniaverunt(Contra Donat.]. Avvenne ai tempi di S. Giovanni Crisostomo, che molti, ricevuta l’Ostia sacra, restavano invasati dal demonio. San Gregorio Magno ricorda una esemplare punizione toccata ad ottanta profanatori del corpo di Gesù Cristo, i quali furono, nell’atto stesso della sacrilega Comunione, assaliti da schifosa pestilenza che li trasse in poco tempo a spaventosa morte. S. Anselmo attesta di avere veduto, dopo le pasque, malattie gravissime a cagione dei sacrilegi (In Monol.). Chi ignora la terribile vendetta che il cielo fece d i Lotario re di Francia, e di parecchi altri signori della sua corte, per causa di un sacrilegio? Infatti questo re, avendo osato, aggiungendo il sacrilegio allo spergiuro, ricever dalle mani di Papa Adriano II il sacro corpo di Cristo in conferma del giuramento da lui fatto di essersi, dopo la scomunica di Papa Niccolò, astenuto da ogni relazione con l’adultera Valdrada, non ostante che il Sommo Pontefice l’avesse ammonito della condanna in cui sarebbe incorso se avesse osato profanare il sangue del Signore con una Comunione sacrilega, non tardò a pagare il fio del doppio delitto. Se ne tornava al suo regno, tutto allegro e contento di aver potuto ingannare il Papa, quand’ecco, appena giunto a Lucca egli, col suo seguito, è assalito da una febbre maligna con sintomi e conseguenze non mai più vedute. I capelli, le unghie, la pelle medesima cadevano loro a squame, mentre un fuoco interno li divorava. Il re trasportato a Piacenza, perdette la parola e la cognizione e morì senza dare segno di pentimento. In quanto poi alla sua gente, fu osservato che coloro i quali all’intimazione del Papa, che si accostassero alla sacra mensa solo quelli che potevano giurare di non avere né consentito né cooperato agli adulteri del loro signore con Valdrada, avevano ardito di profanare con lui il corpo di Gesù Cristo, morirono allo stesso suo modo; mentre quelli che temendo un tanto sacrilegio, si erano astenuti dalla santa Comunione, o non furono colti dalla febbre o ne guarirono (Storia della Chiesa di Francia). – Innumerevoli altri fatti certi ed autentici si potrebbero citare per provare che Dio punisce i sacrileghi ben sovente anche in questa vita, con castighi temporali. – Tremate, o profanatori del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo! Tremate voi che vi mangiate e vi bevete il vostro giudizio e la vostra condanna! Perché cosa orrenda, dice l’Apostolo, è il cadere nelle mani del Dio vivente! — “Horrendum est incidere in manus Dei viventis!” (Hebr. X, 31). Tremate, perché Dio non si beffa impunemente: — “Deus non irridetur” (Gal. VI, 7); ed i sacrileghi profanatori de’ suoi sacramenti saranno sommersi dice Santa Brigida, nel fuoco dell’inferno al di sotto dei demoni medesimi: — “Prae omnibus diabolis profundius submergentur in infernum”. – « L’uomo dunque provi se stesso, poi mangi di quel pane e beva di quel calice » — “Probet autem seipsum homo, et sic de pane illo edat, et de calice bibat( I Cor. XI, 28). Queste parole dell’Apostolo Paolo hanno la loro spiegazione in queste altre di S. Agostino: « Chi vuole ricevere la vita, muti vita, perché se non cangia vita, riceverà la vita a sua condanna; e ricevendo indegnamente quella vita che è Gesù, cade più profondo nella corruzione; invece di attingervi la santità dell’anima, vi incontra la morte [De Civit. Dei]. Più innanzi si spinge S. Pier Damiani e dice: « Guardatevi dall’accostarvi all’altare con troppa tepidezza; perché vi comunicate male, se non vi accostate con profondo rispetto e molta attenzione (Opusc. XXVI, c. 3) ». Il provarsi importa dunque: 1° fare una buona confessione; 2° pentirsi sinceramente; 3° correggersi; 4° istruirsi; 5° mettersi in istato di grazia; 6° avere sensi di fede, di speranza, di amore, di umiltà, di desiderio, e simili . ..

P.S. Attenzione ai sacramenti invalidi, e soprattutto “illeciti”, già di per se stessi e senz’altro, sacrileghi! [n.d.r.].

Doni dello Spirito Santo: Il dono di TIMORE

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Doni dello Spirito Santo: Il dono di TIMORE.

[J. -J. Gaume, Trattato dello Spirito Santo, vol. II cap. XXVII]

   Quando Isaia fa conoscere alla terra i doni dello Spirito Santo, non li chiama Doni ma Spiriti. San Tommaso ci ha mostrato la perfetta equità di un tal linguaggio. Egli prova che i doni dello Spirito Santo, sono come il soffio permanente dello Spirito settiforme, che pone in movimento tutte le virtù e tutte le potenze dell’anima. Uno degli ultimi rappresentanti della grande teologia del medio evo, sant’Antonino, conserva la stessa denominazione. «I sette doni dello Spirito Santo, dice quest’illustre dottore, sono i sette Spiriti mandati per tutta la terra contro i sette Spiriti maligni di cui parla il Vangelo. Lo Spirito di timore caccia Io Spirito d’orgoglio. Lo Spirito di pietà caccia lo spirito dell’ invidia. Lo spirito di scienza caccia lo spirito d’ira. Lo spirito di consiglio caccia lo spirito d’avarizia. Lo spirito di forza caccia lo spirito di pigrizia. Lo spirito d’intelligenza caccia lo spirito di gola. Lo spirito di sapienza caccia lo spirito di lussuria. » [“Haec dona sunt septem Spiritus missi in omnem terram contra septem Spiritus nequam, de quibus dicitur. Matth. XII. …. Domini timoris expellit superbiam…. donum pietatis expellit spiritimi invidia…. Spiritus scientiae repellit spiritum irae…. Spiritus consilii fugat spiritun avaritiae…. Spiritus fortitudinis illuminat spiritum tristem accidiae…. Spiritus intellectus removet spiritum gulae…. Spiritus sapientiae obruit spiritum luxuriae”…. Summ. theolog., IV p., tit.. X, c. I, § 4]. – Questo sguardo luminoso ci scuopre e la natura intima dei sette doni dello Spirito Santo, e l’ufficio necessario che adempiono, e il posto immenso che occupano nell’opera dell’umana redenzione. In una parola, il santo arcivescovo rivela e giustifica tutto il piano dell’opera nostra. Difatti, due spiriti opposti si disputano l’impero del mondo. Checché egli faccia, l’uomo vive necessariamente sotto l’impero del buono e del cattivo spirito. Gesù Cristo, o Belial: non vi è via di mezzo. – Tali sono le verità, fondamenti di ogni filosofia, luce di ogni storia, che non cessiamo di dimostrare. – Ora, secondo la rivelazione dello stesso Verbo, lo Spirito maligno, satana, cammina accompagnato da sette altri spiriti più cattivi di lui. Questi spiriti ci sono noti e pei loro nomi e per le loro opere. Pei loro nomi, la lingua cattolica gli appella: lo spirito di orgoglio, lo spirito d’avarizia, lo spirito di lussuria, lo spirito di gola, lo spirito d’ invidia, lo spirito d’ira, lo spirito di pigrizia. – Per le loro opere, essi sono gli ispiratori ed i fautori di tutti i peccati, di tutti i disordini privati e pubblici, di tutte le vergogne, di tutte le bassezze, per conseguenza la causa incessante di tutti i mali del mondo. – Chi di noi non è stato in balia dei loro assalti? chi più d’una volta, non ha sentito la loro maligna influenza? Crudeli, maliziosi, infaticabili, notte e giorno ci assediano e ci travagliano. L’ uomo abbandonato a sé stesso è certamente troppo debole a sostenere la lotta: testimone la storia dei privati e dei popoli, i quali si sottraevano all’influenza dello Spirito Santo. – Inoltre, uno dei dommi più consolanti della religione è quello che ci mostra lo Spirito del bene, che viene in aiuto dell’uomo con sette spiriti, o sette potenze opposte alle sette forze dello spirito del male. Questi sette spiriti ausiliari ci sono del pari noti pei loro nomi e opere. – Pei loro nomi si appellano: Spirito di timor di Dio, spirito di consiglio, spirito di sapienza, spirito d’intelletto, spirito di pietà, spirito di scienza e spirito di forza. Per le opere loro, sono gli ispiratori di tutte le virtù pubbliche e private, i promotori di tutti i sacrifizi, di tutto ciò che onora ed abbellisce l’umanità, per conseguenza la causa incessante di tutti i beni del mondo. [“Neque enim est ullum omnino domini absque Spiritu sancto ad creaturam perveniens.” S. Basil., De Spir. Sanct., p. 66]. – Per ripeter tutto in due parole, il genere umano è un gran Lazzaro, colpito da sette ferite mortali: un debole soldato, che è, di e notte, alle prese con i sette nemici formidabili. – Lo Spirito dei sette doni diviene l’infallibile medico di questo Lazzaro, recando a lui i sette rimedi che ci vogliono per le sue piaghe; l’ausiliario vittorioso del soldato, che pone a sua disposizione sette forze divine opposte alle sette forze infernali. – Disegnando con questa precisione la condizione dell’uomo terreno, la teologia cattolica, che é altresì la vera filosofia, può dare essa una più chiara intelligenza dei sette doni dello Spirito Santo, farne meglio sentire l’assoluta necessità e ispirare alle nazioni, come agli individui un timore più serio di perderli? – Resta a spiegarsi ciascuno di questi doni meravigliosi in sé medesimi e nella sua opposizione speciale ad uno dei peccati capitali. – Il primo che si presenta è il timore. A fine di darne una pratica cognizione risponderemo a tre quesiti. che cosa è il dono di timore, quali ne sono gli effetti e quale la necessità. – 1° Che cosa è il dono di timore? Il timore è un dono dello Spirito Santo che ci fa temere Dio, come un padre, e fuggire il peccato perché dispiace ad esso. – Questo prezioso timore non è né il timore servile, né il timore mondano, né il timore carnale. Sebbene l’oggetto ne sia Dio, esso non è contrario alla speranza. – La speranza ha un duplice obietto, la felicità futura e i mezzi di pervenirvi. Duplice è pure l’obietto del timore: il male che l’uomo teme, e quel che può cagionarlo. Nel primo caso, Dio essendo la bontà infinita, non può essere l’obietto del timore; nel secondo, può esserlo. Difatti, può a causa delle nostre colpe, punirci e separarci da lui durante l’eternità. In questo senso, Dio può e deve essere temuto. Tal’è il dono di timore in sé medesimo. Eccolo adesso nei suoi rapporti con l’anima. – Nei sette giorni della creazione, i dottori della Chiesa hanno visto la figura dei sette doni dello Spirito Santo. Siccome ogni giorno della settimana primitiva, il Verbo faceva uscire dagli elementi, preparati dallo Spirito Santo, una nuova creatura; così, nella settimana che chiamasi la vita, ciascun dono dello Spirito Santo abbellisce il mondo morale, l’uomo, di una nuova meraviglia. – Al giungere di ciascun dono dello Spirito Santo in un’anima, si può con tutta verità applicare la parola del profeta: “Voi manderete il vostro spirito, e tutto sarà creato, e rinnoverete la faccia della terra”. Cosi, per l’uomo come per il mondo, la venuta del soffio divino è un’ora solenne di creazione e di rigenerazione. – Giustifichiamo questa bella armonia, e cominciamo col dono di timore. – L’uomo decaduto è talmente immerso ne sensi, che passa accanto alle più eminenti verità dell’ordine morale senza vederle, ovvero, se le intravede, n’è appena tocco. Ma allorché lo spirito di timore di Dio scende in luì, succede nella sua anima qualche cosa che rassomiglia a un tuono di fulmine in una notte oscura. Questo tuono, che fa tremare ogni cosa, è preceduto da un lampo che scinde le nere nubi e illumina l’orizzonte. – Cosi avviene nel cuore dell’ uomo, allorché lo Spirito di timore di Dio vi fa il suo ingresso. Come luce istantanea, dissipa le tenebre e mostra nella loro chiarezza la grandezza di Dio e la laidezza del peccato. Come forza, produce nell’anima una commozione che lo scuote profondamente. « Egli guarda la terra, dice il profeta, e la fa tremare. » [Ps. 103]. – Questa terra è il cuore dell’uomo. Da questa terra, istantaneamente illuminata e vivamente scossa, vedonsi uscire come due piante immortali, un profondo rispetto per Iddio, e un orrore estremo del peccato. Noi le conosceremo studiando la seconda tesi. 2° Quali sono gli effetti del dono di Timore di Dio? Come lo abbiamo indicato, il dono di timore produce due effetti: il rispetto per Iddio e l’orrore del peccato. – Rispetto per Iddio: non rispetto ordinario, ma rispetto piuttosto che di cuore, di ragione; rispetto profondo, universale, pratico. Agli occhi dell’anima, ripiena dello spirito di timore, Iddio solo é grande. Dinanzi alla sua maestà sparisce ogni maestà; dinanzi alla sua autorità, ogni autorità; dinanzi ai suoi diritti, ogni diritto; dinanzi al suo servizio, ogni servizio; dinanzi alla sua parola, ogni parola; dinanzi alle sue promesse, ogni promessa; dinanzi alle sue minacce, ogni minaccia; dinanzi ai suoi giudizi, ogni giudizio. – Questa maestà infinita, non la contempla soltanto in sé medesima, ma la vede riflessa in tutte le potenze stabilite da Dio: potenze religiose e potenze sociali; potenza paterna e potenza civile, potenze superiori e. potenze inferiori. Esso la vede in tutto ciò che porta l’impronta divina: l’uomo e il mondo. – Quindi, rispetto della Chiesa, rispetto delle sacre Scritture, rispetto della tradizione, rispetto delle cerimonie, dei templi, dei giorni e delle cose di Dio. Rispetto dell’anima e di ciascuna delle sue facoltà; rispetto del corpo e di ognuno, dei suoi sensi; rispetto del prossimo, della sua fede, dei suoi costumi, della sua vita, della sua reputazione, dei suoi beni, della sua debolezza, della sua povertà, rispetto della sua vecchiezza, della sua superiorità e de’ suoi diritti acquisiti. – Rispetto delle creature: per l’allievo della cresima,alumnus chrismatis”, tutte sono sacre; tutte vengono da Dio, appartengono a Dio, debbono ritornare a Dio. Egli usa di tutte e di ciascuna: in ispirito di dipendenza, perché nessuna è sua proprietà; in ispirito di timore, bisognando render conto di tutto; in ispirito di riconoscenza, poiché tutto è benefizio; anche l’aria che si respira. – Come vedesi, il dono di timore di Dio è il fondatore di ciò che ci è di più necessario al mondo; e soprattutto al mondo attuale: la religione del rispetto. Orrore del peccato. Mercè il dono di timore, l’anima trovasi subito in altro stato : essa non si riconosce più. I grandi dommi della maestà di Dio e dell’enormità del peccato, della morte, del giudizio, del purgatorio e dell’inferno, poco fa nell’oscurità o nel crepuscolo, brillano per lei di uno splendore cosi vivo che esclama con santa Caterina da Siena: « Se io vedessi da una parte un mare di fuoco, e dall’altra, il più piccolo peccato, mi getterei piuttosto mille volte nel fuoco, che commettere questo peccato. » – 11 cristiano, meravigliato di non aver sempre visto ciò che vede, afflitto di non aver sempre sentito ciò che sente, ma arricchito però del dono di timore di Dio, esclama con tutta la sincerità della sua meraviglia e in tutta la vivezza del suo dolore: Chi non vi temerà, o Signore, e chi oserà offendervi; voi, solo grande, solo santo, solo buono, solo potente, voi padrone sovrano della vita e della morte, giudice supremo dei re e dei popoli; voi che rivedete tutti i giudizi e giudicate le giustizie medesime; voi, tra le mani di cui è orribile il cadere; Dio vivo, il Quale, dopo aver fatto morire il corpo, potete precipitare l’anima nell’inferno; voi che, non potendo soffrire la vista medesima dell’iniquità, la perseguitate, da seimila anni, in qua, con castighi spaventosi, negli angeli o negli uomini, e che la punirete con terribili supplizi per tutta l’eternità? Tali e più energici sono i sentimenti dell’ anima penetrata dello Spirito di timore di Dio. Come nulla vi è di più nobile, cosi nulla vi è di più indispensabile. 3.° Qual’ è la necessità del dono del timore ? È chiedere, se è necessario all’ uomo di diventar saggio, e di operare la salute dell’ anima sua. Ora, il timore è la prima condizione della sapienza e della salute. [“Initium sapientiae timor Domini”. Ps. 110. — “Cum rnetu et timore salutem vestram operamini”. Philip., II, 12]. – È domandare, se è necessario all’uomo di non perder nulla di ciò che, mentre lo fa uomo, lo impedisce di confondersi con l’animale. Ora, il timore di Dio fa l’uomo e tutto l’uomo. [“Deùm time et mandata ejus observa; hoc est enim omnis homo. Eccl., XII, 13]. – È domandare, finalmente, se è necessario all’uomo di conservare la sua libertà e la sua dignità di uomo e di cristiano. Difatti, bisogna ben che si sappia, che lo Spirito del timore di Dio è il solo principio, della libertà, il solo custode della dignità umana. La ragione è che solo egli ci libera da qualunque altro timore. L’uomo, qualunque sia, è esposto a tre sorta di timori: il timore servile; il timore mondano; il timore carnale. – Uno solo basta per fare dell’uomo, imperatore o re, uno schiavo ed uno schiavo degradato. – Il timore servile è quello che fa rispettare Dio per paura, e fuggire il peccato a cagion dei castighi. [“Timere Deum propter malum poenae, est timor servilis”. Viguier, c. XIII, p. 414]. L’amore di sé ne è il principio: quest’amore di sua natura non é cattivo, non essendo contrario alla carità. Esso non é contrario alla carità, poiché in virtù pure «Iella carità, l’uomo deve amarsi, dopo Dio più che gli altri: per conseguenza temere é risparmiarsi il male dell’anima e del corpo. Nato da questo amore personale, il timore servile non è dunque cattivo in se medesimo. Cercare anche di incuterlo ai peccatori, è una delle funzioni principali dei profeti. – « Ancora quaranta giorni, grida Giona ai Niniviti, e poi Ninive sarà distrutta. » [Jon., III, 4]. E Dio approvò la loro penitenza, benché nata dal timore servile: « Razza di vipere, dice san Giovan Battista ai Giudei induriti, chi v’ha insegnato a fuggire la collera futura? Già la scure è alla radice dell’ albero. Ogni albero che non fa buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco.2 » 2 [Matt, III, 10; Luc., III, 7-9]. – Lo stesso Nostro Signore, quante volte non ha egli toccato questa libra del timore servile, per condurre i peccatori a peziitenza! – Ora, è l’inferno con le sue fornaci eterne e le sue tenebre esteriori, che ricorda loro; ora è la parabola del fico sterile e del ricco malvagio, che egli pone sotto i loro occhi; ora colpisce le loro orecchie con queste fulminanti parole : « Se voi non fate penitenza perirete tutti senza eccezione. » [Luc., XIII, 3]. – Il timore servile non è dunque cattivo di sua natura. – Esso diviene tale, quando l’uomo, ponendo il suo fine in se medesimo, non rispetta Dio, né evita il peccato che in ragione del suo personale interesse. Essenzialmente contrario alla carità, una simile disposizione costituisce la servilità del timore e lo fa schiavo! Esso dice equivalentemente: Se Dio non avesse fulmini e se l’inferno non esistesse, io peccherei. – Quest’è il ragionamento dello schiavo che teme lo scudiscio, ma che non ama il suo padrone: dell’ebreo idolatra a piè del Sinai; dei pagani della Samaria, chiamati i proseliti dei leoni; di Antioco lo scellerato, in faccia ai terrori della morte; di tanti cristiani che calpestano le leggi di Dio e della Chiesa, perché non vedono nessuna sanzione penale alle loro prevaricazioni, o che se ne astengono allorché credono intravederlo, e unicamente perché credono intravederlo. Inutile d’insistere su ciò che vi ha di vergognoso e di colpevole nel timore servile. – Il timore mondano è quello che fa apprendere la perdita dei beni del mondo, delle ricchezze, delle dignità, degli onori e altre cose simili. [“Timor mundanus est quo quis timet temporalia amittere, ut divitias, dignitates, et hujusmodi.” S. Anton,, p. IV, tit. XIV, c. II, p. 228] – Innocente di sua natura, esso cessa d’esserlo allorché porta a peccare, per evitare di perdere questi vantaggi temporali. La storia è piena delle crudeltà, delle viltà, delle bassezze, dei tradimenti, degli avvelenamenti, degli assassini! delle vendite di coscienza, dei delitti d’ ogni genere che il timore mondano ha fatto commettere. – Faraone vede i figli d’Israele moltiplicarsi: teme per il suo regno, e ordina di far perire tutti i figli neonati degli Ebrei. Geroboamo, re d’Israele, teme che le dieci tribù, andando ad adorare il vero Dio a Gerusalemme, non sfuggano al suo dominio. Ei le strascina nell’ idolatria, e sotto pena di morte, i figli d’Abramo si inginocchieranno davanti ai vitelli d’oro, cominciando da Dan sino a Bersabea. Erode viene a sapere dai magi la nascita del re dei Giudei. Il timore di perdere la sua corona gli fa scannare tutti i bambini di Betlem e dei contorni. A tempo della Passione, i grandi sacerdoti hanno paura dei Romani; e per non perdere le loro dignità, la loro fortuna e la loro potenza, decretano la .morte dei Figliuolo di Dio. Pilato riconosce e proclama l’innocenza di Nostro Signore, resiste pure al furore dei Giudei; ma Pilato ha paura di perdere l’amicizia di Cesare e, perdendola, di perdere il suo posto: Pilato tradisce la sua coscienza e abbandona il sangue del Giusto. – Non vi è un regno dell’antichità e dei tempi moderni che non presenti qualcuna ed anche un gran numero di queste iniquità pubbliche, di queste illustri ignominie, figlie del timore mondano. Se scendiamo ad un ordine meno elevato, come dire le vergognose blandizie, le abdicazioni di coscienza e di carattere, i colpevoli intrighi, le ingiustizie, le crocifissioni della verità, le devozioni ipocrite dei Pilati in piccolo, dei Giezi cupidi e coperti di lebbra, sempre tanto numerosi nelle epoche come la nostra, dove tutto si vende, perchè tutto si compra ? [S. Ambr. apud S. Anton., tit. XIV, c. II, p, 130]. – Scendiamo ancora dell’altro e domandiamo a quelle moltitudini di giovani, d’uomini e di donne, perché volgono il dorso alla religione e abbandonano perfino i più sacri loro doveri: la frequentazione dei sacramenti, la santificazione della domenica? Perché sorridono a delle parole, si conformano a delle mode e si sottomettono a delle usanze che la loro coscienza sconfessa? Non uno di questi transfughi che non sia forzato a confessarsi schiavo del rispetto umano, cioè dire del timore mondano. – Il timore carnale è quello delle incomodità corporee, delle malattie e della morte. Rinchiuso in giusti limiti questo timore non ha nulla di reprensibile: esso diviene colpevole quando, per evitare i mali del corpo, porta a sacrificare, peccando, i beni dell’anima.1 [S. Anton. ubi supra, c. III, p. 131]. – Niente di più colpevole, nulla di più degradante, né di più comune, quanto il timore carnale preso nel cattivo senso. Nulla di più colpevole. Il Salvatore è arrestato, condotto alla casa di Caifa e consegnato senza difesa agli indegni trattamenti della soldatesca. Tu sei discepolo di quest’uomo, dicono a Pietro i servi del gran sacerdote. A queste parole il timore carnale s’impadronisce di Pietro, teme per se medesimo la sorte del suo maestro; e Pietro diviene rinnegato, rinnegato pubblico e bestemmiatore. Quanti Pietro nella serie dei secoli! – Nulla di più degradante. Queste parole del Profeta trovano il loro vero posto nella bocca dello schiavo del timore carnale : « Lo spavento della morte è caduto su di me, il terrore ed il tremito si sono impadroniti di me, ed io sono stato coperto di tenebre. » [Ps. XXXIV]. – La vista dei supplizi ed anche degli strumenti di supplizio, il timore del dolore, l’apprensione della morte fanno perdere il capo. In questo stato, dinieghi, proteste, giuramenti, promesse, nulla di così indegno che non sia pronto a fare e che non faccia lo schiavo del timore carnale. Per salvare il meno, sacrifica il più ; per evitare delle pene passeggere, ei si sacrifica a pene eterne; per preservare il suo corpo, dà la sua anima, e perde la sua anima e il suo corpo. – Niente di più comune. Anche nei casi ordinari d’infermità e di malattie, di che cosa non è capace lo schiavo del timore carnale? Non 1’abbiamo visto e non lo vediamo anche ogni giorno ricorrere a mezzi vergognosi e illeciti, sia per prevenire degli incomodi corporei, sia per recuperare una salute che il padrone della vita trova buono di non lasciargliela tutta intera? Che sono, oggi più che mai, tutte quelle adorazioni della carne, tutta quella mollezza di costumi e di educazione, tutti quegli infiacchimenti dinanzi al dovere, tutti quelli orrori della pena e della mortificazione, tutte quelle ricerche anticristiane di lusso e di benessere, tutte quelle consulte mediche di medium più che sospette? Frutti del timore carnale. – Liberarci da queste vergognose tirannie è il primo beneficio del dono del timore di Dio. Il timore servile, con l’egoismo che lo inspira, con le diffidenze e gli oscuri terrori che l’accompagnano, sparisce davanti al timore figliale. Trovando in se stesso la testimonianza che esso è figlio di Dio, colui che lo possiede teme Iddio, come un figlio teme suo padre. Sempre il suo timore è accompagnato da confidenza e amore. Neppur dopo le sue colpe, questo doppio sentimento l’abbandona mai: è il fìgliuol prodigo che fa ritorno a suo padre. – Quanto al timore mondano ed al timore carnale non hanno essi più su di lui impero illegittimo. Il timore figliale gli domina, gli assorbe, oppure gli bandisce affatto. – Egli non teme, non rimpiange, non deplora seriamente che una cosa, il peccato. Ei lo teme, se ne pente, lo deplora, non per interesse egoista, ma per amor di Dio e per rispetto alla sua Maestà. La conclusione è, che il solo bel carattere, il solo indipendente, è il cristiano che teme Dio e Dio solo. In altri termini, la vera formula della libertà e della dignità dell’uomo, è quel celebre verso: “Io temo Dio, caro Abner, e non ho altro timore”. -Dal punto di visto puramente umano, vogliamo noi comprendere la necessità ed i vantaggi del dono del timore di Dio? Basta ricordarsi che l’uomo qualsiasi, non può vivere senza timore. Se ei non teme Iddio, teme la creatura. Ora, ogni uomo che teme la creatura è uno schiavo. La sua libertà, la sua dignità, la sua coscienza medesima appartiene a colui di cui ha paura: fuori di Dio, l’essere temuto non è e non può essere che un tiranno. – Ecco ciò che dovrebbe comprendere e ciò che non comprende l’uomo che ha la pretensione di diventar libero, scuotendo il giogo di Dio. Ecco ciò che dovrebbe comprendere e ciò che non comprende il nostro secolo. – Per conquistare la libertà, è sempre con la febbre di rivoluzioni. – Esse si moltiplicano e ciascuna gli ribadisce più che mai al collo ed ai piedi le catene della schiavitù. – Questa schiavitù diverrà sempre più dura, e sempre più vergognosa, più e più generale, via via che il mondo comprenderà sempre meno, che il dono del timore di Dio, è il principio della libertà morale, e che la libertà morale è madre di tutte le altre. Dove è lo Spirito Santo, ivi è la libertà, “ubi Spiritus Dei, ibi Libertas”: essa non è che qui. – Un secondo benefizio dello Spirito di timore è di armarci contro lo spirito d’orgoglio.[“ De septem donis”, etc., p. 238. — “Donimi enim timoris espelli superbiam, quia timor facit hominem humiliari ei quem timet”. S. Anton., t. X, c. I, p. 152]. – Se lo Spirito Santo ha i suoi sette doni, santificatori dell’uomo, e del mondo, il demonio altresì ha i suoi sette doni “corruttori” dell’uomo e del mondo. Ciascun dono di satana è la negazione, o la distruzione di un dono parallelo dello Spirito Santo; e nel loro complesso, i doni satanici formano il contrapposto adeguato dell’economia della nostra deificazione. Ne risulta, che la lotta all’ultimo sangue di questi spiriti contrari, è tutta la vita dell’umanità. Assistiamo per un istante a questa lotta di cui noi siamo lo zimbello. – Il primo dono che ci comunica lo Spirito Santo, è il timore. Che cosa fa il dono di timore? Prima di tutto, ci rende piccoli sotto la potente mano di Pio. Dall’intimo sentimento del nostro nulla e della nostra colpabilità, scaturisce l’umiltà. Essa come madre e custode di tutte le virtù, “mater custosque virtutum”, produce alla sua volta la diffidenza di noi stessi, del nostro giudizio, della nostra volontà; la vigilanza sul nostro cuore e sopra i nostri sensi; il fervore nei nostri rapporti con Dio; la modestia, la dolcezza, l’indulgenza riguardo al prossimo; tutte queste disposizioni, figlie del dono di timore, sono il fondamento dell’edilizio che vengono a compiere, sovrapponendosi, gli altri doni dello Spirito Santo. [S. Anselm., De Similitud., c. CXXX].Perciò, resta evidente che lo Spirito di timore costituendoci nella verità, doveva esserci dato il primo, e che il primo insegnamento uscito dalla bocca del Redentore doveva essere l’insegnamento dell’umiltà.11 [Matth. V, 3, et II, 29]. – In virtù dell’antagonismo perpetuo, da noi tante volte segnalato, non rimane però meno evidente che la prima goccia di virus che Satana ci distillerà nell’anima, sarà il contrario dell’ umiltà. Quale sarà egli? L’orgoglio. – Perché l’orgoglio? Perché il demonio é il padre della menzogna, e l’orgoglio è menzogna. Che cosa fa l’orgoglio? ci sposta dal vero e ci costituisce nel falso. – Falso, rispetto a noi stessi: noi non siamo nulla, e l’orgoglio ci persuade che noi siamo qualche cosa; ci gonfia, c’innalza, ci ispira delle ingiuste preferenze e ci riempie di confidenza e di compiacenza in noi medesimi. – Falso, rispetto a Dio e al prossimo. Quanto più l’orgoglio ci ingrandisce ai nostri propri occhi, tanto più indebolisce in noi il sentimento dei nostri bisogni e la conoscenza de’ nostri doveri. Per l’orgoglioso ci vuole più preghiera seria, più vigilanza severa e sostenuta; più consigli chiesti o accettati; pieno di sé medesimo, egli sa tutto, ha visto tutto, basta a sé in ogni cosa, lui e sempre lui. Presuntuoso, rotto, superbo, strisciante davanti al forte, despota verso il debole, egoista, querelatore, crudele, chiacchierone, odioso a tutti e ingovernabile, egli diventa la prova vivente di questa verità: che l’orgoglio è la deformità la più radicale dell’umana natura. [“Fili, sine consilio nihil facias et post factum non poenitebit. Eccli., XXX, 24. — Qui autem confidit in cogitationibus suis, impie agit. Prov. XII, 2. — “Novit justus jumentorum suorum animas; viscora autem impiorum crudelia.” Prov., XII, 10. — “Via stulti recta in oculis ejus ; qui autem sapiens est audit consilia”. Prov., XII, 15. — “Filius sapiens doctrina Patris; qui autem, illusor est, non audit cum arguitur”. Prov., XIII, 1]. – Questa deformità conduce alla dissoluzione di tutti i legami sociali e dà nascimento alla “religione del disprezzo”, negazione adeguata della religione del rispetto. Il seguace di questa religione satanica tutto disprezza: Dio, i suoi comandamenti, le sue promesse e le sue minacce: la Chiesa, la sua parola, i suoi diritti, ed i suoi ministri: i genitori, la loro autorità, le loro tenerezze, i loro capelli bianchi; l’anima, il corpo e tutte le creature. Egli usa ed abusa della vita come se ne fosse proprietario e proprietario irresponsabile. Tale fu la religione del mondo pagano; tale ridiventa inevitabilmente quella del mondo attuale, a misura ch’egli perde il dono del timore di Dio. “Religione del rispetto”, o “religione di disprezzo”; a questa alternativa non si sfugge.Però, sta scritto che l’umiliazione segue l’orgoglio, come l’ombra segue il corpo. [“Ubi fuerit superbia, ibi erit et contumelia. Prov., XI, 2]. Umiliazione intellettuale, il giudizio falso,- l’errore, l’illusione. Umiliazione morale, l’impurità con le sue vergogne. Umiliazione pubblica, Amanno spira sopra un patibolo alto cinquanta cubiti; Nabuccodonosor diventa simile a una bestia. Umiliazione sociale durante tutta la sua esistenza, l’antichità pagana che si dibatte tra il dispotismo e l’anarchia. Umiliazione religiosa, il mondo e l’ uomo pagani sono inevitabilmente prostrati ai piedi degli idoli immondi e crudeli. – Liberare l’umanità da simili ignominie, non è forse nulla? Chi la libera? Il dono del timor di Dio. Ci sarà di bisogno domandare se egli è necessario, soprattutto oggi?

La strana sindrome di nonno Basilio: 27

nonno

  “Domine exaudi orationem meam” …. ah mi perdoni, caro direttore, ma queste celebri parole dai salmi tenitenziali CI e CXLII, risuonano nella mia mente nel momento in cui mi accingo a scriverle questa mia ennesima missiva. Come lei certamente saprà il celeberrimo salmo CI è uno dei 7 salmi cosiddetti “penitenziali”, Salmi messianici che evocano la Passione di N. S. Gesù Cristo e che per noi costituiscono un momento di riflessione e di preghiera intensa nel riconoscerci peccatori bisognosi della pietà divina; tra essi ci sono pure il “Miserere mei” [che non è una canzonetta di un energumeno], il “De Profundis” ed altri che sono abbondantemente citati, interi o con versetti sparsi, nelle orazioni liturgiche, almeno in quelle che io ricordo come cattoliche (visto che tante cose, mi dicono, sono cambiate, e stanno ulteriormente cambiando … ma, le chiedo direttore, non dice il salmo CXVI “veritas Domini manet in aeternum?”(la verità di Dio è eterna, immutabile)… mica lo hanno cancellato dalla Bibbia … o no?!?, visto che sono capaci di tutto oramai …). Al versetto 7 leggo:   “Sono simile al pellicano del deserto”… eccolo: il “pellicano” … ma è lo stesso del “Adoro Te devote”, canto eucaristico per eccellenza (sapesse quante volte lo abbiamo cantato alla Messa con lo zio Tommaso!), in cui una strofa dice appunto “Pie pellicane, Jesu Domine…”. Ma anche il sommo poeta, che per tanti aspetti “strani” evoca miti rosacrociani e gnostici, ammantati da malcelati tomismi, nel descrivere in modo sublime la figura di S. Giovanni Apostolo nel Paradiso (XXV-113), scrive: “Questi è colui che giacque sopra ‘l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto”. Pensi che già il profeta Isaia (XXXIV, 11) era ricorso all’immagine di questo curioso animale nel prendere dimora nel deserto e tra le rovine (…del paganesimo e oggi -aggiungo- del modernismo … speriamo quanto prima!). Il pellicano quindi simboleggia il Cristo che dona il proprio Corpo come cibo, e il proprio Sangue come bevanda durante l’ultima cena. La ragione (lo ricordo brevemente a me stesso ed a qualche distratto lettore) è legata ad una antica leggenda secondo la quale questo uccello nutriva i suoi piccoli con la propria carne ed il proprio sangue, ed in effetti è curioso come questo uccello marino trattenga il cibo pescato in una sacca che ha sotto il becco e, giunto al nido, nutre i piccoli con esso curvandolo verso il petto per estrarne i pesciolini. Gli antichi, erroneamente, pensarono che l’animale si lacerasse le carni per farne uscire il sangue con cui nutrire i piccoli pellicani affamati. Per questo, il pellicano è divenuto poi il simbolo dell’abnegazione con cui si amano i figli divenendo l’allegoria del supremo Sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il Sangue e l’Acqua, fonte di vita per la salvezza degli uomini. Ecco perché esso compare spesso scolpito in molti altari antichi e ricamato sulla pianeta dei sacerdoti … ed infatti ricordo che lo zio Tommaso ne possedesse una con questo strano uccello che noi ragazzacci dell’epoca chiamavamo irreverentemente e con somma ignoranza “cornacchia”. Di questo simbolo ne hanno approfittato anche associazioni di reprobi, come i sedicenti “rosacrociani”, abilissimi nel travisare i simboli cristiani per apparire fraudolentemente cattolici osservanti ed irreprensibili, a guisa dei marrani … ne abbiamo avuti esempi “eccellenti” in uomini politici ai massimi livelli, in maestri della finanza, finanche in ambienti clericali, a detta dello zio Pierre! Simbolo massonico del 18° grado del Rito Scozzese A. A., quello che nelle agapi massoniche sacrifica, uccidendolo, un agnello per offrirlo a lucifero, “dio dell’universo”, è passato anche nella bandiera dello Stato americano della Lousiana, non saprei se per motivi chiari od occulti … boh!! Fatto sta che gli aderenti delle conventicole di varie obbedienze travisano o invertono la simbologia del pellicano facendone effige della lotta a Dio e dell’autoaffermazione dell’uomo, ma nulla hanno inventato se non il rifiuto ed il disprezzo rabbioso verso il simbolo cristiano per eccellenza: la “croce”. Mimmo, mio nipote, che è venuto a trovarmi ed è arrivato proprio in questo momento, rimane un po’ perplesso e sorpreso quando gli dico quasi a bruciapelo: “caro Mimmo, lo conosci il saluto alla croce di S. Paolino da Nola?” – “… Ma nonno sei il solito nostalgico, pensa un po’ anche alle cose attuali!” “Ma certo Mimmo -rispondo senza tentennamenti e con mia somma meraviglia- la croce è sempre attuale, è sempre segno di salvezza, ieri come oggi, dai tempi degli Ebrei erranti che, per salvarsi dal morso dei serpenti, alzavano lo sguardo verso il serpente di rame fatto da Mosè, dalla croce sul Golgota, dalla quale Gesù attirava, alla lacerazione del velo del tempio, tutti i santi risorti di Israele in alto con Sé, al Crocifisso attuale delle chiese cattoliche, almeno in quelle che non Lo hanno ancora tolto di mezzo perché non consono, secondo pastoricchi oramai chiaramente senza fede ed autorità divina, al falso ecumenismo laico e massonico. Ed è dal Crocifisso essenzialmente, dal Sacrificio della Croce, che Gesù ci attira ancora a Sé che è pegno della vita eterna! La vita eterna non si conquista con il falso buonismo, caro Mimmo, con il blasfemo dialogo con gli atei, gli eretici, gli adoratori di baphomet o lasciando senza freni i capricci di una coscienza corrotta assurta a verità assoluta, eresia abbondantemente condannata da Gregorio XVI in poi [il Santo Padre Mauro Cappellari la definiva “deliramento”, pensi un po’!!] Ed ora per non superare ulteriormente il livello di guardia della mia pressione, caro nipote, ti recito (memoria permettendo) il saluto di S. Paolino alla Croce che lo zio Tommaso ci insegnava da ragazzi: “Salve, o Croce, sostegno dei giusti, luce dei cristiani. Da Te la luce vera è sorta, la notte è vinta. Tu sei l’anima della pace, che unisce gli uomini in Cristo mediatore. Sei la scala su cui l’uomo sale in cielo. Sii per noi colonna e faro, dirigi il corso della nostra barca”. Adesso arriva pure Caterina con l’apparecchio della pressione, e visto i valori, per calmarmi ulteriormente ci enuncia una bellissima poesia, che io non conoscevo, della scrittrice M. P. Mancini … sono estasiato e perciò vorrei che la conoscesse anche lei ed i suoi lettori se non la conoscono già e se mi consente! Eccola: “Braccia protese gridano al cielo/ l’aspro dolore dello spasmo antico;/Passione d’amore mossa dal gelo/ e dal maligno, di Dio nemico:/ Aspersa dal Cristo, nostro Signore,/ con effusione di purissimo sangue,/ infondi, eterna, coraggio e vigore/ al mondo che nell’ignavia langue./ T’ergi maestosa nel cuore dell’uomo/ dove, feconda generi pace;/ a Te indulge chi cerca il perdono,/ Te sola brama chi vive di Luce!/ Pietra d’intralcio sei al peccato/ scandalo e peso al trasgressore,/fonte di Bene, ma segno spregiato/ da chi rinnega Gesù Salvatore./ Schiudi le menti all’appello celeste/ che chiama i figli a conversione./ Destati alla Vita, con candida veste,/ vedremo l’alba della resurrezione!”Che ne pensa, direttore?, Bella eh! … ma ogni pensiero che riguarda la croce in realtà è meraviglioso e meravigliato, perché il Crocifisso non è solo un simbolo, ma l’inconfutabile messaggio di verità della Religione Cattolica e della falsità di tutte le altre! Questo dobbiamo urlare a squarciagola -riprendo con i miei nipoti- come dice Isaia: “clama, ne cesse” (urla senza riguardi o paure)…” ma con mia grande sorpresa sento Caterina che continua il mio pensiero, anzi lo porta a compimento: “ … la Croce amata, adorata, osannata; la Croce discussa, derisa, calpestata; la Croce evitata, dissacrata: ma cos’è la Croce per ciascuno di noi? È solo simbolo d’identità culturale o è, invece, icona dell’Amore infinito e sofferente, carezza eterna del cielo? Come collocare la Croce nel mondo oggi? La Croce di Dio con le braccia aperte ad accogliere tutti, la Croce non opera il male. La Croce è messaggio di pace, non la falsa pace dell’uomo, ma quella che solo Dio può elargire. La Croce edifica, salva; la Croce divinizza, eppure dà fastidio. La Croce è mite, silenziosa, ma produce chiasso. La Croce è ponte tra cielo e terra, eppure è rifiutata. La Croce è speranza, ma genera angoscia. La Croce è carità, eppure causa turbamento. La Croce è universale, eppure origina divisioni. Cosa deve fare ancora Dio che non abbia già fatto per questa povera, illusa umanità?” Mimmo, stranamente serio, prosegue: “La Croce è oggetto d’arredo, retaggio culturale, monile da esibire, questione sociologica; non riusciamo più a vederla con gli occhi della pietà, né sappiamo aprire il cuore ad ascoltarne la voce sommessa che esprime venti secoli di dolore e di speranza di vita eterna. Il martirio tuttora continua: nuovamente l’uomo inchioda il suo Salvatore. È vero, siamo Ciechi, guidati da ciechi, stretti in una infame tenaglia, tra modernisti e falsi tradizionalisti, e perciò sprofondiamo sempre più nell’abisso della scelleratezza, illusi dai suggerimenti del “farfariello”, come lo chiami tu, nonno: “Non serviam”, ed “Eritis sicut dii! (… ma senta, direttore, Mimmo che cita in latino, incredibile!). Eternamente piangeremo per l’ignavia, l’indifferenza, l’empietà, con in bocca l’amaro sapore del nostro razionalismo, del nostro laicismo, del nostro insulso buonismo, della falsa scienza dell’uomo che da semplice mezzo è divenuta il “fine”. Siamo soldati vili, prostituiti al compromesso, frutto velenoso di un’etica fallace, ingiusta verso il Creatore.”- “… è vero Mimmo – aggiunge Caterina- ormai conta solo l’utile umano e la speranza non è fondata sul trascendente, ma riposa nel denaro, nella politica, nel vizio esaltato nei suoi aspetti più vergognosi, assurti addirittura a “diritto”, nella forza bruta, nella capacità dell’uomo: idoli globalizzati e fatiscenti nella loro vacuità «Salviamoci da questa generazione perversa!» (Lc. XVII, 26 ss.)”. Caro direttore, lo dica pure lei ai suoi lettori, che tutti abbiamo il dovere di tutelare la nostra Religione, senza vergogna, falsi pudori, o imbecilli rispetti umani [… se ci vergogniamo di professare Cristo davanti agli uomini corrotti, … Cristo ci sconfesserà davanti al Padre giudice, e saremo condannati in eterno!]. Dobbiamo soprattutto difendere Cristo, la Croce, i Dogmi, il Magistero infallibile della Chiesa, capisaldi dello spirito che, spesso e pubblicamente, persino alla presenza di religiosi modernisti e finti tradizionalisti, consenzienti, vengono attaccati e messi in discussione, anche ricorrendo ad artifici esegetici, da miseri figuri pronti a tradire per molto meno di trenta denari o per un piatto di luride lenticchie. Mettiamo il Crocifisso in tutti gli ambienti, nelle scuole, nei tribunali, nei parlamenti, nei luoghi di sofferenza, negli ambienti di lavoro, gridiamo tutti insieme: “Christus vincit, Christus regnat, Chistus imperat” . E chiudo con un ricordo di Pio XI che, nella strepitosa enciclica “Quas primas” del 1925 scriveva, a proposito delle questioni politiche e del primato di Cristo-Re: «… Né vi è differenza tra gli Individui e il Consorzio domestico o civile, poiché gli uomini, uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che lo siano gli Uomini singoli. È LUI solo la fonte e la salute privata e pubblica. È Lui solo l’Autore della prosperità e della vera felicità, sia per i singoli cittadini sia per gli Stati. Non rifiutino, dunque, i capi delle Nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro Popoli, se vogliono l’incolumità del loro potere, l’incremento e il progresso della Patria. Allontanato Gesù Cristo dalle Leggi e dalla cosa pubblica, l’autorità appare, senz’altro, come derivata non da Dio ma dagli uomini, di maniera che anche il fondamento della medesima vacilla: tolta la Causa prima, non vi è ragione per cui uno debba comandare e l’altro obbedire. Da questo deriva un generale turbamento della Società, la quale non poggia più sui cardini naturali. Se, invece, gli Uomini, privatamente e in pubblico, avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di Nostro Signore, come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei Principi e dei Capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza». Caro direttore, la saluto, e se incontra qualcuno che si interessa di politica gli riferisca, da parte di nonno Basilio, le parole di Leone XIII: «Dio solo è il vero e supremo Signore del Mondo, e a Lui debbono sottostare tutte le Creature, e servirLo, in modo tale che chiunque è investito dalla sovranità non la riceve da altri che da Dio, che è il Sovrano Universale». (Immortale Dei –Leone XIII)

PENITENZA

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PENITENZA

[da: E. Barbier, “I Tesori di Cornelio Alapide”]

penitenza

1.- Che cosa è la penitenza ? — 2. Necessità della penitenza. — 3. Esempi di penitenza. — 4. Eccellenza della penitenza. — 5. Vantaggi della penitenza. — 6. Qualità della penitenza. — 7. La penitenza non è penosa. — 8. La vera penitenza è rara. — 9. Mezzi per fare penitenza.

  1. Che cosa è la penitenza? — La parola penitenza derivante dai due vocaboli pena e tenere, denota, propriamente parlando, l’azione con cui uno tiene, ossia applica a sè la pena. La penitenza adunque si può definire con S. Ambrogio, « dolore del cuore, e amarezza dell’anima per i peccati che si sono commessi » o cambiamento dei costumi malvagi… La penitenza è una morte che non ci priva della vita; essa uccide l’uomo di peccato, immola le concupiscenze della carne, le sacrifica a Dio.
  2. Necessità della penitenza. — Ci narra il Vangelo che a preparare la strada al Signore, « venne Giovanni nel deserto della Giudea dicendo ad alta voce : Portate frutto degno di penitenza; perchè già la scure è alla radice dell’albero; ed ogni pianta che non dà buon frutto, sarà recisa e gettata al fuoco » (Matth. IlI, 1, 2, 8, 10). Gesù Cristo poi confermò la predicazione di Giovanni, dicendo chiaramente : « Se non farete penitenza, perirete tutti quanti » (Luc. XIII, 3); e la medesima intimazione ribadì poco dopo con le medesime parole (Id. 5). Poteva con più aperte e forti espressioni inculcarci la necessità della penitenza? Egli affermò ancora di essere venuto a chiamare i peccatori a penitenza (Luc. V, 32). A commento di queste parole, S. Ambrogio osserva che se la grazia dipende dalla penitenza, chi ricusa di fare penitenza, rinunzia alla grazia. Perciò al rimprovero fatto da S. Pietro ai Giudei, che avessero crocifisso il Figlio di Dio, Gesù Cristo, il vero Messia, parecchi di loro tocchi da pentimento gli domandarono che cosa dovessero fare; ed egli a loro: « Fate penitenza» (Act. II, 38). S. Paolo, in adempimento di quest’ordine naturale e divino, confessa di se medesimo, che mortificava il suo corpo e lo teneva schiavo dell’anima con la penitenza, affinché dopo aver predicato agli altri, non avesse la disgrazia di diventare reprobo egli medesimo (I Cor. IX, 27). Quello poi che egli faceva, raccomandava anche agli altri : « Mortificate le vostre membra », scriveva, per esempio, ai Colossesi (III, 5). – La vivanda non condita di sale, si corrompe; senza il sale della penitenza, i costumi si corrompono e il corpo si abbandona al disordine, o per lo meno al rilassamento. D’altronde, come egregiamente osserva S. Gregorio, Dio non risparmia mai il colpevole, perché non lascia mai impunito il delitto. O il peccatore si punisce da se stesso con la penitenza, ovvero Iddio entrando con lui in giudizio, lo percuote. Udite infatti quello che disse il Signore nell’Apocalisse all’angelo di Efeso : « Tu ti sei rallentato dal tuo primo fervore. Ricordati dunque donde sei caduto, e fa penitenza; altrimenti io non tarderò a venire a te, e se a penitenza non ti muovi, toglierò il tuo candelabro dal suo luogo » (Apoc. II, 4-5). – Ci stia sempre in mente quel detto del Savio : « Se noi non facciamo penitenza, cadiamo nelle mani del Signore, non in quelle degli uomini » (Eccli. II, 22). Da questo pensiero salutarmente atterrito, il Salmista diceva : « Perchè voi me ne avete fatto precetto, io ho camminato per le spinose vie della penitenza » (Psalm. XVI, 4).
  3. Esempi di penitenza. — Gesù Cristo non si è contentato di raccomandare che si faccia penitenza, ma dal punto della sua incarnazione, della sua nascita in una stalla, fino alla sua morte in croce, soffre del continuo per espiare i peccati del mondo… – S. Giovanni Battista predica la penitenza, ed egli per il primo, dall’età più tenera fino al suo martirio, ne dà luminosissimo esempio. – Gli Apostoli annunziano la penitenza, e tutta la loro vita è una continua mortificazione della carne, una penitenza quotidiana… – S. Maria Maddalena, S. Maria Egiziaca, S. Taide, S. Margherita da Cortona, i martiri, i confessori, le vergini, gli ordini religiosi; tutti i santi di tutti i secoli, anche quelli che menarono vita pura e immacolata, fecero penitenza… Ci serva di stimolo a tutti l’esempio dei Niniviti (Ion. III), i quali alla parola di Giona che predicava la penitenza o l’esterminio furono così compunti di dolore per i loro misfatti, che tutti quanti, dal re all’ultimo plebeo, fecero penitenza nella cenere, nel digiuno e nel cilizio, e al digiuno costrinsero perfino gli animali.
  4. Eccellenza della penitenza. — « Le lagrime dei penitenti sono il vino degli Angeli » dice S. Bernardo (Serm. IlI in Cant.); e più brucia i demoni una lacrima di penitenza, dice S. Anselmo, che non tutto il fuoco (Monolog.). Sul fatto di Pietro che, dopo di aver negato il Divin Maestro, piange amaramente, S. Ambrogio ha le seguenti parole: «Le lagrime della penitenza lavano i peccati. Le lagrime del pentimento non implorano, ma meritano il perdono. E ben lo sai tu, o Pietro, il quale prima di piangere sei caduto, appena che hai pianto, ti sei rialzato ». La penitenza è un sacrificio per il peccato; vi si offre da Dio la macerazione della carne in espiazione delle colpe commesse. – L’Ecclesiastico, parlando del re Giosia, dice che la memoria di lui olezza come soave profumo preparato da abile mano. Il suo ricordo sarà dolce a tutti gli uomini, come il miele al palato, come i canti in mezzo ad un festino; perchè « fu guidato dall’alto a condurre il popolo nelle vie della penitenza, e a togliere via le abbominazioni dell’empietà » (Eccli. XLIX, 1-3). S. Bernardo dice: « Vi è forse spettacolo più meraviglioso a vedersi o martirio più rigoroso a sostenersi di quello di una volontà ferma e salda nel soffrire fame in mezzo alle vivande, patire freddo avendo copia di preziose vestimenta, rimanere povero tra le ricchezze che il mondo offre, satana magnifica, il nostro appetito desidera? Non sarà meritamente coronato colui il quale avrà cosi combattuto, chiudendo l’orecchio alle promesse del mondo, ridendosi delle tentazioni del nemico degli uomini e, quel che è più glorioso ancora, trionfando delle proprie inclinazioni e crocifiggendo la concupiscenza che le stimola? ».
  5. Vantaggi della penitenza. — Maria Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni, fu la prima cui toccò l’onore e la fortuna di vedere Gesù risuscitato; ma se l’era meritata facendo penitenza. Qui si adatta quel detto di S. Agostino: l’uomo fu vittorioso su di un letamaio (nella persona di Giobbe); fu vinto nel paradiso (nella persona di Adamo) (Homil). Colui che trova il suo cibo nel digiuno, il suo riposo nell’orazione, il suo pane nella parola di Dio, il suo vestimento nei cenci, il suo letto in un semplice mantello, il suo sonno su la nuda terra, mentre l’anima conversa col Signore in sante veglie; questi, a giudizio di S. Paolino, ha trovato il vero riposo. Vi sono due cose che ci difendono contro il peccato, la confessione frequente e la penitenza… Udite S. Giovanni Crisostomo: « La penitenza è il rimedio più efficace che possiamo avere per medicare le nostre ferite; essa guarisce così radicalmente e fa sparire le ulceri dell’anima per modo che non ne lascia né cicatrice né traccia; cosa impossibile nelle ferite del corpo ». S. Isidoro scrive: «La penitenza è balsamo alle ferite, àncora di salvezza; per lei si provoca la misericordia di Dio; per lei si reprime e si castiga la carne corrotta ». Infatti il Signore, dice il Savio, ha pietà di tutti gli uomini perché può tutto, e si dimentica dei loro peccati quando ne fanno penitenza (Sap. XI, 24). « Perciò Tertulliano esorta il peccatore a impadronirsi della penitenza, ad abbracciarla, ad aggrapparvisi, come naufrago a tavola di salvezza; essa lo trarrà fuori dalle onde perigliose del peccato, e lo condurrà al porto della divina clemenza ». « O penitenza, esclama S. Giovanni Crisostomo, o penitenza che, per la misericordia di Dio, rimetti i peccati ed apri il paradiso, che rinvigorisci l’abbattuto, rallegri il melanconico, richiami i morti alla vita, ristabilisci il peccatore nella grazia, gli rendi la sua dignità primiera, gli inspiri la fiducia, ne ripari le forze e gli fai piovere nell’anima più copiosa grazia! O penitenza, come narrerò io le tue meraviglie? Tu spezzi le catene, tu reprimi ogni rilassatezza, lenisci ogni avversità, guarisci ogni piaga, dissipi le tenebre, rianimi quello ch’era disperato! O penitenza più splendente dell’oro, più sfolgorante del sole, non vinta mai dal peccato, non abbattuta dalla defezione, non cacciata dalla disperazione! O penitenza, madre della misericordia, e maestra delle virtù! Grandi sono le opere tue; quelle opere con cui sciogli i colpevoli, ristori i cadenti, rialzi i caduti, rincuori i disperati! Per te Gesù Cristo si è in un istante impadronito del buon ladrone e lo ha collocato nel suo regno; per te Davide, restituito alla felicità dopo il misfatto, ricuperò lo Spirito Santo ». Si vede quanto sia vantaggiosa la penitenza, da ciò che cancella tutti i delitti, ottiene misericordia, trionfa di Dio e della vendetta del giudice supremo, legando, per così dire, l’Onnipotente medesimo il quale si protestò già che, ritornando a lui i figli suoi con la penitenza, egli avrebbe sanato e perdonato tutte le loro trasgressioni (Gerem. III, 22). Vedete che cosa è la penitenza, e come di un peccatore essa ne fa un tutt’altro uomo. La penitenza ripara tutti gli errori, tutte le mancanze della vita; placa Dio e se lo rende propizio, toglie gli scandali, muta lo spirito e il cuore, rinnova in una parola tutte le cose… « La penitenza, scrive S. Agostino, sana i languidi, cura i lebbrosi, risuscita i morti, aumenta la sanità, conserva la grazia, raddrizza lo zoppo, rende la vista al cieco, scaccia i vizi, abbellisce le virtù, munisce e fortifica l’anima ». « Chi al mondo, ha peccato più di Paolo? dice S. Pier Crisologo, chi, nella religione, mancò più gravemente di Pietro? Ciò nulla meno ecco che in virtù della penitenza meritarono l’uno e l’altro, non solamente di diventare Santi, ma altissimi maestri di santità ». Per farci intendere l’immenso potere della penitenza, Iddio ci assicurò che quando un peccatore si pente del male con cui ha provocato contro di sè le sue minacce: anche egli si ritratta dal male che aveva minacciato di fargli (Gerem. XVIII, 8). La penitenza è virtù di tanta forza, che obbliga Dio non solamente a mostrarsi misericordioso col peccatore convertito e ad amarlo, ma ancora ad obbedirgli, a vegliare sopra di lui, a proteggerlo, a combattere in suo favore. Ugo da S. Vittore dice : « O penitenza, piena di frutto e di vigore, o virtù potente che nessuno saprà mai abbastanza amare, mediatrice fedelissima tra Dio e il peccatore! O seconda tavola dopo il naufragio! O rifugio degli indegni, soccorso dei miserabili, speranza degli esiliati, sostegno dei fiacchi, lume dei ciechi, bastone che trattieni l’inclinazione alla voluttà, semenzaio di virtù! O penitenza, tu sola intenerisci il giudice supremo, tu giustifichi l’uomo presso il Creatore, tu trionfi dell’Onnipotente! Tu sei vincitrice quando sembri vinta; immoli i vizi, quando sottostai ai santi rigori dell’espiazione; tu guarisci col ferire e cominci un regno glorioso nell’istante medesimo in cui la morte viene a troncare l’opera tua salutare. Innanzi a te tace ogni altra Virtù; tu sola monti sicura e balda sino al trono di Dio. Tu meni Davide alla riconciliazione, rialzi Pietro, illumini Paolo, introduci il pubblicano nel collegio degli Apostoli : tu elevi dalla prostituzione al più alto grado di santità la Maddalena, tu inscrivi nel numero degli eletti il ladrone che pende da un patibolo. Che fortunati effetti non produci tu ancora! La corte celeste ti appartiene di diritto; per te regna l’abbondanza dove trovavasi la più squallida miseria; tu acqueti la fame; tu sostituisci la gloria all’obbrobrio; tu rendi vani gli assalti e le crudeli voglie dei demoni, svelandone la bruttezza, il fetore che spandono e la morte eterna che loro tien dietro; tu bandisci la fame e la sete, conducendo al fonte di vita; tu rendi fertili ed ubertosissimi i campi prima aridi ed incolti; tu dissipi la tristezza e inspiri la gioia; tu cancelli la vergogna e fai che vi sottentri la consolazione e la gloria; fai dimenticare le ingiurie e dai la pace; tu risusciti i morti, e per un po’ di cenere concedi una corona » (De Paenit.). Di tale valore è, al dire di S. Gerolamo, la penitenza, che restituisce al peccatore tutte le sue antiche virtù, e tutti i meriti, da lui acquistati prima di cadere (Epl.). Questo è anche il sentimento di S. Tommaso e di tutti i teologi. Mediante la penitenza, chi ha peccato ritorna alla vita soprannaturale per godere di una più grande grazia; perchè alle grazie antiche, aggiunge la grazia delia risurrezione spirituale, che è la grazia delle grazie… Ninive riceve dalla bocca di Dio medesimo la sentenza della sua rovina; fa penitenza ed è salva. « Iddio, osserva S. Agostino, volendo spaventare questa città, la corregge provandola; la muta, minacciandola. Ninive ricorre alla penitenza, e Dio le perdona (In lon. proph.). « L’iniquità di Ninive, dice S. Gaudenzio, fu distrutta perchè ne fece penitenza » (In lon. proph.). La penitenza cancella tutti i misfatti; placa la collera divina; trasforma gli schiavi di Satana in amici di Dio; converte uomini ingiusti, empi, infedeli, colpevoli, in persone giuste, pie, fedeli, e sante. La penitenza annulla la maledizione e le sostituisce la grazia e la giustificazione. Chiude l’inferno ed apre ai peccatori il seno di Dio. Così parlano S. Giovanni Crisostomo, S. Ambrogio, S. Agostino, Tertulliano ed altri Padri e Dottori… S. Bernardo chiama la penitenza vendicatrice dei misfatti e nutrice delle virtù (Servi, de S. Andreae) e in altro luogo così scrive: «La mia penitenza è la vivanda di Gesù Cristo. La mortificazione mi corregge, la macerazione mi purifica. Noi abbiamo dato motivo di allegrezza agli Angeli, quando ci siamo abbracciati alla penitenza ». – Consolantissima finalmente è quella sentenza del Crisostomo: «Quegli che, abilmente prudente, ha mostrato frutti di penitenza, ha potuto in poco tempo cancellare i misfatti di una lunga vita ».
  6. Qualità della penitenza. —- 1° La penitenza dev’essere forte e generosa. « Chi semina poco, dice il grande Apostolo, raccoglierà anche poco; chi è largo nel seminare, mieterà anche largamente » (II Or. IX, 6). « La larghezza del perdono che Dio concesse a Davide, nota S. Ambrogio, ben rivela quanto grande e generosa fosse la sua penitenza » (De poenit.). – 2° La penitenza deve andare congiunta con l’umiltà e il timore di Dio… Come una terra arida ed incolta non porta frutto; così senza umiltà, nessuno può fare penitenza vera. Infatti, perchè la penitenza, se non perchè siamo peccatori? Ora il peccato.è una rivolta la quale non è perdonata se non a misura che uno si umilia… Non dovremmo mai dimenticare quel detto dell’Ecclesiaste: « Non essere senza timore del peccato perdonato » (V, 6). – 3° La penitenza deve mortificare la carne: «Mortificate i vostri membri » (Coloss. III, 5), scrive S. Paolo ai Colossesi; e ai Romani diceva che se fossero vissuti secondo la carne, sarebbero morti; ma se avessero mortificato con lo spirito le opere della carne, sarebbero vissuti (Rom. VIII, 13). « Il corno esce fuori dalla carne, dice S. Agostino, ed è necessario che trapassandola sia forte e solido per resistere. Chi intende fare una vera penitenza, deve farla forte, affinchè possa vincere e trionfare della carne e delle voglie sue (De vera et fai. Poenit. c. VIII). Se i soldati di Gedeone, osserva l’abate Isaia, non avessero rotto i loro vasi di argilla, non sarebbe comparsa la luce delle lampade. Se l’uomo non castiga e rompe colla penitenza il suo corpo, non vedrà la luce di Dio. Se Giaele non avesse avuto in mano un chiodo, non avrebbe abbattuto il superbo Sisara. Se l’anima vuole camminare verso Dio, deve attendere a crocifìggere tutti i vizi della carne (Vit. Patr.). – 4° « La sincera penitenza consiste, dice S. Gregorio, nel detestare i peccati commessi e nello schivarli per l’avvenire » (Homil. XXXIV, in Evang.). Essa deve essere, secondo S. Agostino, una specie di vendetta che esercita sopra di se medesimo colui che si pente; egli punisce in sè quello che gli duole di avere commesso (De vera et fai. Poenit. c. VIII). – 5° La penitenza deve comprendere tutte le facoltà dell’uomo…, estendersi agli occhi, alle orecchie, alle mani, ai piedi, alla lingua, agli atti ed ai tempi tutti della vita… Sia esteriore, ma soprattutto interiore; regni sui pensieri, sui desideri, su gli affetti, su l’intelletto, su la memoria, su la volontà, su lo spirito, sul cuore. Essa è di tutte le età, di tutte le condizioni : « La penitenza richiede, secondo il Crisostomo, la contrizione del cuore, la confessione della bocca, l’umiltà delle opere ». Dice Riccardo da San Vittore: Colui che mediante lo Spirito Santo, comprime fortemente le voglie della carne e gli affetti scomposti del cuore, fa una perfetta penitenza. Senza la penitenza dell’anima a nulla vale quella del corpo (De Statu inter hom.). – 6° La penitenza deve continuare fina alla morte… S. Clemente, discepolo e successore di S. Pietro, assicura che tanto profondo dolore ebbe questo Apostolo della sua caduta, che ne fece penitenza tutta la sua vita, ed ogni notte, al canto del gallo, si prostrava a terra, e la bagnava di lagrime (Storia eccles.). « Quelli, dice S. Gregorio, che hanno veramente l’animo alla pratica delle mortificazioni, le cercano con quell’ardore con cui un minatore scava nel terreno per trovarvi il tesoro : più si accostano alla fine della loro opera, e più vi mettono d’impegno ». La penitenza deve cominciare con la vita e finire con essa.
  7. La penitenza non è penosa. — La bellezza e il soave olezzo della rosa compensano ad usura le spine che la circondano e che pungono chi la spicca. La brama del guadagno e la speranza di rivedere la patria, rendono leggere le pene ai trafficanti che affrontano i pericoli dell’Oceano… La speranza della guarigione fa cara l’amarezza del rimedio… Chi vuole la mandorla, rompe il guscio… Così il cristiano che vuole godere la gioia di una buona coscienza, trova facile e dolce la penitenza… Come brevi e leggere devono sembrare le espiazioni di questa vita a colui che sa di essersi meritato, e forse le cento volte, l’inferno!… D’altronde, non viene forse la grazia in soccorso del penitente? Le consolazioni che si trovano nei patimenti, vincono di lunga mano tutte le loro amarezze: Dio misura le consolazioni sul regolo della penitenza… S. Paolo, il quale praticava grandi austerità, esclama : « Io sono pieno di consolazione, io ribocco di allegrezza in ogni nostra tribolazione » (II Cor. VII, 4).
  8. La vera penitenza è rara. — Oh come pur troppo universalmente si avvera quel detto di Giobbe : « Dio ha dato all’uomo i mezzi e il tempo di fare penitenza; e questi se ne abusa nel suo orgoglio » (Iob. XXIV, 23). Dice S. Ambrogio: « Mi accade più facilmente trovare persone che hanno conservato la loro innocenza, che non peccatori i quali abbiano fatto una penitenza proporzionata alle loro colpe ». – Ma il male non si ferma qui, perchè il non fare penitenza trascina poi a maggiori colpe, secondo il detto di S. Gregorio : « Il peccato non distrutto con la penitenza, trae ben presto col suo proprio peso ad altro peccato ». La penitenza è un freno; chi lo trascura viene a poco a poco trasportato là dove vuole il demonio, il mondo, la carne… O cielo! quali sono i costumi di coloro che si sottraggono alla penitenza, che fuggono la mortificazione? Essi vanno di eccesso in eccesso, di misfatto in misfatto, di abisso in abisso; percorrono nelle loro cadute tutti i gradi del vizio e dell’infelicità, senza fermarsi in nessuno… non si arresteranno che all’inferno… La sentenza è già stata pronunziata da Dio per bocca di Giovanni Battista : « Ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e gettato al fuoco » (Matth. III, 10); e da Gesù Cristo medesimo che disse : « Se non farete penitenza, perirete irremissibilmente tutti quanti » (Luc. XIII, 5)… Il peccato non può rimanere senza castigo; se il peccatore non lo punisce egli medesimo con la penitenza, lo punirà Iddio con le disgrazie e con l’inferno… O penitenza, o morte eterna…
  9. Mezzi per fare penitenza. — Un buon mezzo per fare utile e sincera penitenza è quello indicatoci da S. Pier Damiani il quale ci suggerisce di innalzare tribunale nella nostra coscienza e quivi fare il dibattimento, in modo che il pensiero accusi, la ragione giudichi, la penitenza eseguisca la condanna e castighi, le lagrime solchino il viso. Per questa imitazione del martirio, noi arriveremo alla dignità di coloro che versarono il sangue per la fede (Epist.). Imitiamo la Maddalena, suggerisce S. Gregorio, la quale quanti godimenti provò, tanti olocausti trovò in se stessa da offrire; quanti delitti aveva commessi, altrettanti atti di virtù compì, con l’intenzione di volgere al servizio di Dio, con la penitenza, tutto quello di cui aveva abusato in disprezzo di Dio, col peccato. Chi vuol fare una buona e sincera penitenza, deve ancora: 1° Ricordarsi dei suoi trascorsi…; 2° temere per i peccati che ha commessi…; 3° non perdere di vista il tempo che è assicurato all’uomo e che si riduce al tempo presente…; 4° disprezzare il mondo…; 5° umiliarsi…; 6° pensare all’inferno…; 7° volgere la mente al cielo…; 8° meditare su la passione e morte di Gesù Cristo…

Omelia della Domenica VIII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica VIII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XVI, 1-9]

giudiz.univ. giotto. part.

-Tre tribunali-

“Rendimi conto, economo infedele (così Cristo introduce a parlare nell’evangelica parabola un padrone mal soddisfatto del suo fattore), rendimi conto, servo malvagio, di tua condotta nell’amministrazione a te affidata de’ miei averi; perciocché tu più non avrai né impiego, né tempo a dissipare le mie sostanze!: ”redde rationem villicationis tuae: iam enim non poteris villicare”. Atterrito da questa minaccia il tristo castaldo cominciò a pensare, e a dire fra sé: “Che farò quando dal mio Signore io venga rimosso dalla mia carica? Zappare? Io non ho forza. Mendicare? Io non ho faccia. So ben io quel che fare mi giova”; e chiamati i debitori del suo padrone, se l’intese con quelli, e provvide, sebbene ingiustamente, a’ suoi futuri bisogni. Cristiani uditori, saremo ancor noi citati un giorno innanzi al divino giudice, anche a noi sarà intimato quel “redde rationem villicationis tuae”. Non potremo in quel dì pigliar tempo, e provvedere a noi stessi, come lo scaltro fattore. Il tempo che allora ci mancherà l’abbiamo adesso: Iddio ce l’accorda al presente, non ce lo promette in futuro. Anzi, notate finissimo tratto della sua immensa bontà, acciò al suo divin tribunale possiamo rendere buon conto di noi, Egli, dice il Crisostomo, Egli ha stabilito due altri tribunali: “tribunal mentis, tribunal poenitentiae, tribunal iudicii” [Homil. De poenit.]. Osservate con qual ordine. Il primo è piantato nel nostro cuore da Dio Creatore, il secondo nella sua Chiesa da Dio Redentore, il terzo al fin di nostra vita da Dio giudice; il primo è un tribunale di giustizia e di misericordia: il secondo di pura misericordia; il terzo di sola giustizia. Il primo è diretto acciò ricorriamo al secondo, il secondo affinché ci disponiamo al terzo. Guai se non usiamo bene de’ due primi, saremo irrevocabilmente condannati nel terzo. Uditemi attentamente.

I. Il primo tribunale collocato nel nostro cuore da Dio Creatore, egli è un tribunale di giustizia insieme e di misericordia; e primieramente di giustizia. – Appena gl’incauti nostri progenitori rompono il primo precetto, che sull’istante, presi da confusione e da rossore, si ritirano, si nascondono, si coprono di frondi e foglie. Chi li accusa? Chi li condanna? Non hanno ancor sentito la voce di Dio sdegnato nel terreno paradiso, perché dunque si turbano, si coprono, e si nascondono? E nol vedete; chi gli accusa, e chi li condanna è quel giudice inesorabile da Dio Creatore custodito nel loro cuore, che alza la voce, che li confonde, che fa provare tutto l’orrore, che fa sentire tutto il peso del loro delitto. Una più chiara prova ci somministrano le parole del grande Iddio dirette al loro primo figliuolo, invidioso Caino. Io leggo, o Caino nel tuo volto turbato un certo iniquo disegno. Ascolta, infelice, se tu opererai il bene ne avrai la ricompensa, se il male, ne porterai subito la pena. Il peccato, come un cane latrante alla porta del tuo cuore, ti farà provare i più fieri rimorsi : “Si bene egeris, recipies, sin autem male, statim in foribus peccatun aderit” [Gen. IV, 6], Così avvenne. Appena tinto del sangue dell’innocente fratello, un torbido orrore gl’invase la mente, un così strano e gelido spavento gli sconvolse l’animo, che profugo sulla terra temeva ad ogni passo incontrarsi in chi gli desse la morte. – È questo il tribunale della coscienza, “tribunal mentis”, in cui, come nel tribunale degli uomini, v’interviene il reo detenuto, gli accusatori che denunziano, il giudice, che condanna. Reo detenuto è il peccatore, che non può fuggire da sé stesso; accusatori sono l’intelletto che gli fa conoscere, la memoria, che gli ricorda i suoi delitti; il giudice è la coscienza, giudice inesorabile, che parla contro chi non vorrebbe, che non si può far tacere, che dà sentenze, che pronunzia condanna. Tu tieni ingiustamente la roba altrui, dice ad uno, tu sei un ladro coperto, ma sei un ladro. Tu sei un disonesto, dice ad un altro, ti nascondi agli occhi del mondo, ma a te stesso nascondere non ti puoi. Tu sei in stato di dannazione, dice ad un terzo, se tu non lasci il peccato, se non ti penti, se non ti confessi, tu sei perduto. – Via, peccatori quanti mai siete, distraetevi pure dai reclami della rea coscienza, fate strepito per non sentirla, passate senza interrompimento dall’uno all’altro piacere, dal convito al giuoco, al passeggio, al ballo, al teatro, vi saprà ben seguire e mordere in ogni luogo, in ogni tempo il verme della sinderesi, e massime alla prima disgrazia che v’intervenga, o alla prima malattia che vi colga. Disingannatevi, dice il Crisostomo, ovunque possiate rivolgervi, porterete sempre con voi un giudice che la farà da carnefice per tormentarvi. – Questo tribunal di giustizia ne’ disegni di Dio pietoso è anche un tribunale di misericordia, fa Iddio con noi come medico sagace, che maneggia il ferro, adopra il fuoco per ridurre a sanità il povero infermo. Quelle fitte, peccatori miei cari, quelle spine, che vi trafiggono, sono dirette a farvi conoscere che il peccato non può farvi contento, che bisogna togliere la spina se volete che cessi il dolore. Ad una di queste spine deve la sua conversione il penitente Profeta: “conversus sum in aerumna mea, dum conficitur spina” [Ps. XXXI]. Sono spine, è vero, sono punture, ma sono grazie del misericordioso Signore, acciò afflitti e conturbati nel tribunale della vostra coscienza cerchiate rimedio alle vostre piaghe e pace al vostro cuore nel tribunale della penitenza. II. Il tribunale di penitenza, posto da Dio Redentore nella sua Chiesa, è tribunale di misericordia. Ne’ tribunali terreni la confessione del peccato si trae addosso la pena, confessarsi reo e condannarsi è la cosa stessa. Tutto il contrario nel tribunale della penitenza. Chi si discolpa moltiplica il suo reato: chi si accusa, chi si condanna, resta assoluto e prosciolto: “Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur” [I Cor. XI, 31]. – È sempre stato questo l’ordinario costume del nostro Iddio, che è la stessa bontà e la stessa giustizia, di condannar chi si scusa, e di perdonar chi s’incolpa. Si scusa Adamo, e dice: “la donna, che dato mi avete, fu la cagione del mio trascorso”. Si scusa Eva, e ne ascrive la causa al serpente. Scuse in faccia di un Dio veggente? Fuora del terren Paradiso! Si scusa Aronne e dell’idolo da lui innalzato alle falde del Sinai, ne fa carico alla turba tumultuante, e viene escluso perciò dal metter piede nella terra promessa. Si scusa Saul, e di sua trasgressione al divino comando ne incolpa il popolo; e Samuele gli annunzia la perdita del regno temporale, a cui si aggiunse poi la perdita del regno eterno. In somma, reo che si scusa dinanzi a Dio, non l’indovina. Per l’opposto chi si umilia, chi si confessa colpevole disarma la divina giustizia, e ottiene grazia e perdono. – “Peccavi, dice Davide, peccavi Domine”, e Natan profeta l’assicura che il suo peccato è rimesso, “Dominus quoque transtulit peccatum tuum” [II Reg. XII, 13]. Si dichiara massimo peccatore il Pubblicano, si batte il petto cogli occhi a terra e se n’esce giustificato dal tempio. Si protesta il prodigo indegno del nome di figlio, e viene accolto con festa dal buon genitore. Si confessa, a finirla, il buon ladro meritevole del suo supplizio, ed ottiene da Gesù moribonde e perdono e promessa di paradiso. – Ecco come l’umile confessione delle proprie colpe placa la giusta collera di Dio offeso, e ciò in tutti i tempi, massime però nel tribunal di penitenza, in cui la sincera confessione dell’uomo ravveduto e compunto acquista soprannatural vigore, e maggior merito per l’efficacia del Sacramento, in modo, dice S. Isidoro, che se siete infermi vi risana, se in disgrazia di Dio, vi giustifica, se meritevoli di castigo vi perdona, perché nella sacramental Confessione ha collocata la sua sede la divina misericordia: “in confessione locus misericordiae”. Aggiustiamo dunque, fratelli carissimi, in questo tribunale di misericordia i nostri conti con Dio, se vogliamo incontrar bene al tribunale, a cui appena morti dovremo comparire, tribunale di pura giustizia. – III. Così è, a quel finale giudizio presiede la sola giustizia di Dio, e la misericordia è da quello affatto lontana: “Judicium sine misericordia”. Dura la divina misericordia finché dura la vita: finita questa, si chiude la porta della divina clemenza per non aprirsi mai più. A quel tremendo tribunale non ci accompagnano se non le nostre opere o buone o malvagie. Portiamo con noi il nostro processo, da cui dipende la nostra eterna sorte. Quivi, a nostro modo di intendere, ognun di noi sarà posto nelle bilance di rigorosa giustizia: se, come Baldassarre, saremo trovati mancanti, una sentenza irrevocabile, una condanna di eterno supplizio sarà il giusto castigo, che ci renderà eternamente infelici. – Ah, mio Dio! Dunque se io vi comparisco davanti col peccato nell’anima, sarò da voi rigettato in eterno? E in quel finale giudizio sarà dalla spada della vostra giustizia recisa per sempre la via della pietà e della misericordia? “Numquid in aeternum proiiciet Deus …aut in finem misericordiam suam abscìndet?! [Ps. LXXVI, 7-8] Ah mio Signore! E non ci dite voi per bocca di un vostro profeta, che in mezzo all’ira vi ricorderete della misericordia? Appunto, di me sta scritto, “cum iratus fueris misericordiae recordaberis” (Habac. II, 5), e ben me ne ricordo di quella misericordia usata con voi in tutto il corso della vostra vita: mi ricordo della mia pazienza in sostenervi per tanto tempo peccatori: mi ricordo dell’abbondanza delle mie grazie, e dell’ostinazione dei vostri rifiuti. Quanti lumi ho fatto balenare alla vostra mente, quanti impulsi ho fatto sentire al vostro cuore, quanti stimoli alla vostra coscienza per svegliarvi dal mortale letargo delle vostre viziose abitudini? La mia misericordia è quella, che colla voce delle mie ispirazioni, e con quella dei miei ministri vi chiamava al tribunale di penitenza; affinché in quello saldaste i debiti colla mia giustizia, e non aveste in questo a provarne i rigori, questi e mille altri sono i tratti della clemenza usata con voi, e al rammentarli in quest’istante si accende di maggior fiamma il giusto mio sdegno. Itene dunque maledetti per sempre. Voi non siete più miei, Io non sono più vostro; “Vos non populus meus, et ego non ero vester (Osea I, 9 ). – Miei cari, se vogliamo in quel tribunale schivar la sentenza di eterna morte, profittiamo del primo tribunale, che Dio Creatore ha posto nel nostro cuore, ricorriamo al secondo della penitenza, che Dio Redentore ha stabilito nella sua Chiesa. L’avviso è del Crisostomo : “Si volumus a tribunali iudicii particularìs absolvi, duo reliquia iudicia frequentemus” [Hom. de Poenit.].

Doni dello Spirito Santo.

Doni dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: trattato dello Spirito Santo, vol II, capp. XXV e XXVI]

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Una quinta meraviglia della confermazione è lo svolgimento dei doni dello Spirito Santo. Diciamo svolgimento, stante che mediante il Battesimo tutti i doni dello Spirito Santo con lo stesso Spirito Santo, risiedono già nel Cristiano fedele conservatore della grazia. Cosi è che tutti gli elementi della vita naturale sono nel bambino ancora in culla. Mediante, la Cresima, i doni dello Spirito Santo partecipano allo svolgimento generale impresso alla vita divina, in virtù di questo sacramento tanto bene appellato, il Sacramento della forza. A fine di dare una più giusta idea di queste nuove ricchezze della grazia, fa d’uopo innanzi tutto rispondere a parecchie questioni di un fondamentale interesse. Che fa egli d’uopo intendere per i doni dello Spirito Santo? Che cosa avvi egli di comune tra i doni e le virtù? Che cosa vi è di distinto? Le virtù e i doni tendono eglino alla stesso scopo? Qual’é l’obietto speciale dei doni? Sono essi altresì necessari quanto le virtù? Lo son’eglino tutti? – La risposta ne uscirà dalla definizione particolareggiata dei doni dello Spirito Santo in generale, e da ciascuno in particolare. – Secondo san Tommaso: I doni dello Spirito Santo sono abitudini soprannaturali che ci dispongono ad obbedire prontamente allo Spirito. [Ia, 2ae, q. 68, art. 8, corp.]. — “Dona sunt quaedam hominis perfectiones, quibus homo disponitux ad hoc quod bene sequatur instinctum divinum” . Jbid., art. 2, corp. — Spiegando alquanto questa definizione possiamo dire: I doni dello Spirito Santo sono tante abitudini o inclinazioni inerenti all’anima, distinte dalle virtù soprannaturali infuse, necessarie per operare il bene e inseparabili le une dalle altre. ]. – Ogni parola di questa definizione vuol essere spiegata, imperocché racchiude un tesoro di lumi. – Doni. Per dare carattere alle grazie di cui qui discorriamo, la lingua cattolica le chiama doni dello Spirito Santo, cioè dire favori per eccellenza della terza Persona, dell’augusta Trinità. Ma che? Le luminose qualità degli Angeli e degli uomini, le magnificenze della terra e dei cieli non sono, senza eccezione, tanti benefizi dello Spirito Santo ? Senza dubbio. « Non vi è, dice san Basilio, una creatura visibile o invisibile che non debba allo Spirito Santo ciò che essa possiede. » E san Cirillo di Gerusalemme: « Lo Spirito Santo è il maestro, il direttore e il santificatore universale. Tutti hanno bisogno di Lui, Elia ed Isaia tra gli uomini, Gabriele e Michele tra gli Angeli. » [Catech., xv]. – Con tutto ciò nessuno di questi favori è appellato dono dello Spirito Santo. Che cosa vuol dire; se non che i doni dello Spirito Santo sorpassano in eccellenza tutte le meraviglie create, umane ed angeliche, visibili ed invisibili, tutte le virtù naturali infuse o acquisite, e tutte le virtù morali, soprannaturali? Essi appartengono dunque nel grado più eminente a un ordine di ricchezza, la cui più piccola particella vai meglio che tutto l’universo. [“Bonum gratiae unius majus est, quam bonum natura totius universi”. S. Th., l a 2ae, q. 113, art. 9, ad 2]. – Spieghiamo questo mistero. Il dono di Dio per eccellenza, il “Dono”, principio di tutti i doni, è lo stesso Spirito Santo. Quindi ne viene che è appellato dono di Dio: “Donum Dei”. Una volta comunicato personalmente all’uomo, questo Dono di Dio si diffonde e si distribuisce in tutte le potenze dell’anima, come il sangue in tutte le vene del corpo. Ei le anima e le deifica; Ei diventa il principio generatore di una vita tanto superiore alla vita naturale, quanto il cielo é elevato al disopra della terra. La ragione è che la vita naturale ci è comune con gli animali, con i pagani e con tutti i peccatori; mentre la vita della quale siamo debitori allo Spirito Santo, ci assimila ai santi, agli Angeli, a Dio. – Come misurare l’estensione di un tale benefizio? Dare la vita naturale ad un Angelo e a milioni d’Angeli, a un uomo e a milioni d’uomini, a un essere qualunque e a milioni d’esseri, rendere la vista ad un cieco e a milioni di ciechi, l’udito a un sordo e a milioni di sordi, il moto a un paralitico e a milioni di paralitici: ecco senza dubbio, tanti benefici e benefici immensi. – Ma raccattare nella polvere ammotita [fangosa – ndt. -] dove striscia, quel vermicello, che si appella l’uomo; poi a quell’essere nullo, comunicare la vita stessa di Dio, riempire il suo intelletto di luce divina, il suo cuore di sentimenti divini, la sua volontà di forze sovrumane, per compiere il bene e per vincere il male; questi sono benefizi, e benefizi superiori ai primi. – A questi elementi di vita divina, a queste forze soprannaturali, imprimere un impulso potente e sostenuto, il quale, durante una lunga serie di anni e di combattimenti, faccia produrre atti perfetti di tutte le virtù, talché Dio medesimo possa mostrare alle gerarchie angeliche il cristiano che le compie, e dir loro con una sorta d’orgoglio: “Quest’é il mio Figlio diletto, l’oggetto di tutte le mie compiacenze”; non è forse il benefizio dei benefizi, il dono che incorona tutti i doni? Descrivendolo, noi veniamo a descrivere i doni dello Spirito Santo e la loro incomparabile eccellenza. Essi sono più che la vita naturale, più che la vita soprannaturale, più che le grandi virtù di prudenza, di giustizia, di forza, di temperanza soprannaturale; essi ne sono i divini motori. [S . Th., l a 2 e, q. 68. art. 4, ad. 3 ; et art. 8, corp.]. – Doni “dello Spirito Santo” e non del Padre e del Figliuolo. Capo d’opera di carità, i doni non possono essere attribuiti che allo Spirito Santo, la carità stessa di Dio, l’amore consustanziale, l’Amore in Persona eternamente vivente, eternamente infinito. Come non vi è nella natura fisica che un unico sole, principio di calore e di vita; cosi nel mondo morale non vi è che un principio santificatore, lo Spirito Santo. Come mezzi superiori di santificazione, i doni venuti da lui, a lui ci conducono. Ora, santificare é unire. Se analizzando i consigli di Dio, voi gli riducete alla loro più semplice espressione, troverete un fine unico; ricondurre tutte le cose all’unità. – Da una parte, essendo Dio uno e unicamente buono, non può avere nelle sue opere altro scopo che l’unità e l’unità beatificante. Dall’altra, l’uomo composto di una duplice natura è la misteriosa saldatura del mondo spirituale e del mondo materiale. Unendo l’uomo a Sé di una soprannaturale unione, Dio lo santifica; imperocché l’unisce nel modo il più intimo alla santità per essenza. Nello stesso istante santifica 1’universalità delle sue opere, e ridiviene tutto in tutte le cose. Cosi si trova ristabilita con una gloria novella, l’unità primitiva, spezzata dalla rivolta dell’ angelo e per la disobbedienza dell’uomo. “Che sieno uno, come Noi siamo Uno”. Questa parola di una profondità infinita, riassume nelle sue cause, nei suoi mezzi e nel suo fine l’incarnazione del Figlio, la missione dello Spirito Santo, tutte le ricche combinazioni del concetto divino, nell’ ordine soprannaturale e nell’ordine naturale, nel mondo degli Angeli e nel mondo degli uomini, cosi nel tempo come nell’eternità. – La definizione aggiunge, che i doni dello Spirito Santo sono tante abitudini, cioè dire qualità o inclinazioni inerenti all’anima. Se qualche cosa può ancora rialzare a’ nostri occhi, il pregio di questi doni divini, è di sapere che non sono né grazie passeggere, né momenti transitorii e di circostanza, ma bensì abitudini, vale a dire qualità permanenti. Come inseparabili dallo Spirito Santo, essi stanno nell’anima tanto tempo quanto lo stesso Spirito Santo vi risiede, e vi risiede fino a che non ne è bandito dal peccato mortale. – Di questa verità consolante abbiamo l’infallibile certezza. Parlando a’ suoi fratelli di tutti i luoghi e di tutti i secoli, il Verbo incarnato diceva: “Se Voi mi amate, osservate i miei comandamenti e lo Spirito Santo dimorerà presso di voi e sarà in voi. [“Apud vos manebit et in vobis erit”. Joan. XIV, 15-17]. – Ora lo Spirito Santo non è negli uomini senza i suoi doni. Egli vi abita con tutti i suoi doni o no : simile al sole che non può essere in nessun luogo senza la sua luce, il suo calore ed i suoi principi di fecondità. [“Spiritus autem sanctus non est in hominibus absque donìs ejus. Ergo dona ejus manent in hominibus. Ergo non solum sunt actus vel passiones; sed etiam habitus permanents” S. Th. l a 2ae, q. 68, art. 3, corp.]. – Possedere i doni dello Spirito Santo, e con essi tutto ciò che vi è di più ricco nei tesori della grazia, qual felicità e qual gloria! Il perderli, quale vergogna e quale infelicità! Dove trovare un motivo più potente di serbare a qualunque costo la grazia santificante, e di recuperarla prontamente, checché ne possa costare di sforzi e di lacrime se si venisse a perderla? – Soprannaturali per conseguenza, perche ci perfezionano. Tutto ciò che è divino, perfeziona quel che non lo è. I doni dello Spirito Santo essendo divini, perfezionano l’anima umana e tutte le sue potenze. Ma qual’é il genere di perfezione che essi le comunicano? Come i doni, così le virtù teologali e le virtù cardinali sono altrettante abitudini, abitudini permanenti, venute dallo Spirito Santo e perfezionanti l’uomo. Cosi sotto il rapporto dell’origine e dei fine, nessuna differenza tra i doni e le virtù soprannaturali, nulla più che tra le foglie, i fiori ed i frutti, considerati nell’albero che gli porta, nel succo che le abbevera, nel calore che gli matura. Ma siccome vi è differenza di funzioni tra le foglie i fiori ed i frutti, così ve n’ha tra i doni e le virtù. Resta, a dire in che consiste questa differenza. Le virtù soprannaturali: la fede, la speranza, la carità, la prudenza, la giustizia, la forza, la temperanza, sono tante forze divine comunicate all’anima per operare il bene soprannaturale. Il dono è l’impulso che mette le sue forze in moto. Tale è la materia con cui Egli ci perfeziona, per conseguenza la differenza radicale che lo distingue dalle virtù. Questo punto di dottrina è capitale. Ascoltiamo san Tommaso : « A fine di ben cogliere la distinzione che esiste tra i doni e le virtù fa d’uopo riferirsi al linguaggio della Scrittura. – Essa designa i doni dello Spirito Santo, non sotto il nome di doni, ma sotto il nome di “Spiriti”, “Su di lui riposerà, dice Isaia, lo spirito di sapienza e d’intelletto ecc.”. Queste parole fanno comprendere molto chiaramente che i sette doni dello Spirito Santo sono in noi, per effetto di una ispirazione divina, e piuttosto sono l’alito stesso dello Spirito Santo in noi. Ora ispirazione vuol dire impulso venuto di fuori. [Corn. a Lap., in Is . xi, 2]. « L’anima, ricca di virtù soprannaturali, ha bisogno di un motore che le metta in azione. Queste forze soprannaturali non potendo essere messe in movimento per mezzo di un motore naturale, ne risulta che lo Spirito Santo é il motore necessario delle forze soprannaturali disposte nell’anima mediante il Battesimo. Ora è mediante i sette doni e i sette spiriti, che si traduce l’impulso dello spirito santificatore. Perciò i suoi doni stono appellati tali, non solamente perché sono diffusi in noi mediante questo Spirito divino ; ma anche perché hanno per fine di rendere l’uomo pronto ad operare sotto l’influenza divina. Ne consegue che il dono in tanto che differisce dalla virtù infusa può definirsi: “ciò che è donato da Lui per mettere in moto la virtù infusa”. [a 2ae, q. 68, art. 1, corp.; id., ad 3 ; id., art.-2, corp.; id., art. 8, corp.]». – Un confronto rende sensibile questa distinzione fondamentale. Come l’umore è necessario all’albero, cosi le virtù infuse sono necessarie all’anima battezzata. Perché un albero cresca e porti frutti, è necessario che l’umore sia messo in moto dal calore del sole, a fine di circolare in tutte le parti dell’albero, dalle radici fino alla punta dei rami. Altrettanto avviene rispetto al cristiano. Per via del battesimo egli possiede l’umore delle virtù soprannaturali; ma se egli vuol crescere e portare dei frutti, bisogna che questo umore divino sia posto in movimento, e circoli in tutte le potenze del suo essere. – Qual’è il sole il cui vivo calore può solo mettere in attività questo prezioso umore? L’abbiamo già detto, è lo Spirito con i sette Doni. Ora la questione della superiorità dei doni sulle virtù, e delle virtù sopra i doni, si spiega da se medesima. I doni sono inferiori alle virtù teologali. Queste virtù difatti uniscono l’anima a Dio, mentre i doni non fanno che muoverla verso di Lui. Ma i doni sono superiori alle virtù morali, perché le virtù morali non fanno che togliere gli ostacoli che allontanano da Dio, mentre i doni dirigono veramente, e muovono verso Dio. [S . Th. l a 2ae, q. 68, art. 4, ad 3 ; et art. 8, corp.]. – La definizione finisce dicendo: “che esse ci dispongono ad obbedire prontamente allo Spirito Santo”. – L’ignoranza o la cognizione imperfetta del bene, la ottusità naturale, i legami di affezioni terrene, qualche volta il timore della pena, il rispetto umano, la dissipazione dello spirito, la debolezza del cuore, il traviamento della volontà e mille altri ostacoli, ci rendono sordi o indocili alle ispirazioni dello Spirito Santo. – Quindi un cerchio insuperabile d’imperfezioni e di bassezze, il sommo delle forze divine nascoste in fondo dell’anima, come umori latenti nel seno della terra. – Tutte queste cose, umilianti e colpevoli che popolano la Chiesa di piccole anime, piene di piccoli pensieri, danno carattere tristemente alla vita e preparano angosce per la morte. – Venga lo Spirito Santo co’ suoi doni. È il fuoco la cui viva luce illumina l’intelletto e il cui calore riscalda il cuore; è il vento veemente del cenacolo che rompe tutte le resistenze; è l’elettricità divina che, circolando in tutte le facoltà dell’anima, le anima, le scuote, le spinge verso il mondo superiore; e rendendo il Cristiano superiore a se medesimo, lo fa travagliare alla sua perfezione personale, come pure alla salute dei suoi fratelli, non lentamente ma attivamente; non superficialmente ma solidamente; non accidentalmente ma costantemente. A questo impulso il mondo deve gli Apostoli, i martiri, i missionari, i santi e le sante di tutte le condizioni, come gli dovrà i nobili vincitori o le nobili vittime degli ultimi tempi. – Definire i doni dello Spirito Santo, è mostrarne la necessità; e questo abbiamo fatto. Nondimeno insistiamo su questo punto essenziale e stabiliamo con prove dirette, che i doni dello Spirito Santo sono assolutamente necessari alla salute. Bisogna dirlo: ecco ciò che importa più che mai di sapere, e per conseguenza, insegnare, atteso ché la gente del mondo non lo sa affatto, e la più parte dei fedeli non lo sanno quasi punto. A questa ignoranza bisogna attribuire il poco caso che si fa dei doni dello Spirito Santo, la poca importanza che si annette al sacramento della Cresima, e la poca cura che si arreca nel conservarne i frutti. Essendo lo Spirito di sapienza e di vita così sconosciuto, che v’è da meravigliarsi se il mondo moderno va in rovina o alla morte? – A fine di rendere sensibile l’indispensabile necessità dei doni dello Spirito Santo, i Padri della Chiesa adoperano diversi paragoni. A quello deill’albero che abbiamo riportato aggiungono i seguenti : « Allo stesso modo, dice in un luogo, sant’Agostino, che l’occhio il più sano non può vedere, se un raggio di luce non venga a colpirlo, cosi l’uomo perfettamente giustificato, non può compiere gli atti della vita cristiana ove non sia spinto dal movimento dello Spirito Santo. »[Lib. de natura et gratia]. – San Basilio, già citato, aggiunge: «Si può paragonare l’uomo ad una nave. Per quanto perfetta si possa supporre costruita una nave, e bon provvista d’attrezzi e di marinai, essa non può camminare senza il soffio del vento. Cosi l’uomo; possedesse pure la grazia santificante e tutte le virtù infuse ad un grado eminente, se egli non ha il movimento dello Spirito Santo, non può fare un solo atto soprannaturale, e neppure pronunziare il nome di Gesù. » Ora il movimento dello Spirito Santo è l’effetto dei suoi doni. Cosi se il vento è necessario alla nave, parimente i doni dello Spirito Santo sono necessari all’anima. – Riepilogando la dottrina dei Padri, san Tommaso dà la ragione fondamentale di questa necessità. « Iddio, dice, perfeziona le opere dell’uomo in due modi: col lume naturale che è la ragione, e col lume soprannaturale venuto dalle virtù teologali. Ma questa seconda maniera è imperfetta; poiché anche con queste virtù noi non conosciamo, né amiamo Dio che imperfettamente. – La ragione é che noi non le possediamo che in un modo incompleto e non da noi medesimi. Ora qualunque essere che non possegga completamente e di per sé medesimo un principio d’azione, non può operare da sé stesso secondo quel principio, ma bisogna che sia mosso dal di fuori. – « Così il sole che è pienamente luminoso, può illuminare da sé medesimo. Ma la luna nella quale la luce non risiede che in una maniera imperfetta, non può illuminare seessa medesima non viene illuminata. Così pure il medico che conosce perfettamente l’arte sua, può operare da sé medesimo, mentre l’allievo imperfettamente istruito non lo può. Bisogna che egli riceva la direzione del suo maestro. [È un assioma delle scienze fisiche, come delle scienze morali, che il secondo agente non può agire che per virtù del primo: “nullum agens secundum agit, nisi virtute primi”. Tal’ è la condizione dell’uomo]. – In tutto ciò che è di dominio della ragione, e che tende ad un fine naturale, l’uomo, aiutato da Dio, può operare da sé medesimo mediante i lumi della ragione. « Non succede altrimenti, se si tratta del suo fine soprannaturale. Non essendo, informata che imperfettamente mediante le virtù teologali, la ragione vi ci fa tendere; ma il suo impulso non basta. È necessario il movimento dello Spirito Santo. La Scrittura l’insegna chiaramente: “Quelli che sono condotti dallo Spirito Santo, dice san Paolo, quelli sono i figli di Dio e suoi eredi”. Ed il profeta reale: “È il tuo Spirito che mi condurrà nella terra della beatitudine”. Cosi, nessuno può entrare nell’eredità del cielo, se non è spinto e condotto dallo Spirito Santo. Quindi ne segue che i doni dello Spirito Santo sono assolutamente necessari alla salute. » [l a, 2*, q. 68, art. 2, corp.; et ad 2]. -Tutta, questa bella e profonda dottrina dell’Angelo della scuola, deve compendiarci cosi: con le virtù teologali e morali l’uomo non è talmente perfezionato nei suoi rapporti col suo fine ultimo da non aver bisogno d’essere spinto dal movimento supremo dello Spirito Santo. – I doni dello Spirito Santo essendo necessari come principi generali del movimento soprannaturale, cosi lo sono ancora a parecchi titoli particolari. Sono necessari per conoscere il bene, necessari per operarlo, necessari per evitare il male: per modo che essi sono ad un tempo, lume, forza e protezione. Donde risulta che il considerarli come un alito fecondo, come un semplice impulso senza virtù propria, sarebbe un errore. – Si debbono tenerli per tante perfezioni attive e vivificanti, aggiunte alle virtù e alle potenze dell’anima: “Bona sunt quaedam hominis perfections”. [ Ibid., art. 2, corp.]. Lume: essi sono necessari per conoscere il bene. Per quanto la ragione sia perfezionata mediante le virtù teologali e per le altre virtù infuse, non può essa conoscere tutto ciò che deve conoscere, né dissipare tutte le illusioni delle quali può essere vittima, né tutti gli errori nei quali può ella cadere. Essa ha bisogno di Colui la cui scienza è infinita, e che con la sua presenza la libera da ogni illusione, da ogni follia, da ogni ignoranza, da qualunque inettitudine a conoscere ed a comprendere. – Questo perfezionamento necessario è dovuto allo Spirito Santo ed a’ suoi doni. [ld . art. 2, ad 3.]. – Forza: essi sono necessari per operare il bene. La grazia santificante abituale, non basta per farci operare il bene, ma più del sangue, principio della vita, che non basta per farci vivere occorre che sia messa in circolazione. – Ora il dono dello Spirito Santo comunica alla grazia abituale l’impulso che la pone in moto e la rende efficace. In questo senso, il dono dello Spirito Santo è insieme abituale e attuale. Come abituale, egli dimora nell’anima in stato di grazia. Come attuale, la ispira, l’aiuta, la fortifica, la spinge, secondo il bisogno del momento, sia per praticare il bene, sia per resistere al male. – Protezione: esso ci difende contro i nostri nemici. Il dono dell’operazione dello Spirito Santo non si limita a dirigerci ed a fortificarci, ma ci protegge. L’uomo in stato di grazia ne ha bisogno, per essere sostenuto contro gli assalti del nemico. Per la qualcosa egli deve dir sempre: “Non c’indurre in tentazione”. E perciò con la grazia santificante e i doni dello Spirito Santo il cristiano è un essere perfetto. Ei non ha solamente la vita divina, ma possiede altresì tutti i mezzi di svilupparla, e tutte le armi per difenderla. « Le virtù e i doni, aggiunge san Tommaso, bastano per escludere i peccati ed i vizi nel presente e nell’avvenire in questo senso, che essi impediscono di commetterli. Quanto alle colpe passate, l’uomo ne trova il rimedio nei sacramenti. » [S . Th., III p., q. 62, art. 2, ad 2]. – Da ora in poi resta bene stabilito, che i doni dello Spirito Santo, tanto come principi di moto soprannaturale, che come elementi ‘di lume, di forza e di difesa sono tanto necessari alla salute quanto il moto alla vita, il calore all’umore, il vento alla nave, il vapore alla locomotiva. Ma sono essi tutti necessari allo stesso grado? Senza dubbio. – « Fra i doni dello Spirito Santo, dice la teologia cattolica, la sapienza tiene il primo posto, il timore, l’ultimo. Ora l’una e l’altro sono necessari alla salute. “Nessuno è amato da Dio, dice la Scrittura, se non colui che abita con la sapienza, e nessuno può esser salvo senza il timore”. Dunque i doni intermedii sono del pari necessari alla salute: “Ergo etiam alia dona media sunt necessaria ad salutem”. [S. Th., l a, 2“ , q. 68, art. 4]. – Inoltre, senza lo Spirito Santo, la salute è impossibile. Ora lo Spirito Santo è inseparabile dai suoi doni. Egli é nell’anima con tutti i suoi doni, o non vi è affatto. Donde ne segue che i sette doni dello Spirito Santo sono necessari alla salute di una eguale necessità: “Septem dona sunt necessaria ad salutem. » [Ibid. art. 3, ad 1]. – Non si ripeterà mai abbastanza, che l’uomo senza i doni dello Spirito Santo è privo di movimento soprannaturale. Egli non può convenientemente né conoscere il bene, né operarlo, né evitare il male, né aprirsi le porte del cielo. Ma qual è il numero di questi doni, più preziosi di tutto l’oro del mondo, più necessari mille volte della vita naturale? La Scrittura ci dà la risposta. Parlando di Nostro Signore, secondo Adamo, il profeta Isaia si esprime in questi termini: « E sopra di Lui riposerà lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e d’ intelligenza; Spirito di consiglio e di fortezza; Spirito di scienza e di pietà; e riempiralLo lo spirito del timore del Signore. » [Corn. a Lap.,in Is., XI, 3]. – Ciò che si è adempiuto nel Verbo incarnato deve adempirsi in ognuno dei suoi fratelli. Nel giorno del battesimo ciascun cristiano riceve sette doni dello Spirito Santo. Perché questi doni divini sono per l’appunto sette e non sei o otto? Ricordiamoci, che i doni dello Spirito Santo hanno per oggetto d’imprimere il movimento alle virtù. Ora, vi sono sette virtù: tre teologali e quattro cardinali. Queste virtù comprendono tutte le forze, come principi di atti soprannaturali. Queste forze riposano tutte nell’intelletto e nella volontà. L’intelletto deve comprendere la verità, nutrirsene e trasmetterla; la volontà, amarla e ridurla in atti. – Per conoscere la verità di un’utile cognizione, l’intelletto ha bisogno dei doni d’intelligenza, di consiglio, di sapienza, e di scienza. I doni di pietà, di forza e di timore sono gli ausiliari indispensabili della volontà, nell’amore e nella pratica del bene.. Cosi i doni dello Spirito Santo colpiscono tutte le facoltà dell’anima, tutte le virtù intellettuali e morali, e le seguitano nei loro atti, di qualunque natura si siano. [S. Th. a, 2ae, q. 68, art. 4, corp.] – Sotto una figura di una profonda verità, san Gregorio mostra la stessa ragione del numero sette. « Dio, dice, ha creato il mondo e l’ha reso perfetto in sette giorni. Come immagine di Dio, l’uomo è creatore. A ciascun giorno della sua creazione spirituale, corrisponde un dono dello Spirito Santo. Tutti insieme compiono e perfezionano i lavori, tanto della vita attiva che della vita contemplativa. » Ne risulta che il numero sette è quello che conviene ai doni dello Spirito Santo: più sarebbe inutile, meno non basterebbe. A questa mirabile precisione, come non riconoscere l’infinita sapienza, la quale nell’ordine morale, non meno che nell’ordine fisico, fa tutto con numero? – Essa riluce di un nuovo splendore, se si considera, come faremo più tardi, che i doni dello Spirito Santo sono opposti ai sette peccati capitali. Questi sette, peccati, o per dir meglio, questi sette Spiriti maligni s’impadroniscono delle sette virtù o potenze nell’uomo, come del suo intelletto e della sua volontà, cioè dire, eh essi assalgono l’uomo in tutto il suo essere. Per combattere con successo contro queste sette potenze infernali, sette forze divine erano necessarie all’uomo. Ei le trova né più né meno, nei sette doni dello Spirito Santo. – Nuovo tratto di sapienza e di bontà: questo splendido corteggio di perfezioni soprannaturali, questa potente coorte di ausiliari divini è indissolubile. I doni dello Spirito Santo sono inseparabili gli uni dagli altri. « Nessuna virtù morale, dice il principe della teologia, può esistere nell’uomo senza la prudenza. Tutte si riuniscono in questa virtù che le dirige secondo i lumi della ragione. Cosi avviene del cristiano. Tutte le sue virtù, tutte le forze della sua anima sono eccitate e rette dai doni dello Spirito Santo. Ora, lo Spirito Santo abita in noi, mediante la carità. Cosi, come le virtù morali sono messe in un fascio per mezzo della prudenza, parimente i doni dello Spirito Santo si trovano legati insieme nella carità. Colui dunque che ha la carità, possiede i sètte doni dello Spirito Santo, e colui che la perde, perde tutti i sette doni: ma egli gli ricupera ricuperando la grazia.1 »1 [l a, 2, q. 68, art. 4, corp. ; et. 9, 68, art. 5, corp.]. – Tale è, per dirla di passaggio, la ragione del numero sette, così spesso riprodotto nelle penitenze canoniche e nelle indulgenze accordate dalla Chiesa. [S. Anton., Summa theologic. p. IV, tit. X, c. I, p. 152, ediz. in-4, Venet. 1861]. – Non solamente i doni dello Spirito Santo sono inseparàbili; ma sono altresì talmente permanenti, che sopravvivono anche alla morte. Come mezzi necessari di santificazione nell’esilio, cosi divengono nella patria fonti di gloria e di beatitudine. « I doni dello Spirito Santo, continua san Tommaso, possono essere considerati nel loro oggetto attuale e nella loro essenza. Finché riseggono nell’uomo pellegrino, essi hanno per oggetto le opere della vita attiva, vale a dire, la pratica dei differenti doveri, ai quali la salute è annessa. Sotto questo rapporto essi non dimorano in cielo. Essendo allora ottenuto il fine, i mezzi non hanno più ragione d’essere. « Accade diversamente, se li consideriamo nella loro essenza. Difatti, è della loro essenza il perfezionare l’anima, in modo da renderla docile all’impulso divino. – Ora, in cielo questa docilità sarà completa. Là Dio sarà tutto in tutte le cose, e l’uomo perfettamente sottomesso a Dio. Cosi non solamente i doni dello Spirito Santo, principi di questa docilità, sussisteranno in cielo, ma incomparabilmente più perfetti che quaggiù, rifulgeranno negli eletti di una splendida luce, e saranno la misura della loro felicità e della loro gloria. » [l a, 2ae, q. 68, art.’6, corp.]. – Questo splendore non sarà lo stesso per tutti i doni, imperocché tutti non hanno la stessa eccellenza. Tutti, è vero, sono tante pietre preziose che formeranno la corona degli eletti; ma nel cielo, come sulla terra, tutte le pietre preziose non hanno né lo stesso pregio, né lo stesso splendore. Il rubino, lo smeraldo, il topazio, il diamante, hanno ciascuno la sua bellezza specifica e una luce differente. Che una eccellenza relativa, una dignità gerarchica distingua i doni dello Spirito Santo, niente è più facile a provarsi. – Questi doni corrispondono alle virtù, cioè dire, che ciascun dono ha per scopo di mettere in movimento una virtù particolare e di nobilitarla, facendola produrre degli atti, prontamente, facilmente, costantemente sotto l’impulso dello Spirito Santo. Ora, vi è una differenza di dignità tra le virtù. Senza parlare delle virtù teologali, che sono le prime di tutte, le virtù intellettuali sono superiori alle virtù morali, e tra le virtù intellettuali quelle contemplative sono preferibili alle attive. La causa e che le prime perfezionano la più nobile facoltà dell’uomo, la ragione; mentre le seconde non perfezionano che la volontà. – È una necessità che non avvenga lo stesso tra i doni: imperocché quanto più nobile è la cosa da muovere, tanto più nobile deve essere il motore; quanto più perfetta è la facoltà da perfezionare, tanto più perfetto deve essere il principio perfezionante. « Cosi, aggiunge san Tommaso, nei doni; la sapienza e 1’intelletto, la scienza e il consiglio, sono preferiti alla pietà, alla forza ed al timore. Fra questi tre ultimi, la pietà è preferita alla forza, e la forza al timore; come la giustizia medesima è preferita alla forza e la forza alla temperanza. – Tale è la superiorità relativa dei doni, presi in sé medesimi. – « Considerati sotto il rapporto degli atti, la forza ed il consiglio sono preferiti alla scienza ed alla pietà, perché la forza ed il consiglio si esercitano nei casi difficili; la pietà ed anche la scienza, nei casi ordinari. Si vede che la dignità dei doni corrisponde all’ordine nel quale essi sono numerati, parte semplicemente, in quanto che la sapienza e l’intelletto sono preferite a tutti; parte secondo il loro ordine di applicazione, in quanto che il consiglio e la forza sono preferiti alla scienza ed alla pietà [S. Th., l a, 2 ae, 9, 68 , a r t . 7, corp.] ». -Ma in che ordine i doni dello Spirito Santo sono numerati? Trovansi due modi di contarli: l’uno discendente che comincia dalla sapienza e finisce col timore; l’altro ascendente, che comincia col timore e finisce con la sapienza. Allorché lo Spirito Santo diffonde i suoi doni su Nostro Signore, Egli li nomina per ordine di dignità; sopra di noi, per ordine di necessità. Di Nostro Signore è detto: Su di Lui riposerà lo Spirito di sapienza e sarà riempito dallo Spirito del timore del Signore. Di noi è detto: Il timore è il principio della sapienza. Perché questa doppia scala? Il Verbo incarnato è l’eterna sapienza; ed il primo dono comunicato alla sua anima è la sapienza. Con ciò Io Spirito Santo ha voluto mostrare, che questa umanità santa, essendo senza peccato né imperfezione,- partecipa alla prima, dell’attributo supremo della Persona divina, alla quale essa va unita. L’ultimo dono nominato dallo Spirito Santo è il timore. La sede del timore è soprattutto nella parte inferiore deir anima, cioè dire, nel punto che pone in contatto immediato Nostro Signore con la nostra povera umanità. E lo Spirito Santo ha voluto insegnarci, che il timore è il primo gradino della scala che deve innalzarci sino a Dio, sapienza infinita. Tal’è l’ordine, secondo il quale lo Spirito Santo si comunica al Dio uomo, l’innocenza stessa e il riparatore dell’innocenza. – Quanto a noi, riceviamo i doni dello Spirito Santo nell’ordine inverso; e si capisce.1 [S. Bonav., ubi supra, p. 241].Carico di miserie e di peccati, il primo sentimento che l’omo deve provare dinanzi a Dio, è il timore. Ecco perché il timore è il primo dono eh’egli riceve, e la sapienza 1’ultimo a cui perviene. Lo Spirito Santo per arrivare sino a noi, discende nel Verbo incarnato, dalla sapienza al timore, e per rialzarci sino al nostro Fratello maggiore, ci fa risalire dal timore alla sapienza.Se vogliamo che il cristiano conosca la concatenazione e la dignità relativa dei doni dello Spirito Santo, tale è l’ordine che importa seguire spiegandoli. È tanto più razionale, in quanto che i doni dello Spirito Santo sono direttamente opposti ai peccati capitali. Ora l’orgoglio è il padre di tutti gli altri: Initium omnis peccati est superbia; ed è altresì il primo che si spiega. Il timore ne è il rimedio, come dimostreremo. È dunque per il timore che deve cominciare r esplicamento dei doni dello Spirito Santo.Questi due ordini, uno dei quali scende e l’altro sale, racchiudono, come é facile vedere, di grandi insegnamenti e di belle armonie. Né gli uni né le altre sono sfuggiti allo sguardo penetrante dei dottori della Chiesa: « Col numero sette, dice sant’Agostino, i doni ci rivelano lo Spirito Santo, il quale scendendo a noi, comincia con la sapienza e finisce col timore; mentre noi per mostrarci fino a lui, cominciamo col timore e si finisce con la sapienza; imperocché il timore dei Signore è il cominciamento della sapienza.1 » [Serm. 448, c. IV, opp. t. V, p. I, p. 1499]. E altrove: « Allorché il profeta Isaia celebra i sette doni mirabili dello Spirito Santo, incomincia colla sapienza e arriva al timore, scendendo dalla vetta fino a noi, a fine d’insegnarci a salire. Egli parte dal punto in cui vogliamo giungere, e perviene al punto in cui noi dobbiamo incominciare. Su di lui riposerà, dice, lo Spirito del Signore, lo Spirito di sapienza e d’intelletto, lo Spirito di consiglio e di forza, lo Spirito di scienza e di pietà, lo Spirito del timore del Signore. Cosi, come il Verbo incarnato non diminuèndo, ma insegnandoci, discende dalla sapienza sino al timore; parimenti noi dobbiamo salire, avanzando, dal timore alla sapienza. Difatti il timore é il principio della sapienza.Essa è quella valle del pianto di cui parla il profeta allorché dice : Egli ha disposto delle ascensioni nel suo cuore, in fondo alla valle delle lacrime. « Questa valle è 1’umiltà. Ora chi è 1’umile se non colui che teme Dio, e che a motivo di questo timore, fa scorrere dal suo cuore delle lacrime di confessione e di penitenza? Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato. Che egli non tema dunque di dimorare nel fondo della valle. In questo cuore contrito e umiliato Iddio ha preparato delle ascensioni, con le quali ci innalziamo sino a Lui. Dove, si fanno queste ascensioni? Nel cuore, dice il profeta, in corde. Di dove bisogna salire? Dal fondo della valle del pianto. Dove bisogna salire? Nel luogo che Dio medesimo ha preparato, in locum quem disposuit. Qual’è questo luogo ? Il luogo del riposo e della pace, dove abita, risplendente di luce, l’mmortale Sapienza.« Cosi per istruirci, Isaia scende a gradi dalla sapienza sino al timore, vale a dire dal soggiorno della pace eterna sino al fondo della valle dei gemiti, passeggeri come il tempo. Egli vuole insegnarci, poveri penitenti, che piangiamo e che gemiamo, a non restare nei gemiti e nelle lacrime; ma a salire da questa trista valle sino alla montagna spirituale, su quella cima sulla quale è edificata la santa Gerusalemme, nostra madre, dove noi godremo di una gioia senza misura e senza fine. Tale è la ragione per cui egli pone nel primo grado la sapienza, vale a dire la vera luce dell’ anima, e al secondo l’intelligenza. Come se rispondesse a coloro che gli domandano da qual punto bisogna partire per arrivare alla sapienza, egli dice: dall’intelletto. E per pervenire all’intelletto? dal. consiglio. E al consiglio? dalla forza. E alla forza? dalla scienza. Ed alla scienza? dalla pietà. E alla pietà? dal timore. Dunque alla sapienza dopo il timore: dalla valle del pianto, sino alla montagna della pace.1 ». Serm, 247, c. III, opp. t. ‘V, p. 1987]. – Nella maniera con cui Isaia parla del dono di timore nel nostro Signore, cosi l’abate Ruperto ci fa ammirare la profonda condiscendenza del Verbo incarnato, divenuto il salvatore ed il precettore dell’uman genere. Ecco le sue parole : Il profeta dice : « E lo Spirito del timore del Signore lo riempirà. È degno di nota che, parlando d’ei sei primi doni, Isaia dice costantemente: Su di Lui riposerà lo Spirito del Signore, lo Spirito di sapienza, lo Spirito d’intelletto, e. cosi degli altri. Perché, giunto al settimo cambia egli la parola e dice: lo Spirito di timore lo riempirà? Comprendiamo il mistero: Iddio ha voluto mostrare all’universo questo stupendo spettacolo: il Creatore dell’uomo, il Dio dell’eternità, che discende sino al punto da cui deve partire l’uomo peccatore, per uscire dall’abisso del vizio e liberarsi dalle catene infernali del peccato. – « Di fatti, il principio della sapienza è il timore del Signore. Il Creatore é sceso appunto fin qui. Lo Spirito del timore di Dio lo riempirà, dice il profeta. Che egli abbia detto: Sopra di lui riposerà lo Spirito dì sapienza e d’intelletto, non havvi nulla di sorprendente. Tutte queste magnifiche qualità si addicono alla Maestà di un Dio. Ma qual é l’Angelo, o l’uomo che non sia stupefatto, vedendo il Signore discendere fino al timore del Signore; il Padrone sovrano e terribile del cielo e della terra, pieno di timore non in parte, ma pienamente e in tutta l’estensione, che uomini ispirati dello Spirito Santo possono dare alla parola pienezza ? » [De Spir. sanct, lib. I, c. XXV]. – Tale è la scala misteriosa che il Verbo, condotto dallo Spunto Santo, ha calata per giungere fino a noi, e che noi medesimi dobbiamo salire per giungere sino a Lui. Fermiamoci per un istante a considerare questo duplice movimento di discesa e di salita. Questo studio per se stesso interessante ha tre grandi vantaggi. Il primo: di verificare con fatti l’enumerazione gerarchica d’Isaia: il secondo, di pòrci nella condizione di esercitare i doni dello Spirito Santo; il terzo di propalare gli effetti generali dei doni dello Spirito Santo sul genere umano. – 1. Verificare l’enumerazione gerarchica d’Isaia. Certo la vita del Verbo, fatto carne, è una manifestazione sostenuta dallo Spirito che riposava su di Lui. Nondimeno si trovano delle circostanze in cui rifulge di uno splendore più vivo ciascun dono dello Spirito settiforme, e nell’ordine stesso della enumerazione profetica. Gesù entra nella sua vita pubblica, e il primo dono che in lui riluce è la sapienza. Appena uscito dalle acque del Giordano, lo Spirito lo spinge nel deserto. Ivi, egli digiuna quaranta di e quaranta notti; permette al demonio di venire a tentarlo, a fine di avere occasione di vincerlo; respinge i suoi assalti con parole divine scelte mirabilmente, e così prelude a tutte le vittorie che Egli ed i suoi discepoli, di tutti i secoli e di tutti i paesi, riporteranno sull’eterno tentatore. – Dov’ è 1′ uomo la cui vita dirà una sapienza paragonabile a questa? Ritornato tra gli uomini, uno dei suoi primi atti è di entrare nella Sinagoga di Nazaret, ove si alza per fare la lettura dei libri santi, gli fu dato il libro d’Isaia, e spiegato che ebbe il libro, trovò quel passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per lo che mi ha unto e mi ha mandato ad evangelizzare a poveri; a curare coloro che hanno il cuore contrito; ad annunziare agli schiavi la liberazione, ed ai ciechi la recuperare la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e predicare l’anno accettevole del Signore e il giorno della retribuzione. E ripiegato il libro lo rese al ministro e si pose a sedere e principiò a dir loro: “Oggi con le vostre orecchie avete udito l’adempimento di questa Scrittura”. [Luc IV, 17-19].» – Essa è compiuta; imperocché il profeta parla di miracoli dell’ordine morale, e in me e per me voi state per vedere operarsi tutti questi miracoli. Trovare immediatamente questo passo d’Isaia e darne il senso preciso, non é egli il trionfo del dono dell intelletto? – Ecco il dono del consiglio. Sospettando l’incredulità dei suoi uditori, fa loro intendere che questi miracoli non sono per essi. « In verità vi dico che molte vedove eranvi in Israele a tempo d’Elia, quando il cielo stette chiuso per tre anni e sei mesi, e fu carestia grande per tutta la terra. E a nessuna di esse fu mandato Elia, ma. a una donna vedova di Sarepta del territorio di Sidone. E molti lebbrosi erano in Israele al tempo di Eliseo Profeta: e nessuno di essi fu mondato fuori che Naaman Siro.» Luc., IV, 25-27]. – Conoscenza chiara e rivelazione precisa degli eterni decreti sui Giudei e sui gentili, tutto è in queste parole. Sulle labbra del Salvatore esse dicono: Col vostro orgoglio, o giudei, voi chiuderete sul vostro capo il cielo della misericordia: tutta la pioggia di grazie, caduta sopra di voi, mediante il ministero di Mosè e dei profeti, prenderà la sua direzione verso i gentili: e la vostra lebbra che voi non volete curare, sarà la guarigione della lebbra delle nazioni, per cui lo Spirito dei sette doni sarà la purificazione e il medico. – Il dono di Consiglio può egli spiccare di una più viva luce? – Il dono di Forza non è più difficile a trovarsi. Irritati dall’esperienza data ad essi dal dono di consiglio, gli Ebrei s’impadroniscono del Verbo incarnato e lo conducono in cima del monte sul quale la loro città era edificata, a fine di precipitarlo; ma sgusciò loro di mano e si allontanò tranquillamente. Questo non era che il preludio di atti più luminosi del dono di forza. – Cacciare il forte armato’ dalla sua cittadella, rompere i legami della morte, risuscitare se medesimo alla gloria, che cosa è questo se non il dono di Forza, innalzato alla sua più alta potenza? – Ogni passo del Salvatore nella sua vita pubblica, è contrassegnato dal dono di Scienza. Che dico? lo si vede risplendere come un raggio di luce divina nell’oscurità della sua vita nascosta. Potremmo noi dimenticare la meraviglia cagionata a tutti i vecchi dottori della legge, con le domande e risposte di quel fanciullo di dodici anni? Ma come il sole diventa più splendido a misura che si avanza sull’orizzonte, così con gli anni, il dono di Scienza rifulge in Gesù di un nuovo splendore. Per la festa dei tabernacoli egli sale a Gerusalemme; e dinanzi alla moltitudine riunita nel tempio egli insegna la sua dottrina. L’ammirazione splende da tutte le parti e si traduce con queste parole: Come sa egli le scritture senza averle mai apprese? Si può proclamar meglio il dono di Scienza ? – Continuando a scendere i gradini della scala misteriosa, il Verbo redentore giunge al dono di Pietà. Nessuno ignora ciò che rivelano le commoventi parabole del buon Samaritano: del padre di famiglia che invita al suo banchetto i poveri, gli infermi, i ciechi e gli storpi; della dramma e delle pecore perdute. – Ma la parola del figliuol prodigo non è l’inimitabile capo d’opera del dono di Pietà? – Eccoci finalmente al dono di Timore. Poiché nota all’uman genere il primo passo che dee fare per elevarsi a Dio, questo dono apparisce 1’ultimo e negli ultimi momenti del divin maestro. Esso é come il vestigio ancor caldo, nel quale l’uomo deve cominciare col mettere il piede. Questo vestigio indelebile è preso dal giardino degli Olivi. Non vedete voi il Forte d’Israele, colpito tutto ad un tratto da timore, da noia e da tristezza che cade in ginocchio e dice: Padre, se è possibile, allontanate dalle mia labbra questo calice? Non lo vedete voi nei patimenti dell’agonia, ricoperto di sudore, di sangue e ridotto per non soccombere, ad accettare il soccorso di un Angelo consolatore? Al timore mortale aggiungete la sottomissione la più rispettosa e la più intera agli ordini paterni, e dite se mai il dono di Timore si é rivelato con una tale perfezione! [Vedi Ruperto, De Spir. sanct., lib. I, c. XXI]. 2. Porci in grado di esercitare o praticare i doni dello Spirito Santo. Noi conosciamo i gradini pei quali il Verbo divino è sceso dalla vetta delle colline eterne sino in fondo alla valle dei pianti. Per compiere il moto contrario, quali sono quelli che noi dobbiamo seguire? Il saperlo è per noi di un capitale interesse. Con questi doni dello Spirito Santo il Verbo ha salvato l’uomo e creato un mondo nuovo.11 [Luc., IV, 17; Hebr., IX, 14] – Come immagine del Verbo e piccolo mondo, il cristiano può e deve, mediante gli stessi doni e con essi unicamente salvarsi, e fare di sé un mondo nuovo. Come metterli in opera? Dinanzi ai suoi occhi è la scala da salire. Avere la pretensione di alzarsi al primo salto fino allo scalino superiore, sarebbe follia. Bisogna dunque cominciare col porre il piede sul più basso. Quest’ultimo scalino, l’abbiamo visto, è il timore. Il Salvatore ci attende e ci, porge la mano. Lo stesso Spirito che l’ha fatto discendere fin li, comincia per innalzarci fino a quello. Tale è la sua prima operazione. – Ascoltiamo san Bernardo : « È con ragione, egli dice, che il timore di Dio è chiamato il principio della sapienza. Iddio, infatti, comincia a farsi gustare all’anima, allorquando gli insegna a temere, e non a sapere : imperocché temere è gustare: Timor, sapor est Ora il gusto rende savio, come la scienza rende sapiente. Temete voi la giustizia e la potenza di Dio? Voi gustate Dio giusto e potente. Sapienza viene da sapore. Ecco perché il timore, cominciamento della sapienza, diffonde nelle profondità dell’essere un sapore molteplice, che rigenera tutta la famiglia interiore dell’anima, purifica il suo regno, lo pacifica e lo santifica. 2 »2 [Serm . 28 in Cantic.]. – La conferma del gran mistero è tanto più vera, in quanto che il dono di Timore non produce il timore servile, ma il timore figliale; timore rispettoso, rassegnato e fiducioso, simile a quello dell’Uomo-Dio nell’orto di Getsemani. – Il timore è dunque il primo gradino della nostra ascensione verso Dio, la prima condizione del nostro riscatto, la prima legge della nostra rigenerazione; la Chiesa lo sa. Essa che non ignora nessuno dei segreti dell’ordine morale, incomincia sempre la salute dei suoi col timore. Ai suoi occhi, il lavoro di rigenerazione o di creazione nuova, imposto all’uomo, si divide in tre periodi, che essa appella la vita purgativa, la vita illustrativa e la vita contemplativa. A ciascuna corrispondono alcuni dei doni dello Spirito Santo. Il timore è il primo fondamento della vita purgativa, e la vita purgativa è il principio della rigenerazione. – Leggete inoltre tutti gli autori ascetici, quegli ufficiali del genio nella guerra spirituale; non ve ne è uno che non dia ai piani d’attacco e di difesa il timore, per primo centro d’operazione. Ascoltate tutti i predicatori di ritiri e di missioni, quei capitani esperimentati che fanno manovrare tutte le forze spirituali contro le potenze nemiche della salute; neppur’uno che non cominci la battaglia, senza mettere innanzi i «fini ultimi dell’uomo, fonti eterne del timore. – Come interpreti dello Spirito Santo, tanto gli uni che gli altri, non fanno che applicare la legge immutabile, che pone il timore come principio della sapienza. Per l’organo infallibile del concilio di Trento, lo Spirito santifìcatore, descrive egli medesimo il modo con cui egli opera la giustificazione dei peccatori. Il timore della giustizia di Dio dà loro la scossa; dal timore passano alla considerazione della misericordia: questa considerazione gli conduce alla confidenza, che Dio gli perdonerà in vista dei meriti del suo Figliuolo. Allora essi cominciano ad amarlo, come .fonte di ogni giustizia, e a detestare i loro peccati. [Sess. IV, c. VI.]. – È dunque’ bene stabilito che l’uomo, mediante il dono di timore si pone in contatto con l’eterna sapienza, e comincia l’opera della sua nuova creazione. Questa creazione, capo d’opera dei sette doni dello Spirito Santo, fu come tutte le opere della grazia, figurata nella creazione del mondo materiale. In quella guisa che il primo giorno della settimana primitiva, chiama il secondo, e il secondo il terzo, fino all’ultimo; cosi il primo dono dello Spirito Santo, messo in opera conduce al secondo, e questo a tutti gli altri sino al settimo, cioè alla sapienza, che è il riposo perfetto. Ivi giunto, l’uomo può dire, come lo stesso Dio nel contemplare 1’opera sua: Egli vide tutto ciò che aveva fatto, e lo trovò buonissimo. [S. Aug. De doctr. christ., c. vii]. Siccome noi abbiamo altrove spiegato l’economia di questo mirabile lavoro, perciò non vi ritorneremo. – 3. Effetti generali dei doni dello Spirito Santo nell’uman genere. I doni dello Spirito Santo fanno del Nostro Signore un Dio-scorno. Del cristiano essi fanno con le debite differenze un uomo-Dio. La prima cosa che gli apostoli, organi dello Spirito Santo, predicano ai rappresentanti del genere umano, riuniti nel Cenacolo, è la penitenza. Poenitentiam agite. Ora la penitenza è inseparabile dal dono di timore. Con questo dono 1’umanità, unita al Verbo incarnato, non tarda a ricevere la sua pienezza, la pienezza della sua pietà, la pienezza della sua scienza, quella della sua forza, quella del suo consiglio, quella del suo intelletto, quella infine della sua sapienza. Noi ne riceviamo, secondo la capacità delle nostre anime, e secondo la misura della nostra fedeltà. – In lui è la sorgente, in noi il rivo; in lui il focolare, in noi la scintilla; in lui lo Spirito dei sette doni in tutta la loro abbondanza, in noi una parte di questa abbondanza. Ecco perché, nota san Giovanni Crisostomo, il profeta non dice: lo dono il mio spirito, ma: Io diffonderò il mio spirito sopra ogni carne. [Propterea non dixit, do Spiritum, sed effundam de Spiritu meo super omnem camem. Exposit., in Ps. 44, n. 2, opp. t. V. p. I, p. 195]. – Tuttavia voi vedete ciò che produce nel mondo questa goccia di grazia, questa scintilla dello Spirito Santo! « La terra intera ne riceve l’influenza e ne prova la commozione. Caduta da prima sulla Palestina, essa guadagna l’Egitto, la Fenicia, la Siria, la Cilicia, l’Eufrate, la Mesopotamia, la Cappadocia, la Galazia, la Scizia, la Grecia, la Gallia, l’Italia, tutta la Libia, l’Europa, l’Asia ed anche l’Oceano. Havvi bisogno di un più lungo discorso? Quanta terra illumina il sole, altrettanta questa grazia ne percorre; e questa grazia, questa scintilla dello Spirito Santo, riempie il mondo di scienza. Per lei si compiono i miracoli, per lei i peccati sono rimessi. Pur nonostante questa grazia, estesa a tante regioni, non è che una parte e un’arra dello stesso dono. Egli ha deposto nei nostri cuori, dice l’ Apostolo, un arra dello Spirinto, cioè dire della sua operazione; imperocché lo Spirito non si divide. « Che cosa dire della sorgente? Ad uno è dato, mediante lo Spirito, il linguaggio della sapienza; ad un altro il linguaggio della scienza, mediante lo stesso spirito; all’altro la fede; all’altro la grazia delle guarigioni; all’altro il dono dei miracoli; all’altro la profezia; all’altro il discernimento degli spiriti; all’altro il dono delle lingue. Mediante la grazia ricevuta nel battesimo egli estende a tutte le nazioni tutti questi doni. Ecco quel che fa una goccia dello Spirito Santo. Che questa sia una goccia soltanto, lo dichiara il profeta, dicendo: Io diffonderò del mio spirito: Vedete dunque quant’è la potente fecondità della grazia dello Spirito Santo, la quale da sì lungo tempo basta all’intero mondo, e che non conoscendo né frontiere, né diminuzione, ricolma l’uman genere d’ineffabili ricchezze, senza impoverir sé medesimo. » [Ubi supra] – Avanti il gran Tertulliano, l’illustre patriarca di Costantinopoli, aveva celebrato la rapida deificazione dell’uman genere, mediante lo Spirito dei sette doni. Per lui questo miracolo era la prova irrefutabile della divinità del Verbo fatto carne, da cui il mondo aveva ricevuto lo Spirito rigeneratore. « Gli apostoli, dice nel suo magnifico linguaggio, furono il porta voce dello Spirito Santo, e le loro parole hanno risuonato in tutti gli echi dell’universo. A chi hanno mai creduto tutte le nazioni del globo? Al Cristo, e al Cristo solo. Davanti a Lui tutte le porte delle città si sono aperte, dinanzi a Lui tutte le serrature si sono rotte: e le valvole di bronzo hanno girato. sui loro cardini per farlo passare. Certo questi miracoli appartengono all’ordine morale, e bisogna intenderli in questo senso; che i cuori, degli abitanti della terra, assediati, chiusi, posseduti dal demonio, sono stati liberati, o aperti dalla fede del Cristo. Ma questi miracoli non sono però meno reali, poiché in tutti i luoghi abita oggidì il popolo cristiano. Ora, chi può estendere il suo regno all’intero universo, se non Cristo Figliuolo di Dio, annunziato come dovente regnare eternamente su tutte le nazioni ? « Salomone ha regnato, ma nelle frontiere della Giudea, da Dan fino a Bersabea. Dario ha regnato sui Babilonesi ed i Persii, ma non al di là. Il Faraone ha regnato sugli Egizii, ma solamente su di essi. Nabuccodonosor ha regnato dall’ Indie sino all’ Etiopia ; poco più lungi il suo impero era sconosciuto. Alessandro il Macedone ha regnato, ma sopra una parte dell’Asia soltanto. Che dirò dei Romani?Essi circondano il loro impero di stazioni militari, ed a queste barriere viventi finisce la loro potenza. Quanto a Cristo, il suo regno e il suo nome si distendono da per tutto. Da per tutto è creduto, da per tutto adorato, da per tutto comanda, dandosi a tutti senza accettazione di persona, per tutti uguale, per tutti re, per tutti giudice, per tutti Dio e Signore. Afferma tutto ciò senza esitare, poiché tu lo vedi co’ tuoi propri occhi. » [Lib. adv. Judaeos, c. VII]. – San Gregorio, colpito dallo stesso spettacolo, esclama: « Lo Spirito invisibile si è reso visibile nei suoi servi. I loro miracoli provano la sua presenza. Nessuno può fissare il disco abbagliante del sole quando si leva; ma noi possiamo vedere la cima dei monti che indora con la sua luce, e così sappiamo essere sull’orizzonte. Poiché non possiamo contemplare in se medesimo il sole di giustizia, vediamo i monti che ei fa risplendere della sua luce; i santi Apostoli, le cui virtù e i miracoli annunziano a tutta quanta la terra il levarsi del sole divino. Se è invisibile in se medesimo, noi vediamo i monti che illumina. La virtù della stessa Divinità è il sole nel cielo; la virtù della Divinità negli uomini è il sole sulla terra. Noi contempliamo dunque il sole sulla terra, poiché non possiamo contemplarlo nel cielo. » [Homil. XXX in Evang.] – Il genere umano, tratto dalla barbarie pagana, e stabilito nella piena luce del Vangelo, tali sono gli effetti generali dei doni dello Spirito Santo. Diciamo di passaggio, dinanzi a questo fatto, sempre antico e sempre nuovo, che cosa sono le obiezioni dell’ incredulo contro il cristianesimo? Ciò che sono i ragionamenti del cieco nato, contro l’esistenza del sole; ciò che sono le parole dell’insensato contro la certezza degli assiomi di geometria. – Come si è questo gran fatto compiuto nell’umanità? Come si compie in ciascun uomo; esso ha cominciato col dono del timore, traendosi dietro tutti gli altri. Che cosa predica Giovanni Battista, il precursore della luce? Il timore: « Fate degni frutti di penitenza. Di già la scure è posta alla radice dell’albero: ogni albero che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco. » [Luc,, III, 8.] – E Pietro, primo interprete del Redentore, davanti agli Ebrei dice: « Fate penitenza, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, in remissione de’ vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. » [Act., II, 38]. – E Paolo, suo apostolo, davanti ai gentili: « Iddio annunzia ora agli uomini che tutti, in ogni luogo facciano penitenza. » [Act, XVII, 30]. – Cosi da per tutto il dono di timore è in capo lista. Il principio della sapienza è il timore; tale è la legge immutabile della redenzione. – Per la ragione contraria, la perdita del timore è il principio della rovina. Come fece il mondo cristiano a scuotere il giogo del Cristianesimo? come giunge egli parimente a questo grado di aberrazione, da negare l’evidenza dei fatti evangelici? Perdendo i doni dello Spirito Santo. In quale ordine gli perde egli? Nello stesso ordine in cui gli riceve. Il primo a perdersi, come il primo a riceversi, .è il timore. Che cosa pensare di un’epoca che non ha più il timore di Dio ? I doni dello Spirito Santo essendo inseparabili, un’epoca che perde il timore di Dio, è un’epoca che perde la sapienza, che perde l’intelligenza, che perde il consiglio e la forza della virtù. È un epoca che si trova abbandonata ai sette spiriti contrari, allo spirito d’orgoglio, allo spirito di avarizia, allo spirito di lussuria, allo spirito d’iniquità, sotto tutti i nomi e sotto tutte le forme. Ove va essa? E come meravigliarsi di ciò che vediamo? e come non presentire ciò che vedremo? Se il timore è il principio della sapienza, la mancanza di timore è il principio della follia. Qui la follia è il preludio del delitto senza rimorsi presso gli individui, e catastrofi senza nome per i popoli. Se il mondo non vuol perire, ritorni ad aver dunque il timore: quest’é la prima legge della sua conservazione, la prima condizione della sua felicità: “Timeat Dominimi omnis terra…. Beatus vir qui timet Dominimi”. [Ps. XXXII et CXI].

Documenti declassificati: gli Stati Uniti coinvolti nel “Golpe” del Conclave del 1958.

dipart. stato USA

In un post del 15 giugno 2015, un redattore del sito americano TCW, riferiva di aver visitato l’US National Archives e di aver così potuto ottenere più di 200 documenti e fascicoli declassificati riguardanti i rapporti intrattenuti dal Vaticano col governo degli Stati Uniti (ed altri Paesi). 

declass.

L’immagine riportata si riferisce ad un esemplare di questi importanti documenti: esso (un telegramma) venne inviato dall’ambasciatore USA in Italia (James Zellerbach, di stanza a Roma) al Segretario di stato degli Stati Uniti John Foster Dulles presso il dipartimento di stato a Washington D.C. il 11/10/58, 15 giorni prima cioè dell’ “Assemblea” del 26 ottobre, cioè del Conclave del 1958. Ecco il testo in inglese: “During conversation with embassy officier, vatican source espresse personal view next pope will be “elected” outside conclave by agreement between cardinals. Source said Pius XII elected this manner and recalled that as cardinals were entering 1939 conclave card Pizzardo had called him aside and asked him to prepare biographical sketch of pacelli. Added he consulted with msgr. Montini and both decided for obvious ressons not to go ahead with pizzardo’s request. Speculating on Pius XII’s successor source said college may very well choose an old cardinal whose short pontificate may be devoted entirely to the re-organization of the roman curia left by deceased pope in “deploravle state”. Source indicated election of siri, ruffini, ottaviani would be “misfortune for church” since these three cardinals have an unrealistic approach to great problems facing world today. Source said election oh anyone of three could depend on influence oh American cardinals and volunteered suggestion u.s. authorities would do well exercise discretly “their own influence on certain cardinals”. [Durante la conversazione con l’ufficiale di ambasciata, la “fonte” del Vaticano ha espresso il punto di vista personale che il prossimo Papa sarà ” eletto ”  fuori dal conclave da un accordo tra cardinali. La “fonte” ha detto che Pio XII fu eletto in questo modo e ha ricordato che, come un cardinale entrava nel conclave del 1939 con la carta di Pizzardo, veniva chiamato in disparte e gli veniva chiesto di preparare il profilo biografico di Pacelli. L’addetto si è consultato con mons. Montini ed entrambi hanno deciso per ragioni evidenti di non procedere con la richiesta di Pizzardo. Speculando sul successore di Pio XII la “fonte” ha detto che il collegio può benissimo scegliere un vecchio cardinale il cui pontificato breve possa essere interamente dedicato alla riorganizzazione della Curia romana lasciata dal Papa defunto in uno “stato deplorevole”. La “Fonte” ha indicato come l’elezione di Siri, Ruffini, Ottaviani sarebbe “una disgrazia per la chiesa” dal momento che questi tre cardinali hanno un approccio non realistico dei grandi problemi che affliggono il mondo di oggi . La “Fonte” ha detto che l’elezione di uno di questi tre potrebbe dipendere dalla influenza dei cardinali americani e si offrono suggerimenti alle autorità degli Stati Uniti affinché esercitino discretamente “la propria influenza su alcuni cardinali”. (Tooday catholic world- 15-VI-2015).

L’ambasciatore Zellerbach, in sostanza passava le informazioni ottenute da una “fonte” Vaticana (probabilmente il traditore cardinale Tisserant) su un “evento” progettato per controllare l’esito dell’ imminente Conclave del 26 ottobre 1958. L’informatore della 5a colonna indica all’Intelligence degli Stati Uniti che lui e gli altri nella sua organizzazione Cabalistica non vogliono che cardinali come “Siri” siano eletti al Papato per la loro “visione non realistica” dei gravi problemi del mondo. C’è evidenza che il messaggio trasmesso da Zellerbach con urgenza alla leadership di Washington D.C. (di nota matrice massonica), servisse a mettere pressione (con un probabile ricatto), riguardo al papato, ai Cardinali americani, affinché contrastassero il blocco di “Siri” (o di altri papabili anti-massonici come Ottaviani, Ruffini …). Questo e simili documenti squarciano un velo sulla situazione balorda (volutamente fatta credere tale) degli uomini della chiesa “televisiva” e mediatica di oggi, lasciando quindi totalmente assolta la Chiesa cattolica “vera”, che rimane sempre la “Sposa senza macchia e senza rughe” di Cristo, dalle pretese deviazioni dogmatiche e dai fallibilismi ventilati dagli eretici scismatici gallicani e sedevacantisti di ogni risma, che in realtà sostengono occultamente l’azione dell’anticristo e dei suoi vicari!

lupo StemmaPonte

 

“Ex apostolatus officio” ed “Inter multiplices curas”: le Bolle bollenti!

[Una bolla al giorno, toglie il modernista eretico di torno]

Paolo_IV

 

“Ex apostolatus officio” edInter multiplices curas”: le Bolle bollenti!

La bolla di S. S. PAOLO IV, confermata dal Santo Padre S. Pio V, scomunica e manda tutti a casa (i falsi prelati, i loro adepti e i fanta-finti-fedeli) e, dopo la morte, assicura loro un posto “bollente” per sempre!

Se qualcuno avesse dato solo uno sguardo distratto ed infastidito alla bolla “Execrabilis” di Papa Pio II, (al secolo Silvio Enea Piccolomini), che abbiamo esaminato un po’ di tempo fa sul nostro blog, dovrebbe studiare con una certa attenzione quella di Paolo IV, (Pietro Carafa) un campano “doc”, perché nato nei pressi di Capriglia Irpina, alle falde di Montevergine, da una nobile famiglia napoletana. E se qualcuno non fosse convinto nemmeno da questo documento infallibile ed irreformabile, come del resto tutti i documenti del Magistero pontificio, dovrebbe consultare ancora l’altra Bolla di un Papa Santo addirittura “canonizzato”, e quindi al di sopra di qualsiasi sospetto sui Papi dell’epoca [ … purtroppo gli imbecilli sono sempre pronti a confutare con equina insipienza qualunque cosa non aggradi loro e non sia conforme al loro falso modo di intendere le cose e di vivere una Religione fatta a proprio uso e consumo o, se preferite, a propria immagine e somiglianza!]: il Santo Pio Quinto, (Michele Ghisleri). Cominciamo con ordine e partiamo da “Ex apostolatus officio” del 15 marzo A.D.1559. La traduzione della Bolla, a causa della grand’estensione dei periodi nell’originale in lingua latina, è opera impegnativa e da farsi col lume della ragione, oltre che dello Spirito Santo, perciò certe traduzioni pubblicate altrove appaiono scorrette, per non parlare della buona fede …. La causa di tali difficoltà è dovuta non solo alla tendenziosità di certi traduttori che distorcoro il senso originale a favore di opinioni opposte (… penso ai fallibilisti gallicani!), ma alla difficoltà di certi periodi latini, molto lunghi e di forme verbali assai complicate. Il testo in lingua latina, che qui ci è sembrato eccessivo pubblicare integralmente, si può evincere tranquillamente dal “Bullarium Romanum” edizione tipica pubblicata a Torino nel 1860, scaricabile da internet. Eccone il testo in italiano!

Paolo, Vescovo, – Servo dei servi di Dio -“Ad perpetuam rei memoriam”

Esordio : Impedire il Magistero dell’errore

Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non adeguati, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore. E siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità.

1 – Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo.

Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si debba provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.

2 – Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici

Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato (uniuscuiusque status), grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale (etiam episcopali), arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità (aut alia maiori dignitate ecclesiastica) quale l’onore del cardinalato o l’incarico (munus) della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale.

3 – Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede. Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche.

Considerando non di meno che, coloro i quali non si astengano dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi; Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo (“perpetuum valitura”), in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà (“de Apostolica potestatis plenitudine”), sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo (“et definimus”), che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno (“omnes et singuli”) dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche (sint etiam), per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, (absque aliquo iuris aut facti ministerio) interamente e totalmente privati in perpetuo (“penitus et in totum perpetuo privati”) dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici (“et officiis ecclesiasticis”) con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi; inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci (inhabiles et incapaces) a tali funzioni come dei relapsi [ribelli –ndr. -] e dei sovversivi in tutto e per tutto (in omnibus et per omnia), per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, “mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato” nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, (“aut quamvis aliam maiorem vel minorem dignitatem”) nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione. – Essi saranno considerati come tali (ribelli e sovversivi) da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate (evitari) ed escluse da ogni umana consolazione.

4 – Estinzione della vacanza delle cariche ecclesiastiche

Coloro i quali pretendono di avere un diritto di patronato (“ius patronatus”) e di nomina delle persone idonee a reggere le chiese cattedrali, comprese le metropolitane, patriarcali, primaziali o anche monasteri ed altri benefici ecclesiastici resisi vacanti a seguito di tali privazioni (per privationem huiusmodi vacantia), affinchè‚ non siano esposti agli inconvenienti di una diuturna vacanza (vacationis), ma dopo averli strappati alla servitù degli eretici, siano affidati a persone idonee a dirigere fedelmente i popoli nella via della giustizia, dovranno presentare a Noi o al Romano Pontefice allora regnante, queste persone idonee alle necessità di queste chiese, monasteri ed altri benefici, nei limiti di tempo fissati dal diritto o stabiliti da particolari accordi con la Sede, altrimenti, trascorso il termine come sopra prescritto, la libera disposizione, delle chiese e monasteri, o anche dei benefici predetti, sia devoluto di pieno diritto a Noi od al Romano Pontefice suddetto.

5- Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie

Inoltre, incorreranno nella sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente (scienter) si assumeranno la responsabilità d’accogliere (“receptare”) e difendere, o favorire (eis favere) coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità (credere) o insegnino i loro dogmi (eorum dogmata dogmatizare); e siano tenuti come infami; né siano ammessi, né possano esserlo (nec admitti possint) con voce, sia di persona, sia per iscritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, o sinodi o concilio generale o provinciale, né conclave di cardinali, né alcuna congregazione di fedeli od elezione di qualcuno, né potranno testimoniare; non saranno intestabili, né chiamati a successione ereditaria, e nessuno sarà tenuto a rispondere ad essi in alcun affare; se poi abbiano la funzione di giudici, le loro sentenze non avranno alcun valore e nessuna causa andrà portata alle loro udienze; se avvocati il loro patrocinio sia totalmente rifiutato; se notai, i rogiti da loro redatti siano senza forza o validità. – Oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro chiese, anche cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche (et officiis ecclesiasticis) in qualsivoglia modo, come sopra riferito, dalle qualifiche ottenute anche regolarmente, da loro come dai laici, anche se rivestiti, come si è detto, regolarmente delle suddette dignità, siano privati «ipso facto», anche se in possesso regolare, di ogni regno, ducato, dominio, feudo e di ogni bene temporale posseduto; i loro regni, ducati, domini, feudi e gli altri beni di questo tipo, diverranno per diritto, di pubblica proprietà o anche proprietà di quei primi occupanti che siano nella sincerità della fede e nell’unità con la Santa Romana Chiesa sotto la nostra obbedienza o quella dei nostri successori, i Romani Pontefici canonicamente eletti.

6 – Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.

Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (“nulla, irrita et inanis esista”), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (viribus careant) tutte e ciascuna (“omnia et singula”) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (“nullam prorsus firmitatem nec ius”), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (“auctoritate, officio et potestate”).

7 – La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dall’obbedienza e devozione alle autorità deviate dalla Fede.

E sia lecito a tutte ed a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi od elevati, ove non abbiano precedentemente deviato dalla fede, né siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici (quam etiam laicis) come pure ai cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato e così pure ai castellani, ai prefetti, ai capitani e funzionari, compresi quelli della nostra alma Urbe e di tutto lo Stato Ecclesiastico, anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito (liceat) ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalla obbedienza e devozione (ab ipsorum obedientia et devotione, impune quandocumque cedere) verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli (evitare eos) quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti [ai deviati]. – Ed a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.

8 – Permanenza dei documenti precedenti e deroga dei contrari

Non ostano all’applicabilità di queste disposizioni, le costituzioni ed ordinamenti apostolici, né i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche dirette ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati e cardinali, né qualsiasi altro disposto di qualunque tenore e forma e con qualsivoglia clausola e neppure i decreti anche se emanati «motu proprio» (etiam motu proprio) e con scienza certa nella pienezza della potestà Apostolica, o promulgati concistorialmente od in qualsiasi altro modo e reiteratamente approvati e rinnovati od inseriti nel «corpus iuris», né qualsivoglia capitolo di conclave, anche se corroborati da giuramento o dalla conferma apostolica o rinforzate in qualsiasi altro modo, compreso il giuramento da parte del medesimo. – Tenute presenti tutte le risoluzioni sopra precisate, esse debbono aversi come inserite, parola per parola, in quelle che dovranno restare in vigore (alias in suo robore permansuris), mentre per la presente deroghiamo tutte le altre disposizioni ad esse contrarie, soltanto in modo speciale ed espresso (dum taxat specialiter et espresse).

9- Mandato di pubblicazione solenne

Affinché pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe all’angolo del Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri; e che copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, e che l’ordine di pubblicazione, di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

10 – Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine.

Pertanto, a nessun uomo sia lecito (liceat) infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia. – Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo”.

A questo punto, da sedicenti e presunti cattolici, non c’è da stare molto allegri. Ma sentiamo già i “soloni” delle sacre cose [le “loro” cose ovviamente] imbastire delle osservazioni e dei distinguo, come era già successo all’epoca della pubblicazione della bolla, bolla che procurava molti “bollori” ( … e non dico quale fosse la parte anatomica più colpita … ). A questi falsi filosofi e teologi da strapazzo, preoccupati non dell’anima, ma della regione anatomica suddetta, pensò così di rispondere opportunamente Michele Ghisleri, S.S. San Pio V, con l’altra bolla, di qualche anno successiva alla summenzionata, che chiudeva e “chiude” definitivamente la questione, anche per i fallibilisti falsi chierici gallicani! L’eretico non può assumere cariche ecclesiastiche, compresa [anzi soprattutto] quella massima del Supremo Pontefice. Ora appare lampante che “coloro che” abbiano in qualsiasi modo, partecipato, sostenuto, approvato e divulgato i documenti eretici del Vaticano secondo, ne diffondano ed approvino i contenuti spacciandoli ingannevolmente come cattolici, ricadono ampiamente in questa rete loro preparata per tempo, con circa un mezzo millennio di anticipo, giusto per consentire a noi altri [sbigottiti o non …] di intelletto lento, di comprendere l’affare, denunciarlo e porvi riparo. Ecco quindi l’altra bolla, nelle parti che ci interessano qui:

“Bolla XXXIII” (-21.12.1566-) (Boll. Rom. Ed. Taur. VII).

     Declaratio quod sententiae in favorem reorum de haeresi inquisitorum a quibuscumque iudicibir contra stilum vel dispositionem iurisdictionis Offici sanctissimae Inquisitionis latae et ferendae, non transierint nec transeant in rem judicatam; et jurisdictio cardinalium inquisitorum ipsas causas revidendi; et confirmatio constitutionis Pauli quarti editae contra haereticos (1).

.(1)- [Haec bulla Pauli IV, cum ex. Est in tom. VI, pag. 551.]

Pius Papa V, motu proprio, etc ….

Inter multiplices curas, quae animum nostrum assidue pulsant, illi in primis est, prout esse debet, … ( …)

  • 3. Et insuper, vestigiis felicis recordationis Pauli Papae IV, praedecessoris nostri, inhaerendo, constitutionem alias contra haereticos et schismaticos per eumdem Paulum praedecessorem, sub data vide licet Romaese apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominicae millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, quinto decimo kalendas martii, pontificatus sui anno IV, editam, tenore praesentium renovamus et etiam confirmamus, illamque inviolabiter et ad unguem observari volumus et mandamus, iuxta illius seriem atque tenorem. (….)

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[Dichiarazione che le sentenze degli inquisitori in favore dei colpevoli di eresia, inquisiti da qualunque giudice contro quanto disposto dalla giurisdizione dell’Ufficio della Santissima Inquisizione, già pronunciate o da pronunciare non passino in sentenza, e diritto dei cardinali inquisitori di riesaminare quelle stesse cause, conferma dell’editto di Paolo IV, pubblicato contro gli eretici.]

[3) … Ed inoltre rifacendosi al felice esempio del nostro predecessore Papa Paolo IV rinnoviamo e confermiamo ancora una volta il decreto contro gli eretici e gli scismatici, pubblicato a Roma presso S. Pietro dallo stesso Paolo, nostro predecessore, nell’anno 1559 dell’Incarnazione del Signore, il 15 febbraio, anno quarto del suo pontificato. Tale decreto rinnoviamo e confermiamo e vogliamo e comandiamo che sia osservato in maniera precisa e inviolabile.]

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   Mi faceva pertinentemente notare un amico: ma se quelli che hanno letto la bolla “Execrabilis” e non si spaventano, inorridendo, del fuoco eterno, e pensano che sia solo una questione secondaria risolvibile, non secondo l’intento dei Papi infallibili, ma con la odierna fantasiosa misericordia “di comodo”, o non credono affatto all’esistenza dell’inferno (altra eresia ventilata dai falsi anti-papa neomodernisti-conciliari), non avranno a maggior ragione nessun timore di questi e di altri successivi anatemi. Tanto, a che serve preoccuparsi dell’inferno minacciato da una Bolla, se uno vi è già condannato da un’altra, ed un’altra ancora? Probabilmente l’amico ha ragione, ma noi siamo degli inguaribili ottimisti, chissà … forse il ripetersi tambureggiante degli anatemi scuoterà qualche coscienza narcotizzata, uno scossone in più potrebbe finalmente svegliare i “belli addormentati nei sepolcri imbiancati” … intanto tutti siamo chiamati a pregare, per noi stessi e per i pastori, veri o falsi che siano, delle povere pecorelle di Cristo.