LO SCUDO DELLA FEDE (213)

LO SCUDO DELLA FEDE (213)

MEDITAZIONI AI POPOLI (I)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. e libr. Sales. 1883

MEDITAZIONE I.

Una cosa sola importa, salvare l’anima nostra

Quale conforto per un ministro di Gesù Cristo! Egli, ogni volta che si presenta ad un popolo nelle chiese, trova sempre una famiglia di figliuoli tutti adunati nel bacio santo di carità intorno alla mensa del comun Padre, l’altare, e sopra l’altare il Crocifisso cogli occhi sopra noi, colle braccia levate al cielo, per dirci: « O figliuoli del Sangue mio, sto io qui con voi in Sacramento per menarvi al Padre nostro che vi aspetta in paradiso: » e appiè della croce trova pur sempre Maria Santissima da Gesù lasciataci per madre, la quale vuole noi suoi figli avere tutti beati in seno alla bontà di Dio! Ora mandato che io sono da Gesù Cristo a trattare con voi del più importante interesse vostro, di mettere in salvo le vostre anime e scamparvi dalla più orrenda disgrazia, la dannazione, io con tutta l’anima abbracciandomi a voi dico la prima parola che mi vien dal cuore: cari fratelli, non andiamoci a perdere in questa povera vita che ci vien meno tutti i momenti. Vedete, dice s. Basilio, noi siamo come un albero piantato sulla riva di un fiume, a cui la corrente mangia il terreno sotto. Viene un’ondata, e scava la voragine; e la pianta scherza colle radici nell’acqua: un’altra ondata, e il ciglione della riva si abbassa e la pianta si siede abbandonata sull’onda, che soavemente le lambisce le frondi. Intanto fiorisce a pompa, e si promette abbondanza di frutti: quando ecco la travolge un fiotto di piena…. Dov’ è l’albero allora? È scomparso per sempre. No; guardate alcuni passi lontano, e lo vedete rigettato alla riva tra i ributti delle acque nella melma, colle radici squallide come l’ossa di uno scheletro. Signori! anche noi su questo suolo mal fido del mondo, mentre il tempo ci porta via di sotto ai piedi la terra, siamo qui fiorenti in lieta vita: noi colle sempre di speranze ci promettiamo abbondanza di beni fino all’ultimo istante che ci trabocca nell’eternità. Ahi! intanto vediamo scomparire molti dei nostri: e che sarà di loro travolti non preparati in quell’orrido abisso?…. Io mi rivolgo a voi, per supplicarvi di provvedere in tempo per le anime vostre, affinché non vi troviate disperatamente perduti, e farò con voi quello che vorreste voi fare ad altri. Dite, ditelo voi: vedeste il vostro fratello costruire con tutto dispendio la casa colà, dove scoscende a falde il pendio del suolo, ben vorreste gridargli: fratello, non fare; perché a momenti l’edificio tuo rovina, e tu ti perdi con esso! Anche noi, vedendovi con tanto affanno edificare qui la vostra fortuna, vogliamo di qui avvisarvi che, dandovi a tutto uomo in affari di terra, fabbricate nel mondo sopra un’arena fluente, che vi scorre via di sotto: vogliamo gridarvi: ahi! che a momenti vi sprofondate nella tremenda eternità, in cui vi troverete o paradiso o inferno, che duran sempre! Noi qui di sotto alla croce, caldi del Sangue di Gesù che versò per salvare le anime nostre, vi stendiamo le braccia, per mettervi in sicuro in seno a Lui: anzi ci gettiamo ai piedi vostri pregandovi tremanti di spavento… Deh mettiamoci col cuore sul Cuore del Salvatore di tutti a ben meditare questo: che una cosa più di tutte l’importa, salvar cioè l’anima nostra, e che tutt’altri interessi paragonati a questo non sono che misere vanità: porro unum est necessarium (Luc. 10); perché scompare a nulla tutta la vita nostra presente quando si pensa, che va a finire in paradiso o nell’inferno per sempre. Grande verità che ben meditata, sì, ci farà risolvere di salvarci. – A questo fine noi ci presentiamo a voi in questa missione, questo solo veniamo a domandarvi, di questo vi scongiuriamo: salvate l’anima vostra! E se mai ci udirete a gridar alto, e tutta ardenza, anzi come fuor di noi nel fremito di un angoscioso terrore, ci perdoni la vostra pietà; e dite fra voi medesimi: povero padre! e’ vorrebbe salvare tutti: oh come stride per ispavento al sol pensare che di noi si possa perdere un solo. — Se noi non abbiamo meriti, che ci raccomandino, guardateci al cuore che non può amarvi di più, perché vi ama dell’amor di Gesù Cristo; e sian meriti nostri la vostra bontà. – Salvatore nostro benedetto, purgate prima di tutto queste nostre labbra di fango: e dateci quella parola che, se mortifica, vivifica; se spaventa, poi consola: ed essa saprà svellere, saprà piantare: saprà distruggere, ma meglio edificare; e mandateci dalle fiamme. del vostro Cuor di bontà tutta divina un raggio di quella luce, che fa vedere il nulla della vita del mondo del tempo presente dirimpetto al paradiso e all’inferno, che durano eternamente. O Maria santissima, benedetta Madre, che tutta aspersa del Sangue di Gesù Figliuol vostro divino, ci avete ricevuti per figli, Voi vi siete accordata con Lui del modo di salvare queste anime nostre, che tanto Sangue costarono al nostro Gesù, e costarono tanti dolori al vostro Cuore. A Voi consacriamo questa predicazion nostra: Voi otteneteci la grazia e il frutto di vita eterna colla vostra materna benedizione. Angeli e Santi, intercedeteci misericordia. ( Ave Maria. — Omnes Sancti et Sanctæ Dei, intercedite pro nobis). In questo solenne momento, nella presente quiete della chiesa, fuori delle agitazioni del mondo che passa, cerchiamo di ravvisarci davanti a Dio. Dove ci troviamo noi ora? Facciamo come quel beato san Francesco d’Assisi là sul monte d’Alvernia; con una mano sul cuore diciamo a noi stessi: anima mia, dove siamo in questo istante!… Santa fede! qui sollevato tra il cielo e la terra, sopra del capo mi sta aperto il paradiso, sotto i miei piedi mi è spalancato l’inferno: spinto senza posa verso l’uno e l’altro di questi termini, pendo attaccato ad una vita sottile come un filo di ragnatela: e dove cadrò a momenti? Non lusinghiamoci, noi corriamo rapidamente alla morte. Se guardiamo indietro, che spavento! una gran porzione della nostra vita è già passata; se guardiamo innanzi,… questo pensiero cupo ci piomba sul cuore: forse da qui a dieci anni, forse da qui a un anno, ahi! forse in questo mese la mia carriera è compiuta, io cado morto…. la mia sorte è gettata! e sono nel paradiso o nell’inferno per sempre. Signori! non conviene punto fare l’intrepido, ostentando di non avere paura!… Ci Sconvolge le idee questo pensiero: la mia Religione sicura a tutte prove, la Religione, che mai non ingannò nessuno, mi dà per certo, che ancor un poco, e poi o sarò beato in paradiso, o sarò nell’inferno dannato per Sempre. Saremo in paradiso?… Apriti, o cielo !… Là in paradiso vi è quel gran popolo di tribolati, che in miseria di ogni cosa di mondo strascinando le loro croci appresso al Salvatore Gesù, arrivarono all’eterno regno: là tante povere donnicciole, ricche di virtù solamente note a Dio: esse nascosero qui le loro lacrime disprezzate in seno al grande Amico degli afflitti; ora eccole là nella beata gloria di Dio. Ve? in paradiso quei Cattolici coraggiosi, i quali, mentre l’accozzaglia dei vili per rispetto umano era strascinata a far guerra alla Chiesa, frequentarono i Sacramenti in vita devota ed ora tutti i malnati in disperazione eterna; ed essi per sempre felici in paradiso. Là vi sono ricchi in carità, là servi fedeli entrati tutti a sommergersi nell’eterno gaudio del loro Signore. Là le schiere di quei Martiri, che resistettero a tanti tormenti. E che tormenti, mio Dio, e che tormenti!… Strascinati negli anfiteatri (lo accennammo nelle Conferenze), si aizzavano contro a quei santi cristiani i leoni, le iene, le tigri. E il lione dava dentro nel petto nudo al giovanetto che l’aspettava fermo; quindi versando le viscere per terra veniva divorato col grido sulle labbra: viva Gesù!… oh paradiso!… e saliva allora in paradiso. E la madre cristiana colla figliuola esposta alle fiere, quando la iena le si slanciava alla gola, la trascinava con tremendo ruggito pel Circo col collo tra le zanne gridando: coraggio o figliuola, viva Gesù!… al paradiso!.. moriva strozzata: e da quel punto ell’è beata in paradiso! E quando la, tigre fremente acceffava nel petto la verginella (e lungo il circo mandavano un urlo fino quei crudi !), di là quell’angelo divorato in terra volava cogli Angioli in paradiso! Racconterovvi tra mille un sol fatto. Santa Potamiena verginetta, fior di bellezza nei sedici anni fu dal sozzo padrone, che la solleticava a vitupero, accusata come ella era cristiana. Il giudice, perché restava pura e a Dio fedele, la condannò ad essere calata viva in una caldaia di pece bollente. Attaccano la caldaia gli sgherri, e soffiano sotto nei carboni ardenti quelle faccie di fuoco. Gorgoglia la pece, e si travolge nei vortici spumanti. I crudeli depongono coi piedi nudi nella caldaia ardente la verginella, che si serra le vesticine alla vita. Ahi!.. stride la pece, si copre di fumo e salta via spruzzando, quasi inorridita di cuocere tanta innocenza; e Potamiena in quella atrocità esclama: oh Gesù!.. ancor un momento! Viene calata giù sino alla vita; e Potamiena vedesi intorno le carni ricotte e il sangue grommato galleggiar tra le bolle della pece avvampante. Oh Gesù mio… ancor un momento!.. e vien calcata giù fino alla gola. Potamiena non ne potendo più, lascia cadere la bionda testolina dentro la pece, con l’ultimo gemito: Gesù, Gesù mio… O paradiso!… Miei fratelli, sono mille e cinquecento anni ormai che quell’angioletto in quel gaudio eterno… esclama beato: che brevi momenti son questi secoli di paradiso! Intanto il gentame degli spensierati del mondo di quei tempi, come nel povero mondo nostro presente, sdraiati su per gli scaglioni del Circo gridavano agl’imperatori: dateci pane e giuochi; e vadano pur a morte i Cristiani matti dietro alla vana speranza di una sognata vita futura!… Signori, dove sono ora quei godenti?… Verità di Dio!… Spalancati, o inferno… e in quel truce fuoco, che la fede rivela, vedeteli arrovellati in quel mare di disperati dolori. Cercano la morte, ma trovano una vita che la tremenda parola di Dio chiama la morte eterna! Ancor vi domando, se quei beati godano un paradiso migliore di quello che siete destinati a godere voi, o fratelli, e se quell’inferno è più orrendo di quello, in cui precipiteremo noi (ce lo minaccia l’immancabile parola di Dio) ove non pensiamo a salvare l’anima nostra?… Ah che sopra la terra, tra il cielo e l’inferno, tuona tremendamente vera la gran parola del Salvator nostro: quid prodest homini si universum mundum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Che giova all’uomo, guadagnasse pur tutto il mondo, se va dell’anima dannato per tutta l’eternità? Da questo tuono balena un lampo di luce dell’eterno vero, che spalanca la terribile eternità davanti a noi, e manda a nulla codesto mondo che dura un’ora! A noi adesso qui confinati in basso pare certo la gran cosa la vita, cui c’immaginiamo bella dell’incanto della fantasia in un avvenire a mille colori storiato, e senza confini. Eh posso vivere, diciamo nei nostri calcoli, ancora vent’anni; poi anche trenta. Si, bene immaginatevi anche gli ottanta! Più in là no, ché a ottant’anni anche i bambini qui che non hanno messo ancor vita, saranno già tutti morti: e godiamo pure coll’inganno della speranza di tutti quegli anni, senza pensare mai di doverci trovare già in faccia alla morte. Quasi la morte debbaci fuggire sempre dinanzi, come fa l’arco dell’orizzonte, il quale, più cammini, più ti sfugge lungi egualmente. Così avviene a noi, come a chi misura, figuratevi, una gran torre, collo sguardarla dai piedi alla vetta. Essa pare di un’altezza che spaventa. Ma fate, ch’egli s’innalzi sulla vicina montagna, e di là guardi. Dov’è la torre tant’alta! Oh!.. la vede in fondo alla valle che spunta appena tra le chiome degli alberi. Signori! innalzatevi da questi pochi anni di vita col pensiero alla eternità. Se da qui a mille e mill’anni ci troveremo in Paradiso, ovvero (deh! che la misericordia di Dio ci scampi) ci trovassimo mai nell’inferno… ah tutti gli anni della vita nostra ci appariranno come un breve momento, come un lampo di visione confusa! Sì veramente da quest’altezza dell’eternità è da vedere il nulla della vita umana! Di là, osserva s. Giovanni Grisostomo, questi grandi faccendieri che si disputano un palmo di terra, che si fan ricchi sulle altrui miserie, questi grandi politici, che scavalcano gli emuli nella presente palestra del mondo; sì, di là appaiono come quei fanciulletti, i quali nei giocarelli incoronano un compagno con una corona di carta dorata, e battono le manine a lui d’intorno; finché un altro più arditello strappagli via la corona di carta. Di loro chi ride e chi piange; ebbene ei fanno il giuoco di noi: chi ride e chi piange, chi in fortuna e chi nella sventura; e ridenti e piangenti, e fortunati e disgraziati roviniamo tutti confusamente nel sepolcro: e il sepolcro è la porta della tremenda eternità. Di qui intendete che, se pei mondani la vita è una festa, la è una festa che dura un’ora; che l’ambizione è vapore che stordisce, gli onori sono nebbia che passa, i piaceri frutti, che san di lazzo; e le ricchezze polvere, che si scuote via correndo nell’eternità: e che in verità poi il tempo del viver nostro non è che un passaggio al paradiso o all’inferno che duran sempre. Noi, nel vedervi andare tanto sicuri in questo bivio tremendo, faremo con voi come racconta san Leonardo da Porto Maurizio aver fatto un buon uomo. State attenti. Un giovane signore camminava un di entro una gola di monti, quasi grande affare l’urgesse. Era d’inverno » l’aere nebbioso, ghiacciato il sentiero dopo caduto il nevaio; ed egli non conoscendo bene il suo viaggio, tirava avanti alteramente a casaccio. Quando un buon uomo gli grida dall’alto di un monticello: indietro, signore! indietro da quel sentiero. Ma quegli, come indegnato di quell’audacia, tirava avanti con un fare impettito. Il buon uomo sì gli stride appresso più forte: indietro vi dico! Ma colui in dispetto: e che v’importa, se io vado per dove mi piace? — Che m’importa? risponde l’altro gridando più forte, m’importa salvarvi! Voi camminate sopra una crosta di ghiaccio: un tetro lago vi si sprofonda sotto… ancora un passo, si rompe il ghiaccio e… Ma date indietro per carità! L’ardito giovane ristà….; e si rivolge indietro, e guata quel pericolo, in cui alcuni animali andavano sbandati. Oh!… Si ruppe il ghiaccio! e sprofondarono nel lago. Anche noi qui sollevati dai piedi del Crocifisso nel vedere gittarsi a perdere i nostri cari gridiamo col cuore che fa sangue: indietro da quella via di peccato! Che? Continuate ancora?…. Guardate innanzi. Quegli era pure un giovane più baldo di voi: calpestava ogni fior di virtù, e voi sentite ancor il rumore de’ suoi scandali. Veniva questa notte dall’osteria ubriaco, veniva dalla tana di… Abbiamo sentito un colpo! cadde morto!.. Si è rotto il ghiaccio: oh!… è sprofondato nell’eternità! … Finalmente, diceva ieri una giovine sposa, sono giunta al sospirato matrimonio: ed ebbe un bel gridare il prete contro il mio continuare all’amore: io intanto in questa casa sono fortunata per sempre. Che è? sentite le strida in quella famiglia?… La poverina ha cessato di vivere !… Si è rotto il ghiaccio oh!… è sprofondata nell’eternità! A me poi, dice quel ricco, va tutto bene: quest’anno la raccolta mi si promette abbondante, farò allargare i granai…. — Stolto! questa notte è chiamato al giudizio di Dio! Stulte, hac nocte animam tuam repetent a te. Si è rotto il ghiaccio: oh… meschino! era là che faceva i suoi conti e cadde morto colla faccia sulle carte dei conti! Morirono questi in mezzo ai disordini di una povera vita. E noi, al vedere tante splendide scene del mondo terminare nel buio della tremenda eternità spaventati tratteremo con voi, come s. Paolo trattò in Atene coì più gran dotti dell’universo. Corsa voce ch’era venuto fra loro questo Giudeo portatore di una nuova sapienza, si avevano essi dato il convegno nell’Areopago, e stavano con quel loro gran fare sui loro stalli per dar giudizio della nuova dottrina, disprezzando con sogghigno velato, già prima di averlo udito, quell’omiciattolo da nulla, che appariva s. Paolo. Ma egli: Signori filosofi, voi aspettate ciò che io vi abbia a dire di più importante. Ebbene! v’è un Dio sommo che voi poi non ignorate del tutto, il quale vi aspetta al suo giudizio. Si muore, signori, e dopo la morte si risorge a vita pel paradiso o per l’inferno per sempre! Quei dotti restarono come da tuono percossi all’intronar di quella parola piena d’eternità. Ma riavutisi tosto, e sforzatisi d’ostentar dello Spirito, ammiccaron tra loro cogli occhi: e Straniero, gli dissero, non hai tu nient’altro che dirci? E s. Paolo: Niente altro per ora: ma a nome di Dio per cui siete vivi quì vi avverto che si muore, e che dopo la morte, vi è la risurrezione all’eternità!… Allora queglino a lui: Venditore di ciance! va: che ti ascolteremo un’altra volta! Restarono superbamente increduli molti; alcuni però vi pensarono ben bene sopra, corsero appresso a s. Paolo, e trovata vera la sua dottrina, si convertirono. Questi morirono santi: morirono anche quei peccatori. Ma sono già mille ottocento anni che quei convertiti stanno in paradiso e che quei morti in peccato sono nell’inferno. . Sì veramente! dice Platone, il filosofo antico più dotto, la morte mostra da qual parte stanno i prudenti, e da qual parte stanno gli stolti. Ora anche noi colla potenza dell’eterna verità veniamo a mettervi dinanzi il nulla del mondo in faccia al paradiso e all’inferno, in cui saremo forse a momenti. Perocché, dice lo Spirito Santo, voi siete come gli alberi, che il padrone getta a terra quando gli piace. Se tu meni la scure a piè di un albero, da qual parte egli cadrà? a destra o a sinistra? Certo dalla parte verso cui pende, e quivi starà. Ora mano alla coscienza: se il colpo del taglio m’incoglie in questo istante, da qual parte io pendo?… Ho più meriti pel paradiso, o più peccati per lo inferno!… Gran Dio!… credere che abbiamo l’inferno spalancato sotto i piedi; sentire il peso dei peccati che ci trabocca già dentro, e restare sopra il baratro nella più stupida indifferenza. Eh! la ragione umana non può fare così. « Parleremo noi col linguaggio della nostra madre la Chiesa, e bisogna, pur confessarlo (dice, e non un santo padre, ma il filosofo Pascal), che qui vi è la mano di un essere fuor di natura che ci chiude gli occhi: è la mano del nemico delle anime che tiene saldi i peccatori colla costanza di demonio, perché non tremino sopra l’abisso d’inferno! » Intanto come quegli sciagurati (l’avete udito voi l’altro d’) che nelle delizie dei dintorni di Napoli, allorquando si sentiva il cupo rombare del tuono nelle viscere della terra, e dal suolo in sussulto già sbuffavano le fiamme, e già il furente Vesuvio eruttava una fiumana di fuoco, e il buon popolo era in processioni di penitenza!.. essi pigliando tutto a divertimento, pur tra le ceneri ed i lapilli che tempestavano, correvano incontro a goder dello spettacolo… Ahi, pur troppo! ducento e più venivano travolti in quel fuoco furente, immagine d’inferno. Così anche i poveri nostri fratelli in peccato, nelle delizie della vita presente, tra i gemiti di tanti che ci muoiono d’intorno, corrono a gettarsi in perdizione in gola alla morte. Su, su salviamoci noi dall’inferno che minaccia d’ingoiarci! O fratelli, immaginatevi che accada qui uno spaventoso cataclisma (come avvenne già tante volte, può avvenire ancora nei nostri paesi) in quest’ora. Oh se voi vedeste!.. che è mai? Ahi si abbassa la terra sotto dei nostri piedi! Ve’! ve’! che si sprofonda il suolo, gorgogliano fuori le acque dappertutto, diventano laghi i cortili, i giardini, sono già un mare le campagne. Ahi si sommergono le case: fuggiamo, fuggiamo sulle alture. Ma s’inabissano fin le montagne. Tutto sparisce… Oh Dio! i nostri annegano tutti! le acque raggiungono la vetta! Ci sono già alla vita… poveri noi che affoghiamo! mettiamo orride strida!… Ma si vede un naviglio che voga verso noi per tentare salvamento…. Salviamoci, salviamoci!… Anche i più timidi si slanciano a combattere coi fiotti, per giungere a bordo del naviglio salvatore. Ah fratelli miei, che noi siamo proprio nel pauroso frangente! Sentite che ci manca sotto la vita! noi caliamo senza posa giù; abbiamo l’eternità alla gola; già c’ingoia l’inferno!… Spingetevi fuori da quell’occasione, o questa notte forse vi restate sommersi!… fuggite via da quella casa, in cui ormai restate sepolti in peccato!… Gettate quel peso dalla coscienza, che vi tira giù nell’inferno!… scappate fuori da quel mal abito, che vi affoga nel baratro della disperazione. Ecco, ecco Gesù Salvatore sulla nave: gridiamogli incontro con le braccia stese: Signore, salvateci, che noi andiamo a dannarci: « Domine, salva nos, perimus! » – Scuotiamoci; risolviamo! E perché restate ancor incantati alla vista del mondo? Via, imparate da questo fatto come dovete trattarlo. Tommaso Moro, gran cancelliere, dal sozzo eretico re d’Inghilterra Enrico, egualmente tiranno che assassino dell’anime, perché restava fedele al Papa, veniva condannato a morire. Imprigionato in sotterranea secreta, vestito a sacco, sopra un po’ di paglia in ginocchio e’ si preparava alla morte, fermo, come chi sa di combattere per Dio. Quando sente sbarrarsi la porta del carcere. Tommaso crede venga il carnefice, fa il segno di croce, e si volta imperterrito ad aspettare il colpo. Ah vede, chi?…. la sua giovine sposa, sparsi i capelli, squarciata sul seno la veste a lutto, colle braccia a lui stese si getta abbasso in quell’antro gridando: o mio Tommaso!… Tommaso balza in piedi; e la sposa.. si slancia sul petto a lui in uno scoppio di pianto. O consorte mio, cedete al re; vi porto la sua grazia: rinunziate al Papa!… Ma la pena del duolo le strozza la voce in gola… In quest’affanno sollevati colla mano i capelli… con due occhi in volto pieni di dolore infinito, singhiozza: salvatevi, Tommaso mio, salvatevi! In quella corron giù stridenti i suoi bambini; e stringergli le ginocchia, e baciargli le mani: Padre! gridando, no, padre non muori! Scappa via con noi! Tommaso trema tutto fremendo un istante. Poi: sposa mia!.. dimmi, se io cedo all’eretico re, quanto tempo potrò godere insieme con te de’ suoi favori? La sposa: Ah, principe mio, voi siete in buona età, sincero di complessione, robusto di forze: voi potete vivere ancora vent’anni… Lasciatelo dire all’amore della vostra sposa, anche trent’anni. Vent’anni!…. dice Tommaso, trent’anni… che tu non mi puoi assicurare!… Eh vuoi che io li cambi coll’eternità del paradiso, che mi assicura l’immancabile parola di Dio?.. Brutto cambio che mi proponi?… Va, va, che sei una mercantessa ben stolta! recede a me, stulta mercatrix! Così dicendo si slega dalle braccia della sposa, colla mano sul petto la respinge indietro, e muore martire. Signori, ci tradisce il mondo, il quale, nulla curandosi di noi, se andiamo dannati, ci promette beni; e non ce li assicura un sol dì; mentre la parola di Dio ci assicura il paradiso per sempre. Deh! coll’inferno aperto sotto dei piedi, col paradiso innanzi da conquistare, tutti gli altri affari del mondo non sono che misere vanità. Tutto adunque è vanità, dice la Sapienza divina, fuorché amare e servir Dio, e così salvare le anime nostre. Porro unum est necessarium: questo, questo solo è necessario, dice il Salvatore nostro, che vuole non si perda nessuno. O figliuoli degli uomini, e fino a quando amerete le vanità, e spenderete tutta la vita in un lavorio che dura un istante? Grandi faccendieri in questi affari da niente, voi siete simili, dice s. Giovanni Grisostomo, a quell’insettuccio, che ragno è detto comunemente. A vederlo girare tra le cortine ed i festoni della sala, sembra che mulini anch’esso un gran disegno, e specoli il campo, dove poterlo eseguire. Allunga una zampetta, assaggia il terreno; non è da ciò: stende l’altra, e la ritira; poi si slancia ardito dall’alto in mezzo al vano della finestra e pende dal filo che gli esce di bocca, e gli consuma la vita; e là in aria in quel vano già si dà vanto il superbetto del suo grand’ardimento. Aspetta un buon alito di vento, e si getta con esso ad attaccare il filo in una imposta; e dice in se stesso: va bene la mia fortuna. Ad un nuovo soffio di vento di buona ventura attacca il filo dall’altra, poi torna a bomba in mezzo: gira e rigira, e fa quei cerchietti concentrici, ognora più stendendo le fila del suo dominio. Li ferma a nodi, a mo’ di raggi, e pone nel centro la sua casetta, o il suo gran palagio, ché tale debbe sembrare alla sua testolina… Di là adocchia, se un moscherino s’impigli nella sua ragna, e gli salta alla vita, gli succhia il sangue, e porta gli avanzi nella sua casa. Allora egli come un piccolo re si mette in mezzo al suo possesso, pendente sui fili in aria col ventre al sole in goderie, e par che dica, sono il padrone del mondo. Ma entra il padrone nella sala: vede quella schifezza, chiama stizzito la fante, e, buttala via, dice, quella bruttura. La donna alza la scopa, dà un colpo… e di tutto quel grande lavorio del gran re, e del suo bel mondo che mai vi resta? Una macchia schifosa, dove rimane l’insettuzzo schiacciato sotto del piede. Signori! fanno così gli uomini del mondo, massime nel nostro tempo. Si slanciano arditi ad ogni cimento, attraversano i mari, legan le fila dei grandi commerci, portan l’oro d’America, specolano alle borse, tiran partito delle altrui disgrazie; comprano, comprano: poi in mezzo ai grandi acquisti fatti, ricchi già tanto, da non curarsi più della Chiesa e ridere dei Sacramenti, adoratori pur solamente dell’idolo borsa, lasciano alla povera gente di essere buoni Cristiani e di salvare le loro animette. Essi sono grandi!….. E chi è mai Dio per costoro?… Chi è Dio?!… È il gran padrone dell’universo, il quale guarda quel ributto orgoglioso della creazione, fa un cenno alla sua serva, e la morte dà un colpo!… Dove è il superbo del mondo?.. Non vi resta di lui che una lurida macchia dove rimane schiacciato sotto il piede della morte nel fango del cimitero. Ah che questi affari della terra, quando ci disputano tutta la vita, se sono più che vanità, sono tremendi inganni! Dice sant’Eucherio che e’ sono come tanti anelli di una gran catena, la quale pende dall’alto, in cui uno va dentro e si lega nell’altro: e chi colle mani s’abbandona lungh’essi, dall’ultimo anello é lasciato cadere in rovina. Gli affari sono come i fiotti del mare, che passan l’un sopra l’altro; e la vita è la navicella che volge ad ostro od a ponente a seconda delle soffiate di vento di buona o cattiva fortuna; finché viene l’ultimo colpo del maroso che la sprofonda a naufragio. Ma intanto noi corriamo alla morte!… La vita umana adunque, dice s. Basilio, è somigliante ad un cammino, che va a terminare in un gran precipizio. Ben noi siamo avvertiti, che la legge è pubblicata, che bisogna spingerci innanzi sempre; eppure ci lusinghiam di fermarci. Ma una voce tuona continuo: avanti, avanti! Entriamo nella gioventù, e noi come in mezzo a prati fiorenti, noi vogliam folleggiare; ma una voce ci grida avanti, avanti! ed una mano ci tira innanzi… Passiamo nell’età virile, ivi a noi pare di trovarci tra campi pieni di biade e di frutta; e qui affannarci a fare raccolta, e vogliam fermarci a goderne; ma una voce ci grida: avanti, avanti! e una mano ci tira innanzi… Andiamo innanzi: oh i prati sono più pallidi, i fiori meno ridenti, meno chiare le acque, la campagna diventa più squallida: cioè sono già bianchi i capelli, s’incurva il dorso, le bellezze sì fanno sparute, monotona diventa la vita, proviamo un tristo sentore del precipizio che non può essere lontano! Vorremmo restarci; ma una voce ci grida: avanti, avanti! ed una mano ci tira innanzi… Ahi che squallore d’intorno! dirupato il sentiero, tentenniamo nei passi. Abbiamo varcato i sessant’anni, presto i settanta….. E i compagni di viaggio con cui scherzavamo fanciulli? Scomparvero tutti; tutti caduti nei precipizi lungo la via!…. Buon Dio, ci vien meno la vita! Vorremmo fare posata un istante; ma una voce tuona più forte avanti, avanti! ed una mano ci strascina innanzi… Ve?!… siam giunti soll’orlo dell’abisso; ci gettiamo per terra, gridiamo atterriti: deh un po’ di tempo ancora! ma rintuona la voce: avanti, avanti! ed una mano ci urta innanzi… Ahimè! l’orrore ci turba i sensi, ci gira il capo, si offuscano gli occhi; freddo sudor alla vita, e noi nelle ansie dell’agonia diam l’ultimo passo…. precipitiamo nell’eternità, sepolti nell’abisso del sempre, ch’è o paradiso o inferno! … Dietro di noi orrendo fragore: è il tempo che con tutte le cose rovina nel nulla; e l’eternità sempre rintuona: Porro unum est necessarium: questo solo importa, salvare l’anima nostra in paradiso…. – Deh! prima che io discenda, sì io ancora col Crocifisso innalzato qui tra il paradiso e l’inferno!… Guardate Egli Dio!… Ei venne di cielo, e lasciossi coronare la testa di spine per salvare le anime vostre…. E voi non volete darvi un pensiero? Ve? ve’ che lasciossi squarciare le mani per portarvi via d’inferno!… E voi non vorrete muover una mano per mettervi in salvo? Ah ah! come lasciossi lacerare questi piedi, per menarvi seco in paradiso!… e voi non vorreste far un passo neppur per confessarvi e da Lui lasciarvi menar in cielo? Dio, dirovvi colla eloquente parola di san Giovanni Grisostomo, Dio stesso ha paura… perché Egli sa ciò che vuol dire paradiso ed inferno: sì Dio ha paura…. che noi andiamo dannati!… E noi cì ridiamo della sua paura?…. Miserabili, miserabili troppo!… Oh nostro buon Gesù! Voi qui con noi col Cuor che fa Sangue aperto; nel Sacramento … là là…. noi vi giuriamo sul vostro Cuore che ci vogliamo salvare.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.