DOMENICA TERZA DI QUARESIMA (2021)

DOMENICA III DI QUARESIMA (2021)

 (Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Lorenzo fuori le mura.

Semidoppio, Dom. privil. di I cl. • Paramenti violacei.

L’assemblea liturgica si tiene in questo giorno a S. Lorenzo fuori le mura che è una delle cinque basiliche patriarcali di Roma. In questa chiesa si trovano i corpi di due diaconi Lorenzo e Stefano. L’Orazione del primo (10 agosto) ci fa domandare di estinguere in noi l’ardore dei vizi come questo Santo superò le fiamme dei suoi tormenti; e quella del secondo (26 dicembre) ci esorta ad amare i nostri nemici come questo Santo che pregò per i suoi persecutori. Queste due virtù: la castità e la carità, furono praticate soprattutto dal patriarca Giuseppe, di cui la Chiesa ci fa la narrazione nel Breviario proprio in questa settimana. Giuseppe resistette alle cattive sollecitazioni della moglie di Putifarre e amò i fratelli fino a rendere loro bene per male. (Nel sacramentario Gallicano – Bobbio – , Giuseppe è chiamato il predicatore della misericordia; e la Chiesa, nella solennità di S. Giuseppe, proclama in modo speciale la sua verginità.) Quando Giuseppe raccontò ai fratelli i suoi sogni, presagio della sua futura gloria, essi concepirono contro di lui tanto odio, che presentatasi l’occasione, si sbarazzarono di lui gettandolo in una cisterna senza acqua. Di poi lo vendettero ad alcuni Ismaeliti che lo condussero in Egitto e lo rivendettero ad un nobile egiziano di nome Putifarre. Fu appunto lì che Giuseppe resistette energicamente alle sollecitudini della moglie di Putifarre e divenne per questo il modello della purezza (la Chiesa nel corso di questa settimana, – Epistola e Vangelo di sabato – legge ì brani della donna adultera e di Susanna. I Padri della Chiesa spesso hanno messo in rapporto quest’ultima con Giuseppe). – « Oggi, dice S. Ambrogio, vien offerta alla nostra considerazione la storia del pio Giuseppe. Se egli ebbe numerose virtù, la sua insigne castità risplende in modo del tutto speciale. È giusto quindi che questo santo Patriarca ci venga proposto come lo specchio della castità » (Mattutino). Giuseppe, accusato ingiustamente dalla moglie di Putifarre, fu messo in prigione: egli si rivolse a Dio, lo pregò di liberarlo dalle sue catene. L’Introito usa espressioni analoghe a quelle della preghiera di Giuseppe: « I miei occhi sono rivolti senza tregua verso il Signore, poiché Egli mi libererà dagli inganni ». « Come gli occhi dei servi sono fissi verso i padroni, continua il Tratto, cosi io volgo il mio sguardo verso il Signore, mio Dio, fino a quando non avrà compassione di me ». Allora « Dio onnipotente riguarda i voti degli umili, e stendi la tua destra per proteggerli » (Orazione). Faraone difatti fece uscire Giuseppe dalla prigione, lo fece sedere alla sua destra e gli affidò il governo di tutto il suo regno. Giuseppe prevenne la carestia che durò sette anni; il Faraone allora lo chiamò « Salvatore del popolo ». (Il Vangelo dà una sola volta questo titolo a Gesù, quando parla alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Questo Vangelo è quello del Venerdì della stessa settimana, consacrato alla storia di Giuseppe). – In questa occasione i fratelli di Giuseppe vennero in Egitto ed egli disse loro: « Io sono Giuseppe che voi avete venduto. Non temete. Dio ha tutto disposto perché io vi salvi da morte ». La felicità di Giacobbe fu immensa allorché poté rivedere il figlio; egli abitò con i suoi figli nella terra di Gessen, che Giuseppe aveva loro data. « La gelosia dei fratelli di Giuseppe, dice S. Ambrogio, è il principio di tutta la storia di Giuseppe ed è ricordata nello stesso tempo per farci apprendere che un uomo perfetto non deve lasciarsi andare alla vendetta di un offesa o a rendere male per male » (Mattutino). È impossibile non riconoscere in tutto questo una figura di Cristo e della sua Chiesa. – Gesù, figlio della Vergine Maria (Vang.), è il modello per eccellenza della purità verginale. Il Vangelo lo mostra in lotta in modo speciale contro lo spirito impuro. Il demonio che egli scaccia col dito di Dio, cioè per virtù dello Spirito Santo, dal muto ossesso, era « un demonio impuro », dicono S. Matteo e San Luca. La Chiesa scaccia dalle anime dei battezzati il medesimo spirito immondo. Si sa che la Quaresima era un tempo di preparazione al Battesimo e in questo Sacramento il Sacerdote soffia per tre volte sul battezzato dicendo: « esci da lui, spirito impuro, e fa luogo allo Spirito Santo ». « Ciò che si fece allora in modo visibile, dice S. Beda nel commento del Vangelo, si compie invisibilmente ogni giorno nella conversione di quelli che divengono credenti, affinché dapprima scacciato il demonio, esse scorgano poi il lume della fede, indi la loro bocca, prima muta, si apra per lodare Dio » (Mattutino). « Né gli adulteri, né gli impudichi, dice parimente S. Paolo nell’Epistola di questo giorno, avran parte nel regno di Cristo e di Dio. Non si nomini neppure fra voi la fornicazione ed ogni impurità. Specialmente in questo tempo di lotta contro satana, noi dobbiamo imitare Gesù Cristo di cui Giuseppe era la figura. Questo Patriarca ci dà ancora l’esempio della virtù della carità, come Gesù e la sua Chiesa. Gesù, odiato dai suoi, venduto da uno degli Apostoli, morendo sulla croce, pregò per i suoi nemici. Pregò Dio, ed Egli lo glorificò facendolo sedere alla sua destra nel suo regno. Nella festività di Pasqua, Gesù, per mezzo dei Sacerdoti, distribuirà il frumento eucaristico, come Giuseppe distribuì il frumento. Per ricevere la Santa Comunione, la Chiesa esige questa carità, della quale S. Stefano, le cui reliquie si conservano nella chiesa stazionale, ci diede l’esempio perdonando ai suoi nemici. Gesù esercitò questa carità in grado eroico « allorché offrì se stesso per noi » sulla croce (Ep.), di cui l’Eucaristia è il ricordo. — La figura di Giuseppe e la stazione di questo giorno illustrano in una maniera perfetta, il mistero pasquale al quale la liturgia ci prepara in questo tempo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 15-16.

Oculi mei semper ad Dóminum, quia ipse evéllet de láqueo pedes meos: réspice in me, et miserére mei, quóniam unicus et pauper sum ego.

[I miei occhi sono rivolti sempre al Signore, poiché Egli libererà i miei piedi dal laccio: guàrdami e abbi pietà di me, poiché sono solo e povero.]

Ps XXIV: 1-2

Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam,.

[A Te, o Signore, ho levato l’ànima mia, in Te confido, o mio Dio, ch’io non resti confuso.]

Oculi mei semper ad Dóminum, quia ipse evéllet de láqueo pedes meos: réspice in me, et miserére mei, quóniam únicus et pauper sum ego.

[I miei occhi sono rivolti sempre al Signore, poiché Egli libererà i miei piedi dal laccio: guàrdami e abbi pietà di me, poiché sono solo e povero.]

 Oratio

Orémus.

Quæsumus, omnípotens Deus, vota humílium réspice: atque, ad defensiónem nostram, déxteram tuæ majestátis exténde.

[Guarda, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, ai voti degli úmili, e stendi la potente tua destra in nostra difesa.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.

Ephes. V: 1-9

“Fratres: Estote imitatores Dei, sicut fílii caríssimi: et ambuláte in dilectióne, sicut et Christus dilexit nos, et tradidit semetipsum pro nobis oblatiónem, et hostiam Deo in odorem suavitátis. Fornicatio autem et omnis immunditia aut avaritia nec nominetur in vobis, sicut decet sanctos: aut turpitudo aut stultiloquium aut scurrilitas, quæ ad rem non pertinet: sed magis gratiárum actio. Hoc enim scitóte intelligentes, quod omnis fornicator aut immundus aut avarus, quod est idolorum servitus, non habet hereditátem in regno Christi et Dei. Nemo vos sedúcat inanibus verbis: propter hæc enim venit ira Dei in filios diffidéntiæ. Nolíte ergo effici participes eórum. Erátis enim aliquando tenebrae: nunc autem lux in Dómino. Ut fílii lucis ambuláte: fructus enim lucis est in omni bonitate et justítia et veritáte.”

[Fratelli: siate dunque imitatori di Dio come figlioli diletti, e vivete nell’amore, come Cristo che ci ha amati e ha dato per noi se stesso a Dio in olocausto come ostia di soave odore. La fornicazione, la impurità di qualsiasi sorta, l’avarizia non si senta neppur nominare fra voi, come a santi si conviene. Non oscenità, non discorsi sciocchi, non buffonerie, tutte cose indecenti; ma piuttosto il rendimento di grazie. Perché, sappiatelo bene, nessuno che sia fornicatore, o impudico, o avaro (che è un idolatra) ha l’eredità del regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani discorsi, perché a causa di questi vien l’ira di Dio sugli increduli. Dunque non vi associate con loro. Una volta eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Vivete come figli della luce. Or frutto della luce è tutto ciò che è buono, giusto e vero].

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Se si paragonano queste esortazioni di San Paolo a quelle dei moralisti suoi contemporanei, pagani o giudei, e d’ogni tempo, purché non Cristiani, uno stupore ci invade e ci domina. Quanta altezza fin dalle prime battute dell’odierna epistola: « imitatores Dei estote, » siate imitatori di Dio. Non si può andar più in là, più in su. Specie se si rifletta che il Dio proposto a modello non è la divinità antropomorfica, malamente, fiaccamente antropomorfica del paganesimo, bensì la divinità austeramente, moralmente trascendente del Cristianesimo; non una divinità umanizzata a cui è difficile mostrarsi anche per l’uomo sub-umano, ma la divinità sublime e pura a cui l’uomo non s’accosta se non superando se stesso. Talché la formula pagana « sequere Deum » che altri potrebbe citare come equivalente a questa di San Paolo, per sminuire la nostra meraviglia, sarebbe fuor di proposito. Ma la meraviglia cresce quando noi sentiamo Paolo dir queste cose tanto difficili ed alte in tono d’infinita semplicità e dolcezza. «Imitate Dio, continua l’Apostolo, come figli carissimi voi che siete in Lui ». Vi è già una gran dolcezza nell’idea stessa della Paternità Divina; è, figlioli di Dio; figli, noi piccoli, di Lui che è così grande! Ma San Paolo accentua ancora la dolcezza di quella grande parola e ricorda ai Cristiani per eccitarli ad essere fedeli, eroici emulatori del Padre Celeste, che essi ne sono i figli carissimi, diletti; anzi prediletti. Figli che Dio veramente da Padre ha amati ed ama, ha amati nel giorno della creazione, riamati anche più teneramente e fortemente nel giorno della redenzione. Figli carissimi! Noi rasentiamo il mistero, siamo tuffati nel mistero dell’amore divino. – Che Dio possa avere caro l’uomo! « quid est homo (vien fatto di esclamare) quod memor es eius » che cosa è l’uomo, perché occupi un posticino qualsiasi nei Tuoi pensieri! — e più nel Tuo cuore. Eppure è così. Di Dio noi siamo i figli carissimi. Perciò amorevole deve essere il nostro sforzo per accostarci a Dio, per riprodurlo nella nostra vita. « Ambulate in dilectione », camminate nell’amore, nell’atmosfera dell’amore. L’appello del Monarca è pieno di maestà, l’appello del padrone è pieno di forza, l’appello di Dio è appello di Padre al figlio, appello pieno di dolcezza, pieno d’amore. Ma nell’amore c’è il segreto dell’entusiasmo, e pei sentieri dell’amore, additati da Paolo a noi Cristiani, come i sentieri veramente nostri, le anime volano portate dal vento dell’amore. Nessun segreto migliore di questo per vincere l’altezza che si erge formidabile dinanzi a noi quando guardiamo come a nostra meta niente meno che a Dio.

 Graduale

Ps IX: 20; IX: 4

Exsúrge, Dómine, non præváleat homo: judicéntur gentes in conspéctu tuo.

[Sorgi, o Signore, non trionfi l’uomo: siano giudicate le genti al tuo cospetto.]

In converténdo inimícum meum retrórsum, infirmabúntur, et períbunt a facie tua.

[Voltano le spalle i miei nemici: stramazzano e periscono di fronte a Te.]

Tractus

Ps. CXXII:1-3

Ad te levávi óculos meos, qui hábitas in cœlis.

[Sollevai i miei occhi a Te, che hai sede in cielo.]

Ecce, sicut óculi servórum in mánibus dominórum suórum.

[Ecco, come gli occhi dei servi sono rivolti verso le mani dei padroni.]

Et sicut óculi ancíllæ in mánibus dóminæ suæ: ita óculi nostri ad Dóminum, Deum nostrum, donec misereátur nostri,

[E gli occhi dell’ancella verso le mani della padrona: così i nostri occhi sono rivolti a Te, Signore Dio nostro, fino a che Tu abbia pietà di noi].

Miserére nobis, Dómine, miserére nobis.

[Abbi pietà di noi, o Signore, abbi pietà di noi.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam. [Luc XI: 14-28]

“In illo témpore: Erat Jesus ejíciens dæmónium, et illud erat mutum. Et cum ejecísset dæmónium, locútus est mutus, et admirátæ sunt turbæ. Quidam autem ex eis dixérunt: In Beélzebub, príncipe dæmoniórum, éjicit dæmónia. Et alii tentántes, signum de coelo quærébant ab eo. Ipse autem ut vidit cogitatiónes eórum, dixit eis: Omne regnum in seípsum divísum desolábitur, et domus supra domum cadet. Si autem et sátanas in seípsum divísus est, quómodo stabit regnum ejus? quia dícitis, in Beélzebub me ejícere dæmónia. Si autem ego in Beélzebub ejício dæmónia: fílii vestri in quo ejíciunt? Ideo ipsi júdices vestri erunt. Porro si in dígito Dei ejício dæmónia: profécto pervénit in vos regnum Dei. Cum fortis armátus custódit átrium suum, in pace sunt ea, quæ póssidet. Si autem fórtior eo supervéniens vícerit eum, univérsa arma ejus áuferet, in quibus confidébat, et spólia ejus distríbuet. Qui non est mecum, contra me est: et qui non cólligit mecum, dispérgit. Cum immúndus spíritus exíerit de hómine, ámbulat per loca inaquósa, quærens réquiem: et non invéniens, dicit: Revértar in domum meam, unde exivi. Et cum vénerit, invénit eam scopis mundátam, et ornátam. Tunc vadit, et assúmit septem alios spíritus secum nequióres se, et ingréssi hábitant ibi. Et fiunt novíssima hóminis illíus pejóra prióribus. Factum est autem, cum hæc díceret: extóllens vocem quædam múlier de turba, dixit illi: Beátus venter, qui te portávit, et úbera, quæ suxísti. At ille dixit: Quinímmo beáti, qui áudiunt verbum Dei, et custódiunt illud.”

“In quel tempo Gesù stava cacciando un demonio, il quale era mutolo. E cacciato che ebbe il demonio, il mutolo parlò, e le turbe ne restarono meravigliate. Ma certuni di loro dissero: Egli caccia i demoni per virtù di Beelzebub, principe dei demoni. E altri per tentarlo gli chiedevano un segno dal cielo. Ma Egli, avendo scorti i loro pensieri, disse loro: Qualunque regno, in contrari partiti diviso, va in perdizione, e una casa divisa in fazioni va in rovina. Che se anche satana è in discordia seco stesso, come sussisterà il suo regno? conciossiachè voi dite, che in virtù di Beelzebub Io caccio i demoni. Che se Io caccio i demoni per virtù di Beelzebub, per virtù di chi li cacciano i vostri figliuoli? Per questo saranno essi vostri giudici. Che se io col dito di Dio caccio i demoni, certamente è venuto a voi il regno di Dio. Quando il campione armato custodisce la sua casa, è in sicuro tutto quel che egli possiede. Ma se un altro più forte di lui gli va sopra e lo vince, si porta via tutte le sue armi, nelle quali egli poneva sua fidanza, e ne spartisce le spoglie. Chi non è meco, è contro di me; e chi meco non raccoglie, dissipa. Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, cammina per luoghi deserti cercando requie; e non trovandola, dice: Ritornerò alla casa mia, donde sono uscito. E andatovi, la trova spazzata e adorna. Allora va, e seco prende sette altri spiriti peggiori di lui, ed entrano ad abitarvi. E la fine di un tal uomo è peggiore del principio”

Omelia

Sopra la confessione che è il rimedio del peccato.

“Erat Jesus ejiciens dæmonium, et illud erat mutum”

[I SERMONI DEL B. GIOVANNI B. M. VIANNEY CURATO D’ARS – Trad. Italiana di G. D’Isengard P. d. M. – vol. IV. Torino, libr. Del Sacro Cuore, 1907]

SULLA QUALITÀ DELLA CONFESSIONE.

Surgam, et ibo ad Patrem meum, et dicam eì: Pater, peccavi in cœlum coram te.

[Mi leverò su, e andrò dal Padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro cielo e contro di te.]

(S. LUCA XV).

Tal dolore e tal pentimento, fratelli miei, deve produrre nei nostri cuori il pensiero de’ nostri peccati; e su questa via si mise il figliuol prodigo, quando, rientrato in sé medesimo, riconobbe la profonda miseria e i beni perduti separandosi così dal buon padre. Sì, esclama, mi leverò su, e andrò dal mio buon padre; mi getterò a’ suoi piedi e bagnerò delle mie lacrime: « O padre mio, coperto di peccati e oppresso dalla vergogna, non oso riguardare il cielo, né Voi come padre, poiché vi ho così orribilmente dispregiato; ma sarò troppo lieto, se vorrete pormi nel numero de’ vostri servi ». Bel modello, fratelli miei, per un peccatore, che, mosso dalla grazia, sente l’abisso della sua miseria, e peso de’ suoi peccati e de’ rimorsi che lo divorano. Beato e mille volte beato il peccatore che s’accosta al suo Dio con sentimento di dolore e di fiducia a quelli di questo gran penitente. Sì, fratelli miei, è sicuro di trovar, come lui, in Dio un padre pieno di bontà e di tenerezza, che volentieri gli rimetterà le sue colpe e gli restituirà tutti i beni che il peccato gli aveva rapito. – Ma di che dunque vi parlerò? Ah! consolatevi: vengo ad annunziarvi la più grande di tutte le felicità. Ah! che dico? Vengo a spiegarvi sotto gli occhi tutte le grandezze della misericordia divina. Ah! povera anima, consolati: mi par d’udirti gridare, come il cieco di Gerico: « Ah! Gesù, figliuolo di David, abbiate pietà di me » (S. Luc. XVIII, 38). Sì, povera anima, tu troverai…. Qual è il mio intendimento? Eccolo, fratelli miei: mostrarvi nel modo più semplice e più familiare, quali disposizioni dovete avere accostandovi al sacramento della penitenza. Son cinque, ed eccole: la nostra confessione, per esser buona e meritarci il perdono de’ nostri peccati, dev’essere: 1° umile; 2° semplice; 3° prudente; 4° intera; 5° sincera. – Se le vostre confessioni sono accompagnate da queste condizioni, siete sicuri del perdono. Vedremo poi in che modo la mancanza di queste condizioni, può rendere sacrileghe le nostre confessioni.

I. — Parlando a Cristiani, fratelli miei, che cercano solo i mezzi di salvare le loro povere anime, non occorre dimostrarvi la divina origine della confessione: basta dirvi che Gesù Cristo medesimo l’ha stabilita, dicendo a’ suoi Apostoli e insieme a’ loro successori: « Ricevete lo Spirito santo: saranno rimessi i peccati a coloro ai quali voi li rimetterete, e saranno ritenuti a coloro a cui li riterrete » (S. Giov. XX, 22, 23); o anche, se volete, quando disse: « Tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo: e tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo» (Matt. XVIII. 18); parola che ci fa conoscere manifestamente la divina origine e la necessità della confessione. Infatti, come si potevano rimettere o ritenere i peccati, s’essi non si facevan conoscere a coloro che hanno questo sublime e mirabile potere? Neppure è necessario farvi intendere i vantaggi della confessione: basta una parola sola, poiché, commesso anche un solo peccato mortale, senza la confessione, non potremo giunger mai alla visione di Dio, e saremo condannati a provare eternamente tutti i rigori della sua collera ed esser maledetti. Seppur vi dirò che la confessione ci fa riacquistare l’amicizia di Dio e ridona all’anima nostra la vita e ci restituisce tutte le opere buone che il peccato aveva fatto morire. Se non sentite tutta la felicità e tutti i vantaggi della confessione, interrogate i demoni, che bruciano nell’inferno, e v’insegneranno a stimarla e a profittarne. Sì, miei fratelli, se chiediamo a tutti i Cristiani dannati, perché siano tra quelle fiamme, tutti ci diranno che causa della loro sciagura è o l’aver dispregiato il sacramento della penitenza, cioè la confessione, o l’esservisi accostati senza le dovute disposizioni. Se da quel luogo d’orrore salite al cielo, e domandate a quelli antichi peccatori, che passarono nelle sregolatezze venti o trent’anni, che cosa abbia procurato ad essi tanta gioia e tanti diletti, tutti vi diranno che il solo sacramento della penitenza valse loro quei beni infiniti. No, miei fratelli, uiuno dubita di verità così consolante per un peccatore, il quale pel peccato ha perduto il suo Dio, ch’egli cioè ha un mezzo sì facile e sì efficace per riacquistare ciò che il peccato gli aveva rapito ( « Sì, diceva un giorno un medico protestante, voi cattolici siete pur felici! Quando avete qualche cosa che vi pesa … andate a confessarvi, e tosto la pace torna ne’ vostri cuori; io invece, fin dalla mia gioventù, ho il peso d’un peccato da cui non posso liberarmi ». Oh! bella invenzione della misericordia del mio Dio! Sì, miei fratelli, uno de’ grandi vantaggi della confessione è la pace dell’anima. Se domandassi ad un fanciullo: Che cos’è la Confessione? mi risponderebbe semplicemente ch’è l’accusa de’ propri peccati fatta ad un sacerdote approvato per ricevere l’assoluzione, cioè il perdono. — Ma, perché, mi direte, Gesù Cristo volle assoggettarci ad un’accusa così umiliante, che costa tanto al nostro amor proprio? — Amico mio, vi risponderò che appunto per umiliarci Gesù Cristo vi ci ha condannati. È fuor d’ogni dubbio penoso ad un superbo l’andare a dire a un confessore tutto il male che ha fatto, tutto quello ch’ebbe in pensiero di fare, tanti cattivi pensieri, tanti desideri corrotti, tante azioni ingiuste e vergognose che si vorrebbe poter celare a sé medesimo. Ma voi non badate che la superbia è sorgente d’ogni peccato, e che ogni colpa è una superba ribellione della creatura contro il Creatore: è dunque giusto che Dio ci abbia condannato a quest’accusa così umiliante per un superbo. Ma consideriamo quest’umiliazione cogli occhi della fede: è forse cosa penosa cangiare una confusione pubblica ed eterna con una confusione di cinque minuti, quanti ne occorrono per confessare i nostri peccati al ministro di Dio per riacquistare il cielo e l’amicizia del nostro Dio? — Ma perché, chiederete, tanti han sì grande ripugnanza per la confessione, e i più vi si accostano mal disposti? — Ohimè! fratelli miei, perché taluni hanno perduta la fede; altri sono superbi; altri infine non sentono le piaghe della povera anima loro, né le consolazioni che la confessione apparecchia al Cristiano che vi si accosta degnamente. Chi è, miei fratelli, colui che ci comanda di confessare tutti i nostri peccati sotto pena di dannazione eterna? Ohimè! lo sapete pur quanto lo so io: è Gesù Cristo medesimo; e tutti vi sono obbligati, dal santo Padre, all’infimo artigiano. Mio Dio, quale accecamento spregiare e non far caso d’un mezzo sì facile e sì efficace per assicurarsi una infinita felicità, liberandosi dalla più grande delle sciagure ch’è la collera eterna! Ma non è questo, miei fratelli, ciò che vi par più necessario a sapersi, poiché sapete che la confessione è il solo mezzo che ci resta per uscir dal peccato: o confesseremo le nostre colpe, o ci toccherà ardere nell’inferno: si sa che, per gravi, enormi e numerosi che siano i nostri peccati, ne otterremo senza fallo il perdono, se li confessiamo. Ecco che cosa dovete assolutamente sapere: ascoltatemi attentamente.

1° Dico in primo luogo che la confessione dev’essere umile, cioè che dobbiamo nel tribunale della penitenza considerarci come rei dinanzi al giudice, ch’è Dio medesimo: dobbiam da noi accusare i nostri peccati, e non aspettare che il sacerdote ce ne interroghi, conforme all’esempio di David, che diceva: « Sì, mio Dio, da me stesso accuserò al Signore i miei peccati » (Sal. XXXI, 5), e non far come la maggior parte de’ peccatori, che raccontano i loro peccati come una storia indifferente, non mostrano dolore e pentimento d’avere offeso Dio, e par si confessino soltanto per commetter sacrilegi. O mio Dio, si può pensarvi bene e non sentirsi morire d’orrore? Se il confessore si vede costretto a farvi qualche ammonizione, che ferisca un po’ il vostro amor proprio, se v’impone qualche penitenza che vi ripugni, o anche se vi differisce l’assoluzione, guardatevi bene dal mormorare; sottomettetevi umilmente; guardatevi pure dal brontolare, e molto meno disputare con lui, rispondendogli arrogantemente, (come fanno certi peccatori indurati e venduti all’empietà, i quali fors’anche usciron di chiesa incolleriti senza neppur mettersi in ginocchio). Non dimenticate mai che il tribunale della penitenza, ove siede il confessore, è veramente il tribunale di Gesù Cristo; ch’Egli ode la vostra accusa, v’interroga, vi parla e pronunzia la sentenza d’assoluzione. Dico che bisogna accusarci umilmente, cioè non rigettar mai le proprie colpe sugli altri, come fan molti quando vanno a confessarsi, simili ad Adamo, che si scusò gettando la colpa su Eva, ed Eva gettandola sul serpente, invece di confessarsi umilmente colpevoli; dicendo che, se han peccato, non è colpa loro; bisogna fare tutto il contrario. Un uomo facile ad andare in collera, si scuserà dandone carico a sua moglie o ai suoi figliuoli; un ubbriacone darà la colpa alla compagnia che l’ha costretto a bere; un vendicativo attribuirà la causa della sua colpa a un’ingiuria che gli fu fatta; un maledico si scuserà asserendo che dice la pura verità; un uomo che lavora la Domenica getterà la colpa sugli affari urgenti che vanno a male. Una madre, che fa omettere le preghiere a’ suoi figliuoli, si scuserà colla mancanza di tempo. Dite, fratelli miei, vi par questa una confessione umile? Vedete chiaro che non è. « Ponete, di grazia, o mio Dio, diceva il santo re David, una custodia alla mia bocca, perché la malizia del mio cuore non trovi scusa ai miei peccati » (Salm. CXL: 3, 4). Dico dunque che dobbiamo farci conoscere quali siamo, perché la nostra confessione sia buona e capace di farci riacquistare l’amicizia di Dio.

2° Dico che la confessione dev’esser semplice, cioè che dobbiamo evitare tutte le accuse, inutili, gli scrupoli che fan ripetere venti volte la stessa cosa, fan perder tempo al confessore, stancano quei che aspettano per confessarsi e spengono la divozione. Bisogna con una manifestazione sincera farsi conoscere quali si è; bisogna accusar ciò ch’è dubbio come dubbio, ciò ch’è certo come certo; p. es. se diceste di non esservi fermati su cattivi pensieri, mentre dubitate d’esservene dilettati, sarebbe mancar di sincerità, quasi aveste avuto soltanto il pensiero; parimenti dire che la cosa da voi rubata vale solo tanto, credendo che forse valga di più; ovvero dire: « Padre mio, m’accuso d’avere in una delle mie confessioni dimenticato un peccato », mentre l’avevate taciuto per malaugurata vergogna o per negligenza. Queste maniere d’accusa vi farebbero commettere un orribile sacrilegio. Dico pure ch’è mancanza di sincerità l’aspettare che il confessore v’interroghi su certi peccati; se avete avuto intenzione di tacerli, non basterà confessarli, perché il confessore ve ne ha richiesti, ma dovrete aggiungere: « Padre, se non m’aveste interrogato su questo peccato, non ve l’avrei detto ». Se non usaste tale sincerità, la vostra confessione sarebbe nulla e sacrilega. Sfuggite, fratelli miei, sfuggite tutte queste frodi: abbiate il cuor sulle labbra. Potete, sì, ingannare il vostro confessore, ma ricordate bene che non riuscirete ad ingannare Iddio, che vede e conosce meglio di voi i vostri peccati. Se mai il demonio, questo satana maledetto, vi tentasse per farvi nascondere o travisare qualche peccato, riflettete tosto: ma con questo mi renderò più reo che non sono; commetterò un peccato assai più orribile che quello che intendo nascondere, poiché sarà un sacrilegio: posso ben nasconderlo al sacerdote, ma Dio lo conosce meglio di me; prima o poi dovrò pur confessarlo, ovvero dovrò rassegnarmi ad andare nell’inferno ad ardere eternamente. Manifestandolo dovrò (è vero) incontrare una piccola umiliazione; ma che cos’è in confronto di quella confusione pubblica ed eterna? Un infermo, dovete dire, che desidera la guarigione, non teme di scoprire le malattie, anche più vergognose e segrete, per farsi applicare’ il rimedio; ed io temerò di scoprire le piaghe della povera anima mia al mio medico spirituale per poterne guarire? Potrò rimanere in istato di dannazione per tutto il resto della mia vita? Se non avete coraggio di manifestare qualche peccato, dite al sacerdote: « Padre mio, ho un peccato che non oso dirvi: di grazia, aiutatemi ». Sebbene questa disposizione sia imperfetta, tuttavia così riuscirete ad accusarlo, il che è assolutamente necessario.

3° In terzo luogo dico che la confessione dev’essere prudente; il che vuol dire che bisogna accusare i propri peccati con parole oneste; inoltre che non si devono, senza necessità, far conoscere i peccati altrui. Dico “senza necessità”, perché talora è necessario: ad es., avete avuto la disgrazia di commettere un peccato contro la santa virtù della purità con uno od una de’ vostri parenti: bisogna pur dire questa circostanza senza di che fareste un sacrilegio. Siete in una casa, ov’è una persona, che vi spinge al male: avete pure obbligo di dirlo, perché siete in occasione prossima di peccato. Ma dicendolo dovete attendere ad accusare i peccati vostri non gli altrui.

4° Dico in quarto luogo che la confessione deve essere integra, cioè che si debbono manifestare tutti i propri peccati mortali, la loro specie, il numero e le circostanze necessarie. Dico primieramente la specie: non basta dire in generale che si è peccato assai; ma bisogna dir pure, qual sorta di peccati son quelli di cui ci si accusa, se furto, bugia, impurità o simili. E non basta neppure dir la specie, deve dirsi il numero, p. es. se diceste: Padre mio, m’accuso d’aver mancato alla Messa, d’aver rubato, d’aver mormorato, d’aver fatto cose disoneste, non andrebbe bene così: dovete dir pure quante volte avete commessi questi peccati: bisogna anche entrare nei particolari e dir certe circostanze. Forse non capite che cosa sia circostanza: son quelle particolarità che accompagnano il peccato e lo rendono più o meno considerevole o più o meno scusabile. Queste circostanze si traggono: dalla persona che pecca con un’altra, se è parente e in qual grado, se padre o madre, fratello o sorella, se una figlioccia col suo padrino o un figlioccio colla madrina, un cognato colla cognata; 2° dalla qualità o quantità dell’oggetto ch’è materia del peccato; 3° dal motivo che induce al peccato; 4° dal tempo, in cui avete peccato; se era Domenica, e in tempo delle funzioni; 5° dal luogo: se fu in un luogo consacrato alla preghiera, cioè in una chiesa; 6°dal modo in cui si commise il peccato; e finalmente dalle conseguenze del peccato. Vi son pure circostanze che mutano la specie del peccato, cioè a dire costituiscono peccato d’altra natura. P. es. commettere impurità con donna maritata è adulterio; con una parente è incesto; fermarsi sopra un cattivo pensiero, consentire a un cattivo desiderio, dare un cattivo sguardo è peccato contro la castità; ma se ciò accade in chiesa è profanazione del luogo santo, è una specie di sacrilegio. Queste sono circostanze che mutano la specie del peccato. Ve ne sono altre, che, senza cangiarla, l’aggravano assai: p. es. chi commette peccato alla presenza di parecchie persone, o dinanzi a’ propri figliuoli; chi ha bestemmiato il nome di Dio, tenuto discorsi disonesti, fatte maldicenze alla presenza di molte persone, ha fatto maggior peccato che chi commise questi peccati dinanzi a pochi; chi per ore intiere ha fatto discorsi disonesti ha commesso peccato più grave che chi ha parlato in tal modo per breve tempo. Mormorare per odio è peccato assai più grave, che se si mormorasse per leggerezza. Ubbriacarsi, andare al ballo, al festino, alla bettola in Domenica è maggior peccato che andarvi in giorno feriale, perché questo giorno è in modo particolare consacrato a Dio. Ecco, fratelli miei, le circostanze che debbono dichiararsi, senza di che temete delle vostre confessioni. Ohimè! dove sono i Cristiani che badano a tutte queste cose! Ma, diciam del pari, dove sono quelli che fan buone confessioni? Si vede dal loro modo di vivere. Bisogna pur dire se si è abituati nel peccato, e quanto tempo è durato quell’abito, se i peccati, in cui s’è caduti, si commisero per malizia e con riflessione, e quali conseguenze provennero dal peccato commesso; perché soltanto così possiam farci conoscere. Vedete come si comporta un malato col suo medico? Gli scopre non solo il suo male, ma anche il principio e il progresso della malattia, e usa le parole più chiare. Se il medico non capisce, ripete, non cela, non travisa nulla di ciò che crede necessario per far conoscere il suo male e procurare la propria guarigione. Ecco, fratelli miei, come dobbiamo comportarci col nostro medico spirituale, per metterlo in condizione di conoscer bene le piaghe dell’anima nostra, cioè conoscerci quali ci conosciamo noi dinanzi a Dio. – Dico inoltre che si deve confessare anche il numero. Rammentate che, se non dite il numero dei peccati mortali, le vostre confessioni non valgon nulla; dovete dir quante volte siete caduti nell’istesso peccato, perché ogni volta è una nuova colpa. Se avete commesso un peccato tre volte, e diceste due soltanto, la volta che non accusate farebbe sì che la vostra confessione fosse un sacrilegio, se, come si suppone, si tratta di peccato mortale. Ohimè! Miei fratelli, quanti di quei che sono caduti in colpe di questa fatta, parte bruciano nell’inferno, parte non ripareranno forse mai a quella catena di confessioni e comunioni sacrileghe! Si contenteranno di dire: « Padre mio, m’accuso di aver mormorato, d’aver bestemmiato ». — « Ma quante volte? » chiederà il sacerdote. — « Non molto spesso, ma qualche volta sì ». Ed è questa una confessione integra, fratelli miei? Ohimè! quanti dannati, quante anime riprovate! Sapete, miei fratelli, quand’è lecito dire: « Tante volte all’incirca? » Quando si fa una confessione lunga, e torna impossibile dire nettamente quante volte s’è fatto un peccato: allora ecco che cosa deve farsi: si deve dire quanto tempo durò la cattiva abitudine, e quante volte approssimativamente si cadeva ogni settimana, ogni mese, ogni giorno; dir se l’abito fu per qualche tempo interrotto; e così si potrà avvicinarsi, quant’è possibile, al numero esatto. Se non ostante tutta la diligenza posta nell’esame, avete dimenticato qualche peccato, la confessione sarà buona; basterà che nella prima confessione diciate: « Padre, m’accuso d’avere involontariamente dimenticato il tal peccato nell’ultima confessione »; così sarà unito a quelli che avete accusato. Perciò appunto nell’accusarci si suol dire: « Padre, m’accuso di questi peccati, e di quei che non ricordo ». Quanto a’ peccati veniali, nei quali si cade così spesso, non si ha obbligo di confessarsene perché questi peccati non ci fan perdere la grazia e l’amicizia di Dio, e si può ottenerne il perdono con altri mezzi, cioè colla contrizione del cuore, col digiuno, coll’elemosina e col santo sacrifizio. Ma il santo Concilio di Trento c’insegna ch’è utilissimo il confessarli. (Sess. XIV, c. 5). Eccone le ragioni: 1° Spesso un peccato, da noi creduto veniale, è mortale agli occhi di Dio; 2° per mezzo del sacramento della penitenza se ne ottiene molto più facilmente il perdono; 3° la confessione dei peccati vernali ci rende più vigilanti su noi medesimi; 4° gli ammonimenti del confessore possono aiutarci molto a correggerci; 5° l’assoluzione che riceviamo ci dà forza per poterli evitare. Ma se ce ne confessiamo, dobbiamo averne pentimento e desiderio d’emendarcene; altrimenti ci esporremmo a commetter sacrilegi. Perciò, conforme al consiglio di S. Francesco di Sales, quando avete da rimproverarvi soltanto peccati veniali, conviene che al fine della vostra confessione vi accusiate d’un peccato grave della vita passata, dicendo: « Padre, m’accuso d’aver in altro tempo commesso il tal peccato », dicendolo come se non l’avessimo confessato mai, colle circostanze e col numero delle volte, che vi si è caduti. Ecco presso a poco, fratelli miei, quali debbono essere le doti d’una buona confessione. Tocca adesso a voi esaminare se le vostre confessioni passate furono accompagnate da tutte le qualità di cui abbiam parlato. Se vi riconoscete colpevoli, non perdete tempo: forse nel tempo in cui vi ripromettete di ritornare sui vostri passi, non sarete più al mondo, brucerete nell’inferno col rammarico di non aver fatto ciò che potevate far sì bene, mentre eravate ancor sulla terra e avevate all’uopo tutti i mezzi necessari.

II. — Vediamo adesso in poche parole in quanti modi si pecca contro queste disposizioni. Sapete, fratelli miei, (e vi fu insegnato fin da fanciulli) che l’integrità e la sincerità sono qualità assolutamente necessarie per fare una buona confessione, cioè per aver la buona sorte di ricevere il perdono de’ vostri peccati. Il mezzo più sicuro per fare una confessione buona è manifestare i vostri peccati con semplicità dopo d’esservi esaminati bene; poiché un peccato omesso per difetto gravemente colpevole d’esame, quantunque se ne aveste avuto coscienza, l’avreste detto, basterà a render sacrilega la vostra confessione. Eppure, fratelli miei, quanti Cristiani vanno a confessarsi il più delle volte senza neppur pensare alle loro colpe, o almeno vi pensano così leggermente che quando si confessano, se il sacerdote non li esamina, non han nulla da dire. Soprattutto tra quelli che si confessano solo raramente, s’incontrano spesso di tali che non temono di mentire a Dio, celando volontariamente peccati, di cui la coscienza li rimprovera, e dopo una simile confessione osano presentarsi alla sacra Mensa per mangiare, come dice San Paolo, la loro condanna (I Cor. XI, 29). Ma ecco, fratelli miei, chi più facilmente è soggetto a far cattive confessioni: coloro che per qualche tempo hanno adempita fedelmente ai doveri religiosi. Il demonio, che non risparmia nulla per trarli a perdizione, li tenta terribilmente. Se vengono a cadere, sgomentati da una parte per vergogna del loro peccato, dall’altra per timore di farsi conoscere così colpevoli, fanno una fine disgraziata. Usano confessarsi per quella tal festa, e temono d’esser notati se non vi vanno, ma non vorrebbero confessarsi colpevoli. Che cosa fanno? Tacciono il loro peccato e cominciano una catena di sacrilegi, che forse durerà sino alla morte, senza aver forza di romperla un’altra volta. Sarà un tale non disposto a restituire una cosa rubata, a riparare una ingiustizia fatta, a non più ricevere indebitamente interesse dal suo denaro; o fors’anche una donna o una fanciulla che ha una mala pratica, e non vuol lasciarla. A qual partito s’appigliano? Eccolo: non dir nulla, e mettersi volontariamente per la via dell’inferno. Amici miei, lasciate che vel dica: siete in un orribile accecamento: chi credete ingannare e a chi volete celare il vostro peccato? Ad un uomo, non già: ma a Dio, che lo conosce assai meglio di voi, e che vi aspetta nell’altra vita per castigarvene, non per un momento solo, ma per tutta l’eternità. Quanti son pur di questo numero! E persone che fan professione di pietà, eppur si lasciano ingannare da queste meschine considerazioni: « Che si penserà di me, se non mi si vedrà accostarmi, secondo il solito, alla Comunione? » Questa considerazione li scompiglia e li fa cadere nel sacrilegio. O mio Dio, e si può poi vivere tranquilli? Ma grazie a Dio, queste anime nere e rotte all’iniquità non sono il maggior numero. Ecco invece la fune per cui il demonio ne trascina di più all’inferno: parlo di quelli che, manifestando i loro peccati, li nascondono pel modo in cui se n’accusano: dopo che si son confessati il sacerdote non li conosce gran che meglio di prima. Chi può enumerare tutti gli artifizi, le astuzie che il demonio loro ispira per trarli a perdizione e ad ingannare il Confessore? Lo vedrete tosto.

Dico: 1° artifizi nel modo d’accusar le loro colpe, al qual fine si serviranno de’ termini più adatti a scemarne la vergogna. Qual preparazione fanno taluni? Non domandano mica a Dio la grazia di conoscer bene i loro peccati; ma si affannano per trovare come potran dirli in maniera di sentirne meno vergogna. Senza quasi accorgersene, li attenuano notevolmente: gl’impeti di collera saranno atti d’impazienza; i discorsi più indecenti, parole un po’ libere; i più vergognosi desideri e le azioni più disoneste, familiarità poco convenienti; le ingiustizie più decise saranno piccoli torti; gli eccessi d’avarizia, attacco un po’ soverchio ai beni della terra. Sicché quando giungerà la morte e Dio farà ad essi vedere i loro peccati quali sono, riconosceranno d’averli confessati solo a mezzo in quasi tutte le loro confessioni. E che seguirà da questo procedere, se non una catena di sacrilegi? O mio Dio, si può pensarvi e non esser più sincero nelle confessioni per avere la bella sorte d’ottenere il perdono?

2° Dico che si mascherano i peccati nelle circostanze, che si ha gran cura di non manifestare, e che spesso inchiudono maggior colpa che le azioni in sé medesime; p. es. una persona, la cui vita è mormorare, censurare continuamente e fors’anche calunniare, s’accuserà d’avere parlato svantaggiosamente del prossimo, ma non dirà se l’ha fatto per superbia, per invidia, per odio, per risentimento; non dirà qual danno ha recato alla sua riputazione. Anzi, qualora le si domandi se quelle parole abbiano recato danno al prossimo, risponde tranquillamente di no, senza avere esaminato il sì o il no. Dite, sì, che avete mormorato, ma non dite se fu contro il vostro pastore o altra persona consacrata a Dio, la cui riputazione è assolutamente necessaria pel bene della religione; non dite che la cosa da voi detta era falsa, cioè era una calunnia; v’accusate, sì, d’aver detto parole contro la religione e contro la modestia, ma non dite che vostra intenzione era di far vacillare la fede di quella giovinetta per indurla a consentire a’ vostri cattivi desideri, dicendole che in quelle cose non v’era alcun male e che non era necessario confessarsene. Una giovinetta dirà d’essersi abbigliata con desiderio di piacere, ma non dirà che sua intenzione era far nascere cattivi pensieri. O mio Dio, non si dovrebbe relegarla nel fondo delle foreste, ove non giunsero mai i raggi del sole? Un padre s’accuserà d’essere stato alla bettola, d’essersi ubbriacato, ma non dirà d’aver dato scandalo a tutta la sua famiglia. Una madre s’accuserà d’aver detto parole contro il prossimo e d’esser andata in collera, ma non dirà che ne furono testimoni i suoi figliuoli e le sue vicine. Un altro s’accuserà d’aver usato o permesso familiarità poco decenti; ma non dirà che aveva intenzione di peccar con quella persona, se avesse potuto indurla al male, e non avesse avuto timor della gente. Un tale dirà d’aver lasciato la Messa in giorno di Domenica, ma non dirà d’averla fatta perdere anche ad altri, o che molti l’han veduto e ne furono scandalizzati: fors’anche i suoi figliuoli o i suoi domestici. V’accusate, sì, d’essere stato alla bettola; ma non dite che fu di Domenica e in tempo della Messa o de’ Vespri; e che avevate intenzione di condurvi altri con voi, se aveste potuto. Seppur dite che per andare all’osteria siete usciti di chiesa, e nel tempo dell’istruzione, facendovi beffe di ciò che diceva il vostro pastore. Vi accusate pure d’aver mangiato carne nei giorni proibiti, ma non dite ch’era a scherno della religione e per disprezzare le sante sue leggi. Dite, sì, d’aver pronunciato parole disoneste; ma non dite d’averlo fatto perché avevate dinanzi una persona pia, per potere screditar la religione e spegnerla nel suo cuore. Dite ancora che lavorate la Domenica; ma non dite ch’è per avarizia e spregiando le proibizioni di Dio e della Chiesa. Vi accusate certo d’aver avuto cattivi pensieri; ma non dite d’avervi dato occasione andando volontariamente in compagnia di persone che sapevate benissimo non metterebbero innanzi se non cattivi discorsi. Dite, sì, di non avere ascoltato nel debito modo la Messa; ma dimenticato di dire che vi avevate dato occasione venendo fino alla porta della chiesa senza prepararvici: fors’anche siete entrato senza fare un atto di contrizione, e di questo non dite verbo; e tuttavia buona parte di queste circostanze taciute possono render sacrileghe le vostre confessioni. Oh! quanti Cristiani dannati per non essersi saputi confessare! Voi vi siete forse accusato di non essere istruito abbastanza; ma non avete detto che ignoravate i misteri principali, ch’è pur necessario conoscere per salvarsi. Non avete detto che non osate chiedere al vostro confessore che v’interroghi per sapere, se siete istruiti quant’è necessario per non dannarvi e per ricevere degnamente i sacramenti; forse non vi avete pensato mai! O mio Dio, quanti Cristiani perduti! – Parlo in terzo luogo dell’alterazione nel tono della voce, che si usa per confessare certi peccati più umilianti, avendo cura di collocarli in tal ordine che il confessore possa udirli senza badarvi. Si confesseranno prima molti peccati piccoli, come: « Padre, m’accuso di non aver preso l’acqua benedetta mattina e sera, d’aver avuto distrazioni nelle preghiere », e altre cose somiglianti; e dopo d’aver così addormentata, quant’è possibile l’attenzione del confessore, a voce un po’ più bassa e con grandissima rapidità si lasciano scivolare abominazioni ed orrori. Insensati, si potrebbe dir loro, qual demonio v’ha sedotto in questo modo e vi ha indotto a tradir così sciaguratamente la verità? Ditemi, fratelli miei, qual motivo può spingervi a mentir così in confessione? Forse il timore che il confessore abbia di voi cattiva opinione? V’ingannate. Sperate forse che peccati confessati così vi siano perdonati? Anche in questo v’ingannate grossolanamente. Ma, ditemi, perché venite a dire al confessore parte de’ vostri peccati con isperanza d’ingannarlo? Sapete pure che non riuscirete mai ad ingannare Iddio, da cui dovete ricevere il perdono. Ditemi: l’assoluzione, che avete carpita, poteste sperare che sia confermata in cielo? Ohimè! fratelli miei, l’accecamento di certi peccatori è tale che osano persuadersi d’avere ottenuto il perdono purché abbiano ottenuto un’assoluzione qualsiasi, abbiano detto o no tutti i loro peccati, abbiano o no ingannato il confessore. Ma ditemi, peccatori accecati, peccatori induriti e venduti all’iniquità, ditemi, foste contenti di un’assoluzione di tal fatta quando usciste dal tribunale della penitenza? Gustaste quella pace e quella dolce consolazione, ch’è ricompensa d’una confessione ben fatta? Non foste invece obbligati, per acquietare i rimorsi della vostra coscienza, a dire in cuor vostro che riparereste un giorno la confessione fatta pur allora? Ma, amico mio, tutto bene considerato, avreste fatto meglio a non confessarvi. Sapete benissimo che tutti i peccati, chel avete confessato così, non vi furono perdonati, per non dir nulla di quelli che avete cercato di nascondere. Non eravate forse colpevoli abbastanza? E a tutti i vostri enormi peccati avete voluto aggiungere un orribile sacrilegio! — Ma, direte, volevo comunicarmi, perché son solito comunicarmi in quel giorno. — V’ingannate: dovete dire che volevate fare un sacrilegio, immergervi sempre più a fondo nell’inferno; forse temevate d’andare in paradiso. Ah! non vi affannate tanto! Avete peccati abbastanza per non andare in cielo ed esser precipitati tra le fiamme. – Ohimè! non dico nulla di tutte le confessioni sacrileghe per difetto di dolore, che, da sole, conducono alla dannazione più gente che tutti gli altri peccati. Spero di parlarvene un giorno o l’altro. Non è vero, amico mio, che sperate di riparare al male che avete fatto? — Sì, mi direte: — Ohimè! tremate, amico mio, temendo che ve ne sia negato il tempo, e non abbiate altra preparazione alla morte che i vostri sacrilegi. Volete sapere qual è la ricompensa di tali profanazioni? Eccola: induramento in vita e disperazione all’ora della morte. Avete ingannato il vostro confessore, ma non Iddio; e Dio vi giudicherà. Che dovete fare, fratelli miei, per isfuggire un male sì spaventoso? Affrettatevi a riparare tutti i difetti delle vostre confessioni passate con un’accusa sincera ed intera. Intendete bene che Dio non vi perdonerà né i peccati nascosti né le vostre confessioni sacrileghe. I peccati taciuti saranno manifestati pubblicamente dinanzi a tutto l’universo; mentre, se li aveste confessati bene, non vi sarebbero rimproverati mai più. Fremete, fratelli miei, pensando all’orrenda disperazione, che vi aspetta all’ora della morte; quando tutti i vostri sacrilegi vi piomberanno sopra per togliervi ogni speranza di perdono. Ricordate l’esempio d’Anania e di sua moglie, che caddero morti ai piedi di S. Pietro per avergli mentito. Ricordate pure la terribile punizione di quella giovinetta riferita da S. Antonino Fratelli miei, tutte queste considerazioni v’inducano a far tutte le vostre confessioni secondo le regole che v’ho tracciato, e sarete sicuri di trovarvi il perdono de’ vostri peccati, la pace dell’anima e al fine de’ vostri giorni la vita eterna. Il che vi desidero.

Credo

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XVIII: 9, 10, 11, 12

Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulci ora super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.

[I comandamenti del Signore sono retti, rallégrano i cuori: i suoi giudizii sono più dolci del miele: perciò il tuo servo li adémpie.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché questa offerta ci mondi dai peccati, e santífichi i corpi e le ànime dei tuoi servi, onde pòssano degnamente celebrare il sacrifício.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXIII: 4-5 – Passer invénit sibi domum, et turtur nidum, ubi repónat pullos suos: altária tua, Dómine virtútum, Rex meus, et Deus meus: beáti, qui hábitant in domo tua, in sæculum sæculi laudábunt te.

[Il pàssero si è trovata una casa, e la tòrtora un nido, ove riporre i suoi nati: i tuoi altari, o Signore degli esérciti, o mio Re e mio Dio: beati coloro che àbitano nella tua casa, essi Ti loderanno nei sécoli dei sécoli.]

Postcommunio

Orémus.

A cunctis nos, quaesumus, Dómine, reátibus et perículis propitiátus absólve: quos tanti mystérii tríbuis esse partícipes.

[Líberaci, o Signore, Te ne preghiamo, da tutti i peccati e i perícoli: Tu che ci rendesti partécipi di un così grande mistero.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA QUALITÀ DELLA CONFESSIONE

[I SERMONI DEL B. GIOVANNI B. M. VIANNEY CURATO D’ARS – Trad. Italiana di G. D’Isengard P. d. M. – vol. IV. Torino, libr. Del Sacro Cuore, 1907]

SULLA QUALITÀ DELLA CONFESSIONE.

Surgam, et ibo ad Patrem meum, et dicam eì: Pater, peccavi in cœlum coram te.

Mi leverò su, e andrò dal Padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro cielo e contro di te.

(S. LUCA XV).

Tal dolore e tal pentimento, fratelli miei, deve produrre nei nostri cuori il pensiero de’ nostri peccati; e su questa via si mise il figliuol prodigo, quando, rientrato in sé medesimo, riconobbe la profonda miseria e i beni perduti separandosi così buon padre. Sì, esclama, mi leverò su, e andrò dal mio buon padre; mi getterò a’ suoi piedi e bagnerò delle mie lacrime: « O padre mio, coperto di peccati e oppresso dalla vergogna, non oso riguardare il cielo, né Voi come padre, poiché vi ho così orribilmente dispregiato; ma sarò troppo lieto, se vorrete pormi nel numero de’ vostri servi ». Bel modello, fratelli miei, per un peccatore, che, mosso dalla grazia, sente l’abisso della sua miseria, e peso de’ suoi peccati e de’ rimorsi che lo divorano. Beato e mille volte beato il peccatore che s’accosta al suo Dio con sentimento di dolore e di fiducia a quelli di questo gran penitente. Sì, fratelli miei, è sicuro di trovar, come lui, tu Dio un padre pieno di bontà e di tenerezza, che volentieri gli rimetterà le sue colpe e gli restituirà tutti i beni che il peccato gli aveva rapito. – Ma di che dunque vi parlerò? Ah! consolatevi: vengo ad annunziarvi la più grande di tutte le felicità. Ah! che dico? Vengo a spiegarvi sotto gli occhi tutte le grandezze della misericordia divina. Ah! povera anima, consolati: mi par d’udirti gridare, come il cieco di Gerico: « Ah! Gesù, figliuolo di David, abbiate pietà di me » (S. Luc. XVIII, 38). Sì, povera anima, tu troverai…. Qual è il mio intendimento? Eccolo, fratelli miei: mostrarvi nel modo più semplice e più familiare, quali disposizioni dovete avere accostandovi al sacramento della penitenza. Son cinque, ed eccole: la nostra confessione, per esser buona e meritarci il perdono de’ nostri peccati, dev’essere: 1° umile; 2° semplice; 3° prudente; 4° intera; 5° sincera. – Se le vostre confessioni sono accompagnate da queste condizioni, siete sicuri del perdono. Vedremo poi in che modo la mancanza di queste condizioni, può rendere sacrileghe le nostre confessioni.

I. — Parlando a Cristiani, fratelli miei, che cercano solo i mezzi di salvare le loro povere anime, non occorre dimostrarvi la divina origine della confessione: basta dirvi che Gesù Cristo medesimo l’ha stabilita, dicendo a’ suoi Apostoli e insieme a’ loro successori: « Ricevete lo Spirito santo: saranno rimessi i peccati a coloro ai quali voi li rimetterete, e saranno ritenuti a coloro a cui li riterrete » (S. Giov. XX, 22, 23); o anche, se volete, quando disse: « Tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo: e tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo» (Matt. XVIII. 18); parola che ci fa conoscere manifestamente la divina origine e la necessità della confessione. Infatti come si potevano rimettere o ritenere i peccati, s’essi non si facevan conoscere a coloro che hanno questo sublime e mirabile potere? Neppure è necessario farvi intendere i vantaggi della confessione: basta una parola sola, poiché, commesso anche un solo peccato mortale, senza la confessione, non potremo giunger mai alla visione di Dio, e saremo condannati a provare eternamente tutti i rigori della sua collera ed esser maledetti. Seppur vi dirò che la confessione ci fa riacquistare l’amicizia di Dio e ridona all’anima nostra la vita e ci restituisce tutte le opere buone che il peccato aveva fatto morire. Se non sentite tutta la felicità e tutti i vantaggi della confessione, interrogate i demoni, che bruciano nell’inferno, e v’insegneranno a stimarla e a profittarne. Sì, miei fratelli, se chiediamo a tutti i Cristiani dannati, perché siano tra quelle fiamme, tutti ci diranno che causa della loro sciagura è o l’aver dispregiato il sacramento della penitenza, cioè la confessione, o l’esservisi accostati senza le dovute disposizioni. Se da quel luogo d’orrore salite al cielo, e domandate a quelli antichi peccatori, che passarono nelle sregolatezze venti o trent’anni, che cosa abbia procurato ad essi tanta gioia e tanti diletti, tutti vi diranno che il solo sacramento della penitenza valse loro quei beni infiniti. No, miei fratelli, uiuno dubita di verità così consolante per un peccatore, il quale pel peccato ha perduto il suo Dio, ch’egli cioè ha un mezzo sì facile e sì efficace per riacquistare ciò che il peccato gli av0eva rapito ( « Sì, diceva un giorno un medico protestante, voi cattolici siete pur felici! Quando avete qualche cosa che vi pesa … andate a confessarvi, e tosto la pace torna ne’ vostri cuori; io invece, fin dalla mia gioventù, ho il peso d’un peccato da cui non posso liberarmi ». Oh! bella invenzione della misericordia del mio Dio! Sì, miei fratelli, uno de’ grandi vantaggi della confessione è la pace dell’anima. – Nota del Beato). Se domandassi ad un fanciullo: Che cos’è la Confessione? mi risponderebbe semplicemente ch’è l’accusa de’ propri peccati fatta ad un sacerdote approvato per ricevere l’assoluzione, cioè il perdono. — Ma, perché, mi direte, Gesù Cristo volle assoggettarci ad un’accusa così umiliante, che costa tanto al nostro amor proprio? — Amico mio, vi risponderò che appunto per umiliarci Gesù Cristo vi ci ha condannati. È fuor d’ogni dubbio penoso ad un superbo l’andare a dire a un confessore tutto il male che ha fatto, tutto quello ch’ebbe in pensiero di fare, tanti cattivi pensieri, tanti desideri corrotti, tante azioni ingiuste e vergognose che si vorrebbe poter celare a sé medesimo. Ma voi non badate che la superbia è sorgente d’ogni peccato, e che ogni colpa è una superba ribellione della creatura contro il Creatore: è dunque giusto che Dio ci abbia condannato a quest’accusa così umiliante per un superbo. Ma consideriamo quest’umiliazione cogli occhi della fede: è forse cosa penosa cangiare una confusione pubblica ed eterna con una confusione di cinque minuti, quanti ne occorrono per confessare i nostri peccati al ministro di Dio per riacquistare il cielo e l’amicizia del nostro Dio? — Ma perché, chiederete, tanti han sì grande ripugnanza per la confessione, e i più vi si accostano mal disposti? — Ohimè! fratelli miei, perché taluni hanno perduta la fede; altri sono superbi; altri infine non sentono le piaghe della povera anima loro, né le consolazioni che la confessione apparecchia al Cristiano che vi si accosta degnamente. Chi è, miei fratelli, colui che ci comanda di confessare tutti i nostri peccati sotto pena di dannazione eterna? Ohimè! lo sapete pur quanto lo so io: è Gesù Cristo medesimo; e tutti vi sono obbligati, dal santo Padre, all’infimo artigiano. Mio Dio, quale accecamento spregiare e non far caso d’un mezzo sì facile e sì efficace per assicurarsi una infinita felicità, liberandosi dalla più grande delle sciagure ch’è la collera eterna! Ma non è questo, miei fratelli, ciò che vi par più necessario a sapersi, poiché sapete che la confessione è il solo mezzo che ci resta per uscir dal peccato: o confesseremo le nostre colpe, o ci toccherà ardere nell’inferno: si sa che, per gravi, enormi e numerosi che siano i nostri peccati, ne otterremo senza fallo il perdono, se li confessiamo. Ecco che cosa dovete assolutamente sapere: ascoltatemi attentamente.

1° Dico in primo luogo che la confessione dev’essere umile, cioè che dobbiamo nel tribunale della penitenza considerarci come rei dinanzi al giudice, ch’è Dio medesimo: dobbiam da noi accusare i nostri peccati, e non aspettare che il sacerdote ce ne interroghi, conforme all’esempio di David, che diceva: « Sì, mio Dio, da me stesso accuserò al Signore i miei peccati » (Sal. XXXI, 5), e non far come la maggior parte de’ peccatori, che raccontano i loro peccati come una storia indifferente, non mostrano dolore e pentimento d’avere offeso Dio, e par si confessino soltanto per commetter sacrilegi. O mio Dio, si può pensarvi bene e non sentirsi morire d’orrore? Se il confessore si vede costretto a farvi qualche ammonizione, che ferisca un po’ il vostro amor proprio, se v’impone qualche penitenza che vi ripugni, o anche se vi differisce l’assoluzione, guardatevi bene dal mormorare; sottomettetevi umilmente; guardatevi pure dal brontolare, e molto meno disputare con lui, rispondendogli arrogantemente, (come fanno certi peccatori indurati e venduti all’empietà, i quali fors’anche usciron di chiesa incolleriti senza neppur mettersi in ginocchio. Non dimenticate mai che il tribunale della penitenza, ove siede il confessore, è veramente il tribunale di Gesù Cristo; ch’Egli ode la vostra accusa, v’interroga, vi parla e pronunzia la sentenza d’assoluzione. Dico che bisogna accusarci umilmente, cioè non rigettar mai le proprie colpe sugli altri, come fan molti quando vanno a confessarsi, simili ad Adamo, che si scusò gettando la colpa su Eva, ed Eva gettandola sul serpente, invece di confessarsi umilmente colpevoli; dicendo che, se han peccato, non è colpa loro; bisogna fare tutto il contrario. Un uomo facile ad andare in collera, si scuserà dandone carico a sua moglie o ai suoi figliuoli; un ubbriacone darà la colpa alla compagnia che l’ha costretto a bere; un vendicativo attribuirà la causa della sua colpa a un’ingiuria che gli fu fatta; un maledico si scuserà asserendo che dice la pura verità; un uomo che lavora la Domenica getterà la colpa sugli affari urgenti che vanno a male. – Una madre, che fa omettere le preghiere a’ suoi figliuoli si scuserà colla mancanza di tempo. Dite, fratelli miei, vi par questa una confessione umile? Vedete chiaro che non è. « Ponete, di grazia, o mio Dio, diceva il santo re David, una custodia alla mia bocca, perché la malizia del mio cuore non trovi scusa ai miei peccati » (Salm. CXL: 3, 4). Dico dunque che dobbiamo farci conoscere quali siamo, perché la nostra confessione sia buona e capace di farci riacquistare l’amicizia di Dio.

2° Dico che la confessione dev’esser semplice, cioè che dobbiamo evitare tutte le accuse, inutili, gli scrupoli che fan ripetere venti volte la stessa cosa, fan perder tempo al confessore, stancano quei che aspettano per confessarsi e spengono la divozione. Bisogna con una manifestazione sincera farsi conoscere quali si è; bisogna accusar ciò ch’è dubbio come dubbio, ciò ch’è certo come certo; p. es. se diceste di non esservi fermati su cattivi pensieri, mentre dubitate d’esservene dilettati, sarebbe mancar di sincerità, quasi aveste avuto soltanto il pensiero; parimenti dire che la cosa da voi rubata vale solo tanto, credendo che forse valga di più; ovvero dire: « Padre mio, m’accuso d’avere in una delle mie confessioni dimenticato un peccato », mentre l’avevate taciuto per malaugurata vergogna o per negligenza. Queste maniere d’accusa vi farebbero commettere un orribile sacrilegio. Dico pure ch’è mancanza di sincerità l’aspettare che il confessore v’interroghi su certi peccati; se avete avuto intenzione di tacerli, non basterà confessarli, perché il confessore ve ne ha richiesti, ma dovrete aggiungere: « Padre, se non m’aveste interrogato su questo peccato, non ve l’avrei detto ». Se non usaste tale sincerità, la vostra confessione sarebbe nulla e sacrilega. Sfuggite, fratelli miei, sfuggite tutte queste frodi: abbiate il cuor sulle labbra. Potete, sì, ingannare il vostro confessore, ma ricordate bene che non riuscirete ad ingannare Iddio, che vede e conosce meglio di voi i vostri peccati. Se mai il demonio, questo satana maledetto, vi tentasse per farvi nascondere o travisare qualche peccato, riflettete tosto: ma con questo mi renderò più reo che non sono; commetterò un peccato assai più orribile che quello che intendo nascondere, poiché sarà un sacrilegio: posso ben nasconderlo al sacerdote, ma Dio lo conosce meglio di me; prima o poi dovrò pur confessarlo, ovvero dovrò rassegnarmi ad andare nell’inferno ad ardere eternamente. Manifestandolo dovrò (è vero) incontrare una piccola umiliazione; ma che cos’è in confronto di quella confusione pubblica ed eterna? Un infermo, dovete dire, che desidera la guarigione, non teme di scoprire le malattie, anche più vergognose e segrete, per farsi applicare’ il rimedio; ed io temerò di scoprire le piaghe della povera anima mia al mio medico spirituale per poterne guarire? Potrò rimanere in istato di dannazione per tutto il resto della mia vita? Se non avete coraggio di manifestare qualche peccato, dite al sacerdote: « Padre mio, ho un peccato che non oso dirvi: di grazia, aiutatemi ». Sebbene questa disposizione sia imperfetta, tuttavia così riuscirete ad accusarlo, il che è assolutamente necessario.

3° In terzo luogo dico che la confessione dev’essere prudente; il che vuol dire che bisogna accusare i propri peccati con parole oneste; inoltre che non .si devono, senza necessità, far conoscere i peccati altrui. Dico “senza necessità”, perché talora è necessario: ad es., avete avuto la disgrazia di commettere un peccato contro la santa virtù della purità con uno od una de’ vostri parenti: bisogna pur dire questa circostanza senza di che fareste un sacrilegio. Siete in una casa, ov’è una persona, che vi spinge al male: avete pure obbligo di dirlo, perché siete in occasione prossima di peccato. Ma dicendolo dovete attendere ad accusare i peccati vostri non gli altrui.

4° Dico in quarto luogo che la confessione deve essere integra, cioè che si debbono manifestare tutti i propri peccati mortali, la loro specie, il numero e le circostanze necessarie. Dico primieramente la specie: non basta dire in generale che si è peccato assai; ma bisogna dir pure, qual sorta di peccati son quelli di cui ci si accusa, se furto, bugia, impurità o simili. E non basta neppure dir la specie, deve dirsi il numero p. es. se diceste: Padre mio, m’accuso d’aver mancato alla Messa, d’aver rubato, d’aver mormorato, d’aver fatto cose disoneste, non andrebbe bene così: dovete dir pure quante volte avete commessi questi peccati: bisogna anche entrare nei particolari e dir certe circostanze. Forse non capite che cosa sia circostanza: son quelle particolarità che accompagnano il peccato e lo rendono più o meno considerevole o più o meno scusabile. Queste circostanze si traggono: dalla persona che pecca con un’altra, se è parente e in qual grado, se padre o madre, fratello o sorella, se una figlioccia col suo padrino o un figlioccio colla madrina, un cognato colla cognata; 2° dalla qualità o quantità dell’oggetto ch’è materia del peccato; 3° dal motivo che induce al peccato; 4° dal tempo, in cui avete peccato; se era Domenica, e in tempo delle funzioni; 5° dal luogo: se fu in un luogo consacrato alla preghiera, cioè in una chiesa; 6°dal modo in cui si commise il peccato; e finalmente dalle conseguenze del peccato. Vi son pure circostanze che mutano la specie del peccato, cioè a dire costituiscono peccato d’altra natura. P. es. commettere impurità con donna maritata è adulterio; con una parente è incesto; fermarsi sopra un cattivo pensiero, consentire a un cattivo desiderio, dare un cattivo sguardo è peccato contro la castità; ma se ciò accade in chiesa è profanazione del luogo santo, è una specie di sacrilegio. Queste sono circostanze che mutano la specie del peccato. Ve ne sono altre, che, senza cangiarla, l’aggravano assai: p. es. chi commette peccato alla presenza di parecchie persone, o dinanzi a’ propri figliuoli; chi ha bestemmiato il nome di Dio, tenuto discorsi disonesti, fatte maldicenze alla presenza di molte persone, ha fatto maggior peccato che chi commise questi peccati dinanzi a pochi; chi per ore intiere ha fatto discorsi disonesti ha commesso peccato più. grave che chi ha parlato in tal modo per breve tempo. Mormorare per odio è peccato assai più grave, che se si mormorasse per leggerezza. Ubbriacarsi, andare al ballo, al festino, alla bettola in Domenica è maggior peccato che andarvi in giorno feriale, perché questo giorno è in modo particolare consacrato a Dio. Ecco, fratelli miei, le circostanze che debbono dichiararsi, senza di che temete delle vostre confessioni. Ohimè! dove sono i Cristiani che badano a tutte queste cose! Ma, diciam del pari, dove sono quelli che fan buone confessioni? Si vede dal loro modo di vivere. Bisogna pur dire se si è abituati nel peccato, e quanto tempo è durato quell’abito, se i peccati, in cui s’è caduti, si commisero per malizia e con riflessione, e quali conseguenze provennero dal peccato commesso; perché soltanto così possiam farci conoscere. Vedete come si comporta un malato col suo medico? Gli scopre non solo il suo male, ma anche il principio e il progresso della malattia, e usa le parole più chiare. Se il medico non capisce, ripete, non cela, non travisa nulla di ciò che crede necessario per far conoscere il suo male e procurare la propria guarigione. Ecco, fratelli miei, come dobbiamo comportarci col nostro medico spirituale, per metterlo in condizione di conoscer bene le piaghe dell’anima nostra, cioè conoscerci quali ci conosciamo noi dinanzi a Dio. – Dico inoltre che si deve confessare anche il numero. Rammentate che, se non dite il numero dei peccati mortali, le vostre confessioni non valgon nulla; dovete dir quante volte siete caduti nell’istesso peccato, perché ogni volta è una nuova colpa. Se avete commesso un peccato tre volte, e diceste due soltanto, la volta che non accusate farebbe sì che la vostra confessione fosse un sacrilegio, se, come si suppone, si tratta di peccato mortale. Ohimè! Miei fratelli, quanti di quei che sono caduti in colpe di questa fatta, parte bruciano nell’inferno, parte non ripareranno forse mai a quella catena di confessioni e comunioni sacrileghe! Si contenteranno di dire: « Padre mio, m’accuso di aver mormorato, d’aver bestemmiato ». — « Ma quante volte? » chiederà il sacerdote. — « Non molto spesso, ma qualche volta sì ». Ed è questa una confessione integra, fratelli miei? Ohimè! quanti dannati, quante anime riprovate! Sapete, miei fratelli, quand’è lecito dire: « Tante volte all’incirca? » Quando si fa una confessione lunga, e torna impossibile dire nettamente quante volte s’è fatto un peccato: allora ecco che cosa deve farsi: si deve dire quanto tempo durò la cattiva abitudine, e quante volte approssimativamente si cadeva ogni settimana, ogni mese, ogni giorno; dir se l’abito fu per qualche tempo interrotto; e così si potrà avvicinarsi, quant’è possibile, al numero esatto. Se non ostante tutta la diligenza posta nell’esame, avete dimenticato qualche peccato, la confessione sarà buona; basterà che nella prima confessione diciate: « Padre, m’accuso d’avere involontariamente dimenticato il tal peccato nell’ultima confessione »; così sarà unito a quelli che avete accusato. Perciò appunto nell’’accusarci si suol dire: « Padre, m’accuso di questi peccati, e di quei che non ricordo ». Quanto a’ peccati veniali, nei quali si cade così spesso, non si ha obbligo di confessarsene perché questi peccati non ci fan perdere la grazia e l’amicizia di Dio, e si può ottenerne il perdono con altri mezzi, cioè colla contrizione del cuore, col digiuno, coll’elemosina e col santo sacrifizio. Ma il santo Concilio di Trento c’insegna ch’è utilissimo il confessarli. (Sess. XIV, c. 5). Eccone le ragioni: 1° Spesso un peccato, da noi creduto veniale, è mortale agli occhi di Dio; 2° per mezzo del sacramento della penitenza se ne ottiene molto più facilmente il perdono; 3° la confessione dei peccati vernali ci rende più vigilanti su noi medesimi; 4° gli ammonimenti del confessore possono aiutarci molto a correggerci; 5° l’assoluzione che riceviamo ci dà forza per poterli evitare. Ma se ce ne confessiamo, dobbiamo averne pentimento e desiderio d’emendarcene; altrimenti ci esporremmo a commetter sacrilegi. Perciò, conforme al consiglio di S. Francesco di Sales, (quando avete da rimproverarvi soltanto peccati veniali, conviene che al fine della vostra confessione vi accusiate d’un peccato grave della vita passata, dicendo: « Padre, m’accuso d’aver in altro tempo commesso il tal peccato », dicendolo come se non l’avessimo confessato mai, colle circostanze e col numero delle volte, che vi si è caduti. Ecco presso a poco, fratelli miei, quali debbono essere le doti d’una buona confessione. Tocca adesso a voi esaminare se le vostre confessioni passate furono accompagnate da tutte le qualità di cui abbiam parlato. Se vi riconoscete colpevoli, non perdete tempo: torse nel tempo in cui vi ripromettete di ritornare sui vostri passi, non sarete più al mondo, brucerete nell’inferno col rammarico di non aver fatto ciò che potevate far sì bene, mentre eravate ancor sulla terra e avevate all’uopo tutti i mezzi necessari.

II. — Vediamo adesso in poche parole in quanti modi si pecca contro queste disposizioni. Sapete, fratelli miei, (e vi fu insegnato fin da fanciulli) che l’integrità e la sincerità sono qualità assolutamente necessarie per fare una buona confessione, cioè per aver la buona sorte di ricevere il perdono de’ vostri peccati. Il mezzo più sicuro per fare una confessione buona è manifestare i vostri peccati con semplicità dopo d’esservi esaminati bene; poiché un peccato omesso per difetto gravemente colpevole d’esame, quantunque se ne aveste avuto coscienza, l’avreste detto, basterà a render sacrilega la vostra confessione. Eppure, fratelli miei, quanti Cristiani vanno a confessarsi il più delle volte senza neppur pensare alle loro colpe, o almeno vi pensano così leggermente che quando si confessano, se il sacerdote non li esamina, non han nulla da dire. Soprattutto tra quelli che si confessano solo raramente, s’incontrano spesso di tali che non temono di mentire a Dio, celando volontariamente peccati, di cui la coscienza li rimprovera, e dopo una simile confessione osano presentarsi alla sacra Mensa per mangiare, come dice San Paolo, la loro condanna (I XCor. XI, 29). Ma ecco, fratelli miei, chi più facilmente è soggetto a far cattive confessioni: coloro che per qualche tempo hanno adempita fedelmente ai doveri religiosi. Il demonio, che non risparmia nulla per trarli a perdizione, li tenta terribilmente. Se vengono a cadere, sgomentati da una parte per vergogna del loro peccato, dall’altra per timore di farsi conoscere così colpevoli, fanno una fine disgraziata. Usano confessarsi per quella tal festa, e temono d’esser notati se non vi vanno; ma non vorrebbero confessarsi colpevoli. Che cosa fanno? Tacciono il loro peccato e cominciano una catena di sacrilegi, che forse durerà sino alla morte, senza aver forza di romperla un’altra volta. Sarà un tale non disposto a restituire una cosa rubata, a riparare una ingiustizia fatta, a non più ricevere indebitamente interesse dal suo denaro; o fors’anche una donna o una fanciulla che ha una mala pratica, e non vuol lasciarla. A qual partito s’appigliano? Eccolo: non dir nulla, e mettersi volontariamente per la via dell’inferno. Amici miei, lasciate che vel dica: siete in un orribile accecamento: chi credete ingannare e a chi volete celare il vostro peccato? Ad un uomo, non già: ma a Dio, che lo conosce assai meglio di voi, e che vi aspetta nell’altra vita per castigarvene, non per un momento solo, ma per tutta l’eternità. Quanti son pur di questo numero! E persone che fan professione di pietà, eppur si lasciano ingannare da queste meschine considerazioni: « Che si penserà di me, se non mi si vedrà accostarmi, secondo il solito, alla Comunione? » Questa considerazione li scompiglia e li fa cadere nel sacrilegio. O mio Dio, e si può poi vivere tranquilli? Ma grazie aDio, queste anime nere e rotte all’iniquità non sono il maggior numero. Ecco invece la fune per cui il demonio ne trascina di più all’inferno: parlo di quelli che, manifestando i loro peccati, li nascondono pel modo in cui se n’accusano: dopo che si son confessati il sacerdote non li conosce gran che meglio di prima. Chi può enumerare tutti gli artifizi, le astuzie che il demonio loro ispira per trarli a perdizione e ad ingannare il Confessore? Lo vedrete tosto.

Dico: 1° artifizi nel modo d’accusar le loro colpe, al qual fine si serviranno de’ termini più adatti a scemarne la vergogna. Qual preparazione fanno taluni? Non domandano mica a Dio la grazia di conoscer bene i loro peccati; ma si affannano per trovare come potran dirli in maniera di sentirne meno vergogna. Senza quasi accorgersene, li attenuano notevolmente: gl’impeti di collera saranno atti d’impazienza; i discorsi più indecenti, parole un po’ libere; i più vergognosi desideri e le azioni più disoneste, familiarità poco convenienti; le ingiustizie più decise saranno piccoli torti; gli eccessi d’avarizia, attacco un po’ soverchio ai beni della terra. Sicché quando giungerà la morte e Dio farà ad essi vedere i loro peccati quali sono, riconosceranno d’averli confessati solo a mezzo in quasi tutte le loro confessioni. E che seguirà da questo procedere, se non una catena di sacrilegi? O mio Dio, si può pensarvi e non esser più sincero nelle confessioni per avere la bella sorte d’ottenere il perdono?

2° Dico che si mascherano i peccati nelle circostanze, che si ha gran cura di non manifestare, e che spesso inchiudono maggior colpa che le azioni in sé medesime; p. es. una persona, la cui vita è mormorare, censurare continuamente e fors’anche calunniare, s’accuserà d’avere parlato svantaggiosamente del prossimo, ma non dirà se l’ha fatto per superbia, per invidia, per odio, per risentimento; non dirà qual danno ha recato alla sua riputazione. Anzi, qualora le si domandi se quelle parole abbiano recato danno al prossimo, risponde tranquillamente di no, senza avere esaminato il sì o il no. Dite, sì, che avete mormorato, ma non dite se fu contro il vostro pastore o altra persona consacrata a Dio, la cui riputazione è assolutamente necessaria pel bene della religione; non dite che la cosa da voi detta era falsa, cioè era una calunnia; v’accusate, sì, d’aver detto parole contro la religione e contro la modestia, ma non dite che vostra intenzione era di far vacillare la fede di quella giovinetta per indurla a consentire a’ vostri cattivi desideri, dicendole che in quelle cose non v’era alcun male e che non era necessario confessarsene. Una giovinetta dirà d’essersi abbigliata con desiderio di piacere; ma non dirà che sua intenzione era far nascere cattivi pensieri. O mio Dio, non si dovrebbe relegarla nel fondo delle foreste, ove non giunsero mai i raggi del sole? Un padre s’accuserà d’essere stato alla bettola, d’essersi ubbriacato; ma non dirà d’aver dato scandalo a tutta la sua famiglia. Una madre s’accuserà d’aver detto parole contro il prossimo e d’esser andata in collera; ma non dirà che ne furono testimoni i suoi figliuoli e le sue vicine. Un altro s’accuserà d’aver usato o permesso familiarità poco decenti; ma non dirà che aveva intenzione di peccar con quella persona, se avesse potuto indurla al male, e non avesse avuto timor della gente. Un tale dirà d’aver lasciato la Messa in giorno di Domenica, ma non dirà d’averla fatta perdere anche ad altri, o che molti l’han veduto e ne furono scandalizzati: fors’anche i suoi figliuoli o i suoi domestici. V’accusate, sì, d’essere stato alla bettola; ma non dite che fu di Domenica e in tempo della Messa o de’ Vespri; e che avevate intenzione di condurvi altri con voi, se aveste potuto. Seppur dite che per andare all’osteria siete usciti di chiesa, e nel tempo dell’istruzione, facendovi beffe di ciò che diceva il vostro pastore. Vi accusate pure d’aver mangiato carne nei giorni proibiti; ma non dite ch’era a scherno della religione e per disprezzare le sante sue leggi. Dite, sì, d’aver pronunciato parole disoneste; ma non dite d’averlo fatto perché avevate dinanzi una persona pia, per potere screditar la religione e spegnerla nel suo cuore. Dite ancora che lavorate la Domenica; ma non dite ch’è per avarizia e spregiando le proibizioni di Dio e della Chiesa. Vi accusate certo d’aver avuto cattivi pensieri; ma non dite d’avervi dato occasione andando volontariamente in compagnia di persone che sapevate benissimo non metterebbero innanzi se non cattivi discorsi. Dite, sì, di non avere ascoltato nel debito modo la Messa; ma dimenticato di dire che vi avevate dato occasione venendo fino alla porta della chiesa senza prepararvici: fors’anche siete entrato senza fare un atto di contrizione, e di questo non dite verbo; e tuttavia buona parte di queste circostanze taciute possono render sacrileghe le vostre confessioni. Oh! quanti Cristiani dannati per non essersi saputi confessare! Voi vi siete forse accusato di non essere istruito abbastanza; ma non avete detto che ignoravate i misteri principali, ch’è pur necessario conoscere per salvarsi. Non avete detto che non osate chiedere al vostro confessore che v’interroghi per sapere, se siete istruiti quant’è necessario per non dannarvi e per ricevere degnamente i sacramenti; forse non vi avete pensato mai! O mio Dio, quanti Cristiani perduti! – Parlo in terzo luogo dell’alterazione nel tono della voce, che si usa per confessare certi peccati più umilianti, avendo cura di collocarli in tal ordine che il confessore possa udirli senza badarvi. Si confesseranno prima molti peccati piccoli, come: « Padre, m’accuso di non aver preso l’acqua benedetta mattina e sera, d’aver avuto distrazioni nelle preghiere », e altre cose somiglianti; e dopo d’aver così addormentata, quant’è possibile l’attenzione del confessore, a voce un po’ più bassa e con grandissima rapidità si lasciano scivolare abominazioni ed orrori. Insensati, si potrebbe dir loro, qual demonio v’ha sedotto in questo modo e vi ha indotto a tradir così sciaguratamente la verità? Ditemi, fratelli miei, qual motivo può spingervi a mentir così in confessione? Forse il timore che il confessore abbia di voi cattiva opinione? V’ingannate. Sperate forse che peccati confessati così vi siano perdonati? Anche in questo v’ingannate grossolanamente.Ma, ditemi, perché venite a dire al confessore parte de’ vostri peccati con isperanza d’ingannarlo? Sapete pure che non riuscirete mai ad ingannare Iddio, da cui dovete ricevere il perdono. Ditemi: l’assoluzione, che avete carpita, poteste sperare che sia confermata in cielo? Ohimè! fratelli miei, l’accecamento di certi peccatori è tale che osano persuadersi d’avere ottenuto il perdono purché abbiano ottenuto un’assoluzione qualsiasi, abbiano detto o no tutti i loro peccati, abbiano o no ingannato il confessore. Ma ditemi, peccatori accecati, peccatori induriti e venduti all’iniquità, ditemi, foste contenti di un’assoluzione di tal fatta quando usciste dal tribunale della penitenza? Gustaste quella pace e quella dolce consolazione, ch’è ricompensa d’una confessione ben fatta? Non foste invece obbligati, per acquietare i rimorsi della vostra coscienza, a dire in cuor vostro che riparereste un giorno la confessione fatta pur allora? Ma, amico mio, tutto bene considerato, avreste fatto meglio a non confessarvi. Sapete benissimo che tutti i peccati, che avete confessato così, non vi furono perdonati, per non dir nulla di quelli che avete cercato di nascondere. Non eravate forse colpevoli abbastanza? E a tutti i vostri enormi peccati avete voluto aggiungere un orribile sacrilegio! — Ma, direte, voleva comunicarmi, perché son solito comunicarmi in quel giorno. — V’ingannate: dovete dire che volevate fare un sacrilegio, immergervi sempre più a fondo nell’inferno; forse temevate d’andare in paradiso. Ah! non vi affannate tanto! Avete peccati abbastanza per non andare in cielo ed esser precipitati tra le fiamme. – Ohimè! non dico nulla di tutte le confessioni sacrileghe per difetto di dolore, che, da sole, conducono alla dannazione più gente che tutti gli altri peccati. Spero di parlarvene un giorno o l’altro. Non è vero, amico mio, che sperate di riparare al male che avete fatto? — Sì, mi direte: — Ohimè! tremate, amico mio, temendo che ve ne sia negato il tempo, e non abbiate altra preparazione alla morte che i vostri sacrilegi. Volete sapere qual è la ricompensa di tali profanazioni? Eccola: induramento in vita e disperazione all’ora della morte. Avete ingannato il vostro confessore, ma non Iddio; e Dio vi giudicherà. Che dovete fare, fratelli miei, per isfuggire un male sì spaventoso? Affrettatevi a riparare tutti i difetti delle vostre confessioni passate con un’accusa sincera ed intera. Intendete bene che Dio non vi perdonerà né i peccati nascosti né le vostre confessioni sacrileghe. I peccati taciuti saranno manifestati pubblicamente dinanzi a tutto l’universo; mentre, se li aveste confessati bene, non vi sarebbero rimproverati mai più. Fremete, fratelli miei, pensando all’orrenda disperazione, che vi aspetta all’ora della morte; quando tutti i vostri sacrilegi vi piomberanno sopra per togliervi ogni speranza di perdono. Ricordate l’esempio d’Anania e di sua moglie, che caddero morti ai piedi di S. Pietro per avergli mentito. Ricordate pure la terribile punizione di quella giovinetta riferita da S. Antonino Fratelli miei, tutte queste considerazioni v’inducano a far tutte le vostre confessioni secondo le regole che v’ho tracciato, e sarete sicuri di trovarvi il perdono de’ vostri peccati, la pace dell’anima e al fine de’ vostri giorni la vita eterna. Il che vi desidero.

LO SCUDO DELLA FEDE (147)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (16)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA 1861

DISCUSSIONE XV.

L’Eucaristia: — La Messa: — La presenza reale di Gesù Cristo: — La Comunione sotto una sola specie, etc.

84. Prot. Pertanto, più non contrasto alla Chiesa Romana-Cattolica la potestà e il diritto di decidere, né la sua infallibilità intorno il vero senso delle Sante Scritture. Ma cionondimeno è d’uopo credere ancora che ella non di rado miseramente cada in grossolani errori; poiché tra le altre ha solennemente deciso, che insegna ed apertamente e semplicemente professa che nel grande Santo Sacramento dell’Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, si contiene veramente, realmente e sostanzialmente sotto le specie di quelle cose sensibili il Signor Nostro Gesù Cristo, vero Dio ed uomo. » (Conc. Trid.- Sess. XIII, cap. I).

E perché nulla manchi a tanto errore, aggiunge che « per mezzo della consacrazione del pane e del vino si fa la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo Nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Sangue di Lui, la qual conversione appella: Transustanziazione.- » (ivi, cap. IV)

Né a tanto si arresta, ma aggiungendo errori ad errori, professa ed insegna: 1.° che Gesù Cristo si mantiene tutto ed intiero sotto ciascuna delle due specie ugualmente che sotto ambedue prese insieme, ed anche sotto ciascuna parte o particella, per quanto sia piccola, di ciascuna specie, fatta che ne sia la separazione. (Cap. III e can. 3).E quindi, per non so quali suoi motivi, nega ai fedeli laici, contro l’istituzione divina, l’uso del Calice!

2.° Per conseguenza, obbliga tutti i fedeli ad adorare l’Eucaristia con culto divino, e ciò non solo nell’atto della compiuta consacrazione, ed immediata consumazione, ma anche dipoi;onde conserva il Sacramento nelle Chiese, lo porta agli infermi,nelle pubbliche processioni, etc. etc., e sempre lo fa adorare comese vi fosse Gesù Cristo realmente in persona, e per tal modo simacchia della più colpevole idolatria! Finalmente, in vece di farela Santa Cena alla protestante, cioè, sopra una semplice tavola coperta di una tovaglia, come si usa nelle osterie con due o tre fornate, o più, di pane, ed alquanti barili di vino, e del buono, onde eccitare maggior divozione nel popolo’: ella celebra ognigiorno, ed in ogni luogo, una certa funzione che appella -la Santa Messa – nella quale eseguisce, con religioso e dispendiosoapparato, la consacrazione suddetta, e pretende così rinnovare, in modo incruento, lo stesso gran Sacrifizio della Croce! Chi maipuò tacere a tanti delitti, mentre è cosa certissima che quandoGesù disse: « Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue » intese parlare in senso figurato, spirituale, cioè, che quel pane equel vino da Lui presi in mano erano la figura, il simbolo del suo corpo e del suo sangue; onde il pane e il vino consacrati restanosempre pane e vino com’erano prima della consacrazione. Ma comunquesia, quando mai gli Apostoli han celebrato, o permessosi celebri la Messa? Non è forse questa una sacrilega novità!

85. Bibbia. È scritto: «Erano nella Chiesa di Antiochia de’ Profeti e dei Dottori…. Or mentre essi offerivano al Signore i sacri misteri, etc. » (Act. XIII, 19). Ove qui si dice offerivano al Signore i sacri misteri, nell’originale è detto: – leitourgouton de auton to kurio – il che significa sacrificare al Signore con sacrifizio propriamente detto. Che però nel linguaggio del medesimo originale questo sacrifizio, inteso nel senso cattolico, si appella – leitourghia – Liturghia – che equivale al termine Messa, né porta altro nome che questo. È dunque di fede che al tempo degli Apostoli si offriva un vero e propriamente detto sacrifizio al Signore; ed essendo pur di fede che nella legge di grazia non vi è, né  vi può essere altro Sacrifizio di tal sorta che il Sacrifizio della Croce, rinnovato secondo l’istituzione divina; evidentemente ne segue che ha in tutto ragione la Cattolica Chiesa; poiché si celebrava anche l a Messa nel senso medesimo da essa Chiesa inteso. Ho detto che ha ragione in tutto; poiché la citata divina testimonianza è più che bastante a giustificarla su tutto il resto delle tue accuse, e a condannarti su tutti i punti. – Ma per tua maggiore soddisfazione voglio, quanto al resto, passare alle altre invincibili prove. Ascolta.

86. « E (Gesù) preso il pane, rendé le grazie, e lo spezzò, e lo diede loro, dicendo: Questo è il mio Corpo, il quale è dato per voi: fate questo in memoria dì me! » (Luc. XXII, 19). E preso il calice, rendette le grazie, e lo diede loro, dicendo: Bevete di questo tutti: imperocché Questo è il sangue mio del nuovo testamento, il quale sarà sparso per molti per la remissione dei peccati. » (Matt. XXVI, 27, 28). Queste divine parole sono talmente chiare, precise, categoriche, che è impossibile intenderle in senso figurato. Imperocché dicendo: « è il mio Corpo che è dato per voi: Il Sangue mio che sarà sparso per molti per la remissione dei peccati: apertamente e nel modo più preciso dichiara, che è quel medesimo Corpo, quel medesimo Sangue che va a sacrificare sopra la Croce. – Onde se non vuoi arrivare alla orrenda empietà di asserire che Gesù Cristo sacrificò sulla Croce non già sé stesso, ma del pane, e del vino, e che tal sacrificio, di pane e di vino, ebbe l’infinito valore di soddisfare per l’uomo alla divina giustizia, di redimere il mondo, ti è forza confessare che quelle parole – Questo è il mio Corpo, Questo è il Sangue mio – intender necessariamente, sidebbono non della figura, ma del vero Corpo, del vero sangue diGesù Cristo. Dice ancora Gesù che quel suo Sangue è il sangue del nuovo testamento: e ciò è un’altra prova non meno forte edecisiva dell’antecedente per allontanare ogni idea, ogni pretesto di senso figurato, essendo dogma espresso di fede che il sangue del nuovo testamento, ossia quel sangue col quale fu stabilito econsacrato il Nuovo Testamento, o patto, è il vero e proprio Sangue di Gesù Cristo, come a lungo dichiarò S. Paolo: « Cristo, venendo Pontefice dei beni futuri,… non mediante il sangue deicapri e dei vitelli, ma per mezzo del proprio sangue entrò una volta nel santo…. E per questo egli è mediatore del nuovo testamento, etc. » (Ebr. IX, 11, 18).

87. Che se ne brami ancora prove ulteriori, te le presenta e con molta chiarezza lo stesso Divin Redentore nella promessa da Lui già fatta di questo gran Sacramento. Ascoltalo: « Il pane che Io vi darò è la mia carne per la salute del mondo. » (Giov. VI, 52 e segg.).  Queste parole essendo state intese letteralmente: « Altercavano tra loro i Giudei, dicendo: Come può costui darci a mangiare la sua carne. » Eppure Gesù anziché ritrattarsi, conferma nel modo il più chiaro e assoluto di aver parlato nel senso da loro inteso, dicendo: « In verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo e beverete il suo sangue, non avrete in voi la vita. La mia carne è veramente cibo (nota quel veramente), il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue sta in me, ed io in Lui. Anche questa mutua unione sarebbe impossibile per mezzo dell’Eucaristia, se questa non contenesse che pane e vino.

Prot. A meraviglia. Ma che Gesù parlasse in senso figurato, se ne è dichiarato apertamente in quelle parole: Fate questo in memoria di me. »

Bibbia. A meraviglia: ma S. Paolo apertamente ti condanna. Egli, pertanto, premettendo che di tal mistero era stato immediatamente istruito dal Redentore, dopo la citata formula della consacrazione: Questo è il mio corpo, etc. – venuto a quelle parole – fate questo in memoria di me – le spiega soggiungendo : « Imperocché ogni qualvolta che mangerete questo pane, e beverete questo calice, annunzierete la morte del Signore per fino a tanto che Egli venga. Per la qual cosa (N. B.) chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore. » (I Cor. XI, 23 e segg.). Da ciò è più chiaro che la luce meridiana, che il Sacrifizio della Messa è bensì una memoria, una semplice rappresentanza quanto alla morte di Gesù Cristo, perché in esso Egli realmente non muore, e però dalla Chiesa Cattolica rettamente è appellato Sacrifizio incruento, ma non già è una memoria o figura quanto al resto; poiché in esso è offerto, etc. il Corpo ed il Sangue del Signore, di cui perciò si fa reo chi ne partecipa indegnamente.

Prot. Se tutto ciò è vero, perché quel pane anche dopo la consacrazione è appellato pane?

Bibbia. Dai testi citati del Redentore e di S. Paolo è ben dichiarato in qual senso si dica pane; ma se ciò non ti basta, ascolta anche una volta lo stesso S. Paolo. « Il calice della benedizione, cui benediciamo, non è forse comunicazione del sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse partecipazione del Corpo di Cristo?  » (I Cor. XI, 23 e segg.). Che te ne pare?

88. Avrai poi notato quella riferita sentenza: « Chiunque mangerà questo pane o berrà il calice del Signore indegnamente, si fa reo del Corpo e del Sangue del Signore, » In essa, con quella disgiuntiva – mangerà o berrà – ti dichiara l’Apostolo: 1.° che Gesù Cristo è tutto interamente sotto ciascuna delle due specie; altrimenti non sarebbe reo del suo Corpo e del suo Sangue chi riceve indegnamente Gesù Cristo sotto l’una o l’altra delle due specie soltanto: 2.° che fin d’allora s’introduceva il costume di comunicare i laici sotto una sola specie. Che questa poi fosse la specie del pane, è dichiarato negli Atti Apostolici. « Erano assidui (i fedeli) alle istruzioni degli Apostoli, e alla comunicazione della frazione del pane. » (Act. II, 42). Passiamo adesso alle altre tue accuse.

89. Prot. Avrei ancora da opporre il più forte argomento dei miei seguaci, cioè che il Divin Redentore dopo aver detto: « La mia carne è veramente cibo: » in seguito disse ancora: « Lo Spirito è quello che dà la vita: la carne non giova a niente » (Giov. VI, 64). Dal che credono dedurne il senso figurato di quant’altro disse Gesù circa l’Eucaristia. Ma io me ne astengo, perché in questo per carne s’intende l’umana pravità e viziosità; e, per ispirito, la forza divina, dalla quale gli uomini aiutati sono resi pronti e facili ad abbracciare ed osservare la Religione Cristiana. » (Schleusner. Lexic. N. Test.). Voglio anche risparmiarvi la discussione sulle altre accuse: protestandovi che ormai mi arrendo, e vi soddisfarò su tutti i punti. Ascoltatemi. Le parole di Gesù Cristo, – Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue: sono talmente chiare che niun Angelo del cielo,niun uomo in terra parlar poteva più chiaro. » (Sclussemberg, presso Herberman , Vindiciæ Bellar. Lib. 3 de Eucharist.).« Vi sono Bibbie ebraiche, greche, latine, tedesche: che eglidunque (Zuinglio) ci mostri una versione, in cui stia scritto: Questo è il segno del mio Corpo. Se nol possono, che tacciano. La Scrittura,… la Scrittura, gridano essi incessantemente; ma ecco la Scrittura che grida a chiare note queste parole: Questo è il mio Corpo: parole che stanno contro di loro. Neppure un fanciullodi sette anni sarebbe per dare a questo testo una diversa interpretazione. » (Lutero: Lettera ai suoi fratelli di Francoforte).

« Gesù Cristo ci dà (nell’Eucaristia) il suo Corpo e il suo Sangue. » (Calvino, nel suo Catechismo: Domen. 33). —

« Nella [sacra] cena è veramente il Corpo di Cristo; affinché sia in cibo salutare alle anime nostre, cioè, le anime nostre sono pasciute colla sostanza del Corpo di Cristo; affinché veramente siamo fatti una stessa cosa con lui …. Non ci vien dunque proposto un vuoto e nudo segno.’ » (ivi, in cap. XXVI di Matt.). –

« Gesù Cristo è veramente offerto e dato a tutti quelli che sono assisi alla sua mensa, sebbene non ne cavino frutto che i soli fedeli: » ((ivi, lib. 4, Instit, cap. 7, §10 e 32) cioè, che sono in grazia.

« In questo consiste l’integrità del Sacramento (cioè della comunione), che il mondo intero non può violare, che la carne eil sangue di Gesù Cristo sono veramente dati tanto agli indegniche ai fedeli, agli eletti. » (Il medes. Ivi, cap. 17, §5 e 32)

« Quando i Cristiani ripetono la Cena che Gesù Cristo fece prima della sua morte, nel modo che Egli la istituì, Egli dà loro veramente a mangiare il suo vero Corpo, e a bere il suo vero Sangue: onde sieno il cibo e la bevanda dell’anima. » (Confess. Augustan. Cap. 17, de cœna).

« L’articolo della Cena così è insegnato nella Confessione di Ausburg; che il vero Corpo e il vero Sangue di Gesù Cristo sono veramente presenti, distribuiti e ricevuti nella Santa Cena, sotto le specie del pane e del vino, e che si riprovano coloro che insegnano il contrario. » (Libr. Concordiæ, p. 728).

« Le parole – Fate questo in memoria di me – significano: ogni qualvolta ciò farete, celebrerete il religioso Convito, abbiate grata memoria di me. » (Gerem. Rosenmuller, op. cit. sopra questo passo).

« Alle specie superstiti (nell’Eucaristia) fu sovente attribuito il nome di pane e di vino, perchè co’ sensi non si distinguono. Così disse Ambrogio: – è talmente efficace la parola, che sieno ciò che erano, ed in altra cosa sieno mutate. Cioè, gli accidenti sono quelli che erano, la sostanza è mutata. Imperocché il medesimo dice: – Dopo la consacrazione si deve credere nient’altro esservi che la carne ed il sangue. » (Leibniz, sist. Theol. P. 226).

« Questo dogma della presenza reale non fu punto inventato dagli uomini, ma è fondato nel Vangelo, e sulle precise inespugnabili parole di Cristo. Dal principio sino a quest’ora esso fu uniformemente creduto e predicato su tutta la terra. I Padri della Chiesa Greca e Latina ne fanno fede. Esso riposa sulla credenza unanime e sulla pratica costante di tutti i secoli. In mancanza di altre prove bastar dovrebbe quella tradizione di tutte le Chiese, per restar fermi nel suaccennato articolo, e respingere i sofismi dei settarii. » (Lutero, Lettera ad Alberto di Prussia).

« Quando si ammette la presenza reale e sostanziale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nella Eucaristia, è necessario parimente ammettere che il pane ed il vino subiscono una incomprensibile mutazione in qualche punto determinato di tempo; e la Chiesa Cattolica nient’altro fa che determinar questo punto. Per la stessa ragione essa Chiesa può appoggiarsi alla lettera delle Scritture, perchè in esse si dice: hoc est: e non mai: in hoc. » (Schultess, in Annal. Theolog.).

« Nella Santa Cena evvi realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, e ciò per maniere soprumane, e transustanzialmente » (Ammon, Lettere di Rodolfo e Ida, p. 23).

« La pia antichità dichiarò chiaramente abbastanza che il pane si muta nel Corpo di Cristo, e il vino nel Sangue: ad ogni tratto gli antichi riconobbero la – metazakeiosin — che i latini rettamente traducono – Transubstantiatio, transustanziazione – »

. E siccome altrove si fa, così anche qui deve spiegarsi la Scrittura colla tradizione, che la Chiesa fino a noi ha trasmessa. » (Leibnitz, Systm. Theolog., pag. 226).

« È certo che l’antichità ha insegnato che per mezzo della consacrazione si fa mutazione, siccome apparisce dalle parole di Ambrogio, già citate, né mai fu noto agli antichi il nuovo dogma di alcuni – Che vi sia il Corpo di Cristo nel suo momento della percezione; – Imperocché alcuni (degli antichi) non subito consumavano questo sacro cibo, ma lo mandavano ad altri, e seco lo portavano a casa, anzi ne’ viaggi, nei deserti, e questo costume fu per un tempo commendato, sebbene di poi, per causa di maggior riverenza, abrogato. E certamente, o le parole dell’istituzioni, che si pronunziano dal sacerdote, sono false (il che Dio ci guardi di pensare), o è necessario che ciò che è benedetto sia il Corpo di Cristo anche prima che si mangi?» (Il medes.ivi, p. 228 e segg.).

« Non può certamente negarsi che in virtù di concomitanza, si riceva tutto Gesù Cristo sotto l’una, e sotto l’altra delle due specie,come dicono i teologi; imperocché la sua carne non è separata dal sangue. Se poi al presente convenga rendere ai popoli il calice, cioè se preponderino o no le ragioni che tanti Principie nazioni allegarono, non appartiene sicuramente ai privati il definirlo, ma ai Rettori della Chiesa, e massimamente poi al Sommo Pontefice, a cui il Concilio di Trento rimise questo affare. Percerto alla Chiesa è largamente data la potestà di definire anche intorno quelle cose che sono di diritto divino, come è manifestodalla mutazione del Sabato nel giorno di Domenica, dalla permissionedel sangue e del soffogato, dal Canone dei Libri Sacri,dall’abrogazione del Battesimo per immersione, e dagli impedimentidel matrimonio; le quali cose seguono in parte con sicurezza gli stessi protestanti, per la sola autorità della Chiesa, che IN TUTTO IL RESTO DISPREZZANO. » (Il medes. Ivi, p. 254 e segg.).

« Il Corpo del Signore (fatta la divisione) si contiene (tutto) in ciascuna parte, e nelle più piccole particelle del pane celeste. » (Dichiar. Del Parlam. Inglese: 1548).

« L’adorazione del Santissimo Sacramento dell’ Eucaristia, quantunque non sempre sia stata in uso (solennemente), è stata con tutto ciò ricevuta con lodevole pietà. Imperocché i primi Cristiani in tutto ciò che appartiene alla esterna dimostrazione del culto, usavano una cristiana semplicità, che non può sicuramente riprendersi; imperocché nell’ interno dell’anima ardevano di una vera pietà. Essendosi poi a poco a poco raffreddato lo zelo, fu necessario servirsi di segni esteriori, d’istituire riti solenni, i quali ammaestrassero del dovere, e risuscitassero l’ardore, principalmente dove se ne presentasse grande occasione o ragione. Non può facilmente poi esibirsene ai Cristiani veruna maggiore di quella che loro si offre in questo Divin Sacramento, ove Dio stesso a noi mostra la presenza del Corpo a sé unito…. Pertanto, fu al certo dì massima convenienza che istituita ne fosse (in modo solenne) l’adorazione, e rettamente fu stabilito che nel Sacramento dell’Eucaristia collocata fosse la sommità del culto esterno, il che vale anche al culto supremo interno dei Cristiani…. cioè ad infiammare in noi l’amor divino, ad attestare e nutrire la carità. » (Leibnitz, Op. cit., p. 258).

« Appo i Cattolici adunque si adora devotamente Cristo in Sacramento, e l’oggetto di questa adorazione non è altro che il vero eterno Iddio unito in uno sustanzialmente colla sacra sua Umanità, la quale tengono essi per fermo stare ivi presente, tuttoché adombrata dalle specie sacramentali. E dato pure che non estimassero ivi in realtà la presenza di questo Dio, nulladimeno sono eglino tanto lungi da venerare il pane, che in tal caso si riputerebbero idolatri. Il che dà a vedere quanto l’anima in quest’atto sia libera, e lontana da ogni benché minimo senso d’idolatria, e come lo stesso debba dirsi della volontà, che anzi del tutto all’idolatria è opposta e contraria. » (Taylor, Op. La libertà di profetare; Sez. 20, cap. 10). Concludiamo:

« Noi seriamente dichiariamo essere eretici, e alieni dalla Chiesa di Dio gli Zuingliani, e tutti Sacramentarii.3 (Lutero, Thes. 27, cont. Thoelogos Lovaniens, 1545). « — «Satanassoregna talmente in essi che non è in loro potere il dire altro che menzogne. » (Il medes. Epist. Ad Jan Pæ. Bremens.).