L’ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE (1)
Lettera ai Vescovi di Francia
[Mgr. J. Fèvre,
REVUE DU MONDE CATHOLIQUE. 15 DICEMBRE 1901]
Monsignori…
Un antisemita, membro della Ligue de la Patrie Française, ha recentemente pubblicato due opere sulle disgrazie del tempo. Di fronte alla dolorosa situazione in cui versa la Chiesa – una situazione che peggiora di giorno in giorno – vorrei, miei Signori, in una lettera indirizzata a voi, trarre alcune conclusioni da queste opere, o piuttosto aggiungere ad esse considerazioni su alcuni fatti nuovi. Questi fatti mi sembrano elementi necessari di apprezzamento ed indicazioni urgenti per una risoluzione di condotta. L’interesse della Chiesa e della Francia è la sola causa determinante di questa lettera e la ragion d’essere delle sue sollecitudini.
I. – Ma prima diciamo una parola, a titolo di preambolo, Monsignori, sulle due opere dello scrittore antisemita, un patriota di buono stampo ed un Cattolico della migliore marca, che ritengo essere colui che, abdicando a qualsiasi residuo di particolarismo francese, si colloca esattamente all’interno del diritto pontificio e si limita a rivendicare l’adempimento dei doveri che esso impone, a tutti, re e popoli, pastori e gregge. La prima di queste opere è presentata sotto il titolo biblico: L’abominio nel luogo santo. L’obiettivo dell’autore è di indagare se e in che misura si è prodotto in Francia l’abominio predetto da Daniele sulla riprovazione della Giudea. A tal fine, l’autore stabilisce una somiglianza tra il popolo giudeo prima di Gesù Cristo ed il popolo francese dopo il suo avvento. Il popolo giudeo aveva ricevuto da Dio la vocazione di custodire, nel tempio della Sinagoga e nel suo territorio chiuso tra montagne, i dogmi, le leggi e le istituzioni sacre della legislazione divina; il popolo francese ha ricevuto da Dio, dopo le invasioni dei barbari, con il battesimo di Clodoveo, con il battesimo della regalità e della già nazione di Francia, poi con la chiamata di Carlo Magno all’Impero, la missione di custodire, di diffondere in tutto l’universo la rivelazione di Gesù Cristo, e di difendere a Roma, il Papa, Vicario di Gesù Cristo, Pastore sovrano, unico ed infallibile del genere umano redento dalla Croce del Calvario. Come risultato di questa vocazione, la Francia ha sia oneri che benefici: gli oneri sono di adempiere sempre fedelmente i doveri inerenti alla sua missione; i benefici sono di vedere la sua fortuna dipendere dalla sua fedeltà al servizio del Vangelo e della Chiesa; è di ricevere, per la sua fedeltà, la benedizione temporale di Dio e, in caso di infedeltà, di incorrere nei suoi anatemi. La storia ci mostra la Francia fedele e benedetta per mille e più anni: benedetta, cioè saggiamente costituita al suo interno, che persegue il suo destino nella pace di Dio e che prevale incessantemente su tutte le sue frontiere. Il mondo, sotto l’autorità dei Romani Pontefici e sotto l’impulso della Francia, gradualmente entra nel seno della Chiesa, nella luce e nella potenza del Vangelo, in tutto il progresso e la gloria della civiltà. Nel IX secolo apparve Fozio; nel XVI secolo apparve Lutero. Questi due grandi eresiarchi sono i nemici forzati di Roma, di cui rifiutano il primato spirituale, ed i distruttori intenzionali della Francia, la figlia primogenita della Chiesa. Per effetto della loro predicazione, i tre grandi imperi della forza, Russia, Germania ed Inghilterra insorgono in Europa, ostili, a dir poco, contro la Francia e Roma, ed armati per la loro comune rovina. Lì si trova il grande senso della storia moderna, appena sospettato da Bossuet negli ultimi capitoli della sua storia. Ora, questo complotto, tre volte secolare, ordito contro la Chiesa e la Francia, parla di scisma e di eresia, questo complotto ha avuto i suoi complici, se non i suoi ciechi collaboratori all’interno della stessa Francia. Gli umanisti del Rinascimento avevano diminuito l’amore tradizionale per il Cristianesimo; i filosofi, basandosi solo sulla ragione, come Lutero, avevano scosso le colonne della filosofia e del diritto; i principi, beneficiando, credevano essi, dei dubbi dei filosofi e delle false dottrine degli eretici, avevano innalzato, anche nei paesi cristiani, il tipo augusteo dei Cesari. Da questo miscuglio di debolezze, errori e iniquità nacque la Rivoluzione, che era soprattutto anticristiana, nemica radicale dei Romani Pontefici, e che spingeva fino all’ateismo la sua furia cieca contro la vocazione provvidenziale della Francia. Da un secolo a questa parte, non ci sono che due grandi questioni in Francia per la rivoluzione satanica: separarsi da Roma, prima amministrativamente e poi effettivamente; e distruggere, in Francia, ogni appartenenza alla Chiesa; perseguire, nelle istituzioni e nelle persone, lo sradicamento di ogni principio religioso; riconoscere solo i rapporti degli uomini tra loro per lo sfruttamento della terra ed il fragile mantenimento di un’esistenza fugace. La conseguenza finale di questa situazione è lo scisma. Finché ci saranno, in Francia, tante persone senza fede, senza culto, senza morale; finché la società si baserà sulla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo ad esclusione dei diritti di Dio; finché la legge si dichiarerà atea e pretenderà di esserlo; nel momento stesso in cui la politica, satura di ateismo, è decisa a spingere fino in fondo il radicalismo distruttivo della legge e delle istituzioni, non si capisce, al di fuori dello scisma, come la Francia possa mantenere la pratica religiosa. Non è da uno scisma per tradimento dei Vescovi, Monsignori, che la Francia può perire: l’autore dichiara questo scisma impossibile; ma lo scisma preparato dall’allontanamento della moltitudine, scritto nelle leggi, perseguito in una cospirazione giudeo-massonica, appena contrastato da qualche protesta, sembra dover essere derivato dallo Stato, come il risultato delle nostre aberrazioni visibili, come il termine logico dei nostri attacchi rivoluzionari, come il coronamento della rivoluzione contro Dio. – La seconda opera dell’autore antisemita si intitola: Desolazione nel Santuario: è ancora un titolo biblico, ma applicato alle realtà attuali. L’Abominio nel Luogo Santo studiava nei suoi atti e nelle sue circostanze il tentativo dello Stato di corrompere la Chiesa; la Desolazione nel Santuario cerca gli effetti, oggi certi, di questo tentativo di corruzione. Per ragionare con forza e concludere con decisione, nel primo scritto, l’autore si è appoggiato alla storia di Francia e ha sostenuto la sua requisitoria contro il governo persecutore con la testimonianza di diciotto secoli; per ragionare con la stessa forza e concludere con la stessa decisione; l’autore si appoggia, nella sua nuova accusa, sulla storia della Chiesa, “Il Papa e la Chiesa, dice San Francesco di Sales, sono uno”; ma il Papa, gerarca supremo della Chiesa, è assistito nel suo governo dai Vescovi stabiliti, dice San Tommaso, come giudici e agenti subalterni, nelle principali città. Ora, questo governo, composto dal Papa come capo permanente e continuatore infallibile, e dai Vescovi come capi locali, confermati nell’ortodossia dal Papa, offre questo tratto caratteristico: la conferma pontificia è, per i Vescovi, la fonte del potere, la regola dell’azione, e, in caso di fallimento, sempre possibile, il necessario, assolutamente necessario e, inoltre, l’unico controllo. Per i Vescovi, quindi, c’è bisogno di una ferma adesione, un legame indissolubile, alla Cattedra del Beato Pietro, Pastore dei Vescovi come è il Pastore di tutti i Cristiani. Se, alla luce di questo principio, voi esaminate i venti secoli di storia ecclesiastica, cosa vedete? Vedete che i Vescovi che erano fermi nella fede, i Padri e i Dottori della Chiesa, e tutti i Prelati che erano costanti nell’ortodossia e nella disciplina, erano tali solo per la loro devozione alla Cattedra Apostolica; al contrario, tutti i Prelati che naufragavano nella fede o nella morale; tutti i Vescovi caduti nell’eresia o nello scisma; tutti i Vescovi che sono stati traditori di Dio, di Gesù Cristo e della sua Chiesa, erano tali perché infedeli a Roma, ribelli alla sua monarchia, divisi dal Romano Pontefice. Stabilita questa regola di discernimento, l’autore arriva ai nostri tempi e nota, da un lato, il fatto flagrante della persecuzione per vent’anni; dall’altro, il fatto certo che nessun tradimento scandaloso è avvenuto nella Chiesa per vent’anni. Al contrario, legioni di valorosi soldati sono insorti nello Stato, combattendo per Dio e per la Patria; e si son visti nell’episcopato, fin dall’inizio, solenni atti di resistenza. Rendendo alla fedeltà e alla bravura un giusto omaggio, è dunque evidente: 1° Che la persecuzione non ha fatto che accrescersi ed aumentare, distruggendo in tutte le istituzioni, la proprietà ecclesiastica, violando nel clero secolare e regolare tutti i diritti sanciti dal diritto canonico; 2°. Che la continua estensione e austerità della persecuzione è in parte attribuibile alla mancanza di una sufficiente resistenza nella Chiesa. Invece di combattere il nemico di Dio e del nome cristiano, si è generalmente pensato di disarmarlo con una procedura sdolcinata e con un spirito assoluto di conciliazione. Sembrava che il dissenso non fosse che solo in superficie; che unendosi ad esso senza secondi fini si sarebbe ammorbidito il persecutore; che era necessario obbedire alla legge e prestarsi all’evoluzione della patria; che Dio parlava attraverso gli eventi della storia; che era patriottico e pio prestarsi al trionfo della Repubblica. In breve, sotto l’influenza delle nostre illusioni, della nostra cecità, delle nostre debolezze, delle nostre miserie, siamo arrivati ad una situazione che fa pena agli uomini di spirito e agli uomini di fede. – Senza appoggiarci qui, Monsignori, a nessuna colpa particolare o generale, senza recriminare contro nessuno, senza istituire alcun processo, io stabilisco per principio che la salvezza della Francia deve essere l’opera della Chiesa; che la Chiesa, attraverso il suo clero secolare e regolare, possiede il rimedio a tutti i mali del mondo e la medicazione necessaria all’applicazione efficace di questo rimedio. Sono i Vescovi che hanno fatto la Francia, sono i Vescovi che devono salvarla. Che non l’abbiano fatto è evidente; che sia stato loro impedito, io voglio crederlo… Ecco perché voglio ricercare quali ostacoli esistono nel clero all’azione redentrice dei Vescovi. Non sono i Vescovi che biasimo; essi non sono miei sudditi e non sono io il loro giudice. Ma è ai Vescovi che voglio indicare, il più brevemente e rispettosamente possibile, gli ostacoli che impediscono il nostro progresso e, per non essere infinito, denunciare questi imbarazzi prima di tutto nell’ordine delle dottrine e degli insegnamenti.
II – “La Francia”, disse il cardinale Gousset, “sarà salvata da buoni Vescovi e buoni preti. “Le Encicliche dei Romani Pontefici hanno affermato solennemente con quale insieme di scienza, di virtù e di sacrifici, preti e Vescovi potevano diventare i salvatori della loro nazione. Due Vescovi su novanta, per dare una base migliore alle dottrine papali, hanno preteso dai seminaristi il baccellierato in letteratura ricevuto all’Università di Francia. Questi due Vescovi si incontrarono ad un certo punto con il fondatore della scuola carmelitana, che, come Arcivescovo di Parigi, voleva elevare i gradi e le conoscenze umanistiche del clero francese al più in alto nell’Università. L’opinione quasi unanime dell’Episcopato, senza voler respingere positivamente questa scuola, era quella di non mandarvi i suoi preti, anche se la suddetta scuola fosse opera di un Vescovo. – Le ragioni di questo rifiuto non derivavano certamente da un’avversione alla crescita del sapere letterario e alla sua consacrazione mediante titoli. I Vescovi non erano propensi innanzitutto per il pericolo della formazione sacerdotale, poi il danno delle malsane dottrine, poi ancora l’assoggettamento del prete ai suoi rivali, l’immatricolazione nei ranghi dello stato laico, e la tentazione di entrare al suo servizio lasciando la Chiesa. Più di una volta, abbiamo visto questi preti, divenuti dottori dell’Università, scambiare la tonaca con la redingote, e, con trasformazioni che non oso descrivere, porsi come nemici pubblici di Santa Madre Chiesa. Il baccalaureato offre un pericolo minore, ma è comunque un pericolo per la vocazione. Il Vescovo di Orléans, così liberale, lo sperimentò più di una volta; si faceva in quattro per moltiplicare il numero dei preti e dei baccalaureati; spesso i baccalaureati non diventavano preti e il generoso Dupanloup era riuscito solo a fornire ai licei dei maestri di studio. Un corrispondente di Vérité Française ha obiettato che il baccalaureato richiesto come condizione “sine qua non” per entrare nel seminario maggiore stava diventando una nuova irregolarità e che la creazione di un’irregolarità era al di là del potere di un Vescovo. Un Vescovo può fare un regolamento valido per la sua diocesi, ma è privo delle qualità per imporre una legge alla Chiesa universale. Questo è evidente: non intendiamo in alcun modo opporci alla regolamentazione diocesana di un Vescovo; ma crediamo che, come legge generale, possa essere discussa e non ammessa. Due altri corrispondenti dello stesso giornale hanno sollevato molte altre obiezioni, una in extenso, secondo l’adagio: Unus est instar omnium: « Permettetemi di offrire alcuni pensieri, suggeritimi dalla misura intrapresa da NN. SS. i vescovi di Tarentaise e di Mende, riguardo all’ammissione dei candidati al sacerdozio nei loro seminari maggiori. D’ora in poi, nessuno riceverà l’abito ecclesiastico in Tarentaise e Mende, se non può dimostrare di aver ottenuto il diploma di maturità. Questa decisione, di eccezionale gravità, ha conseguenze che non sono suscettibili di provocare una legittima emozione tra i Cattolici, perché può alienare dagli ordini sacri, soggetti molto degni, capaci di fare molto bene nella Chiesa, e che, forse privi della scienza dell’università laica e neutrale, sono ricchi della scienza dei Santi, e potranno acquisire conoscenze sufficienti in teologia per amministrare i Sacramenti secondo le regole prescritte, e, con l’aiuto della grazia, guidare le anime con sapienza. Voi ricordate molto opportunamente il caso del Venerabile Curato d’Ars, e se ne potrebbero citare molti altri, anche di Santi che la Chiesa onora con il culto pubblico nella sua liturgia. Ma non è questo punto di vista che voglio considerare. « Certamente, la misura imposta ai futuri chierici di Tarentaise e Mende nasce dalla lodevole preoccupazione di assicurare che il prete nella società contemporanea non sia in alcun modo inferiore agli uomini del mondo, e che la carriera sacerdotale, chiedo perdono per questa espressione, sia di difficile accesso come le carriere liberali. Questo è un bel tributo alla dignità del sacerdozio. Tuttavia, vedo alcuni inconvenienti in esso. Vi sono giovani che vengono a chiedere alla Chiesa di dar loro un posto tra i suoi chierici, di farli ministri di Cristo e di affidare loro la missione di lavorare per la salvezza del popolo cristiano. » Per sapere se possono essere sottoposti alla lunga preparazione che li porterà al sacerdozio, che bisogno c’è di consultare lo Stato? Ai professori delle Facoltà della nostra Repubblica, atei, settari e persecutori, è stato affidato il compito di discernere gli eletti per il sacerdozio? Se questi signori dell’istruzione superiore, molti dei quali sono protestanti o ebrei, hanno la fantasia di essere difficili verso i candidati ecclesiastici, il vostro seminario rimarrà chiuso per causa loro. C’è dunque un legame necessario tra il grado di scienze umane richiesto per il baccalaureato e le qualità necessarie per diventare prete? La vocazione al sacerdozio è inseparabile dal diploma rilasciato dal Ministro della Pubblica Istruzione, e deve essere contrassegnato dal timbro del governo? Finora la Chiesa non ha proibito ai suoi sacerdoti di sostenere la prova degli esami universitari, ma imporre loro questa prova, farne una condizione sine qua non per l’ammissione agli ordini sacri, che è ripugnante al suo carattere di società perfetta, sarebbe in qualche modo un abbassamento, un’abdicazione dei suoi diritti nelle mani dello Stato, che non ha nulla a che fare con il reclutamento dei ministri di Dio e di cui sarebbe il giudice, se il baccalaureato fosse indispensabile per entrare in seminario. Si dimentica, sembra, che il sacerdozio non sia, come uno stato mondano qualsiasi, l’oggetto della sola scelta della libertà umana, e che, per presentarsi all’ordinazione, bisogna essere chiamati da Dio. Può il Signore aver sottoposto questa vocazione al giudizio dei laici, troppo spesso ostili al Cattolicesimo? C’è un elemento soprannaturale nello stato ecclesiastico che non si trova altrove; bisogna tenerne conto. Inoltre, nel considerare le materie dell’esame di maturità, sappiamo dove il governo può portare i futuri studenti del santuario? – Forse lontano dalla teologia. Infatti, se finora il programma degli studi secondari laici ha coinciso più o meno con quello degli studi teologici preparatori, non c’è nessuna garanzia che questo accordo duri a lungo; le tendenze attuali fanno addirittura temere che cessi presto e che nei licei non si acquisisca più una conoscenza sufficiente del latino per poter trattare gli autori ecclesiastici. Senza dubbio, le lettere profane, le scienze matematiche, fisiche e naturali non devono rimanere estranee a coloro che con la loro vocazione intendono guidare i fedeli; ma una giusta parte deve essere lasciata nella vita del futuro seminarista allo studio del latino e della sana letteratura. Se i programmi sopprimono questa quota già piccola, bisognerò seguirli ciecamente? Allora ci sarà lo spettacolo davvero curioso di un esame che non comprende nessuna materia preparatoria per gli studi per i quali essa è richiesta; sarà il semplice fatto di essersi presentati davanti allo Stato con qualche tipo di conoscenza estranea che deciderà l’ammissione al seminario. Infine, vedo un notevole pericolo nell’imporre le dottrine filosofiche che si insegnano nell’Università a persone il cui ruolo sarà proprio quello di insegnare al mondo le nozioni del vero, del giusto, del bello e del buono, così poco conosciute nel nostro tempo. Perché, come tutti sappiamo, la filosofia universitaria, se davvero ne esiste una, ha demolito più di quanto abbia costruito, e ha già avuto un’influenza troppo disastrosa su una parte del giovane clero; è ad essa che si deve, per molti, l’introduzione del neo-kantismo tra il nostro popolo, a scapito delle idee sane e in contrasto con le istruzioni del Sommo Pontefice. – « Se mi si obietta che gli esaminatori non decidono sulla vocazione stessa, risponderò: poiché obbligate i futuri chierici a far stabilire il loro grado di scienza dagli accademici, e questo sotto pena di avere la porta del santuario chiusa … state davvero facendo dipendere la vocazione stessa ed il sacramento dell’ordine dall’opinione di questi signori? Che per i funzionari dello Stato, e anche per le carriere liberali, sia richiesto un dato massimo di conoscenze umane, e che l’Università sia il giudice dell’attitudine dei candidati, molto bene; ma non è il caso dell’ammissione allo studio della teologia e dei suoi annessi. Spetta solo alla Chiesa e non allo Stato dire fino a che punto le scienze umane siano necessarie ai giovani chierici. Questa questione preoccupa da molto tempo la Chiesa, che ha provveduto attraverso l’istituzione di seminari minori, di cui si riserva la direzione. Perché il Vescovo dovrebbe abdicare ai suoi diritti e trasferirli allo Stato? Perché affidare allo Stato l’esercizio del controllo che appartiene di diritto al Vescovo e che solo lui può esercitare con discernimento e saggezza ed in conformità con le vedute della Provvidenza sui futuri continuatori dell’opera di Gesù Cristo? « Che nessuno mi rimproveri di esporre la Chiesa all’accusa di essere nemica delle scienze secolari (deliberatamente non dico oltre la scienza); essa le ha sempre incoraggiate, e molti nelle file del clero, regolare e secolare, hanno reso in questo campo servizi eminenti che solo l’ignoranza e l’ingratitudine possono misconoscere, Non è sufficiente ricordare questo? Non sono stati i nostri benedettini che, mentre convertivano e civilizzavano i popoli, ci hanno conservato i capolavori dell’antichità classica? E i gesuiti non hanno forse contribuito in larga misura allo sviluppo degli studi scientifici e letterari? Né mi si accusi di fideismo, perché nessuno più di me vuole vedere il clero brillare in tutti i rami della scienza; ma i preti, sopra tutti gli altri, devono dare la preferenza agli studi ecclesiastici, e non è scioccante far dipendere la vocazione sacerdotale da un esame in materie secolari davanti ad una giuria laica spesso incredula? – « Per riassumere, vedo nella decisione presa un pericolo per il reclutamento del clero, un abbandono dei diritti della Chiesa, un pericolo per la dottrina ed una concezione inesatta della vocazione sacerdotale. Inutile dire che queste semplici e franche riflessioni non mi impediscono affatto di dare un’esplicita testimonianza di rispetto ai venerabili prelati, il cui zelo si preoccupa giustamente di garantire al loro clero una seria formazione sia nella scienza che nelle virtù sacerdotali? » Di tutte queste obiezioni, ne conservo solo due: la prima è l’inutilità della misura; la seconda è la sua inadeguatezza. Ecco un bambino che è arrivato al seminario minore in sesta o quinta elementare. Ogni anno, questo allievo aveva le sue note di classe giornaliere, le sue sedute settimanali, un esame semestrale e la solenne consacrazione della distribuzione dei premi. – Questo allievo è passato dalle classi di grammatica a quelle di umanità, ha studiato le leggi dello stile, la poetica e l’eloquenza; non ha negletto lo studio elementare delle scienze fisiche e matematiche. E dopo tre, quattro o cinque anni di seminario, i delegati del Vescovo, o il Vescovo stesso non sono capaci di apprezzare la sua attitudine alla filosofia e al ministero ecclesiastico? E questa incapacità, di cui confessano di essere giustamente privi, la riceverebbero da laici, esaminatori universitari, dopo una sola composizione e un esame di tre quarti d’ora; essendo certi, inoltre, che questi stessi esaminatori, capaci di giudicare il merito letterario, non discernono, non sospettano neppure, in questo ambito, il punto in cui dovrebbe prepararsi alle scienze della Chiesa. Dico, per me, salva reverentia, che questo apprezzamento del merito di un retore del seminario minore, è, per il superiore, per il professore dello stabilimento, e ancor più per il Vescovo, un dovere rigoroso, e che essi devono, su un punto così delicato, così serio, così importante, non riferirsi a nessuno. L’ammissione al seminario maggiore appartiene a loro e a nessun altro; e il giorno in cui questa ammissione dipenderà dai rivali dei nostri collegi ecclesiastici, dai nemici della Chiesa, quel giorno nei nostri annali deve essere segnato con una pietra nera…. « Può essere che l’ammissione al seminario maggiore sia stata a volte decisa con eccessiva indulgenza, ma sarebbe da giudicare allora, in modo non definitivo. Deve essere successo a volte, visto che si sta cercando un rimedio. Ma il rimedio non è nell’Università, è nella Chiesa; e se il giudizio dell’Università non fosse soggetto ad un ulteriore controllo, sarebbe una grande disgrazia; che il popolo della Chiesa abbia il coraggio di compiere tutto il suo dovere; non ha nulla da chiedere allo Stato per questa lontana preparazione al sacerdozio. Il baccalaureato, come semplice valutazione del merito letterario, ha l’autorità che dovrebbe avere? – Confesso che sono lontano dal crederci. Un piano di studio ben pensato, un insieme di classi ben applicate, un lavoro costante, saggio e con un po’ di entusiasmo per prestarsi ad esso, ci sembra essere la migliore garanzia di un corso di seminario. Questo sistema d’istruzione non mira ad un diploma; non si rinchiude negli stretti confini di un programma; si estende e si espande fino agli estremi delle frontiere dell’istruzione secondaria; ci si sforzi in tutto per dare all’allievo il giusto sentimento per ciò che deve sapere, e il sentimento del grande per tutto ciò che deve ignorare. Un tale piano di studio e di insegnamento ci sembra essere di gran lunga superiore a questa preparazione per il baccalaureato, che è lo scopo esclusivo delle scuole secondarie e dei college, che sembra solo suscettibile di rendere l’insegnamento più piccolo e la testa più bassa. – Citerò qui un aneddoto. All’epoca in cui ero studente nel seminario minore, Mons. Parisis era vescovo di Langres. Questo Vescovo, che non basta chiamare grande, aveva severamente proibito in seminario la preparazione del baccalaureato, non solo per le future reclute del santuario, ma anche per i giovani che erano destinati alla carriera civile. Nella mente del prelato, la ragione di questo divieto era che la preparazione al baccalaureato gli sembrava adatta solo per abbassare il livello desueto. Al contrario, pensava che l’educazione, liberata da questi bordi e liberata da questi limiti, dovesse crescere ogni giorno di più e portare l’educazione al punto più alto della solidità. Il ministro Villemain sosteneva il contrario: il Vescovo, per mettere da parte queste pretese, lanciò una sfida al ministro: la sfida di far competere gli studenti del seminario minore con i collegi maggiori di Parigi. Il ministro non accettò; temeva, e aveva le sue ragioni, che i seminaristi minori di Langres sarebbero arrivati a battere, agli occhi di tutta la Francia, gli studenti del Collège Louis-le-Grand. Il fatto è che, sotto il potente impulso di questo Vescovo, si era formata a Langres una generazione di allievi di altissimo merito. In due o tre occasioni, gli studenti di questo seminario si sono presentati per il baccalaureato; sono stati i primi a ricevere i voti più alti ed i posti migliori. Queste sono ragioni serie, questi fatti sono decisivi. – C’è un altro aspetto della questione. Tutti sanno che l’esame di maturità è solo una lotteria: gli stupidi riescono spesso a causa della pietà che ispirano; i forti falliscono perché sono forti. Il diploma di maturità è volgarmente chiamato pelle d’asino; se non ha la virtù di far crescere le orecchie, non può impedire che si facciano. La moltiplicazione delle pelli d’asino ha creato, in Francia, una specie di mandarinato, di mediocrazia, che ci ha fatto abbassare la stima e la grandezza reale. Il più grande dei mali della Francia, il peggiore dei flagelli, è l’assenza di uomini. La Francia sta cadendo, al punto da essere minacciata di essere completamente cancellata. L’abbassamento delle menti, dei cuori e dei caratteri è un fatto universale. Come risultato di questo abbassamento, si sono formati dei partiti che si oppongono tanto più aspramente al parroco tanto più sono colpiti da una peggiore ignoranza. Le invenzioni criminali del socialismo minacciano di sorprendere e dominare un paese che una volta era la patria del buon senso, dell’onore e del patriottismo. La guerra alla proprietà, al matrimonio, alla famiglia, all’esercito, all’ordine pubblico e all’indipendenza del Paese sono oggi i passatempi di banditi, transfughi dell’Università. Siamo minacciati dal destino medesimo della Polonia e dell’Irlanda. E in questa crisi formidabile, cosa ci viene offerto, come rimedio? L’obbligo del baccalaureato per i chierici… molto simile a quel rimedio del debole Melantone che, spaventato dalle catastrofi scatenate sulla sua patria dal suo padrone, propose, come rimedio efficace, una rinascita della letteratura. Io non sono nemico della letteratura: la amo, la coltivo anche senza altra ispirazione che la mia fede ed altro maestro che il mio zelo. La letteratura non ha mai rovinato nulla; non deve essere denunciata. Ma non dobbiamo dimenticare che la predicazione del Vangelo, la conquista del mondo da parte della parola apostolica, la sconfitta del vecchio paganesimo, sono opera dei dodici pescatori raccolti dalle sabbie della Galilea. Ma non dobbiamo dimenticare che dopo l’annientamento della barbarie pagana, i missionari senza lettere dei tempi merovingi sconfissero la barbarie selvaggia dei Goti, degli Unni e dei Vandali. Non dobbiamo dimenticare che questi missionari analfabeti, sostenuti dalla parola degli Apostoli e dal sangue dei martiri, hanno creato le nazioni cristiane, hanno costituito queste nazioni nel Cristianesimo, hanno dotato questo Cristianesimo di lingue, di scienze e di lettere, che sono tutte radiose emanazioni del Vangelo. Soprattutto, però, non dobbiamo dimenticare che quando la rinascita del paganesimo nel XVI secolo prese a ribaltare l’opera dei missionari e dei martiri, non passò molto tempo prima che scuotesse la fede, obliterasse le coscienze, cancellasse il sapere, minasse le istituzioni, dissolvesse il Cristianesimo e compromettesse persino la civiltà ed il suo futuro. Poi, e nessun uomo istruito può negarlo, dacché l’anticristianesimo, al quale il baccalaureato appartiene, ha fatto deviare il corso della civiltà cristiana e ha scosso le istituzioni dei popoli, ora non ci si parla che di una religione senza Dio, un cristianesimo senza Cristo ed una chiesa polverizzata, della quale ogni atomo vivente è re e pontefice. Sotto la copertura di queste negazioni antisociali e omicide, ciò che ci rimane è la ragione, impotente, senza bussola e senza base; è l’anima consegnata a tutta la cecità e la furia delle passioni; è la schiavitù necessaria alla conservazione dell’umanità corrotta; è il dispotismo, la forza necessaria per mantenere gli uomini fuori dalla cultura, senza appoggio morale, costantemente minacciata dal progresso materiale rimasto senza contrappeso. « Noi saremo abbrutiti dalla scienza – diceva Monsieur de Maistre – e questo è il peggior tipo di barbarie ».