LO SCUDO DELLA FEDE (XLVIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S. E. I. Ed. Torino, 1927]

XLVIII.

L’INFERNO.

Esistenza dell’inferno. — Come credervi se nessuno mai è venuto dall’altro mondo a dirci che ci sia? — È certo che l’inferno sia eterno? — È possibile che Iddio voglia punire così il peccato, che è l’opera di pochi minuti? — Le pene dell’inferno. — Come mai, se Dio è buono, condanna all’inferno anche per un solo peccato mortale?

— È dunque proprio certo che l’inferno esista?

L’esistenza dell’inferno, oltre ad essere chiaramente insegnata nelle Sacre Scritturedell’antico e del nuovo Testamento, è ancora una credenza di tutta l’umanità. Scorri pure il mondo, consulta pure la storia, fruga pure negli archivi, ma non ti sarà dato mai di trovare un sol popolo o incivilito o barbaro, che non abbia creduto all’esistenza d’un inferno. Su questo punto essenziale tutti vanno pienamente d’accordo: Siri, Caldei, Egizi, Persiani, Indiani Scandinavi, Brettoni, Greci, Romani, e persino i selvaggi dell’America, dell’Africa e dell’Oceania! – Né devi pensarti che questa universale credenza si trovi soltanto nelle menti volgari. Tutt’altro! Essa è nella mente e nei libri dei più grandi filosofi e dei più grandi poeti, quali un Socrate, un Platone, un Aristotele, un Cicerone, un Seneca, un Omero, un Virgilio, ed un Ovidio. E Lucrezio, l’empio Lucrezio, esclama: « È impossibile dormire tranquillo; e perché? Perché si è forzati a temere dopo la vita delle pene eterne » (Della natura degli dèi, I, 108 — III, 37). Dopo di ciò ei si propone di strappare dal cuore degli uomini il timore dell’inferno. Inutili sforzi? Impresa cento volte tentata e cento volte resa vana. Diciotto secoli dopo Lucrezio, Voltaire ad uno de’ suoi discepoli, che si vantava di aver trovate prove infallibili che l’inferno non esiste, rispondeva : « Voi siete ben felice! queste prove io non l’ho ancor trovate ». E non si troveranno mai, a meno di mettersi in disaccordo con tutta l’umanità, giacché tutta l’umanità crede all’esistenza dell’inferno.

— Eppure sono molti che gridano : « L’inferno non esiste; questo dogma ha fatto il suo tempo: dalle persone serie non ci si crede più !»

Ebbene, se vi hanno di coloro che negano l’inferno (e ve ne hanno pur troppo), sono pur essi una prova, che l’inferno esiste, giacché non si combatte il nulla e non si infierisce contro una chimera. In costoro il dire « l’inferno non esiste, » si riduce a nient’altro che questo: « Vorremmo bene che l’inferno non esistesse, affine di non avere impaccio a vivere come ci piace ». Ecco tutto: giacché chi sono alla fin fine coloro, che negano l’inferno? Sono forse gente dabbene, fior di galantuomini? Sono quei superbi e quei libertini, che calpestano ogni dettame della ragione per darsi in preda al loro orgoglio ed ai loro vizi.

— Tuttavia come si fa a credere all’inferno, se nessuno mai è venuto dall’altro mondo a dirci che vi sia?

E sei tu veramente sicuro che non mai sia venuto alcuno di là a dirci che l’inferno esiste? Io posso invece assicurarti che le prove del contrario vi sono nelle Sacre Scritture e nella storia. Perché sebbene di regola generale dall’inferno non si esca più mai, tuttavia Iddio per qualche suo giusto fine può permettere ed ha realmente permesso, che qualche anima dannata, non restando tuttavia libera dalla pena infernale, ne uscisse fuori a fare qualche apparizione. – Ma via: sia pure che nessuno mai sia venuto dall’altro mondo per dirci che l’inferno esiste, che perciò? Si potrà inferire che esso non esista? È forse necessario, indispensabile per l’esistenza dell’inferno che i dannati ne vengano fuori e compaiano a noi per istruirci di quello che passa nell’al di là? Non siamo noi istruiti abbastanza di questa verità dalla Chiesa? Se pertanto non si crede alla Chiesa, non si crederebbe neppure ai morti che risuscitassero. – È lo stesso Gesù Cristo che lo ha detto nella parabola del ricco Epulone. A questo ricco che richiedeva Abramo di mandare azzaro ad avvertire i suoi fratelli dell’esistenza dell’inferno, fece rispondere da Abramo: « Hanno Mosè e i Profeti che ne parlano chiaro; se non credono a Mosè e ai profeti, non crederanno neppure ad un morto risuscitato ». Il dire adunque: « Come si fa a credere all’inferno, se nessuno è venuto dall’altro mondo a dirci che vi sia » è lo stesso che pretendere che Dio per farci credere all’esistenza dell’inferno faccia ad ogni istante e da per tutto risuscitare dei morti, e distrugga Egli stesso per tal guisa l’autorevole testimonianza della Chiesa e della stessa umanità; è un pretendere che Dio si acconci ai capricci dell’uomo, e che l’uomo possa imporsi alle disposizioni di Dio, è insomma perdere il senno e disconoscere che Dio è Dio, e che l’uomo è uomo. Nessuna obbiezione adunque, per quanto speciosa, può scemare la forza di questa verità sì chiaramente rivelata, e sì profondamente e universalmente creduta: l’inferno esiste.

— Ma è pur certo che l’inferno sia eterno?

Certissimo; tanto la Scrittura come le credenze di tutti i popoli dall’idea dell’inferno non disgiungono mai quella dell’eternità della sua durata. E per ciò l’eternità delle pene dell’inferno è una verità non meno chiaramente rivelata da Dio, né meno profondamente e universalmente creduta dagli uomini di quella dell’esistenza dell’inferno istesso. Chi pertanto volesse negare l’eternità delle pene, dovrebbe negare anzitutto la veracità di Dio, e dire che se Iddio ha detto agli uomini che l’inferno è eterno non altrimenti lo ha detto che per trastullarsi e farci paura. E non sarebbe questa un’orribile bestemmia? – In secondo luogo, per negare l’eternità delle pene bisognerebbe negare altresì ogni distinzione tra il bene e il male, tra il vizio e la virtù, tra i buoni e i malvagi. Ed in vero se passato qualche migliaio, e mettiamo pure qualche milione d’anni, l’inferno cessasse di esistere e i dannati ne fossero liberati, a meno che fossero da Dio annichilati, ciò che è assurdo, dovrebbero allora passare a godere in cielo coi santi, Caino con Abele, Giuda con S. Giovanni, Nerone con S. Pietro, Voltaire con S. Vincenzo de’ Paoli! – E allora a che varrebbe il far il bene, il soffrire con rassegnazione in questa vita? Che anzi qual ritegno vi sarebbe ancora nel male? Ognuno che amasse di peccare ragionerebbe così: Per intanto mi prendo il piacere che voglio. Sia pure che nell’altra vita io ne abbia ad essere punito ed anche per molti anni. Ma alla fin fine quella pena cesserà ed allora sarò ancora in tempo di godermi per sempre il paradiso. Così direbbe la più parte degli uomini e così farebbe; e in questo modo l’uomo non verrebbe egli ad averla vinta sopra Iddio? È chiaro adunque che l’inferno deve essere eterno, come eterno è il paradiso, dovendo pure esservi una correlazione tra la ricompensa dei buoni e la punizione dei malvagi. E lo è propriamente, e la ragione decisiva di questa sua eternità si è, che Dio, libero dispensatore de’ suoi doni, ha stabilito di darci la sua grazia per evitare il peccato o rialzarci dal medesimo finche siamo in vita, e di non darcela più dopo la morte. Cosicché il disgraziato che passa all’altro mondo nello stato di peccato, privo della grazia di Dio non potrà più mai liberarsi dal peccato. E, come perciò il suo peccato durerà in lui eternamente, così eternamente dovrà soffrirne la pena.

— Ma come mai Iddio vorrà punire con pene eterne un peccato che si commise in un brevissimo spazio di tempo?

Anche questo sofisma è molto sciocco ed è molto antico, giacché veniva messo fuori fin dai tempi di S. Giovanni Crisostomo. Il quale a coloro, che lo adducevano, rispondeva: « E dove mai avete imparato che il tempo impiegato a commettere il male debba essere la misura e la regola della punizione? L’assassinio, il parricidio, l’appiccar il fuoco non sono essi delitti, che si possono commettere in un momento? Eppure gli stessi tribunali di questo mondo condannano per lo più coloro, che li commettono, ad una pena di lunghi anni e ben anche alla morte, che è l’esclusione perpetua di questi scellerati dalla società. Ora, ciò che fanno gli uomini nei tribunali di questo mondo, senza che alcuno possa in questi casi tacciarli d’ingiustizia, perché non lo potrà fare Iddio al tribunal suo? – Del resto, amico mio, è proprio vero che il peccato del dannato nell’inferno sia un male commesso in un brevissimo spazio di tempo? Nell’atto sì ma nella volontà no. Perciocché coloro, i quali commettono il peccato, dice San Gregorio, in generale vorrebbero commetterlo sempre, se loro fosse possibile; e la prova chiara e certa di ciò si è, che costoro, quando non possono più commetterlo con le opere, lo commettono tuttavia col desiderio. In generale adunque il peccato benché nell’atto sia cosa di brevissimo spazio di tempo, nella volontà invece è cosa che può durare mesi ed anni interi. – Ma nel dannato in particolare poi il peccato dura non solo mesi ed anni, ma eternamente e proprio per sua colpa. Giacché finché fu in vita anche nell’ultimo istante della sua esistenza, se egli l’avesse sinceramente voluto, Iddio gli avrebbe data la grazia per pentirsi del suo peccato e liberarsene, ma egli non ostante che vedesse dinanzi a sé l’eternità, anche all’ultimo istante di vita, ha disprezzato la misericordia e la giustizia di Dio, si è ostinato nella colpa, e da quel momento entrando nell’eternità ha eternato altresì la perversità del suo animo. E non è dunque sommamente giusto che Iddio punisca con una pena eterna lo sciagurato, che da se stesso si è messo nell’eterna volontà di essere nemico di Dio? – Il peccato, come insegna S. Tommaso, per ragione dell’oltraggio che reca alla maestà infinita di Dio racchiude in sé una certa malizia infinita. E poiché il dannato, passato che è all’altra vita rimane eternamente in questo stato di infinita malizia, è senza alcun dubbio giustissimo che Iddio eternamente colpisca della meritata pena questo suo eterno oltraggiatore della sua infinita maestà. Non vi ha nulla adunque di più logico che l’eternità delle pene. E se è vero, come è verissimo che l’inferno esiste, è vero altresì ch’esso è eterno.

— Sono ora ben convinto di questa verità. Desidererei ora di sapere se i dannati nell’inferno soffrano tutti pene eguali?

No, certamente, questo ripugnerebbe alla Giustizia di Dio. Pertanto quantunque nell’inferno i dannati siano tutti infelicissimi, nondimeno hanno gradi di pena diversi, e soffrono più o meno intensamente a seconda dei loro diversi demeriti, vale a dire secondo il numero e la gravezza dei loro peccati.

— E quali sarebbero propriamente le pene dell’inferno?

* Di queste pene basta che tu sappia e creda che sono acerbissime in quanto all’anima e al corpo e che fra di esse vi è quella del fuoco.

— È vero che nell’inferno vi sia propriamente il fuoco?

Non se ne può dubitare: anche questo è insegnamento chiaro e preciso delle Sacre Scritture. Almeno otto volte nel Vangelo, e quasi trenta volte nel Nuovo Testamento, il supplizio dell’inferno è designato con questo termine o di fuoco o di fiamma. E per certo non si capirebbe questo linguaggio, qualora la pena del fuoco, la più terribile delle pene terrene, non avesse un’intima connessione col supplizio dell’inferno, né fosse la più atta a darci un’idea del suo rigore.

— Ma si tratta di fuoco vero, reale, corporeo?

Ti dirò: la Chiesa a questo riguardo non ha fatto alcun decreto dogmatico. Vi furono e vi sono ancora di coloro (pochissimi in vero), che questo fuoco, di cui parlano le Scritture, l’hanno inteso per metaforico: ma l’opinione della Chiesa, si è che si tratti di un fuoco vero, reale, corporeo, benché, senza dubbio, differente dal nostro. Anzi la S. Penitenzieria Apostolica (il 30 aprile 1890) ha risoluto che quando s’incontra alcuno che intenda il fuoco dell’inferno come espressione metaforica, con cui si vuole dare un’idea dell’intensità delle pene che si soffrono in quel luogo di tormenti, si cerchi di istruirlo; e se si ostini, non si giudichi degno di assoluzione.

— Con tutto ciò se l’inferno esiste, se l’inferno è eterno, se in esso vi è il fuoco che abbrucia… io non posso capire come mai Iddio, che è buono e ci ama, condanni all’inferno, ed anche solo per un peccato mortale.

Ascolta: certamente Iddio è buono, infinitamente buono, Dio ci ama, infinitamente ci ama; ma Egli è altresì giusto, infinitamente giusto. La sua bontà, il suo amore per noi lo induce a far di tutto perché noi ci salviamo. E quando vede che v’ha tra di noi chi si fa a negargli la corrispondenza dovuta alla grazia da Lui data a ciascuno per la sua eterna salvezza, come dice il Bougaud, « oh! non si arrende al primo rifiuto. Non si confessa facilmente vinto. Ritenta la prova. Per colui che resiste ha tenerezze, indugi, insistenze che sorprendono. Sarà necessario che egli si getti ginocchioni ai piedi dell’infedele, dell’ingrato! Lo farà, perché nessun sacrificio gli è grave ». Ed invero Dio sarebbe in pieno diritto di mandar subito all’inferno il peccatore al primo grave peccato che commette, e come ha fatto con gli angeli ribelli, così avrà fatto e andrà facendo con taluno degli uomini per i suoi giustissimi motivi; ma si può dire che questa sia la regola ordinaria da Lui seguita? O non si deve piuttosto riconoscere da quanto appare dinanzi agli stessi nostri occhi, che Iddio per lo più non pronunzierà la sentenza di dannazione se non quando vede la misura colma? E dopo che Iddio per parte sua ha fatto di tutto per salvare gli uomini, e taluno di essi non ha voluto fino all’ultimo arrendersi alla sua bontà, al suo amore, non è giusto che Egli lo condanni? … e lo condanni in ragione della malizia delle sue colpe? Alla fin fine non ha Egli fatto intendere prima che questa sarebbe stata la punizione del malvagio? Vi è forse alcuno che ignori ciò? – Come dunque si potrà accusare la bontà, l’amore che Dio ci porta, se Egli punirà con l’inferno chi ha preso a giuoco la bontà e l’amor suo fino all’ultimo? Forseché non accade anche tra gli uomini che si respinga lontano colui, che ha disprezzato, tradito, insultato l’altrui amore? E lo si respinga tanto più sdegnosamente e inesorabilmente, quanto più si è cercato di guadagnarlo ? Ritieni adunque che Dio è buono, che Dio ci ama non ostante l’inferno, il quale non solo è effetto della sua giustizia, ma altresì della sua bontà e del suo amore oltraggiato e da Lui sapientemente punito. Sicché aveva ben ragione il nostro sommo poeta di leggere sulla porta dell’inferno questa iscrizione:

Per me si va nella città dolente

Per me si va nell’eterno dolore,

Per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto Fattore,

Fecemi la divina Potestate,

La somma Sapienza e il primo Amore.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.