GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (33): GNOSI ED UMANESIMO -2 –

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA –

Gnosi ed UMANESIMO (2)

[Elaborato da: E Couvert: La gnose contre la foi, Ed. de Chiré, 1989]

IL CULTO DI PLATONE

Secondo Platone, gli oggetti che noi chiamiamo “reali” non sono in realtà che riflessi del mondo eterno delle Idee ove si trovano, dotate esse sole di una vita reale, i modelli di questi oggetti. Le nostre sensazioni, legate al corpo peribile, non ci fanno conoscere che delle apparenze, ed è solamente attraverso la conoscenza (la “Gnosi”) che la nostra anima può elevarsi gradualmente fino alla contemplazione delle Idee pure. Questa anima eterna ha vissuto precedentemente nel mondo superiore delle Idee, e vi ritornerà quando sarà liberata dalla prigione del corpo. Essa ne ha conservato una reminiscenza confusa che le permette di accedere alla contemplazione delle idee senza ricorrere al ragionamento… Non si vede come Dio potrebbe collocarsi in questa filosofia, se non come Demiurgo, cioè fabbricatore della materia. Ecco pertanto che le grandi tesi platoniche, sono in contraddizione manifesta con la Fede cristiana. La Chiesa ha sempre condannato la natura divina dell’anima, la sua preesistenza e le sue trasmigrazioni; Essa afferma che Dio sia l’unico Creatore di tutto e dunque: che il « mondo delle Idee » non esista. Noi comprendiamo così che queste tesi condannate dalla Chiesa, siano parimenti comuni a Platone, alla Gnosi classica ed alla Cabala giudaica. Ogni qual volta che nella storia del pensiero cristiano, ci si imbatta in una “folata” gnostica, essa si realizza sempre sotto la forma di una invasione del Platonismo. Fu questo infatti il caso eminente dell’Umanesimo, apparso all’epoca del cosiddetto Rinascimento. – Già Petrarca, nel XIV secolo, ha letto diversi dialoghi di Platone, nel testo originale portato da Costantinopoli, e si è appassionato a questa filosofia che egli contrappone a più riprese a quella di Aristotele. È lui ad aprire le strade a Bessarion e a Marsilio Ficino, e burlandosi dell’insegnamento della Scolastica, dichiara che i dottori di sillogismo sono degli affabulatori « rigonfi di nulla, che lavorano incessantemente nel vuoto e si esercitano con delle futilità”.» Egli è irritato dal rispetto “superstizioso” di cui la Scuola circonda Aristotele. Si sente, nei suoi attacchi violenti, il veleno della libertà di esame e ciò nonostante rimane alla corte del Papa in Avignone che, da parte sua non comprende le conseguenze di una tale demolizione. – Ma sono soprattutto le opere del Cardinal Bessarion che esercitano un’influenza capitale sul movimento degli spiriti: dopo il suo ritorno da Costantinopoli, egli si fa mentore degli umanisti, sostiene la causa di Platone contro i suoi detrattori in diversi trattati: « De natura arte », « In Calumniatorum Platonis ». – « Preferire Aristotele a Platone, egli dice, è cosa permessa, ma accusare quest’ultimo di ignoranza in ogni cosa, è fare un’accusa, non un parallelo. » Con una difesa erudita e calorosa di Platone, egli vuol dimostrare che le ardite speculazioni dell’Accademia, non meritano le diffidenze mostrate nel Medio Evo e che, secondo i Padri più illustri, si poteva elevare la filosofia platonica alle verità della Religione. Egli insegnò con il suo esempio che, nell’ambito della ragione, bisogna evitare ogni esclusivismo e che l’amore che si prova per un grande spirito, non debba chiudere gli occhi sui meriti di qualcun altro: « Io onoro e venero Aristotele, scrive agli stesso, e però amo Platone. » Si vede bene ove pende il suo cuore. Il rispetto apparente per Aristotele, non è che il mezzo per attirare gli spiriti verso Platone, e tutti gli umanisti, che lo hanno ben compreso, non temeranno più di rigettare con disprezzo e violenza tutta la Scolastica. È Bessarion che ha lanciato il movimento. È Infine a Firenze, sotto la protezione dei Medici, che il culto di Platone assume tutta la sua ampiezza. Nel corso del suo esilio provvisorio, Cosimo de’ Medici, raccoglie i sapienti greci che i turchi hanno cacciato dalle loro terre: Giovanni  Argyropoulos. Demetrio Calcondila, Giovanni Lascaris, il Cardinal Bessarion, il vecchio Giorgio Gemisto Platone ed altri. Al suo ritorno a Firenze, egli fonda l’« accademia platonica » e ne affida la presidenza al figlio del suo medico personale: Marsilio Ficino. Nato il 15 ottobre 1433 a Firenze, divenuto canonico della chiesa di San Lorenzo, viene ricevuto da Cosimo che gli apre le sue ville più belle e i suoi giardini fioriti all’ombra dei pini, dei cipressi e dei larici. « Qui ancora, scrive Cosimo a Marsilio, arrivai alla mia villa di Careggi con il desiderio di migliorare le mie terre e di migliorare me stesso. Venitemi a vedere, Marsilio, quando potrete, e non dimenticate di portare con voi il libro del vostro divino Platone sul bene sovrano. Non c’è sforzo che io non faccia per scoprire la vera felicità. Venite e non mancate di portare con voi la lira di Orfeo. » – Il primo lavoro dell’Accademia di Firenze è di contrastare Aristotele, questo colosso eretto sul formidabile piedistallo della “Summa Theologica”. La stella di Platone, spentasi con la fine della scuola di Alessandria, rispunta all’orizzonte, e da questo momento  pertanto l’umanità sarà divisa in due campi, quello Aristotelico e quello platonico. Più che una scuola, l’Accademia è una religione, un ardente e puro fervore che raggruppa in un culto pubblico tutti i fedeli di Platone e Marsilio Ficino ne è l’anima, la vita. – Platone è morto, seduto ad un banchetto ad 81 anni, un numero perfetto che si ottiene moltiplicando 9 per 9. Si riprende allora l’usanza di celebrare la sua morte il 7 novembre, uso che si era perso dopo Plotino e Porfirio. – Platone è la verità corroborata da S. Agostino che ebbe a  dire [ritrattando poi]: « varie cose presso i platonici, sono cristiane ». Si studiano pertanto le grandi questioni poste dal maestro: l’uomo è libero o no? La natura agisce secondo un disegno o no? È essa cosciente dello scopo a cui tende o no? Possiede  essa una essenza divina? La riflessione è immanente alla Natura? Appartiene essa proprio allo Spirito divino che governa la natura? L’anima non è il corpo, dice ancora Ficino, è l’anima che sente e non il corpo; l’anima ripugna al corpo. Essa non abita la terra, non è che un “ospite divino” che deve raggiungere la sua patria celeste.  Essa è sprofondata in seguito ad una caduta, deve trasmigrare per tornare nel mondo perfetto da cui è venuta. Platone che, di fatto, non è che un abile scenografo di dottrine orientali insegnate da Pitagora, diviene, nelle parole della sua bocca, una specie di Messia; i suoi discepoli sono degli apostoli. Marsilio si prosterna davanti a tutti i platonici, a Giustino, ad Origene, a Clemente, a Filone i quali tutti cercano di conciliare la Genesi con il Timeo, davanti a Numenio che afferma che tutta la teologia è racchiusa nei dialoghi di Platone. Egli circonda di un’aureola gloriosa  Platone. Platone è il precursore. «Il nostro Platone – egli scrive – con ragioni pitagoriche e socratiche, segue la legge di Mosè e anticipa la legge di Cristo. » – « Anzi, cosa dico?, Platone è Dio stesso ed i suoi misteri sono divini ». Marsilio, si dice, tiene acceso un cero giorno e notte davanti al busto di Platone, lo prega nella chiesa degli Angeli a Firenze: « In questa chiesa, noi vogliamo esporre la filosofia religiosa del nostro Platone, vogliamo contemplare la verità divina in questo soggiorno degli Angeli. Entriamo, cari fratelli, con spirito puro … » Egli aggiunge poi: « Io ho trovato con certezza come Numerio, Filone, Plotino, Giambico, Proco abbiano attinto i loro principali misteri da Giovanni, Paolo, Dionigi l’Aeropagita, perché tutto ciò che i platonici dicono dello spirito divino degli angeli ed altre cose teologiche, le presero da loro … » – Nel 1460, Cosimo compra il « Corpus hermeticum », e si affretta a farlo tradurre da Marsilio. Entrambi vengono elettrizzati dalla scoperta di questa rivelazione primordiale; i testi ermetici erano allora supposti premosaici e si pensava addiruttra che essi avessero ispirato Mosè, Pitagora e Platone.  Soltanto nel 1624 Isaac Casaubon ridimensionò questi testi e dimostrò che essi in realtà non erano anteriori al III secolo della nostra era. Nella stessa epoca, il Papa Alessandro VI (1492-1503) aveva fatto dipingere in Vaticano un affresco, in seguito distrutto, ricco di simboli ermetici ed egiziani. È attraverso il « Corpus hermeticum » che la Gnosi più classica può agevolmente penetrare nell’umanesimo rinascimentale. Come suo nonno Cosimo, Lorenzo il Magnifico coltiva la filosofia platonica da vero discepolo di Ficino. « Senza Platone – amava dire – io mi sentirei incapace di essere un buon cittadino ed un buon Cristiano. » Pico della Mirandola è il suo intimo consigliere. Lorenzo scrive degli inni, il canto “Oratione magno Deo”, l’inno “Oda il sacro inno tutta la natura”, lode al sacro contenuto in tutta la natura. In essi si trova l’idea che il mondo è strutturato come un grande cosmo fisico e morale, riproduzione di un modello preesistente; vi si trova ancora il concetto che l’anima può, per mezzo della conoscenza (la Gnosi), fare entrare l’Essere infinito nel cerchio stretto che essa abbraccia, estendendosi poi indefinitamente, grazie all’amore divino. Tale è la vera felicità della terra! – Questo culto di Platone è completato da un’attitudine curiosa nei confronti di Aristotele. Marsilio Ficino lo considera un percorso che conduce a Platone: « Si  ingannano completamente coloro che pensano che la disciplina peripatetica e platonica siano opposte, perché il cammino non può essere contrario al fine da raggiungere. » Pico della Mirandola aggiunge che « non vi è questione naturale o divina in cui Aristotele e Platone non siano d’accordo sul senso della cosa, benché sembrino divergere con le parole », cosa che evidentemente  è una manifesta contro-verità. Pico prepara un’opera: “Concordia Platonis ed Aristotelis”, che la morte gli impedisce di terminare. Ma intanto è dichiarata la guerra all’Aristotele del Medio Evo, al “filosofo” per eccellenza di San Tommaso d’Aquino, e non si riconosce più che l’Aristotele pagano interpretato in maniera panteista da Averroè. – E questa evoluzione nel pensiero cristiano si ritrova pure nella storia dell’arte di questa epoca. Mentre i vecchi pittori, come Francesco Traini, Benozzo Gozzoli e Taddeo Gaddi rappresentano San Tommaso, l’Angelo della Scuola, Aristotele dominante, e con Averroè, l’“anticristo”, calpestato, Raffaello, nella Scuole di Atene, oppone ai dottori cristiani, i maestri della saggezza greca, fianco a fianco, la filosofia pagana di fronte alla Teologia.

Il culto dell’uomo divinizzato

L’uomo, questa scintilla divina caduta nel mondo, è di natura ed origine divina. Egli è « imago mundi », microcosmo nel macrocosmo, vale a dire è la riproduzione quaggiù del mondo divino. Egli solo è Dio, ed è pure l’adempimento di tutta la natura nella sua perfezione. Gli umanisti lo hanno ripetuto sotto ogni forma. « L’uomo – ci dice Leone Battista Alberti – può ottenere da se stesso, tutto ciò che vuole. » – « La natura del nostro spirito è universale », dice Matteo Palmieri. « Noi siamo nati in questa condizione – dice Pico della Mirandola – noi siamo ciò che vogliamo essere. » – « L’uomo – dice Marsilio Ficino – si sforza di restare sulla bocca dell’uomo per tutto l’avvenire … egli soffre per essere stato celebrato in tutto il passato, da tutti i paesi, da tutti gli animali … egli misura la terra ed il cielo, scruta le profondità del Tartaro, il cielo non gli sembra troppo alto, né certo il centro della terra troppo profondo … e poiché ha conosciuto l’ordine dei cieli, muove verso questi cieli e dove essi vanno, e le loro misure e i loro prodotti, chi negherà che egli abbia quasi lo stesso genio dell’autore di questi cieli e che in un certo modo potrebbe crearli egli stesso? … L’uomo non vuole dunque né uguali né superiori, egli non tollera che ci sia sopra di lui qualche dominio dal quale sia escluso.  È solamente lo stato di Dio … egli si sforza di essere dappertutto come Dio, come Dio egli si sforza di essere sempre … » Queste formule estratte dalla sua “Theologia platonica”, sono dei commentari dell’ « Eritis sicut dei », promessa del serpente ad Adamo. Si sente tuttavia in questi testi una collera assurda contro Dio. L’uomo vorrebbe essere divino; ma è questo in lui uno sforzo portato per l’avvenire e non una realtà attuale. Questo culto dell’uomo è “in divenire”. Pico della Mirandola pubblica un discorso sulla dignità dell’uomo. Per terminare l’opera della creazione, Dio ha fatto l’uomo affinché conosca le leggi che reggono l’universo, ne esalti la bellezza, ne ammiri la grandezza. Egli non lo ha condannato a vivere nello stesso posto, come le piante, non ha incatenato la sua azione e la sua volontà, come per gli animali, ma gli ha dato la libertà di agire a suo piacere, di andare, di venire: « Io ti ho posto in mezzo al mondo – dice il Creatore ad Adamo – affinché tu possa più facilmente allungare il tuo sguardo intorno a te e meglio vedere ciò che ivi è racchiuso. E facendo di te un essere che non è né celeste, né mortale, né immortale, Io ho voluto darti il potere di formarti e di vincere te stesso. Tu puoi scendere fino al livello della bestia, e puoi elevarti fono a diventare un essere divino. Venendo al mondo, gli animali hanno tutto ciò che devono avere, ma gli spiriti di ordine superiore sono dal principio, o almeno subito dopo la loro formazione [allusione al culto di lucifero e dei suoi partigiani], ciò che essi devono essere e restare per l’eternità. Tu solo puoi ingrandirti e svilupparti come vuoi, tu hai in te i germi della vita sotto ogni forma. » – A partire da un giustissimo pensiero, che l’uomo sia stato posto  da Dio ai confini del mondo materiale e del mondo spirituale, Pico della Mirandola falsifica tutto il piano divino. Mai Dio infatti ha rivelato ad Adamo che potrebbe un giorno divenire divino. Egli gli ha solamente chiesto di regnare sulla creazione a patto che l’uomo rendesse omaggio al suo Creatore rispettandone l’ordine da Lui voluto, cioè l’ordine della vita, e la distinzione del Bene e del Male, i due alberi sacri del Paradiso. Ora, Pico della Mirandola pretende che Dio abbia dato all’uomo la facoltà di auto-divinizzarsi a suo piacimento. Come quest’ultimo potrebbe acquisire, secondo Pico, questa facoltà se la possedeva già per natura propria? Questo discorso è stato inviato a Roma, esaminato da un collegio di sapienti apostolici ed autorizzato ad essere pubblicato nel 1486. Poi si fanno delle obiezioni  contro « questo mago empio, nuovo eresiarca », il Papa Innocenzo VIII sospetta delle tesi del giovanotto, « … avvolte da vocaboli nuovi ed insoliti ». Punto, è tutto. Rispetto all’invasione della gnosi, proveniente dalla Kabbala, l’Autorità suprema è mostrato una sconcertante indulgenza. – Tale è l’ideale di tutti gli umanisti dall’inizio del XVI secolo; ad esempio Coluccio Salutati scrive i “Lavori di Ercole”. « Il cielo – egli dice – appartiene di diritto agli uomini energici che hanno sostenuto grandi lotte e compiuti straordinarie opere sulla terra. » Si tratta dunque di una conquista in pieno diritto. L’uomo prende dalle sole sue forze il suo fine ultimo e la sua perfezione. L’uomo è un Dio in divenire. Coluccio Salutati era maestro di Poggio, i suoi discepoli hanno popolato il collegio dei segretari apostolici, gli « abbreviatori » di cui abbiamo già parlato, istallati a Roma, al centro della Cristianità. – Nella sua Utopia, Tommaso Moro propone, come esempio, la ricerca sfrenata dei piaceri naturali che costituiscono il « condimento e il fascino della vita ». Egli rifugge « ogni voluttà che impedirebbe di gioire di una voluttà ancora maggiore o che sarebbe seguita da qualche sofferenza ». Egli esalta la santità ma rifiuta di sacrificarsi, con il digiuno e l’astinenza, ad un « vano fantasma di virtù ». Egli è avido di felicità e non dimentica nulla per ottenerla. In “Utopia” ci si sposa: « gli sposalizi sono preceduti da un esame nunziale, » una dama onesta e seria, presenterà al suo futuro fidanzato, la giovane o vedova, nello stato di perfetta nudità, e dall’altra parte, un uomo di provata probità, mostrerà alla giovane il suo fidanzato, nel medesimo stato di semplicità … « L’onore della città vuole dei cittadini di nobile razza, prestanti, vigorosi, amanti della salute, dei divertimenti, delle gioie della vita. La bellezza e la robustezza del corpo sono i segni di questa esaltazione dell’uomo divinizzato. L’Utopia appare nel novembre del 1516 a Lovanio,. L’opera ottiene subito la stima di tutti i grandi umanisti: al primo posto Guglielmo Budé ed Erasmo. Essa non fu tradotta in francese che nel 1550 da Jean Le Bond, ma dal 1532, la stessa parola “utopia”, fa la sua comparsa nel vocabolario francese. Rabelais, nel suo Pantagruel, si ispira all’Utopia di Tommaso Moro, ma con maggiore impudenza ancora: l’abbazia di Thélèma (in greco, libera volontà) è costruita sulle rive della Loira « al contrario di tutte le altre ». Qui non ci sono mura esterne, né orologio; uomini e donne vi praticano un triplo voto di “matrimonio, ricchezza e libertà”; si tratta dell’inversione della perfezione cristiana: “castità, povertà e obbedienza”. « … Fu ordinato che non vi venisse ammesso nessuno se non i ben conformati, perfetti e le donne belle ed attraenti … fu stabilito che si potessero maritare coloro che erano ricchi e vissuti in libertà. » Un gran cartello vien posto sulla porta di Thélèma che proibisce l’ingresso agli « ipocriti, ai bigotti », agli agenti di giustizia ed agli usurai; sono ammessi solo  « nobili cavalieri, le dame di alto lignaggio, fior di bellezza, dal viso celestiale, dal contegno riservato e saggio » ed i Cristiani evangelici. « Entrate, ché qui ci si basa su di una fede profonda! Poiché i nemici della santa parola, confondono con la voce e con il ruolo! » Si tratta di conciliare l’abbrutimento totale della natura umana con un sé dicente Cristianesimo tornato alle origini, – Ma siamo come si nota, agli antipodi della fede cristiana. « Come regola non avevano che questa clausola: fate ciò che volete, perché persone ben nate, bene istruite, conversanti in compagnia onesta, hanno per natura un istinto ed un acume che li spinge sempre ad essere virtuosi. » Li si spinge, in vero, in maniera più imperiosa verso una morale che qui consiste nella soddisfazione di tutti gli istinti. Elevare al più alto grado d’intensità l’umanità che si porta in sé, la [pseudo] “virtù”, questa è la legge morale! L’« uomo universale » deve svilupparsi armoniosamente in tutte le felici disposizioni del corpo, in tutte le facoltà della propria intelligenza. Là dove la Chiesa afferma che la curiosità di Eva ha perso l’intera l’umanità, gli umanisti fanno della curiosità insaziabile e ovunque diretta, la principale delle virtù: là dove la Chiesa insegnava l’umiltà in una ignoranza rispettosa del mistero, essi hanno posto il loro ideale nella conoscenza (la gnosi!). – Infine a Thélèma non c’è una chiesa. Ognuno delle 9332 camere dispone di una cappella particolare; la religione ridotta alla soddisfazione di un sentimento individuale, di una fantasia infinitamente modificabile a proprio piacimento. Ed infatti che bisogno ha l’uomo divinizzato di un Dio? Egli si crea da sé, rigetta ogni intervento di una volontà divina che pretende di  regolare l’esistenza quaggiù. La società utopica è vuota di Dio, perché dispone da se stessa degli attributi della divinità. Essa ha rinnegato Dio per darsi all’adorazione degli uomini. Come dice bene Jean-Philippe Delsol, gli umanisti «non reclamano ancora la morte di Dio, ma preparano involontariamente (?) la lettiga sulla quale i secoli successivi lo sdraieranno prima di sotterrarlo ». – E questo culto dell’uomo si manifesta finanche nell’arte dell’epoca. Tutto il pensiero di Leonardo da Vinci, ad esempio, è inebriato di paganesimo, esaltato da costumi voluttuosi e violenti, con la pretesa di ritrovare la bellezza originale ed inventare la scienza. Il suo San Giovanni, posto in una splendida solitudine, appare come un dio di voluttà. Nel suo sguardo balenano gli ardori della passione e di tutte le audacie dello spirito. Dalla sua bocca si si sente l’antico grido pagano di èvoé (grido che baccanti ebbre, in stato di esaltazione, rivolgevano a Bacco) La celebre Gioconda si pone all’entrata di un labirinto strano formato da rocce bizzarre e ruscelli sinuosi che si perdono nei vapori dell’orizzonte. Tranquilla e sorridente, la sirena attende con un bagliore negli occhi e con sulle labbra fini e serrate, il fascino mortale della menzogna. –  Che resta di veramente cristiano in questo “San Sebastiano”, simile e pari ad Adone, o nelle sue Madonne che sono delle Veneri travestite? Finanche nell’arte funeraria si sente questa esaltazione della vita divinizzata; infatti l’apparato di morte si circonda di un elogio della vita e glorifica la maestà e le bellezza del vivente: diversi “piangenti”  circondano il “giacente”, il morto è come per miracolo, resuscitato. Si eleva dalla bara, solleva il coperchio, si siede sul bordo della tomba e sembra conversare con i suoi, venuti a fargli visita. Ben presto camminerà, argomenterà …

Il culto del serpente: verso l’ecumenismo.

Nel XVI secolo, il serpente si tiene modesto e non canta ancora vittoria, come farà nel XIX secolo nella furia romantica. Ma esso sa comunque rendersi insinuante. Mormora discretamente alle orecchie degli umanisti, ascoltiamolo! Il suo leitmotiv, è l’ecumenismo. Tutte le religioni si equivalgono, esse sono tutte eccellenti nel loro ambito, ma seguitemi e vi insegnerò la vera religione, quella della felicità e della libertà. – Gemisto Pletone ha suscitato una triplice rivoluzione religiosa. Egli adora un Dio iperboreano, annuncia una nuova religione che non sarà « né del Cristo, né di Maometto, ma non differisce essenzialmente dal paganesimo » ; pubblica il suo opuscolo nel 1489 a Firenze. – Luigi Pulci pubblica il suo Morgante maggiore, confessa di credere alla bontà relativa di tutte le religioni. È il demonio Astaroth che lo dice nel capitolo 25 del suo poema. In precedenza si pensava che bisognasse essere ortodosso o eretico, o cristiano o musulmano. Pucci crea la figura del gigante Margotte, che si burla di tutte le religioni, professa l’egoismo più materiale, si dà a tutti i vizi. Nel capitolo 16 egli completa l’insegnamento di Astaroth con un discorso deista della bella pagana Antea, che è l’espressione più netta delle opinioni che circolavano tra i compagni di Lorenzo dei Medici. – Il demonio Astaroth ha frequentato l’accademia platonica, letto tutta l’opera di Marsilio Ficino, ascoltato l’astronomo Buonincontri, commentato l’Astronomicon di Manilius. Egli ha la sua opinione su Dio, la Trinità, il libero arbitrio, la caduta e l’eterna dannazione degli angeli. Il negromante Malagigi lo evoca per aver notizie di Rinaldo. Egli stesso, Astaroth, è entrato nel cavallo di Rinaldo che conduce dall’Egitto, gli rivela con la bocca del suo destriero che al di là delle colonne di Ercole ci sono delle città ed un popolo chiamato “Antipode”, ove si adora il sole, Giove e Marte.  Ogni religione, egli dice, è gradita a Dio, purché sia sincera. Solo la fede cristiana è vera, certamente, e i giudei ed i maomettani saranno dannati. Ma essi … non perderanno nulla, perché fin nell’inferno si trova « gentilezza, amicizia, cortesia ». In tutti gli umanisti serpeggia una ammirazione discreta per l’islam. Gli viene attribuito un ideale di generosità, i dignità, di fierezza. Si esalta questo o quel sultano, soprattutto Saladino, come Boccaccio nel Decamerone,  o nella Commedia di Dante. In Masiccio si esaltano dei sultani, il re di Fez, il re di Tunisi. Fazio degli Uberti esalta “il buon Saladino” nel suo “il Dittamento”. Bisogna pure ascoltare le declamazioni furibonde contro il Papa Pio II, quando chiama alla crociata contro i turchi, proprio un Piccolomini, il grande amico degli umanisti. L’Astrologia viene pure opportunamente in soccorso dell’ecumenismo. Sono autori arabi e giudei che diffondono questa teoria, che ogni religione dipenda dagli astri. Battista Mantovano, nel suo “De Sapientia” spiega che la congiuntura di Giove con Saturno aveva prodotto la dottrina ebraica, quella di Giove con Marte aveva dato origine alla religione caldea, la religione egiziana era il frutto della congiunzione di Giove con il sole; Giove in congiuntura con Venere aveva creato il maomettanesimo, in congiuntura con Mercurio, aveva prodotto il Cristianesimo. Come si vede le religioni sono sotto la dipendenza diretta degli Arconti dei nostri gnostici, degli Zephiroths dei cabalisti, che sono le vere divinità reggitrici degli astri. Si noti anche che l’Arconte, maestro del Cristianesimo, è mercurio, cioè Hermès, il tre volte grande, il “Trismegista”: è lui che è stato formato dal “Pastore” il pimandro, cioè il Cristo, l’ultimo dei grandi iniziati. – Più insinuante ancora, il demone ispira ai poeti del Rinascimento gli argomenti che i nostri modernisti si sono fatti un maligno piacere di sviluppare dopo l’ultimo secolo e che sono oggi ripresi dai nostri moderni gnostici. – Un certo Theodolus o Theudulus (il suo nome familiare è Teodolo) pubblica un’ecloga nella quale oppone Pseustis, la menzogna, e Alitea, la verità. Due pastori che sulla moda di Virgilio, ingaggiano una lotta poetica. Phronisis, la Saggezza, è designata come arbitro e, come Pseustis racconta le favole dell’antica Grecia, Alitea gli oppone la meravigliosa recita della Bibbia. Si capisce che la verità rimane vittoriosa, ma qual demolizione intanto: Se Alitea parla di paradiso terrestre, è perché Pseustis ha cantato l’età d’oro, il regno di Saturno. Se racconta la storia di Adamo cacciato dal Paradiso, il suo avversario ha mostrato Saturno detronizzato da Giove, l’età dell’oro sostituita dall’età dell’argento. Si vede così da un lato Cecrops istituire il culto idolatrico, dall’altro Abele e Caino offrire sacrifici. Poi viene Licaone con Henoch, il diluvio di Deucalione con il diluvio di Noé. Hebé è soppiantato da Ganimede ed il corvo maledetto dagli animali perché non ha portato nell’arca la notizia della salvezza. Qui i Titani fanno la guerra all’Olimpio e là, Babele si volta contro il cielo; Dedalo causa la perdita di suo figlio Icaro mentre Abramo sacrifica Isacco, etc. si potrebbero ancora riferire parecchie concordanze, degli avvenimenti che l’umanità primitiva si era trasmessa oralmente deformati nel corso dei secoli, ai quali si era aggiunta molta fantasia, ma la Genesi aveva conservato la tradizione più autentica. Gli umanisti ne traggono invece un’altra conclusione, che cioè tutte le religioni, la cristiana come la pagana, erano la deformazione di una Tradizione primitiva perduta ed il serpente era là, vicino alle loro orecchie per sussurrare loro che egli era il solo a conoscerla veramente, e che se essi volevano esserne iniziati, avrebbero dovuto passare per la Conoscenza (la gnosi). Gli umanisti praticano abitualmente la mescolanza delle due ispirazioni, la cristiana e la pagana. Pio II scrive al sultano di Costantinopoli che “il Cristianesimo non è che una nuova lezione più completa del sovrano bene egli antichi”. – Leone Battista Alberti, già citato, commenta secondo un metodo simile, i sei primi libri dell’Eneide di Virgilio. I viaggi che porteranno fino in Italia Enea, che rappresenta la saggezza (la “sofia” degli gnostici), simbolizzano l’ascensione graduale dell’anima terrestre verso la contemplazione della pura divinità. Idea tutta di matrice gnostica. Pico della Mirandola nell’Eptaplus, interpreta la recita della Genesi, come il contenuto dei segreti della Natura e la storia dello “spirito divino”. L’ecumenismo contiene necessariamente il Panteismo ed il “culto dell’uomo” sostituito al culto di Dio. È la religione del serpente. [Da queste considerazioni si comprende come effettivamente l’ecumenismo del novus ordo, sia la religione dell’uomo divinizzato, del Dio immanente vivente nell’uomo e nella natura, nel cosmo in evoluzione; l’uomo pertanto non ha bisogno di redenzione, né di culto, né di sacramenti, ma semplicemente della conoscenza di sé come uomo-dio, cioè la gnosi; è il medesimo sibilo serpentino delle conventicole massoniche ormai trapiantate in quelli che erano  un tempo i sacri palazzi … dell’urbe e dell’orbe. Il serpente si fa adorare nelle logge come baphomet-lucifero, e nella falsa chiesa dell’uomo, come il “signore dell’universo” …, ma la lingua biforcuta è la stessa.]

I TEMI GNOSTICI NELLA LETTERATURA.

Infine gli gnostici hanno ben compreso che, per penetrare la società cristiana e capovolgerne la mentalità, non si poteva fare a meno dei letterati, e soprattutto dei poeti. Essi hanno assediato questi ultimi, li hanno educati, istruiti in tutte le scienze occulte, l’alchimia, la kabbala, e soprattutto la filosofia platonica. Poi hanno spiegato loro che essi erano i veri sacerdoti di una nuova religione, che la loro poesia dovesse sembrare come una rivelazione divina, poiché l’ispirazione viene direttamente dalla divinità. Non si rimarrà allora sorpresi dal ritrovare nei poemi del Rinascimento tutte le idee sviluppate nelle pagine precedenti. Joachim du Bellay ha lasciato dei sonetti tutti impregnati da idealismo platonico, adagiati su una concezione nuova dell’amore e della bellezza. L’amore per la bellezza terrestre, egli dice, traduce l’aspirazione sublime dell’anima, prigioniera quaggiù, verso la bellezza divina ideale. Questo deve essere pertanto un amore casto e puro, nei fatti un amore sterile, stornato dalla sua propria finalità, che è la procreazione. È pure un amore che esalta la morte, che la chiama, la provoca finanche. Già prima di lui, Clemente Marot aveva presentato questo amore della bellezza come un richiamo al suicidio:

« L’anima è il fuoco, il corpo un tizzone,

l’anima vien dall’alto, il corpo è inutile.

Altro non è che bassa prigione,

in cui langue l’alma nobile e gentile.

Di tal prigione ho la sottile chiave;

è il mio dardo all’anima graziosa,

perché la trae fuor dalla vil prigione,

per rinviarla da quaggiù al cielo ».

La morte è buona, bisogna averne desiderio, è facile darsela, perché è liberatoria. Si ritrova la stessa concezione della morte liberatrice in questo poema di Joachim du Ballay, intitolato:  l’Idea

« Se la nostra vita è men che una giornata nell’eterno,

se l’anno che fa il giro,

discaccia i nostri giorni senza spirto di ritorno;

se peritura è ogni cosa nata,

cosa sogni tu, anima prigioniera?

Perché ti piace l’oscur dei nostri giorni,

se per volare in più soggiorno chiaro,

tu hai al dorso ali ben piumate?

Là c’è il bene che desia ogni spirto

Là il riposo a cui tutto il mondo aspira,

là è l’amore, là è il piacer ancora.

Là, all’alto ciel, anima mia guidata,

potrai conoscervi l’Idea

della beltà che in questi mondo adoro. »

Si noti, al termine, che la bellezza ha preso il posto di Dio, l’amore è sinonimo di piacere e di libertà, che l’anima portata dall’aquila piumata è angelica. Infine come involarsi verso il soggiorno più chiaro, senza darsi la morte? Questo poema è dunque anch’esso un netto richiamo al suicidio. Non bisogna poi egualmente illudersi sulla qualità cristiana di un tale amore. Mai il Cristianesimo ha insegnato che l’amore debba essere sterile, conseguenza del cosiddetto amore “casto e puro”; è una invenzione del serpente, omicida e menzognero . lo ritroveremo tutto nella poesia romantica. Questa impazienza di scappare alla “prigione” terrena, questa aspirazione verso l’assoluto della bellezza, che non è Dio, annunzia tutte le stravaganze romantiche.

Ma ascoltiamo Ronsard.

« Dio è in noi, e per noi fa miracoli,

sì come i versi di un poeta scrivente,

son degli dei gli oracoli e i segreti

che innanzi spingon con la bocca. »

« Perché dunque fate sacerdoti? » domanderà più tardi Victor Hugo. Il poeta è il vero sacerdote della religione gnostica. Ronsard si vanta e si dice cristiano, ma tutto il pensiero è panteista. Dio stesso – secondo lui – è l’energia vitale che circola nell’universo e generatrice degli esseri che lo popolano. Egli è il viscere centrale, il focolaio dell’ardore del mondo, l’Anima del mondo che lo avvolge e di cui tutte le creature sono degli accidenti. Ascoltiamo questa gnosi:

« Perché dappertutto si mescola Dio,

inizio, intermezzo e fine

di ciò che vive ed in cui l’anima è chiusa

dappertutto rinvigorisce ogni cosa

dagli elementi di questa anima infusa

noi siam nati. Il corpo mortale utilizzato al tempo,

dagli elementi è fatto;

da Dio vene l’anima, l’anima perfetta,

l’anima perfetta, intoccabile, immortale,

come da un’essenza eterna:

l’anima non ha inizio né fine,

perché la parte segue il tutto,

con la virtù di questa anima mistata

gira il ciel e la stellata volta,

il mare ondeggia, la terra produce,

con le stagioni, erbe, foglie e frutti …

perle, zaffiri, han da questo lor essenza,

e per tal anima han forza e potenza.

Che più, che meno secondo la pienezza,

così ne è di noi, poveri umani … »

Ecco un buon compendio di cosmologia gnostica: Dio è identificato con l’anima del mondo che dà vita e forza a tutti gli esseri. Egli è inizio, intermedio, e fine! [Dio certamente è l’inizio, essendo il Creatore del mondo, e ne è fine, perché l’Universo è creato a sua gloria, ma non ne è l’intermedio, perché l’universo non è Dio].  Questa espressione è tratta da Hermete Trismegisto. L’anima umana è un elemento dell’anima divina infusa nella natura. Si tratta qui di un’emanazione. Essa è eterna, non ha avuto mai inizio, come Dio, poiché … “la parte segue il tutto”. L’anima divina percorre il mondo e passa da un essere all’altro come lo slancio vitale di Bergson [filosofo gnostico moderno]. Essa è il principio che anima il tutto, anche gli esseri non animati, come le perle e gli zaffiri, così tutti i regni, vegetale, animale, minerale, sono animati dal medesimo soffio. – Questo “animismo universale” è comune a tutti i poeti del Rinascimento. Perfino l’austero calvinista, Agrippa d’Aubigné, parafrasa in anticipo il “tutto vive, tutto è pieno di anime …” di Victor Hugo. Egli così descrive la resurrezione:

« Qui un albero sente dalle braccia della sua radice,

sciame di un capo vivente, uscire un petto.

Là, l’acqua torbida ribolle e poi disperdendosi

Sente in sé dei capelli ed un capo si scuote … »

Ronsard, in una delle sue più celebri “Elegie”, riassume il problema molto bene:

« O dei, quanto vera è la filosofia che dice ch’ogni cosa alla fine perirà,

e cambiando forma in altro vestirà!

… la materia resta, la forma svanirà.

La materia qui, nel pensiero del poeta, è divinizzata, poiché porta in se stessa in potenza tutte le forme possibili e ne produce la varietà. Questa materia è certamente dunque l’anima del mondo. Gli esseri non sono che manifestazioni provvisorie e successive di uno stesso principio vitale « incluso, infuso » nella natura. – Infine Rostand, come ogni buon gnostico pratica il culto del demonio. Egli ne eredita la storia dai sogni neo-platonici di Giamblico, dal cronicario bizantino Psellos, ai tomi degli occultisti. – Egli ha pubblicato « L’inno dei demoni », dedicato al vescovo di Riez, Lancelot Carle, grande estimatore dei filosofi segreti, con l’intenzione di sfuggire ai fulmini dell’Inquisizione riparandosi dietro un prelato. Questo poema si ricollega alle tradizioni più esatte delle scienze occulte dell’epoca. In questo poema, Rostand ci racconta che i demoni sono stati concepiti dalle donne della terra per mezzo di Angeli (guadate che potenza viene attribuita alla bellezza femminile) e che Dio, avendo punito i colpevoli, perdonò ai figli innocenti, « che, non essendo colpevoli dei misfatti dei loro genitori, tenendosi più dalla parte del padre che della madre, si involeranno in aria come cosa leggera ».

Ecco uno stravolgimento un po’ forte del dogma del peccato originale. Questi demoni hanno animato i diversi pianeti che governano, attraverso loro, gli atti ed i caratteri dei mortali:

« Secondo l’astro del cielo sotto il quale essi sono nati,

quelli di Saturno fan l’amore malinconico,

quei di Marte, il collerico, quei di Venere, lubrico;

quei del sole amati, felici, di Giove … »

Da ciò si vede ancora che l’Astrologia è certo una scienza demoniaca, perché pretende di determinare gli atti umani con una influenza astrale che toglie loro ogni libertà. –  Si comprende bene pure che questi “demoni” non sono altro che gli arconti degli gnostici o gli zephiroth dei kabbalisti; sono le perfette emanazioni del “gran tutto” che comandano il cammino dell’universo e governano le umane volontà. Si vede ancora apparire in filigrana attraverso questo poema, la riabilitazione di satana, ridivenuto lucifero e padrone del cielo, che i romantici fra non molto esalteranno.

[2 – Continua …]