MEDITAZIONE SUL VANGELO: L’INFERNO

L’INFERNO

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli, vol. III. Società Ed. “Vita e Pensiero” – Milano, 1939 – imprim.]

Un filosofo francese faceva un giorno, con la sua anima, questo dialogo: « Anima mia, se tu abusi, non solo sarai infelice in questa vita, ma ancora dopo morte, nell’inferno ». – E l’anima dal fondo gli rispondeva con un filo di fiato: « Ma chi ha detto che c’è l’inferno? ». E il filosofo: « L’inferno è così orrendo, che anche solo il dubbio che ci possa essere, ci dovrebbe costringere a far giudizio ». L’anima ardì rispondergli: « Io son certa che l’inferno non c’è ». « Anima mia, non dir bugie ! » gridò il filosofo. « Se sei persuasa che l’inferno non c’è, io ti sfido » (Diderot). – Quando dalla bocca di qualche uomo ascolto l’eresia: « Morto io, morto tutto. L’inferno è una favola… », io lo guardo con un sorriso di compassione e dico: « Buon uomo non dir bugie, che tu stesso non sei persuaso delle tue parole. È la tua vita sregolata; è un certo guadagno ingiusto a cui ti sei attaccato; è quell’affetto impuro che non vuoi spegnere in cuore; è quel peccato che non vuoi confessare, che ti fa dir così ». – « Finito noi, finito tutto: mai nessuno è venuto a dirci quello che c’è di là ». — Non dir questo, che non è vero. Oggi stesso viene Gesù, Gesù morto e risorto, Gesù, Figlio di Dio che non inganna, oggi stesso viene col suo Vangelo e ti dice che l’inferno c’è. « Come un re che festeggia le nozze del suo figliuolo, così è il regno dei cieli. Erano stati invitati molti, e il re per tempo li mandò a chiamare. Non vennero. Li mandò a chiamare un’altra volta: e quelli schernirono, batterono, uccisero i poveri servi. « Il re adirato disse: Le nozze si faranno egualmente e senza di loro. Andate negli incroci delle vie, e tutti quelli che passeranno invitate alla mia festa. – « Allora una folla d’ogni colore si riversò al banchetto: ogni posto fu occupato. – « Il re passò nelle sale a salutarli; ma vide un uomo senza la veste nuziale. Fremette e gli disse: Amico! in quest’arnese si viene qui? — Il misero taceva. — Prendetelo! stringetegli con ferri mani e piedi, e buttatelo di fuori nell’oscurità, dov’è pianto e stridore di denti ». Mittite eum in tenebras exteriores, ibi fletus et stridor dentium. – Il Signore parla chiaro: se qualcuno gli comparirà mal vestito, (e il peccato è un pessimo vestito), sarà buttato fuori dalla sua presenza, nell’oscurità ove in eterno piangerà nello stridor dei denti. Dunque l’inferno c’è. E c’è perché Dio è giusto; perché Dio è buono.

Ecco tre pensieri da comprendere bene.

1. L’INFERNO C’È

Se lo dicesse un profeta che l’inferno c’è, gli credereste voi? Ebbene: ricordate che non uno, ma molti profeti sono venuti sulla terra a dir alla gente che l’inferno c’è. Isaia così parla dei dannati: « Il verme che li rode non morrà mai; il fuoco che li divora non si spegnerà mai » (LXVI, 24). – E Daniele dice: « Tutti risorgeranno: alcuni destinati alla vita eterna, altri alla rovina eterna ».

Se venisse Gesù Cristo a dirvelo, credereste che l’inferno c’è? Ebbene: sappiate che Gesù Cristo è venuto e l’ha detto; e più d’una volta Egli stesso ci ha insegnato che è molto meglio sottoporci in questo mondo ai più dolorosi sacrifici, anche a lasciarci amputare un braccio e cavare un occhio piuttosto che incorrere nel supplizio eterno (S. Matth., XVIII, 8). Egli stesso parlando del giudizio finale, ci rivelò le parole che dirà ai condannati: «Via da me, o maledetti; andate in fuoco eterno ». E quelli dovranno entrare nel tormento senza fine. Ibunt hi in supplicium æternum (S. Matth., XXV, 4 6).

Se venisse qua a dirvelo un Apostolo, S. Paolo per esempio, credereste allora che l’inferno c’è? Ebbene: sentite S. Paolo, che cosa scrive ai Tessalonicesi: « Quelli che non riconosceranno Dio, quelli che non obbediranno al Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, riceveranno in morte tormenti eterni (II Tess., I, 8).

Non basta? È necessario forse che vengano a dirvelo trecento vescovi insieme? Ebbene: sono i trecento vescovi, tutti raccolti a Nicea che dissero: « Quelli che faranno bene entreranno nella vita eterna. Ma quelli che faranno male entreranno nel fuoco eterno » (Simb. Atan.).

L’inferno c’è. Più chiaro di così non potrebbe dirvelo nemmeno un dannato, se vi comparisse in casa vostra. E se non credete alle testimonianze dei profeti, di Cristo, degli Apostoli, di tutta la Chiesa, non credereste neppure a vederlo coi vostri occhi stessi. Fareste anche voi come Gaetano Negri che diceva: « Se io, proprio con i miei occhi, in pieno giorno, vedessi anche un miracolo, non crederei ». Come, mai? « Correrei in casa, mi caccerei in letto, mi metterei il ghiaccio sul cervello, persuasissimo d’aver un febbrone ».

2. C’È PERCHÈ DIO È GIUSTO

Semei figlio di Gera aveva rincorso lungo il Cedron il re David, lanciandogli la maledizione peggiore. Ora, morto David, Salomone lo fece chiamare e gli disse: « Fabbricati una casa in Gerusalemme e là vi abiterai, senza uscir mai dalla città. Poiché se ti coglieranno, in qualche giorno, oltrepassare il Cedron, tu morrai: il tuo sangue allora sia sopra il tuo capo ». Semei rispose al re: «Dici bene, perché io ho maledetto David. Così farò ». – Dopo tre anni fu riferito a Salomone che Semei era uscito da Gerusalemme, fino a Geth. Mandò subito a chiamarlo: «Semei! Semei! Non te l’avevo io minacciato? Non te l’avevo io predetto, che ogni qualvolta fossi uscito dalla città e avessi passato il Cedron t’avrei messo a morte? Ora ci sei caduto. Muori dunque, e di questa morte tu solo fosti la causa; tu solo e la tua malizia ». Dominus reddidit malitiam tuam in caput tuum (III Re, II, 44). E Salomone fece spiccare la testa a Semei di Gera. – Nessuno poté accusare Salomone d’ingiustizia o di crudeltà per questa morte, poiché Semei era stato preavvisato. E chi allora potrà accusare d’ingiustizia il Signore quando ci condannerà all’inferno, se più e più volte ci ha avvisati, scongiurati, minacciati? quando anche oggi, vi fa ammonire dal sacerdote che spiega il suo Vangelo? « L’uomo avvisato — dice un proverbio — è mezzo salvato ». E se dopo tutto questo noi cadiamo in inferno, l’ingiustizia non è di Dio, ma nostra. Malitia tua in caput tuum.

« È impossibile — si sente dire — che l’inferno esista; Dio è troppo buono … ». È vero, cristiani; Dio è troppo buono; è infinitamente buono. Ma è pure infinitamente giusto. Che direste voi di un uomo che avesse un braccio lungo e l’altro corto corto? che è un mostro. Allora non fatemi di Dio un mostro. Non crediate che il braccio della sua misericordia sia lungo lungo, e quello della sua giustizia corto corto. Dio è buono, ma anche giusto. – Vedete: a questo mondo c’è poca giustizia. Gli iniqui spesso trionfano: hanno ricchezze, palazzi, cibi, vesti, amici, onori. E nelle cause hanno sempre ragione. Mentre ci sono invece degli uomini buoni che al mondo soffrono: soffrono la miseria, le malattie, l’ingiustizia dei più forti. Ad essi, molte volte, come al povero Lazzaro, vien negato perfino quello che si butta ai cani. È necessario allora che la giustizia si faccia almeno nell’altro mondo; che il povero Lazzaro abbia nel cielo quel che gli fu negato in terra; e che all’Epulone sia negato in cielo quel che ha negato agli altri in terra. Dio è giusto! consolatevi, voi che patite, perché Egli vede ogni vostro dolore, conta ogni lagrima vostra, ogni vostro affanno, anche il più nascosto… niente andrà perduto; di tutto sarete compensati. Dio è giusto! Spaventatevi, uomini tristi, che vivete nel peccato; che non osservate le leggi di Dio; che angariate il vostro prossimo… niente andrà perduto; di tutto sarete puniti, anche di un desiderio cattivo. La vostra pena è l’inferno; che c’è, perché Dio è giusto.

3. C’È PERCHÈ DIO È BUONO

Di solito si dice che l’Inferno non c’è perché Dio è buono e non può farci soffrire così. Ma io vi dico che appunto perché Dio è buono, l’inferno c’è. – Un magnifico re, che aveva un unico figlio, una volta cominciò a voler bene anche al figliuolo di un suo schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere. Il gran re lo nutrì ogni giorno, lo arricchì, lo colmò di favori e arrivò perfino a chiamarlo suo figlio, a farlo erede d’ogni sua sostanza insieme all’unigenito suo. Questo figlio adottivo, un giorno malaugurato, commise un pessimo delitto e fu condannato a morte dalla giustizia. Il re non poteva andar contro giustizia. Era straziato dal dolore, eppure l’amava ancora. E in una follia, che solo l’amore potrebbe spiegare, piuttosto che lasciar condannare lui — figlio di schiavo, che non aveva nulla di suo, che viveva solo perché egli lo faceva vivere — preferì veder morire il suo unigenito: l’innocente. E sopportò che questi patisse fame e stanchezza, obbrobrio e dolore, che fosse tradito, messo in croce. Tutto sopportò, pur che l’altro si salvasse. Non basta: l’amore non è ancor stanco. L’altro non si pente; salvato ritorna ancora al pessimo delitto. Il gran re lo segue per ogni via, gli perdona più volte, lo conforta. Inutilmente: eppure l’amore, non è ancor stanco. Lo perseguita con rimorsi; lo fa avvisare dai suoi ministri; ma lo sciagurato s’abbandona al capriccio di tutte le sue passioni. Una volta annunciano al re che egli è malato da morire. Il re lascia ogni cosa e corre al suo capezzale e lo chiama: « Guardami in viso: sono io, il tuo Re, ma chiamami padre, che tu sei mio figlio. Guardami, son io ». E l’ingrato stringe i pugni, si nasconde nelle coltri, gli volta le spalle, e rantola nell’agonia: «Vattene! che non ti voglio ». Oh dite: che farà adesso l’amore? L’amore non corrisposto, o peggio tradito, è terribile nelle sue vendette. Ne potrebbe dire l’orgoglio umano qualcosa! Che farà allora il gran re con quell’ingrato? Che farà allora Dio col peccatore, poiché già tutti l’avete indovinato, il gran re è Dio e il figlio ingrato è il peccatore? Egli non ha più che la vendetta per salvare il proprio onore. Cadi, peccatore, cadi nel fuoco che non si spegne mai; cadi nel dolore che non ha fine, mai; cadi nell’inferno. L’inferno c’è perché Dio è amore, e guai a chi non lo ama. Con lui non si scherza (Gal., VI, 7). Questo non è mio pensiero, ma è di S. Giovanni; ed io non ho fatto che ampliarlo: « Quis non timebit te, Domine, quia tu solus pius es? ». Dobbiamo dunque temere Dio, appunto perché è buono.

CONCLUSIONE

Lisimaco, bruciato dalla sete, pur d’avere una tazza d’acqua fresca, onde placare quel tormento d’arsura, diede i suoi beni e il suo regno e la sua felicità in mano del nemico. E bevve. Dopo quella breve soddisfazione, mirando la tazza vuota, scoppiò in pianto. « Dii boni! quam ob brevem voluptatem amisi felicitatem summam ». « Un regno per una tazza d’acqua! la felicità di tutta la vita per il rinfresco d’una bevanda! Condannarmi a un fuoco eterno per liberarmi da un poco di sete! Che ho mai fatto… ». E cominciò a piangere che riempì di lagrime quella tazza che aveva vuotata d’acqua. – Quando commettiamo il peccato, la pazzia di Lisimaco la ripetiamo noi. Per un breve piacere, per la soddisfazione momentanea d’una passione, perdiamo ogni merito, il paradiso, la somma felicità di goder Dio e ci condanniamo al fuoco eterno. Se così abbiamo fatto, giacché siamo ancora in tempo, riempiamo con le lacrime del pentimento la tazza del piacere, che abbiamo vuotata. Queste lacrime varranno a spegnere il fuoco che ci potrebbe tormentare nei secoli dei secoli.