IL CARNEVALE

IL CARNEVALE

[G. Colombo:  Pensieri sui Vangeli, vol. I – Milano Soc. Ed. “Vita e pensiero”, 1939 – impr.]

Erano in cammino verso Gerusalemme ove avrebbero celebrato le feste di Pasqua: l’ultima Pasqua di Gesù sulla terra. Triste e misterioso Egli camminava davanti: dietro silenziosa e timorosa veniva la piccola compagnia dei suoi amici. – Forse già vedeva nell’ombra del tempio il Sinedrio radunato per congiurare contro di Lui; forse già si sentiva avvolto dall’urlo della plebaglia che domandava il suo sangue; forse già udiva le risate e lo scherno che avrebbero lanciato contro il suo patibolo. E non ne poté più. Si volse indietro a confidare il suo cuore ai dodici: « Ecco: noi andiamo a Gerusalemme, ma tutto quello che i profeti hanno scritto del Figliuolo dell’uomo sta per accadere: mi consegneranno al tribunale dei Romani, mi prenderanno a gioco, mi sputeranno in faccia, mi uccideranno in croce ». E tanta era la malinconia del suo sguardo e della sua voce che quelli protestarono udendo le parole dolorose, senza neppure capirle. – In quel momento si levò un grido: « Gesù, figliuolo di Davide, un po’ di pietà anche per me! ». Era un cieco che mendicava da quelle parti. E nel cuore del Maestro, ci fu un po’ di pietà anche per lui.

« Che vuoi da me? ».

« Da te, voglio vedere ».

« E sia! ». Dagli occhi caddero come due veli oscuri e vide il mondo e chi l’aveva creato. Lontano, sopra il verde della campagna, apparivano le mura di Gerico arrossate dal sole. Questo commovente brano di Vangelo, come è adatto per la settimana del Carnevale! In questo tempo al Figliuolo dell’uomo si rinnova la sanguinosa passione; perciò in questa domenica, egli può ripetere ancora con tutta verità, le sue parole strazianti: « Mi prenderanno a gioco, mi sputeranno in faccia, mi uccideranno in croce ». Tutti i peccati di gola non sono forse il calice amaro per lui rinnovato? – Tutte le immodestie del vestire, gli sguardi impuri, le azioni oscene non gli ripetono forse la spartizione dei suoi abiti e la barbara flagellazione? E le maschere che nascondono il volto per non sentire il rossore di certe bassezze, non sono simili alle bende entro cui i soldati nascosero il capo maestoso di Dio, per essere più liberi d’ingiuriarlo? E ogni bestemmia, e ogni grido immondo, e ogni riso incomposto non somiglia agli sputi con cui fu lordata la guancia del Signore? – Sì! per Gesù la settimana grassa è una nuova settimana di passione; e i peccati del carnevale gravano le sue spalle, come un giorno la croce su cui doveva morire. Per fortuna a questo mondo non ci sono appena giudei; né appena brutali soldatacci a cui gode il triste cuore nel martoriare un’innocente; né tutti sono come Pilato, né tutti sono come Erode o Caifa: ci sono anche delle anime buone, come la Veronica, che detergono il volto del Salvatore dalle lagrime e dal sangue; ci sono anche degli uomini generosi, come il Cireneo, che lo aiutano a portare la croce. – Mai come nella settimana di carnevale, Gesù è fatto segno di contradizione: da una parte la sfrenata follia, dall’altra l’amore fedele.

1.  SETTIMANA DI SFRENATA FOLLÌA

Nelle leggende dei re di Roma, il nome di Tullia è il più detestabile. Questa perfida donna aveva fatto pugnalare il re suo padre e poi salita sul cocchio dorato comandò che la trasportassero rapidamente al Campidoglio ove si sarebbe incoronata regina. Ma, lungo la strada, il cocchiere rallenta il corso e, volgendosi a Tullia, dice: « Non si può proseguire; il cadavere insanguinato di vostro padre è disteso attraverso la via ». Quella spietata, per niente sbigottita, urlò: « Perge! Perge, regium calca sanguinem, dummodo imperem ». E agitando le briglie e sferzando i cavalli adombrati, trascorse sul cadavere del re suo padre, ucciso. Per lungo tratto le ruote del cocchio segnarono due strisce rosse nel selciato. Da allora quella via fu detta la via scellerata. – Via scellerata è pure la settimana del Carnevale. In essa le anime, — come su un cocchio — volano bramose ai piaceri peccaminosi. Dal profondo una voce si leva e protesta: « Fermati: sulla strada di questi divertimenti c’è disteso il Corpo di Cristo, tuo Re e tuo Padre, morto in croce». «Non importa! — rispondono esse. — Purché io possa godere, avanti !… ». Perge, dummodo imperem. E passano oltre e col calcagno calpestano le mani piagate, i piedi piagati, il cuore piagato del Crocefisso.

a) Ma è un bisogno divertirci un po’ prima di entrare nei giorni severi della quaresima! Quelli che ragionano così, son poi coloro che trasgrediscono tutti i digiuni, le penitenze, le preghiere del tempo quaresimale. Ed inoltre, come si possono chiamare divertimenti le ubriachezze, i veglioni, i balli, e tutte le svariate disonestà, con e senza maschera? – « Non divertimenti, — grida S. Giovanni Crisostomo — ma questi sono peccati e delitti ». – Hanno colpito giusto i Padri antichi quando dissero che la baraonda del carnevale è un’invenzione del diavolo. E quelli che ci guazzano dentro sono tutti cristiani che si vogliono, in pratica almeno, sbattezzare. Quando furono portati al sacro fonte il ministro di Dio ha detto loro: « Rinunci al demonio e alle sue pompe? ». « Rinuncio » fu risposto. Ma ecco che in questi giorni moltissimi si strappano dal cuore le rinuncia e il battesimo, e tornati pagani si gettano al culto dei sensi, e alle pompe demoniache.

b) Ci sono altri che ragionano così: « Io non ci trovo niente di male ad andare a certe rappresentazioni, alle veglie danzanti o cantanti, alle maschere… ».

Povera gente! bisogna proprio dire che ha perso anche il senso del bene e del male. Ricorderò allora un episodio raccontato da Tertulliano, ma che può insegnare moltissimo anche ai nostri giorni. Una matrona, appena entrata in un certo teatro, fu invasata dal demonio. Trascinata davanti al Vescovo, costui, esorcizzandola, costrinse lo Spirito maligno a dire perché avesse osato molestare quella donna che era pur buona e religiosa. « Se questo ho fatto — ripose il demonio — ne avevo diritto. L’ho invasata perché l’ho colta sul mio » (De Spect., cap. 26). – Pensate allora, cristiani, quale sacrilegio commettono quegl’indegni genitori che ai ritrovi carnascialeschi conducono i loro bambini, o lasciano andare le loro figliuole! Quelle madri di Siria che gettavano le loro creature nella bocca infocata del dio Baal, nel giorno del giudizio avranno più misericordia di queste donne cristiane che gettano i loro figli nella bocca ardente del fuoco eterno. – Non hanno tempo né voglia per condurli ai Sacramenti di Dio, e permettono che vadano — o peggio li accompagnano — ai sacramenti del demonio. Così S. Agostino chiamava i divertimenti carnevaleschi, perché invece di farci amici di Dio ci fanno amici del demonio; invece di darci la grazia ci danno la disgrazia; invece di schiuderci la porta del paradiso ci spalancano quella dell’inferno. Quanto poi alle maschere dirò solo una cosa: il primo, in questo mondo, a mascherarsi fu Satana quando si travestì sotto la forma di biscia per rovinare Eva e tutti noi venuti dopo.

2. SETTIMANA D’AMORE FEDELE

Era appunto la domenica di quinquagesima quando a Santa Gertrude apparve Gesù dolorante. Stava in mezzo a due littori ed aveva la testa coronata di spine ed aveva le spalle striate di lividure lunghe e di piaghe rosse come se avessero appena terminato di flagellarlo. La santa ruppe in lagrime a quella visione e domandò se un qualche modo ci fosse per mitigare tanto dolore. E nostro Signor Gesù Cristo le rispose di pregare per i peccatori che nella settimana di carnevale l’avrebbero oltraggiato, ed aggiunse che, dopo morte, quella sua carità sarebbe stata ricompensata con misura buona e soprabbondante. – Anche S. Caterina da Siena, in questi tempi di follie e di peccati, aveva sempre nel cuore l’immagine di Gesù sofferente. Passava la maggior parte della notte in preghiera ed in penitenza, perché in quelle ore in cui il mondo s’abbandona alle orge sfrenate, qualche cuore almeno palpitasse accanto al Dio dei nostri altari. Solo quando la campana del mattutino svegliava le altre suore, ella si concedeva un po’ di sonno contenta perché altre anime avrebbero preso il suo posto. Ricorderò ancora l’esempio di un’altra santa: Santa Ludovina. Da molti anni ammalata e spasimante nel suo letto, una notte udì venir su dalla via un gran rumore di risa e di canti. Domandò che fosse. « E’ il carnevale » le fu risposto. Ed ella pensando a tutte le offese che in quelle ore gli uomini avrebbero commesso contro Dio, esclamò: « Come sono contenta di patire in riparazione! Signore, se una grazia mi vuoi concedere, non è la salute, ma altre malattie ed altri dolori perché io possa riparare di più ». Non crediate che la generazione di queste anime sia esaurita. Pensate alle centinaia di povere suore che queste notti di peccato non dormiranno, e gemeranno genuflesse davanti all’altare, e imploreranno pietà per gli uomini. Pensate a quanti giovani, operai, impiegati, studenti, nelle nostre città passeranno lunghe ore in adorazione e in riparazione. Pensate a quanti ammalati negli ospedali che non potendo dormire offriranno volentieri il loro male e ripeteranno dolci invocazioni d’amore verso Dio. Pensate a quante madri di famiglia, a quante fanciulle, che magari stanche dal lavoro della giornata, vorranno passare qualche ora in preghiera tra le mura della loro casa. Pensate a tutte le anime delicate che in questa settimana moltiplicheranno i digiuni, le mortificazioni, le comunioni per significare a Gesù tutta la forza del loro amore. – E noi, Cristiani, non faremo nulla per consolare il Sacro Cuore?

CONCLUSIONE

Ripeterò a tutti voi, l’esempio e l’esortazione che già S. Ambrogio diede, in principio del carnevale, ai cristiani del suo tempo. L’eroe Ulisse, tornando da Troia conquistata, doveva passare dall’isola delle sirene: di là si levava sempre una canzone affascinante, allettatrice, irresistibile. Ma ogni nocchiero che cedeva alla lusinga di quella musica andava alla rovina; e già la scogliera era tutta bianca di ossa umane. L’astuto eroe per superare la tentazione si fece legare all’albero della nave, e pregò i compagni a non staccarle se non oltrepassato il pericolo. Solo così poté salvarsi e rivedere i fumanti comignoli di Itaca, suo regno e sua dimora. – Cristiani, il carnevale può avere per noi una voce di sirena, irresistibilmente allettatrice: chi cede, va incontro alla bianca scogliera dell’eterna rovina. Leghiamo l’anima nostra all’albero della Croce da cui pende Iddio che muore per la nostra salute; meditiamo il suo gemito, e scamperemo anche noi da ogni pericolo.

PENSIERO DI PASSIONE IN CARNEVALE

Nella Storia sacra si racconta di una città dove le acque erano diventate melmose e imbevibili. Gli abitanti ricorsero al profeta Eliseo, il quale fattosi portare un vaso colmo di sale, lo versò nelle fonti inquinate. Da quel momento le acque rifluirono limpide e potabili (IV Re, II, 19-21). Nel tempo del carnevale le acque del mondo davvero si fanno melmose ed esalano miasmi pestiferi di corruzione. I buoni Cristiani costretti a viverci in mezzo sono in un grave pericolo di contagio, se non ricorrono alla disinfezione. Ed ecco la santa Chiesa imitare il gesto del profeta Eliseo, e con materna preoccupazione versare nelle anime il sale che purifica e preserva. Questo sale è la memoria della Passione di nostro Signore. Essa infatti, proprio in questa domenica [di quinquagesima], ci fa meditare quelle righe di Vangelo in cui Gesù predice agli apostoli la sua crocifissione imminente. Il Maestro andava per la Pasqua a Gerusalemme, e sapeva di fare un viaggio senza ritorno nella sua vita mortale. Lungo la strada prese a parte i Dodici e sollevò a loro il velo che nascondeva la sua prossima fine. « E’ arrivato il momento — diceva — in cui le profezie intorno al Figliuolo dell’uomo debbono avverarsi. Tra poco sarà dato in potere dei Romani: ecco già io vedo che lo scherniscono, gli sputano in faccia, lo flagellano a sangue; dopo averlo flagellato, lo conducono alla morte. Però, non passeranno tre giorni, ed Egli risorgerà ». Di queste misteriose e dolorose previsioni, gli Apostoli non capivano nulla; se qualcosa ne capivano, non volevano crederci, tanto pareva loro orribile. Erano ciechi nell’anima, come lo era nel corpo l’infelice che incontrarono nelle vicinanze di Gerico, a cui Gesù diede la vista con un miracolo. Anche agli Apostoli si sarebbero poi aperti gli occhi a intendere il mistero della croce. Anche i nostri occhi sono stati aperti alla luce della fede. Perciò, in questa domenica che il mondo chiama « grassa » per i piaceri sensuali e le folli allegrie a cui molti s’abbandonano, ripensando alle parole del Signore sulla sua passione, dobbiamo sentirci commossi. Ci deve sgorgare dal cuore la preghiera di S. Agostino: « Signore, fammi sentire tutto il dolore e tutto l’amore che provasti nella tua passione: tutto il dolore per accettare ogni mio dolore quaggiù; tutto l’amore per rifiutare ogni amore mondano ».

.. SENTIRE IL DOLORE DELLA PASSIONE DI GESÙ PER ACCETTARE OGNI NOSTRO DOLORE

a) Sei forse povero?

E’ duro arrabattarsi da mane a sera nella miseria: sempre con l’acqua dei debiti alla gola; assillati dall’affitto da pagare, dalle vesti e dal cibo da provvedere; tremanti per la paura di possibili umiliazioni. Più duro ancora quando tu, o povero, volgendo intorno gli occhi offuscati da tante preoccupazioni, e privazioni, vedi che in una notte sola si può sperperare ciò che a te assicurerebbe un anno di pigione e di riscaldamento: in una veste da ballo o da maschera si può. Impiegare ciò che a te basterebbe per ricoprire decentemente il corpo intirizzito di tutti i tuoi figliuoli; in liquori, dolci e profumi si può irritare uno stomaco già sazio, mentre tu non hai neppure il sufficiente per te e per i tuoi. – Ebbene, bisogna che tu o povero, sappia oltrepassare l’ingiuriosa baldoria del carnevale, e senta di là da essa la sofferenza di Gesù. Il Figlio di Dio, pur essendo padrone dell’universo, ha voluto vivere quaggiù nella povertà: nacque in una stalla; visse lavorando manualmente per trent’anni; durante la vita pubblica, più povero dell’uccello che ha un nido, più povero della volpe che ha una tana, egli non aveva dove posare la testa stanca; sulla croce patì perfino la sete. Col suo esempio volle insegnarti che il valore dell’uomo non è nelle cose che possiede, ma nelle virtù dell’anima; ed in mezzo alla povertà è più facile all’uomo essere ricco di virtù che non in mezzo alle ricchezze.

b) Sei forse malato? o è malato qualcuno dei tuoi cari?

E’ penoso trascinare una vita tra letto e lettuccio, penoso anche aver qualche persona cara malata in casa, o all’ospedale, o al sanatorio. – Risuonano intorno le risa, i canti, i suoni dei gaudenti. Questi hanno salute da sprecare, nei peccati; altri dopo tante preghiere non ottengono neppure quel minimo d’energie che è necessario per non essere di peso al prossimo e a sé nella vita. Ebbene, bisogna che gli ammalati o i loro parenti sappiano oltrepassare la disfrenata allegria carnevalesca, e sentano di là da essa la sofferenza di Gesù. Il Figlio di Dio, pur essendo innocente, ha voluto subire nella sua carne atroci tormenti: i tormenti della flagellazione, della coronazione di spine, della crocifissione. Non aveva membro che non fosse una piaga. Egli scontava per noi i nostri peccati di sensualità. – Noi invece abbiamo sempre qualche cosa di nostro da scontare; e poi sollevando lo sguardo a Lui, sentiamo che ogni nostro dolore non solo ci purifica, ma ci rende più simili a Lui, e quindi partecipi in maniera più grande del suo merito e del suo premio. Qualunque pena sia la nostra, nella passione del Signore trova il suo perché e la sua consolazione.

c) Siamo decaduti dalla nostra dignità, dalla nostra condizione sociale? E’ veramente doloroso; ma pensiamo a Lui disceso dalle altezze del cielo su questa bassa terra piena d’affanni.

d) Gli uomini ci deridono, ci calunniano, ci perseguitano ingiustamente? – E’ dolorosissimo; ma pensiamo a Lui accusato d’aver, in corpo il demonio, di aver sobillato il popolo alla rivolta, d’aver bestemmiato.

e) Ci troviamo soli al mondo, ingannati dagli amici, abbandonati dai parenti, incompresi da tutti? Pensiamo a Lui tradito con un bacio da Giuda, lasciato solo dagli Apostoli che nell’ora della prova, prima dormirono, poi fuggirono, a Lui che gemendo disse questa misteriosa invocazione: « Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

2. SENTIRE NELLA PASSIONE L’AMORE DI GESU PER RIFIUTARE OGNI AMORE MONDANO

Quando S. Agnese fu richiesta in nozze dal figlio del governatore di Roma, si trovò nella drammatica alternativa di rinunciare all’amor di Gesù Cristo o di rinunziare alla vita. Ed ella a tutto rinunziò, anche alla vita, ma non all’amore di Gesù. « Sono già stata promessa — rispose — ad un altro amante ben più eccellente di te. La sua generosità è incomparabile, la sua potenza non conosce limiti, il suo amore non teme sacrifici. Suo padre è Dio, sua Madre è una Vergine; i suoi servi sono gli Angeli; il sole e la luna sono gli ornamenti della sua casa; il suo profumo risuscita i morti, il suo contatto guarisce i malati. A lui solo io conservo la fede. E tu vattene, o sorgente di peccato, o lusinga di morte ». – Se l’anima nostra comprendesse di che amore immenso è stata prevenuta, e quale testimonianza le fu data dal Signore nella sua passione, dovrebbe ripetere le risolute parole di S. Agnese ad ogni profferta peccaminosa di qualsiasi creatura. Nessuna creatura è grande e dolce come Gesù. Nessuno ci può far felici come Gesù. Nessuna ci amò fino alla morte, e alla morte di croce, come Gesù. Perciò quando il mondo coi suoi affetti sensibili, coll’attacco al danaro e alla roba, con i barbagli dell’onore, vorrà affascinarci, noi gli risponderemo con S. Agostino: « Perché tante lusinghe? ciò che io amo è più dolce di ciò che prometti. Mi prometti piaceri carnali? è più piacevole Dio. Mi prometti onori e innalzamenti? è più alto il regno di Dio. Mi prometti inutili e dannose curiosità? solo Dio è verità. Mi prometti amore e felicità? solo Gesù è morto per mio amore ». Vattene dunque, o sorgente di peccato, o lusinga di morte.

CONCLUSIONE

Come è possibile amar Dio, che non si vede? se lo si vedesse!… C’è forse bisogno di veder Dio con gli occhi del corpo per poterlo amare? Non basta sapere che egli esiste, che siamo visti da Lui che non vediamo, che ci è vicino, ci sente, ci ama infinitamente. L’esule relegato in un isola remota in mezzo all’oceano pensa alla sua famiglia lontana, lavora, ed ama. Il pellegrino lontano dalla sua patria, dalla sua casa, cammina ed ama. Il prigioniero, nell’oscura carcere, non vede i suoi cari, eppure ad ogni istante sospira ed ama. – Anche noi pur essendo esuli relegati su questa terra, pellegrini in mezzo alle fugaci illusioni del mondo, prigionieri nella carcere delle cose sensibili, possiamo e dobbiamo amare Dio che adesso non vediamo, che un giorno vedremo a faccia a faccia. Il nostro cuore sia dunque un santuario: arda sempre in esso la lampada del divino amore.