GNOSI TEOLOGIA DI sATANA – 22- :

GNOSI, TEOLOGIA DI Satana -22 –

La gnosi in Dante, il “divin copione” col “vizietto”, nemico della Chiesa Cattolica Romana!

[Elaborato da: É. Couvert: “Visages e masques de la gnose”, Chirè en M. 2011]

Introduzione: il “Caso” Dante

Lo studio degli scritti del poeta fiorentino, ha costituito una scienza specifica peculiare al poeta, la “Dantologia”, formando una classe di interpreti specializzati, i “dantologi”. In effetti Dante ha mistificato buggerando i suoi lettori. Egli ha moltiplicato nei suoi scritti allegorie e simboli, e se le allegorie sono facilmente reperibili, i simboli invece sono ermetici, difficilmente decelabili. Dante ha nascosto il suo vero pensiero e dissimulato le sue intenzioni sottogiacenti in un simbolismo delirante, capace di dirottare i lettori verso le trappole più inestricabili; il lettore infatti viene anche lasciato “en suspens” sui diversi sensi possibili di uno stesso simbolo. Lo dice lo stesso Dante « O voi ch’avete l’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconda sotto al velame de li versi strani » (Inf. IX, 61-63). Compiacersi del nascondere la propria dottrina e del prendere in giro i propri lettori, non è l’opera di un uomo onesto, ma piuttosto di un mistificatore che non vuole esprimere chiaramente il suo pensiero, indubbiamente perché esso non è trasparente. Così possiamo vedere i cosiddetti “dantologi” sforzarsi invano di dare a questi simboli un significato verosimile, che possa chiarire definitivamente i testi. Ma qui non entreremo in questo ambito, e ci accontenteremo di prendere i testi nel loro senso ovvio, quando ne hanno, e per il resto lasciamo agli interpreti ogni libertà nello sfidarsi in un gioco sterile. Ma nel “caso” Dante c’è dell’altro ancor più strano, si ha la sensazione che gli “specialisti” del poeta abbiano cercato soprattutto di “occultare” ed insabbiare ciò che potesse alterare la visione di mirabile stupore e l’aureola che essi hanno diffuso sul loro “idolo”. Uno di essi, Bernardo Sanvisenti, scrive: « Per il resto, ed è bene che noi medesimi e gli stranieri lo ricordiamo in questa vigilia del centenario dantesco, questo prodigio della natura che fu Dante, conservò celato nel più profondo del suo spirito, il segreto selle sue fonti o, se si vuole, della sua arte, e tutti coloro che credettero di averlo ritrovato, non fecero altro che illudersi … Il poema di Dante si presenta al nostro culto ammirevole con tutto il suo arcano, che sette secoli di studi e di letture, lungi dal rivelarlo, hanno mostrato trattarsi di materia che sfugge all’investigazione »… certamente ci sono voluti ben sette secoli ed il fatto casuale del riscontro in un erudito arabizzante, per conoscere infine la vera sorgente dell’autore che ha potuto così ingannare il mondo per così lungo tempo … perfino un Papa! – Un altro “dantologo”, F. Rossi, ha ancor meglio precisato: « La chiave del problema della Divina Commedia non viene dall’esterno, ma è nella prodigiosa ed inesauribile spontaneità dello spirito dantesco » … contro-verità palesemente manifesta ed ingannevole! Così gli interpreti, con tale alibi, non hanno cercato di indagare la vita personale dell’autore, né le sue “fonti”, né le condanne romane … cose tutte che avrebbero potuto intaccare l’immagine posticcia costruita, o demolire il “monumento” che essi hanno eretto [… monumenti che si vedono materialmente, tra l’altro, in tante piazze “laiche” italiane. Noi andremo dunque ad esplorare questi tre ambiti e svelare ciò che questi letterati hanno cercato strenuamente di dissimulare.

Sulla vita di Dante

Nella vita del poeta, esistono molte zone d’ombra che i “dantologi” non hanno mai cercato di chiarire. A partire dal suo esilio da Firenze, egli conduce una vita errante da mentecatto, sulla quale non si sa molto; questa ha avuto come fine il ritagliare il suo personaggio, confondere le piste e dare una diversa luce alla sua vera personalità. Nel Convivio, si traveste da antico romano, sullo stile di Catone il vecchio. Andiamo dunque a ristabilire qualche verità! Dante incontra in Purgatorio il suo vecchio amico e condiscepolo Forese e gli dice: « Se tu riduci a mente/ qual fosti meco, e qual io teco fui,/ ancor fia grave il memorar presente./ Di quella vita mi volse costui/ che mi va innanzi… » [Purg. XXIII-115 e segg.]; comunque Forese non prova alcun orrore particolare a questo riguardo, ed il figlio del poeta, Pietro Alighieri, per scusare suo padre, spiega che « il vizio ed il peccato di sodomia è frequente soprattutto tra i giovani dediti alle scienze e alla dottrina », e che la setta dei professori e degli studenti è abituata a questo vizio … ecco! – Non è allora proibito il pensare che le tendenze omosessuali non fossero estranee alle sue difficoltà familiari ed all’abbandono dei suoi. – Esaminiamo ugualmente il suo amore per Beatrice. Noi non ci interessiamo della diatriba degli eruditi sull’identità di questa Beatrice, non ci proponiamo di sapere se essa sia veramente esistita e sia solo un avatar, un’allegoria, ad esempio della teologia, come si è voluto far credere. Noi consideriamo semplicemente questo amore nella sua caratteristica fondamentale. Glorificare un essere virtuale, delineatosi dalla propria immaginazione, attribuirgli tutte le bellezze e le virtù desiderabili, tributargli un vero culto non configura certo un’attitudine cristiana. Si tratta infatti di una forma di quell’amor cortese cantato dai trovatori provenzali e dai poeti italiani del “dolce stil novo”,  sulla falsa riga di un amore spirituale e romantico della donna idealizzata, che ispirava tutta questa corrente letteraria con un misto confuso tra misticismo e sensualità. Abbiamo già dimostrato (v. Gnosi ed Islam 1-5) che questo amor cortese, cantato nelle “corti d’amore”, era di origine musulmana, trasmesso in Occidente a partire dai mistici arabi. Abbiamo indicato il libro-chiave di Denis de Rougemont, “L’amour et l’Occident”, che ha stabilito con precisione questa origine araba ed i veicoli che l’hanno trasmessa in Europa. Dante ne è dunque una ponte di trasmissione, e non dei meno importanti. – Noi abbiamo pure precisato che si tratta di un amore adulterino, praticato fuori dal matrimonio e stornato sempre dalla sua finalità che è la procreazione. È più facile amare un essere costruito a proprio gusto da se stessi, che la propria legittima sposa, un essere cioè di carne ed ossa che richiede un amore difficile, esigente, fedele, perseverante, un amore reale, dunque, non trasognato. Infine è bene precisare che l’incontro di Dante e Beatrice, sulla soglia del Paradiso, non ha alcuna rispondenza, alcun precedente nella letteratura cristiana, come invece lo era nella tradizione musulmana, come vedremo più avanti nello studio delle fonti. Su questo soggetto, abbiamo trovato riflessioni molto giudiziose presso uno scrittore romantico irlandese, Thomas Moore (Dublino 1779, Londra 1852): « Il poeta dante, che vagabonda lontano dalla sua donna e dai suoi figli, trascorre la totalità della sua vita senza riposo e distaccato da tutto, nutrendo il suo sogno immortale di Beatrice, mentre Petrarca, la cui unica figlia risiedeva sotto il suo tetto, dedicò trentatré anni alla poesia ed alla passione di un amore idealizzato … » – «  … È nella natura e nell’essenza del genio, l’essere occupato sempre ed intensamente da se stessi, come il proprio grande centro e la sorgente della propria forza. Tale è la sorella di Lia, Rachele, in Dante, seduta tutto il giorno a rimirarsi allo specchio (Purg. XXVII, 104-105), e le infermità ed anche le miserie del genio sono dimenticate nella considerazione della sua grandezza. Ma chi domanda al presente se Dante avesse ragione o torto nelle sue controversie familiari? E da quanti, tra coloro la cui immaginazione si attarda nell’amore alla sua Beatrice, è ricordato anche il nome di Gemma Donati? »

Le fonti di Dante

Senza dubbio Dante fornisce, tra le sue fonti, solo quelle che sono confessabili, come ad esempio “la consolazione” di Boezio e le referenze religiosamente corrette dell’epoca, con San Tommaso d’Aquino in evidenza, certamente Aristotele [anche se sappiamo che all’epoca esistevano traduzioni poco aderenti al pensiero del “filosofo”] ed anche, all’occasione, Averroè, anche se con qualche restrizione, ma … la fonte fondamentale, quella che è la chiave di tutta la sua opera, era rimasta sconosciuta e scrupolosamente celata nel segreto. C’è voluto, dopo secoli di ignoranza, un colpo del caso per rivelarla. Un erudito ha creduto di riconoscere in certi scritti musulmani della stessa epoca dantesca, delle espressioni, delle formule e delle idee che egli aveva già incontrato negli scritti del toscano. Egli si mette così all’opera e le conclusioni che ha pubblicato nel 1919, hanno rivoluzionato lo studio di questo poeta. Si tratta di Don Miguel Asin-Palacios, un prete spagnolo arabeggiante. Pubblicando la sua “escatologia musulmana”, egli dimostra che tutta la “divina commedia” era in realtà  una parafrasi di diverse opere arabe: “Il viaggio notturno di Maometto”  e “Le rivelazioni della Mecca” di Ibn Arabi, comparse sessant’anni prima della nascita di Dante; ed un’opera intitolata “La Risala” d’Abulala; la maggior parte delle scene riportate in queste opere, sono identiche nel poeta fiorentino e nel poeta arabo: una moltitudini di espressioni e di formule poetiche sono state confrontate fianco a fianco su due colonne da Asin-Palacios, confrontando il testo italiano con il testo arabo. Le analogie sono talmente numerose e precise che non è possibile evidentemente negare il plagio. Nel suo “Viaggio notturno”,  Ibn Arabi racconta la discesa agli inferi e l’ascesa al cielo di Maometto secondo la leggenda musulmana, anche se è opportuno ricordare che questa leggenda ha la sua fonte negli scritti apocrifi di origine giudeo-cristiana: “le ascensioni di Mosé”, “… di Henoch”, “… di Baruch”, “… di Isaia”, che sono state tradotte in arabo e che sono servite da modello al “sogno” di Maometto. Noi abbiamo già dimostrato che l’Islam ha tratto la sue origini dalla dottrina giudeo-nazarea tradotta in arabo e diffusa in Siria nel corso del sesto e settimo secolo della nostra era. Andiamo allora a riassumere rapidamente i considerevoli plagi operati da Dante nella sua “divina commedia”. Si trova tale e quale ad esempio, la bufera infernale del canto quinto dell’Inferno, con le raffiche ed i turbinii che affliggono i lussuriosi, il “vento nero”, il vento delle tenebre con cui Allah frusta i colpevoli, il fiume di sangue, le melme fangose, la pioggia di acqua ghiacciata e di fuoco, la grandine di piombo fuso che trafigge i sodomiti, le cloache di urina ed escrementi ove è immersa la cortigiana Thaïs, il sistema del “contrappasso”, questa legge del taglione che fa sì che ciascuno sia punito per il modo in cui ha peccato, il supplizio del freddo, più intollerabile del calore, lo “zambarin”, questa idea di un mondo che si pietrifica, si congela a mano a mano, sorta di lastra di ghiaccio galleggiante che costituisce l’ultimo grado di durezza, etc. I musulmani sono pieni di immaginazione per quanto riguarda le crudeltà, le “arti” cruenti e l’odio. Si resta certo sbigottiti dal fatto che un poeta sedicente cristiano si compiaccia del raccontare tali orrori. Ma continuiamo a costatare il “copia ed incolla”: sia Maometto che Dante si purificano mediante una triplice abluzione prima di entrare in Paradiso; sotto le ombre del giardino delle delizie il viaggiatore di Abulala incontra una bella fanciulla che Dio gli ha inviato, ella passeggia insieme a lui recitando preghiere divine e gli canta delle canzoni d’amore che precedentemente il poeta Imrulcaïs aveva composto per la sua benamata. Ecco poi che sulle rive di un fiume compare la diletta del viaggiatore in mezzo ad un corteo di Uri il cui splendore celeste abbaglia per bellezza; tale è pure l’incontro di Dante e Beatrice che noi possiamo leggere tal quale nel testo arabo. E continuiamo: come Maometto, Dante incontra Adamo e egli domanda quale lingua parlasse nel Paradiso terrestre; sulla soglia dell’ottava sfera, San Pietro interroga Dante e lo sottopone ad un esame di catechismo sulla fede e le virtù teologali: interrogazione simmetrica all’esame sul Corano prima di entrare nel Paradiso di Allah. Certi commentatori antichi hanno spiegato che Dante aveva inserito questo passo per esporre la dottrina ortodossa cristiana in risposta alle ripetute accuse degli inquisitori e dei suoi nemici che egli chiamava “mordituri”, cioè mordaci, e che gli rimproveravano le sue eresie … indubbiamente.  Se vogliamo continuare il parallelo, occorrerà mostrare come tutta la struttura del poema, dai cerchi dell’Inferno fino alla montagna del Purgatorio e le sfere celesti, sia interamente copiata da una tradizione giudaico-cristiana apocrifa, come risulta evidente nelle “Apocalissi gnostiche”, dei primi secoli cristiani, tradizioni poi passate all’Islam e da questo diffuse in tutto l’Occidente: ed è dimostrato come l’Islam abbia giocato un ruolo fondamentale come veicolo della gnosi nel medioevo a partire dalle crociate. (V. gli studi di E. Couvert pubblicati nei numeri precedenti).

I TEMI GNOSTICI NEL DIVIN “COPIONE”

Temi gnostici; nel corso dei suoi studi universitari a Bologna, il giovane Dante aveva fatto conoscenza con un professore di astrologia, Cecco d’Ascoli, principe degli astrologi, secondo il quale “un medico senza l’astrologia è un occhio che non può vedere”; questi dopo aver per un certo tempo operato a Bologna [non come oculista, per fortuna!], finì per essere bruciato a Firenze. Da questo strampalato astrologo, Dante estrasse questo pensiero, secondo il quale Dio agisce su di noi per mezzo dei “mondi”, che il nostro microcosmo sia sotto l’influsso di un macrocosmo che in noi detta il nostro destino. Per via di questa sacra “ebbrezza” da astrologo il poeta saluta, alla sua entrata nell’ottavo cielo, la  costellazione dei gemelli, il segno sotto il quale egli era nato! “O gloriose stelle, o lume presno di gran virtù, dalle quale io riconosco tale quel che sia il mio ingenio” (Par. XVIII, 73-93) teste o luce si è evoluto. Si è voluto vedere in Dante un filosofo tomista, perché ha fatto spesso riferimento a San Tommaso. Ora non è sufficiente citare San Tommaso, ma bisogna restare fedele al suo pensiero. – Un erudito italiano, B. Nardi, ha rivisitato il pensiero di Dante e non vi ha ritrovato assolutamente l’insegnamento dell’Aquinate. « La maggior parte di coloro che studiano Dante, egli scrive, non hanno voluto deliberatamente comprenderne il pensiero, accettando la leggenda inventata dai neo-tomisti che facevano di lui un fedele interprete di San Tommaso d’Aquino ». Nardi ha dimostrato invece che il poeta ha seguito un pensiero neoplatonico, esposto con linguaggio da pensiero scolastico, ma che si avvicina essenzialmente all’Averroismo e alle tradizioni arabe. Esse gli hanno trasmesso, come visto nei numeri precedenti, la metafisica plotiniana attraverso certe opere ben conosciute: la “teologia apocrifa di Aristotele”,  il “liber de causis” e la “Rivelazione” di Ermete Trismegista: si tratta ben dunque di una tradizione gnostica filtrata attraverso scrittori arabi. Gli gnostici avevano ripreso dagli astrologi la cosmogenesi delle sfere concentriche, costituenti una gerarchia dei mondi con dei cerchi (o delle “ruote” come li chiama Dante), animati da un movimento sempre più rapido a partire dalla terra che ne è il nucleo ed il centro. Nei loro scritti vi erano sette cieli, corrispondenti ai sette pianeti, mentre l’ottavo cielo, l’Ogdoade o Pleroma, era il cielo nel quale le anime dovevano fondersi in un gran “Tutto”. I neo-platonici hanno aggiunto due altri cerchi luminosi al fine di giungere al decimo cielo l’“Empireo”, dove risiede l’Abisso creatore, la sorgente di ogni vita ed il motore eterno (Parad. XXVIII, 36-39). Ora il cerchio dantesco, come simbolo della divinità, trae il suo principio della metafisica di Plotino; quest’ultimo immagina Dio al centro di un cerchio, di un focolaio di luce, dalla quale i raggi si diffondono e si attenuano man mano che si allontanano dal focolaio stesso. Le intelligenze delle sfere celesti riflettono come degli specchi questi raggi ed imprimono le forme nella materia: trattasi dunque di una “emanazione discendente”, che è il dogma fondamentale degli gnostici. Le sfere o cerchi concentrici, queste “ruote” come le chiama Dante, considerate come abitate dagli Angeli, dai Profeti, dagli eletti ripartiti secondo i loro meriti e descritti con evidente compiacenza dal poeta, non hanno alcuna corrispondenza della tradizione cristiana, né nella letteratura biblica, né presso i Padri della Chiesa, né nell’insegnamento comune della Chiesa: esse pertanto non possono provenire che dalle sorgenti islamiche, che hanno ritrasmesso e riversato in Occidente i temi tipici favoriti della gnosi primitiva diffusa dagli apocrifi giudeo-cristiani. E dagli scritti di Averroè, Dante riprende per conto suo delle tesi gnostiche ben conosciute. Egli ha trovato nel “De anima” di Averroè la teoria dell’unità dell’intelletto, che è la formula scolastica dell’anima universale del mondo, secondo la quale le nostre intelligenze personali non ci appartengono, ed i nostri pensieri si fondono nel “pensiero collettivo” dell’umanità. Una conseguenza di questo principio è che la nostra anima non è che una particella dell’universo, essa è dunque di natura divina! È Dante stesso che ce lo dice, giusto per non lasciarci nel dubbio: “si può vedere ormai ciò che è lo spirito. È questa fine e preziosissima parte dell’anima che è la divinità” [« Onde si puote omais vedere che è mente: che è quella fin e preziosissima parte dell’anima che è deitate » (Convivio, III, c. II, 19). Tale è la definizione dello “pneuma” presso gli gnostici. E dunque, quando la nostra “deità” tende verso il suo principio, essa spera questo ritorno all’unità primordiale cantata da tutti gli gnostici. Questo ce lo spiega Dante stesso dettagliatamente: “occorre sapere che l’anima nobile, nell’ultima età, vale a dire nella estrema vecchiaia, fa due cose: l’una è che essa ritorna a Dio, come al porto dal quale essa è partita, quando sta per entrare nel mare di questa vita. Bisogna saperlo: la morte naturale è per noi come un porto dopo una lunga navigazione, ed un riposo. Ed anche a coloro che tornano da un lungo viaggio prima di entrare nel porto della propria città, vengono incontro a lui i cittadini di questa città, così incontro all’anima nobile vengono i cittadini della vita eterna. Essa ritorna a Dio, all’anima nobile che ha questa età ed attende la fine di questa vita presente con grande desiderio, sembra di uscire dal rifugio e tornare alla casa propria … gli sembra di uscire dal viaggio e tornare nella sua città … gli sembra di uscire dal mare e ritrovare il suo porto”. È questo un tema tanto caro a Baudelaire, che egli ha trovato nella “Rivelazione” di Hermete Trismegisto. Secondo lui l’anima è esiliata in questo basso mondo, partita dall’ “azzurro”, essa è decaduta. Essa è all’estero, è per strada! “Leviamo l’ancora”! “Prepariamoci”! la morte è il “portico aperto sui cieli sconosciuti””. Ecco ancora un tema ben conosciuto, ricorrente in tutta le letteratura nel corso dei secoli, da Dante fino ai nostri moderni esoteristi. Più gnostico di così!

Dante contro i Papi

Dante è animato da un odio formidabile, violento ed implacabile contro la Chiesa, i Papi, i preti, i monaci, i religiosi tutti. Si è cercato di scusare i suoi improperi disseminati in tutti i suoi scritti; egli aveva a che fare, a suo dire, con una Chiesa molto avida di danaro, disordinata, sovraccarica di beni temporali che l’allontanavano dalla sua funzione propriamente spirituale; la Chiesa distogliendosi dalla sua strada perde la sua forma, cessa di essere se stessa, e diventa così una prostituta [“puttana sciella”, purg. XXXII, 123-160] staccata dall’albero di giustizia e complice dei re che Essa sostiene. Così la sua santa indignazione pone nell’ottavo cerchio del canto XIX dell’Inferno, i Papi, disprezzabili imitatori di Simone mago verso i quali rivolge invettive con parole pesanti, affidando allo stesso San Pietro il manifestare la sua collera fino a fargli maledire Bonifacio VIII e Giovanni XXII. San Pietro fa la voce grossa e dice: “Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che  vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza: onde ‘l perverso che cadde di qua su, là giù si placa … ” [colui che usurpa sulla terra il mio posto, il mio posto, il mio posto vacante nella presenza del Figlio di Dio, egli ha fatto del mio sepolcro una cloaca di sangue e di putridume, sebbene che il perverso che cade quaggiù dall’alto (Lucifero) sia sprofondato giù: a queste parole il sole in cielo arrossisce, Beatrice impallidisce, una eclissi adombra le luci celesti. Dante chiama l’imperatore a riformare la Chiesa ed uccidere la prostituta ed il gigante che pecca con lei, ad abbattere i chierici affamati di potenza e denaro ed il re di Francia che li spinge su questa strada]. – Dante dunque un eretico sedevacantista, che fa diventare eretico sedevacantista anche S. Pietro … orrore, chi l’avrebbe mai detto!!! – Ora Dante era terziario di S. Francesco, quest’odio contro la Chiesa e la sua gerarchia in lui non è solo personale, ma fa parte di una vera e propria eresia professata dai Fraticelli. Nel 1299 l’arcivescovo di Narbonne teneva a Béziers un sinodo provinciale nel quale condannava i terziari francescani “per essersi dati, sotto copertura di un ordine rispettabile, a delle pratiche non permesse dalla Chiesa, e di aver detto che il regno dell’anticristo, precursore della fine di un mondo corrotto e di una ulteriore rigenerazione, fosse cominciato, e per essersi consolati delle loro miserie, maledicendo la Chiesa stabilita, identificata con la Babilonia impura, con la prostituta dell’Apocalisse, persecutrice degli umiliati”. Tali erano le formule dei Fraticelli, identiche a quelle di Dante: “prostituta”, “l’anticristo”,  la “Babilonia”. Sono esattamente gli stessi insulti che saranno presto sulla bocca di Lutero. – Meglio ancora: Dante è colmo di pietà e di simpatia per le “povere” vittime delle condanne romane … esse sono beate ed in pace nell’antipurgatorio, ed infine ristabilite nel loro onore ed in felicità. Così il poeta si rivolge severamente contro gli autori delle scomuniche: “ … e voi mortali, state attenti ai giudizi che date perché noi che vediamo Dio non conosciamo ancora tutti gli eletti. [… e voi, mortali, tenetevi stretti a giudicar ché noi che vedremo Dio, non conosciamo ancor tutti gli eletti]”. senza dubbio le scomuniche e le canonizzazioni non appartengono all’ambito delle infallibilità, ma qui si tratta di rimarcare innanzitutto la sua indignazione rispetto all’autorità ecclesiastica: “per lor maledizioni sì non si perde che non possa tornar l’eterno amor”. – In De Monarchia, Dante ha intrapreso la giustificazione di un impero universale degli uomini uniti e pacificati sotto l’autorità unica dell’Imperatore. Egli ha eretto un ordine universale per la “universalis civitas humani generis”, la città umana unificata da un potere temporale laico destinato a soppiantare il potere temporale della Chiesa, una sorta di “Novus ordo” mondiale ante litteram (N.O.M.), gestito da un governo unico mondiale laico sovranazionale, con estromissione del potere temporale della Chiesa, cioè della Regalità di Cristo, sogno laicista di ispirazione giudaica che è stato il motivo di fondo di tutte le sette gnostiche, dalle neo-platiche alessandrine ai Nazareni-Ebioniti islamisti, dai templari ai rosacroce, dal neopaganesimo rinascimentale, fino alla massoneria attuale che lo sta attuando nell’ONU, loggia massonica non coperta anticamera del governo unico mondiale. Al tempo di Dante l’idea centrale del mondo occidentale era la Cristianità. I Re, gli imperatori, i principi, le repubbliche, tutti sotto l’autorità e la dipendenza della Chiesa che assicurava così la stabilità dei popoli, la ricerca del loro benessere mediante un ordine religioso al quale tutti erano sottomessi. È l’idea della Città di Dio di Sant’Agostino. Mai in quest’epoca i Cristiani avrebbero potuto immaginare un ordine temporale laico, una umanità unificata dalla ricerca del solo benessere temporale come suo fine proprio. I principi ed i Re si consideravano come i luogotenenti di Dio che aveva loro affidato i popoli per la ricerca di una felicità soprannaturale. Si proclamava che Gesù-Cristo dovesse regnare sulle anime e su tutte le istituzioni temporali. Dante per la prima volta è venuto a spaccare l’unità della cristianità medioevale. Egli ha voluto espellere dappertutto l’autorità del Pontefice Romano e confinarla esclusivamente nell’ordine spirituale puro, senza alcuna possibilità di esercitare qualche potere sulla società temporale: egli è dunque l’ancestre dello stato laico moderno, voluto, perseguito e realizzato dalle obbedienze massoniche di ogni tipo, che non ha più alcun riferimento né a Dio, né alla fede cristiana, e che ha cacciato il Crocifisso da tutta la vita pubblica. Egli è ugualmente l’ancestre del potere mondialista odierno che vuole unificare il mondo senza Dio, in vista di una felicità puramente materiale (di pochi padroni) e della pace dei cadaveri (dei molti, i popoli schiavizzati). È questo un punto fondamentale del pensiero dantesco, messo bene in luce da E. Gilson. – Nel 1329 il Papa Giovanni XXII condannò De Monarchia, che fu in seguito posto all’indice nel 1554. Questo esacerbato anticlericalismo di Dante ci spiega come mai abbia desiderato introdurre in Paradiso Jochim de Flore e Siger de Brabant. Jochim de Flore non fu condannato dalla Chiesa, ma San Tommaso e San Bonaventura non vedevano in lui che un falso profeta; tuttavia egli aveva pubblicato il suo “Vangelo eterno” che annunciava una terza era dell’umanità, era di carità e di libertà in cui l’ordine clericale della Chiesa visibile si riassorbiva in una chiesa puramente spirituale, una totale laicizzazione della società temporale così come Dante la sognava. È quanto oggi tra l’altro si stanno sforzando di fare gli antipapi recenti, da Roncalli agli attuali marrani, che stanno cancellando lo spirituale dalla dottrina come dalla liturgia, ed equiparando i chierici ai comuni laici, come ad esempio quelli dei “movimenti” eretico-religiosi” moderni, dai Neocatecumenali ai Focolarini, dall’Opus Dei ai falsi carismatici, etc. . – Siger de Brabant aveva insegnato certe verità care a Dante. Egli era un convinto averroista, ammetteva la creazione come credente, ma la negava, con Aristotele, come filosofo. Nelle sue “Questioni sull’anima intellettuale” (c. VII, in fine) egli aveva affermato che in “tale dubbio, bisogna aderire alla fede, la quale è al di sopra di ogni ragione umana! Dante faceva dire a San Tommaso che “era uno spirito dai pensieri gravi, e che doveva meritare il cielo”. Tuttavia Singer era stato colpito dalle condanne del 1270 e del 1277. Citato a comparire davanti al tribunale dell’Inquisizione di Francia, Simon du Val, il 23 ottobre del 1277, era fuggito e non era comparso. Fu pertanto scomunicato, ciò che giustificava dunque l’ammirazione che Dante provava per tutte le “vittime” delle autorità ecclesiastiche. –  Resta ancora un punto oscuro sulla vita di Dante: le sue condanne, che i “dantologi” hanno sistematicamente ammantato di un silenzio plumbeo. Si sa che egli era stato perseguito dall’Inquisizione Romana e che il suo errare in giro per l’Italia, non era per fini turistici, ma in realtà serviva solo a sfuggirla … Dopo la sua morte, fu intentato un processo contro la sua memoria ad Avignone, nel 1327, alla corte del Papa Giovanni XXII. Lo si accusava di essere un incantatore ed un negromante. Un negromante? Ma negromante è colui che fa parlare i morti … ciò che fu veramente Dante. Ignoriamo però i risultati di questo processo. – Il Papa Giovanni XXII inviò come legato in Italia suo nipote, il Cardinale Bertrand de Poyet con la missione di far bruciare dal carnefice il libro De Monarchia e disperdere le ceneri del poeta. La prima parte di questa missione fu eseguita effettivamente a Bologna. Quanto al seguito non ne sappiamo più nulla.

Il culto di Dante presso i romantici

Nel secolo XIX, gli scrittori romantici hanno rilanciato la moda Dante noi abbiamo dimostrato come il Romanticismo [lo vedremo nei prossimi numeri della “Gnosi, teologia di satana] sia stato una prodigiosa esplosione di gnosi in tutta Europa. Gli scrittori hanno dunque trovato nel pensiero dantesco come una prefigurazione delle loro passioni rivoluzionarie, e come una carica esplosiva capace di realizzare infine i loro sogni di sovversione religiosa. Si constata che i primi ammiratori di Dante appartengono al mondo degli “illuminati”, massoni ed occultisti, e che essi tendono a promuovere l’autore e la sua opera in senso esoterico molto anticristiano (anche recentemente questa moda è stata ripresa e cavalcata da un “guitto”, un comico legato al mondo massonico che, a suon di milioni di euro sottratti ai contribuenti, ha riletto in questa chiave l’opera di Dante in trasmissioni televisive popolari della Rai). – Già nel 1790 Wlliam Blake si volge a Dante; egli è un ammiratore entusiasta di Swedwnborg, ha letto Paracelso e Jacob Boehme, Milton e Dante. Egli “dialoga” con essi e nei suoi sogni “dialoga” spesso con Salomone, Maometto, Giulio Cesare, i costruttori delle Piramidi, etc. Nel 1800 e 1801 esegue pure un ritratto di Dante, poi compone novantotto disegni a colori per illustrare la Divina Commedia. Egli afferma che Dante è un perfetto ateo, ne rappresenta con varie illustrazioni la cosmografia che lo affascina. Ma è in Italia che il culto di Dante prende nel corso del XIX secolo delle proporzioni considerevoli. Egli costituisce il modello del “Risorgimento” … ecco che al suo nome l’Italia si risveglia, si solleva contro il potere pontificio, l’unico ostacolo all’unificazione del paese che bisogna abbattere. Mazzini è un rivoluzionario fanatico, un repubblicano appassionato, un massone “capo d’azione politica” degli Illuminati di Baviera, fondatore con A. Pike del Rito Palladico, [ancora attivo ad esempio nella famigerata loggia P2 = Rito Palladico 2], Massoneria cupola di altre obbedienze, mandante di numerosi omicidi e soppressioni di presunti nemici dei “figli della vedova”; l’empio genovese è animato da un odio formidabile contro la Chiesa: per lui Dante è il simbolo della nuova Italia, quella per la quale egli combatte (o meglio, restando nell’ombra, fa combattere gli altri …) egli scrive nel 1847: “ la patria si è incarnata in Dante, la sua grande anima ha presentito, con cinque secoli di anticipo, l’Italia: l’Italia iniziatrice eterna di unità religiosa e sociale dell’Europa; l’Italia messaggera di civilizzazione per le nazioni; l’Italia così come un giorno l’avremo. Quando saremo più degni di Dante, ammireremo le impronte gigantesche che egli ha lasciato nelle vie del pensiero sociale ed andremo tutti in pellegrinaggio a Ravenna, sulla sua tomba, sotto gli auspici dei destini futuri e delle forze necessarie per mantenerci all’altezza che mostrava ai suoi compatrioti”. Il suo amico Manzoni, ugualmente praticava il culto di Dante: « Tu, divino Alighieri, tu fosti maestro della collera e del sorriso. Il mondo giaceva in questa notte, allorché tu risplendesti, tu solo, il maestro, come quando il solo getta sulla terra nuova il suo primo sguardo, la valle lo ignora ancora, essa non beve ancora  la benevola pioggia vitale di luce … » Nel 1848, Mazzini poté infine realizzare il sogno di Dante. Egli, con il supporto degli Illuminati e della Massoneria inglese, espulse il Papa da Roma e proclamò la repubblica. Ma è nel 1870 che si realizzò ciò a cui aveva aspirato Dante nella sua opera: la destituzione del potere temporale del Papa [in attesa che si realizzasse poi la perdita del potere spirituale iniziata dai marrani del Conciliabolo Vaticano, detto secondo, e tuttora in atto per l’opera degli antipapi servi di lucifero …]. Un altro celebre romantico, il poeta inglese Shelley, fu anch’egli un appassionato del “Risorgimento” e dell’“unità di Italia”. Nella sua giovinezza aveva scritto un Saggio sulla necessità dell’ateismo; andò a fare anche un pellegrinaggio sulla tomba del poeta a Ravenna: così scrive alla sua sposa, Mary, il 15 agosto 1821: “Io ho visto la tomba di Dante ed adorato il luogo santo”. Nella sua “Difesa della poesia”, egli scrive: « La poesia di Dante può essere considerata come il ponte gettato sul fiume del tempo che unisce il mondo moderno e l’antico. Dante è stato il primo riformatore religioso e Lutero lo ha sorpassato piuttosto in rudezza ed acrimonia, in audacia nella censura dell’usurpazione papale. Dante è stato il primo a svegliare un’Europa assopita … ha riunito i grandi spiriti che presiedono alla resurrezione della coltura, il lucifero di questo gruppo di stelle che brillò nel XIV secolo nell’Italia repubblicana come un paradiso nell’oscurità del mondo e della notte. » E la sua sposa, Mary, scriveva da Roma, il 3 maggio 1843: « Il governo papale è considerato come il peggiore in Italia e l’autorità temporale della Chiesa è considerata come la principale fonte dei disastri della nazione. Questa non è una nuova asserzione, potete ricordare l’apostrofo di Dante: “Ah! Costantino! Di qual male fu non la conversione, ma questa dote che ricevette da te il primo ricco padre (il Papa)” -Inferno XIX, 115-17 ». – In Francia egualmente, Dante fu esaltato dai romantici. Il romanticismo ama il fantastico macabro, le guglie delle cattedrali, le stampe di Dürer e di Holbein. Si dà per così dire un senso tutto nuovo delle bellezze selvatiche, sublimi e grottesche insieme. Ci si chiede anche se Dante non sia la causa essenziale di questo lato oscuro e doloroso del romanticismo artistico francese. Le scene dell’inferno sono di un realismo intensamente espressivo. Si comincia così già ad ammirare il poeta della Divina Commedia. – Nel suo “Genio del Cristianesimo”, apparso nel 1802, Chateaubriand proponeva: « volete essere sconvolti, volete conoscere la poesia delle torture e gli inni della carne e del sangue? Discendete nell’Inferno di Dante e vi troverete movimenti, facce deformate, corpi contorti dalle torture, grida di disperazione, di odio e di rivolta … » – All’inizio del XIX secolo Dante era considerato in Francia un eretico, ma a partire dal 1830 diviene oggetto di ammirazione per i cattolici “tradizionalisti”. Viene letto con passione, spesso a La Chesnay da Lamennais. Viene acclamato con un entusiasmo senza pari, un ardore tutto nuovo, in precedenza sconosciuto. « Infine, scrive J. J. Ampere nel 1835, io mi son deciso a perseverare nel mio amore per la poesia di Dante, benché sia oggi come un furore universale, in Francia ed in Italia, ammirare a proposito o a sproposito l’autore della “Divina Commedia” che quasi nessuno leggeva fino a sessanta anni fa. » (in Revue des Deux Mondes, 1835).

Conclusione

« Strano destino quello del poeta! … Scrive senza stupirsi Marc Monnier. Egli era monarchico e lo hanno reso repubblicano, era cattolico e lo hanno fatto protestante, era virgiliano e lo hanno fatto romantico, … era per l’impero germanico e più di ogni altro è servito a formare la nazione italiana ». Destino effettivamente molto strano, quello di uno scrittore costretto a nascondere il suo pensiero in un linguaggio ermetico, ove ha accumulato le allegorie ed i simboli destinati ad ingannare i propri lettori in meandri complicati ed oscuri. Il poeta ha moltiplicato le chiavi di interpretazione, ciò che gli permetteva di sfuggire agli sguardi attenti dei censori ecclesiastici, conservando sempre una possibilità nella quale rifugiarsi in caso di condanna. Egli ha moltiplicato ugualmente le dichiarazioni di fede ortodossa per confondere le sue vere intenzioni. Ha condotto una vita errante per depistare i suoi inseguitori. – Questo ci fa pensare a Cartesio che ha utilizzato gli stessi metodi per darsi un’apparenza di onestà: una vita errante, dichiarazioni reiterate di buona fede religiosa. … – Per diversi secoli Dante è stato misconosciuto, forse disprezzato, soprattutto a causa dei suoi aspetti oscuri. C’è voluta la rivoluzione del XIX secolo, nella sua forma di sovversione religiosa, per ridare vita e gloria al poeta. La Cristianità è morta, uccisa dalla riforma protestante. La Scolastica è stata polverizzata da Cartesio, gli spiriti sono divenuti atti a ricevere e ad accettare infine il vero pensiero di Dante, sbarazzato dalle sue ombre, adattato al gusto rivoluzionario, decriptato e dunque rimesso in chiaro. – La nuova generazione romantica e rivoluzionaria ha reintrodotto il pensiero dantesco nella tradizione gnostica: Dante è ateo e luciferino, rientra nella lunga lista dei “Grandi iniziati”. Si possono infine riavvicinare i suoi simboli a quelli di Pitagora, di Platone, dei cabalisti e degli astrologi … si può alfine delineare “L’esoterismo di Dante” [titolo di un mediocrissimo libello di R. Guenon]. Il cerchio è chiuso: il genio letterario del poeta è stato messo al servizio della sovversione religiosa, finanche del “massonismo” oggi imperversante, che ne fa infatti una sua bandiera, ma questo è potuto accadere, verosimilmente, perché lo conteneva già in se stesso, benché nascosto, sigillato, rivestito ed incappucciato in una fraseologia pia ed edificante, tale da ingannare pure ad esempio, nientemeno che … Benedetto XV ! … In Præclara summorum, del 30 aprile 1921, documento redatto in occasione del centenario della morte di Dante, il Santo Padre Benedetto XV tende a sminuire il feroce anticlericalismo di Dante e la sua incrollabile avversione per il potere temporale della Chiesa ed in particolare per la figura del Papa definito, come visto, “padre ricco”, elementi evidenti oltretutto dalle condanne della Chiesa e di Papi canonici, oltre che dalle inchieste dell’Inquisizione e la messa all’Indice di sue opere; molte affermazioni del Sommo Pontefice, che servivano soprattutto ad incentivare gli studi della dottrina cristiana, inserendosi in ciò nella polemica contro B. Croce, all’epoca Ministro della pubblica istruzione, ed i fautori dell’educazione laica e priva di riferimenti cristiani e religiosi, peccano di informazioni all’epoca non sufficientemente elaborate o non disponibili, ma oramai acclarate dalla critica “senza grembiulino” più recente. Che l’argomento poi non appartenga a questioni dottrinali riguardanti la fede e la morale, quindi non attinenti né al Magistero Ordinario, né allo Straordinario, e che non intenda certamente essere motivo di una pur sospetta vaga canonizzazione, quindi non essendo in alcun modo impegnata l’Infallibilità Pontificia, rende possibile una critica serena sul piano storico, letterario e filosofico che non intacca naturalmente i principi cattolici che il Santo Padre ribadiva, e che in Dante purtroppo sono semplice “velo” di ben altre intenzioni e fonti, come visto, lontane mille miglia dal pensiero scolastico e soprattutto tomistico, evocato solo a parole, per sfuggire alle contestazioni degli inquisitori.