GNOSI TEOLOGIA DI sATANA -19- : GNOSI ED ISLAM (3)

Gnosi, teologia di satana

“omnes dii gentium dæmonia”

GNOSI ED ISLAM (3)

[da E. Couvert: “La gnose universelle”, cap. II]

Il panteismo dei sufi

Si pensa che la parola “sufi” venga da “suf” che vuol dire  “lana”, perché i sufi portavano il costume dei filosofi neoplatonici, dei gran mantelli di lana bianca, la khirka, un bastone e la lunga barba. Tuttavia è più logico vedervi la trascrizione del greco σοφος [sofos], saggio, che si ritrova in “faylasôf” dal greco φιλοσοφος [filosofos]. I dervisci ed i fachiri sono anch’essi dei sufi popolari. Essi si ritengono filosofi; infatti, essi sono mistici e contemplativi. Si pretendono musulmani; in effetti essi sono buddhisti. Tutti loro, come gli gnostici, ammettono una doppia dottrina, l’esoterica o interiore (batn), riservata agli iniziati, e l’essoterica o esteriore (zahar) per il volgare. Essi impiegano tutti i loro sforzi nel far concordare uno ad uno i loro principi con i dogmi maomettani, in maniera da stabilirne l’ortodossia agli occhi delle autorità musulmane. Ma è un concordismo artificiale che non inganna nessuno. – Un erudito del secolo scorso, specialista in letteratura sanscrita ed induista, M. Garcin de Tassy, ha riassunto in 9 proposizioni tutto l’insegnamento dei sufi:

1°) Dio solo esiste, Egli è in tutto e tutto è in lui e tutto è lui-stesso.

2°) Tutti gli esseri, visibili ed invisibili, ne sono una emanazione, « divinæ particula aureæ » e non ne sono realmente distinte.

3°) I sufi non sono soggetti alle leggi esteriori. Il paradiso e l’inferno, tutti i dogmi infine delle religioni positive non sono per i sufi, che delle allegorie delle quali essi solo conoscono lo spirito.

4°) Così le religioni sono indifferenti. Esse servono tuttavia come mezzo per giungere alla realtà. Alcune possono essere più vantaggiose di altre per raggiungere questo scopo, tra le altre la religione musulmana, della quale la dottrina dei sufi è la filosofia.

5°) Non esiste realmente differenza tra il bene ed il male, poiché tutto si riduce all’unità e così Dio in realtà è l’autore delle azioni dell’uomo.

6°) È Dio che determina la volontà dell’uomo e così quest’ultimo non è libero nelle proprie azioni.

7°) L’anima preesiste al corpo e vi è racchiusa come in una gabbia o in una prigione. La morte deve dunque essere l’oggetto degli auguri dei sufi, perché è allora che essi rientrano nel seno della divinità ed ottengono ciò che il buddhismo chiama il “nirvana”, cioè l’annientamento in Dio.

8°) È con la metempsicosi che le anime che non hanno raggiunto la loro destinazione quaggiù, sono purificate e diventano degne di essere riunite a Dio.

9°) La principale occupazione dei sufi deve essere la meditazione sull’unità con l’avanzare progressivamente attraverso i vari gradi della perfezione spirituale alfine di morire in Dio e raggiungere fin da questo mondo l’unificazione in Dio. »

È sufficiente comparare queste nove proposizioni con quelle sviluppate nello studio di base sulla « Gnosi, tumore in seno alla Chiesa » [vedi al n. 7 di “Gnosi, teologia di satana”/Exsurgatdeus.org.], per constatarne la sostanziale identità. I sufi sono semplicemente degli gnostici formati dal buddismo. Essi insegnano a disprezzare tutto ciò che è terreno, a dirigere la propria anima solamente verso ciò che esiste: l’Essere divino, a spogliarsi, a sganciarsi dall’apparenza dell’esistenza personale per associarsi all’esistenza divina, la sola reale, ad inebriarsi della bevanda stupefacente della bellezza della luce divina. » Il sufi deve assorbirsi in Dio. I poeti arabi sufi scrivono: « Purificati da ogni attributo di “me”, alfine di percepire la tua essenza brillante. » – « Lasciatemi diventare inesistente, perché la non-esistenza mi grida con gli accenti di un organo: è a lui che noi torniamo. » – « Realizza nel tuo cuore la conoscenza del Profeta, senza libro, senza maestro, senza istruttore. » Si potrebbero moltiplicare le formule di questo genere … ci troviamo in una terra pienamente conosciuta: la gnosi buddhista!  – Questa dottrina “esoterica” dell’Islam non è altro che il panteismo indiano. Vi si ritrovano gli errori del Vedanta che insegna, secondo Vyaçadavera, l’unità di tutti gli esseri, quelle del Sankia che insegna secondo Kapila il “niente delle cose visibili”. – Si è costituito ai limiti del mondo musulmano e del mondo buddhista una zona intermedia, una sorta di marchio, o delle sette miste, semi-buddhiste, semi-musulmane, che hanno avvicinato gli elementi opposti delle due religioni, ad esempio i Kabir-panthis ed i Sikh. I musulmani dell’India rendono un culto uguale ai loro santi Muin-uddin e Marçud Gazi, ed ai santi indù, Kabir e Ramanand. Un sufi indiano, Sabjani, faceva con tanto ardore sia il pouja (adorazione) ed il dandawai (prosternazione) nella pagoda, sia le preghiere musulmane nelle moschee. I sufi hanno ripreso la posizione raccolta dei monaci buddisti per meditare: « Resta raccolto come il bambino nel seno di sua madre », dice l’autore del « Mantie Uthar », un persiano. È la posizione che vi prepara al ritorno nella “terra-matrice” originale della vita, la γἤ μἡτηρ [ghe meter] degli gnostici. – Per i sufi musulmani, tutti gli esseri sono della stessa natura, la metempsicosi permette di passare da un corpo umano ad un corpo animale, ad una pianta, etc. … – Ci piace citare, in questa occasione, una seduta di dervisci urlanti e girovaghi che Teofilo Gautier ci ha descritto al suo ritorno da un viaggio in Oriente. Egli era andato, come molti romantici, alla ricerca della “religione primitiva”. Il suo viaggio era una sorta di “pellegrinaggio alle fonti”. La scena si svolge a Costantinopoli. Egli ci mostra dapprima i dervisci riuniti intorno all’imam, che scuotono la testa in avanti ed indietro e vice-versa, poi accelerando i movimenti e traendo dal petto urla rauche e prolungate che non sembrano appartenere alla voce umana: «L’ispirazione arriva poco a poco, gli occhi brillano come pupille di bestie feroci in fondo ad una caverna,  ed una schiuma da epilettico compare alle commessure della labbra, i volti si decompongono e rilucono di livore sotto il sudore; tutta la fila si piega e si alza sotto un soffio invisibile come delle spighe sotto un vento di tempesta e sempre, ad ogni slancio, il terribile grido: « Allah! Hou! », si ripete con energia crescente … »  Questa passionalità, che si pretende mistica, infatti, è evidentemente bestiale, un ritorno all’animalesco prima di divenire un niente ed imputridire sotto terra. – In questo momento, Gautier nota, tra gli spettatori, due religiosi cappuccini che ridono sotto la barba. Allora la sua collera scoppia « oh! Ridete! Essi non pensano di essere, egli dice, dei dervisci cattolici, che si mortificano in diverso modo per avvicinarsi ad un dio diverso … Io comprendo i preti di Athis, il fachiro indù, il trappista ed il derviscio che si torce sotto l’immensa pressione dell’eternità e dell’infinito cercando di placare il dio sconosciuto con l’immolazione della propria carne e le libazioni del proprio sangue. Questo derviscio che faceva ridere i cappuccini, mi sembravano belli con la loro figura allucinata, come il monaco di Zurbarano, livido per l’estasi, e che lascia brillare sulla sua ombra una bocca che prega e due mani eternamente giunte ». Teofilo dunque è incapace di distinguere un ritorno all’animalità più grossolana e violenta da una spiritualizzazione del corpo mediante la preghiera e la meditazione … c’è una confusione assurda tra la verità mistica che eleva a Dio, e la sua contraffazione diabolica che abbassa e riduce al livello della bestia. Ci vuole una forte miopia intellettuale e spirituale per non capirne la differenza!

Le sette gnostiche nell’islam

Oltre ai sufi, che sono i veri gnostici dell’Islam, si deve notare ancora la presenza in terra musulmana di comunità gnostiche antiche, già fiorenti prima della nascita e l’espansione del Maomettismo e che sono sopravvissute penosamente ripiegandosi su se stesse: questi sono i Druzi, gli Ansariati, gli Yezidi. Oggi queste comunità hanno perso il senso della loro antica dottrina. Il maggior numero di questi settari, vivono miseramente, spacciandosi e cercando di passare per musulmani agli occhi delle autorità, prendendo dall’Islam qualche pratica esteriore che non li turbi. Ma essi sono in realtà pieni di disprezzo per i musulmani, si odiano a vicenda e non si uniscono che nell’odio comune verso i Cristiani. – Gli Yezidi sono gli ultimi eredi dei Mandei; essi erano numerosi un tempo in Babilonia, se ne trovano in Siria. La loro dottrina è quella di Mani. Essi dichiarano di seguire l’insegnamento di Addo, che fu il loro fondatore ed il discepolo preferito di Mani. Essi praticano un battesimo per immersione, tolgono le scarpe e baciano il sole quando entrano in una chiesa cristiana, fanno il segno della croce. Nella loro liturgia hanno conservato la cena eucaristica, credono che il vino contenga il sangue di Cristo, adorano un Dio supremo e rispettano Gesù-Cristo come un Salvatore. Si prostrano davanti al sole al suo sorgere come simbolo di Gesù. Li si accusa di rendere un culto al diavolo: essi rispondono che hanno un gran rispetto per satana che essi chiamano “il serpente della sera”, o il “principe delle tenebre”, talvolta pure Sheik Maazen. Essi affermano che il serpente è un angelo decaduto, contro il quale è scoppiata la collera di Dio; ma che, alla fine dei tempi, sarà ristabilito nel favore divino. La loro mozione del male è derivata dall’Arimane degli antichi maghi e dalla divinità secondaria dei Manichei. Essi parlano tra di loro il curdo: sono infine degli gnostici Manichei, rimasti molto vicini al Cristianesimo con il loro culto e le tradizioni liturgiche. Potrebbero essere considerati come gli ultimi cristiani ofiti o naasseni. – I Druzi pure hanno conservato una tradizione gnostica, si dicono discepoli di un califfo dell’Egitto, Hakem (996-1020), mostro di crudeltà che essi considerano come una divinità e che tornare alla fine dei tempi. Essi professano la metempsicosi, adorano il vitello, si dividono tra iniziati, gli “akkals”, coloro che sanno, e coloro che ignorano, i “djahels”. Essi sono pieni di odio verso i cristiani. Sono sempre stati all’origine dei massacri dei cristiani in Siria nel corso dei secoli. Gérard de Nerval, che voleva sposare la figlia di uno sceicco druizo, nel corso del suo viaggio in Oriente, non potette ottenere la mano della figlia, se non mostrando al padre che egli affiliato alla granco-massoneria e questa affiliazione cancellava dunque in lui la ricezione del battesimo cristiano. – Gli Ansariati, chiamati anche Nosaïri o piccoli cristiani, abitano la Siria del nord, nelle montagne intorno al golfo di Alessandretta. Essi sono biondi con occhi azzurri, sembrano venuti dalle Indie. Essi sono indo-europei e non semiti; si sottomettono in apparenza alle pratiche esteriori dell’Islam, ma il loro vero culto è una iniziazione “gnostica”, che comincia con la rivelazione del “mistero dei due”; adorano una divinità in cinque persone e si prostrano anche davanti agli alberi, al sole, alla luna, riveriscono gli animali, particolarmente il cane. Professano la metempsicosi; sono un residuo delle comunità manichee e buddhiste in ambito musulmano.

Islam, veicolo della gnosi

In un libro che ebbe il suo momento di celebrità, intitolato « Carlo Magno e Maometto », Henri Pirenne, storico belga, ha dimostrato che l’espansione dell’Islam intorno al bacino mediterraneo aveva provocato, sul piano economico, una frattura radicale tra il mondo cristiano d’Europa e l’Oriente. In precedenza i due mondi erano in relazioni costanti e numerose, il commercio nel Mediterraneo era fiorente, la navigazione era facile e senza rischi poiché la flotta bizantina assicurava la sicurezza e faceva da polizia, sull’insieme di questo mare chiuso. Successivamente Henri Pirenne sviluppa nella sua opera le conseguenze di questa rottura in Occidente: la sparizione dei grandi assi commerciali, l’assembramento delle popolazioni intorno alle roccaforti in una stretta autarchia, la decadenza dell’autorità politica malgrado i tentativi di Carlo Magno per ristabilire un grande Impero dell’Occidente che rifiorirà dopo la sua morte. – Se Henri Pirenne non si fosse limitato al solo piano economico, nella sua ricerca nuova e suggestiva, egli avrebbe scoperto un’altra causa ben più fondamentale in questa frattura tra Occidente cristiano ed mondo musulmano.  – Prima dell’Islam, tutti i popoli insediati intorno al Mediterraneo, federati con Roma, partecipavano ad una medesima civilizzazione greco-latina. Essi furono tutti cristianizzati nella stessa epoca, e se questa civilizzazione romano-cristiana poteva assumere degli aspetti diversificati secondo i caratteri peculiari a popolazioni di razza ed origine così variate, restava non meno fondamentale che l’essenziale dei costumi e delle credenze comuni erano un cimento di unità notevole, malgrado le dispute teologiche e le dispute per la successione sul trono imperiale. – Ora, all’arrivo dell’Islam, in Oriente ed in Africa si produssero due fenomeni simultanei e complementari. All’inizio una decadenza dell’autorità politica: i capi arabi musulmani furono incapaci di creare un grande impero unificato. Dopo aver distrutto la rimarchevole amministrazione romana, essi si costituirono dei principati feudali, un po’ come in Occidente, in perpetue guerre intestine. I califfi di Damasco, poi di Bagdad erano incapaci di mantenere un potere politico stabile; essi stessi si massacrarono e si avvelenarono reciprocamente e la storia di questi principi musulmani non è che una lunga serie di orrori. Poi una unità culturale, dovuta al fatto che l’Islam si è diffuso in tutto il mondo musulmano mediante la lingua araba, imposta talvolta con la forza, ma spesso accettata con la nuova religione. Questa lingua araba si è sostituita al latino, al greco, all’aramaico, all’egiziano, ai dialetti berberi. Essa è stata il legame necessario tra le popolazioni disperse intorno al Mediterraneo e separate dai dissensi e dalle guerre perpetue che opponevano i califfi e le signorie arabe costantemente in rivolta. – Ma tanto vale una lingua, quanto una cultura che essa veicola. Ora il ruolo dell’arabo fu quello di tagliare questo mondo musulmano dalla cultura greco-latina e cristiana. Le popolazioni  già cristiane, floride e felici, regredirono rovinosamente verso una pseudo-cultura araba, caratterizzata dall’analfabetismo, dall’abbrutimento degli spiriti, dal disprezzo per tutte le attività intellettuali, dall’inattitudine congenita al progresso morale e spirituale. Da ciò derivava una civilizzazione sclerotizzata, rappresa nella massa delle popolazioni convertite ed il ricorso costante agli schiavi cristiani ogni qual volta un principe musulmano voleva sviluppare intorno a sé un po’ di lusso e di arte. Che l’Islam abbia tenuto incessantemente un ruolo distruttivo, questo è ben risaputo. – Ma la conseguenza fondamentale di questi due fenomeni è non solo una rottura tra l’Occidente cristiano ed il mondo musulmano, ma pure la formazioni di una barriera infrangibile tra i due mondi. La diversità di lingua ha provocato una ignoranza, poi una incomprensione, infine una ostilità dichiarata e definitiva. La guerra religiosa ininterrotta ne fu la manifestazione più suggestiva. Il mondo cristiano si armò contri i Saraceni che, essi stessi, massacrarono con furia e crudeltà i resti delle antiche comunità cristiane che non avevano potuto islamizzare. E dopo di loro non è stato mai possibile colmare il fossato fra questi due mondi antagonisti. Al momento delle crociate, i signori franchi costituirono in terra islamica dei principati cristiani che poterono sopravvivere per circa un secolo in un ambiente così ostile. Se hanno potuto istaurare una sorta di “modus vivendi” con le popolazioni che vi si erano sottomesse, se hanno potuto proteggere le comunità cristiane non ancora completamente massacrate, come gli Armeni, essi si sono scontrati con un ostacolo insormontabile, l’impossibilità quasi assoluta di convertire un musulmano al Cristianesimo: è questa la ragione principale per la quale non hanno potuto “resistere” in Oriente e sono finiti per essere rigettati in mare, “vomitati”, per così dire, dall’Islam. Tutto questo per arrivare al nostro proposito fondamentale. Fino alla colonizzazione europea del XIX secolo, il mondo musulmano è totalmente sfuggito ad una influenza occidentale e cristiana. Non c’è mai stato il benché minimo inizio di osmosi nel senso dell’Occidente verso l’Oriente. Ma curiosamente, lo vedremo, è l’Oriente musulmano che è penetrato nella nostra Europa cristiana. I contatti ripresi nel corso delle crociate, non hanno provocato che un movimento in senso contrario sul piano della cultura. Le crociate sono partite ferocemente come anti-musulmane, per combattere i saraceni. Nello stesso tempo, tutta una letteratura in lingua araba è stata tradotta in latino ed ha diffuso nell’Occidente cristiano dei temi letterari e religiosi venuti dall’Oriente. Noi ora costatiamo che queste traduzioni contengono essenzialmente la gnosi d’Asia e sono penetrate fino a noi attraverso due vie privilegiate, la Sicilia e la Spagna, Spesso queste traduzioni sono state eseguite da giudei che hanno “trasportato” così le opere dei filosofi e poeti persiani o siri, e ne hanno diffuso il contenuto in Europa. È quanto andremo a dimostrare.

PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

PURIFICAZIONE DELLA VERGINE

Tre misteri. — Saviezza della legge della Purificazione. — Umiltà e obbedienza di Maria. — Esempio per le madri cristiane. — Cerimonie dell’andare in Santo. — Presentazione. — Umiltà e sacrificio del bambino Gesù. — Sacrificio di Maria. — Incontro del santo vecchio Simeone. — Sue predizioni. — Suo cantico di morte. — Origine della festa della Purificazione. — Sapienza della Chiesa. — Disposizioni alla festa.

Da Natale fino alla Purificazione la Chiesa si ritiene in adorazione davantial Bambino di Betlemme, poiché vuole che siano profondamente penetrati delle lezioni che Egli ci dà, e perché il suo presepio è una cattedra espressiva, dall’alto della quale ei ci istruisce. Quaranta giorni dopo la nascita del Salvatore ella ci convoca solennemente; ma non è più dentro il presepio che offre il Dio bambino alle nostre adorazioni. – Il tempio di Gerusalemme è per ricevere per la prima volta una vittima degna del Dio che vi si adora. Partiamo per la città santa, ove Maria ci precede portando tra le braccia il suo Figlio, sorretta nelle fatiche del viaggio da un vecchio che l’accompagnava, vale a dire da san Giuseppe, il virtuoso discendente della reale stirpe di David. – Il due febbraio, tre misteri sono presentati alle nostre meditazioni : La Purificazione della santa Vergine; la presentazione di Gesù al tempio: l’incontro dei santi vecchi Anna e Simeone.

I. Purificazione. — Figlio di padre colpevole, l’uomo è macchiato fino dal suo concepimento; e il parto d’un ente macchiato fa contrarre una specie d’immondezza alla madre. Domma profondo e terribile, sorgente d’umiltà, di purità, di santo timore per i genitori, la cui memoria volle Dio che fosse perpetuata di generazione in generazione. Poiché ecco quello che disse il Dio della santità nel dettare le sue leggi a Mose. Parla ai figliuoli d’Israele, e dirai loro: La donna la quale rimasta incinta partorirà un figliuolo maschio, sarà immonda per quaranta giorni. Non toccherà nulla di santo e non entrerà nel santuario fino a tanto che siano compiuti i giorni di sua purificazione. Che se avrà partorito una bambina, ella sarà immonda per ottanta giorni. E compiuti che siano i giorni della sua purificazione pel figliuolo ovver per la figlia, porterà all’ingresso del tabernacolo del testimonio un agnello dell’anno per l’olocausto, e un colombino o una tortora per il peccato, e darà queste cose al sacerdote (Levit. XII, 2-6). Il sacerdote offriva l’agnello in olocausto, affine di confessare il sovrano dominio del Signore, e insieme ringraziarlo pel felice parto della madre; e quanto alla colomba o alla tortorella, queste venivano offerte per il peccato. Compiuto il doppio sacrificio la donna rimaneva purificata dalla sua immondezza, o peccato legale, ed era ristabilita nei suoi antecedenti diritti. Continuando poi il Signore a parlare a Mose aggiunge: Che se ella non ha il modo di poter offrire l’agnello, prenderà due tortore, ovvero due colombini, uno per l’olocausto e l’altro per il peccato: e il sacerdote farà orazione per lei, e così sarà purificata (Levit. XII, 8). – Maria, resa dal suo parto divino più pura e più vergine, era sicuramente esente dalla cerimonia della purificazione, Ella tuttavia si sottomise e stando alla lettere della legge si presentò al tempio quaranta giorni dopo la nascita del Salvatore. Discepola del proprio Figlio, che occultava la divinità sotto la debolezza dell’infanzia, Maria volle celare la sua augusta prerogativa di Madre di Dio, regolandosi quanto all’apparenza come le donne comuni. Chi potrà a tanto esempio astenersi dallo esclamare: Vive forse in noi quello spirito di Gesù e di Maria? Ahimè! l’orgoglioso è sollecito di pubblicare i suoi meriti, e spesso se ne vanta senza possederli: è egli forse questo il nostro ritratto? L’umile, pago degli sguardi di Dio, si delizia nella sua oscurità: siamo noi tali? Maria, perché povera e Madre d’un Figlio che secondo le profezie doveva nascere e vivere povero, si presentò al tempio con due tortorine, come la legge esigeva. La figlia di David, la Madre del Messia, non poté presentare che l’offerta dei poveri! Ripensando a ciò, allorché veggo disprezzata la povertà mi offendo e mi adiro, perché quanto spesso sotto i cenci del povero si rifugia ed alberga la dignità e la nobiltà! E chi assicura che sotto misera veste non si asconda un figlio di re, o che un logoro velo non celi una pronipote di regina? Forse qualche orgoglioso ricco di Gerusalemme avrà guardato con insolente disdegno la coppia, che non recava al tempio fuorché le due colombe del povero; forse nell’atrio del tempio, presso l’altare dei sacrifici, l’uomo dal mantello di porpora e con i sandali a borchie d’oro avrà contrastato il passo a Giuseppe e a Maria ….! Eppure, sappi, o dissennato favorito della cieca fortuna, che quell’uomo, che porta le due colombe, è un discendente degli antichi tuoi re! Quella donna si timida, sì bella e sì umile è una figlia di David! Quel fanciullo…. è il padrone del mondo! S’ei volesse, con la sua piccola mano rovescerebbe le colonne dei tuoi palazzi, spezzerebbe i cedri delle tue colline, farebbe perire le messi delle tue campagne. Quella offerta, per quanto ti sembri meschina, è mille volte più accetta delle tue. Il cuore che la presenta è il più perfetto di tutti, e Iddio considera il cuore come l’anima dei sacrifici. Non dimentichiamo questa dottrina, ed una carità viva, sincera, dia pregio anche alle nostre minime azioni.La purificazione di Maria è dunque il primo mistero che la festa del due febbraio presenta alle nostre meditazioni. Quantunque i riti giudaici restassero abrogati dall’istante della promulgazione del Vangelo, si è mantenuto il costume nelle madri cristiane d’imitare, la prima volta che escono, l’esempio della santa Vergine, la quale sommettevasi volontariamente ad una legge che non la comprendeva. Esse vanno alla chiesa a ricevere la benedizione del sacerdote e a dimostrare a Dio la loro gratitudine. Per altro le madri cristiane non recansi alla messa con lo scopo che si proponevano le donne Giudee nell’andare al tempio; ma bensì per offrire al Signore un giusto tributo di lodi e di azioni di grazie. Ecco in qual modo circa tale argomento il pontefice Innocenzo III si esprime: « Se le donne desiderano entrare nella chiesa subito dopo il loro parto, esse non peccano entrandovi, né debbono esserne impedite; ma se per rispetto, piace loro piuttosto di starne per qualche tempo lontane, non crediamo sia da biasimare la loro divozione ». Né solamente la Chiesa non disapprova una tale usanza, ella anzi la incoraggia. Alcune diocesi hanno stabilito il numero dei giorni, dopo i quali si fa la cerimonia d’andare in santo, e bisogna uniformarvisi. Nei luoghi ove non è cosa alcuna di stabilito, una madre cristiana deve adempiere questo dovere appena può uscire senza rischio della salute; ed infatti non è egli anzi un debito di giustizia che la sua prima visita sia fatta alla Chiesa?Quivi ella deve primieramente ringraziare il Signore della sua felice liberazione, e pregarlo di spargere le sue benedizioni tanto sopra di lei, quanto sopra la sua prole. Deve in secondo luogo chiedere gli aiuti di cui abbisogna per educare alla virtù il fanciullo che ha messo al mondo, e adottare una stabile risoluzione di preservarne l’anima dai pericoli del peccato. Che cosa infatti le gioverebbe esser divenuta madre, se il frutto delle sue viscere dovesse cadere in potestà del demonio, ed esser poi condannato ai supplizi dell’inferno? Consacri ella dunque il proprio figlio al Signore, che questo suo sacrificio non può non essergli gradito, s’ella nutre le disposizioni in cui era la santa Vergine nel giorno della sua purificazione. Mezzo certamente idoneo ad inspirarle tali disposizioni sono le preghiere della Chiesa nella cerimonia dell’andare in santo. La madre cristiana che va a ricevere la benedizione dopo il suo parto, si ferma all’ingresso della chiesa, vi sta in ginocchio tenendo in mano una candela accesa, per dimostrare che si crede indegna di comparire davanti a Dio, il suo ardente desiderio di partecipare alle divine misericordie.Il sacerdote in cotta e stola bianca le si avvicina e recita il salmo ventitré: salmo che più d’ogni altro è opportuno alla circostanza. Egli ripete alla madre cristiana le virtù che procureranno a lei ed al figlio la somma ventura di abitare la santa montagna di Sion; le rammenta il dominio assoluto del Signore sopra le creature tutte, e poscia le ricorda la gratitudine e la sottomissione illimitata che a Lui sono dovute. Dopo aver dato alla donna tutte queste utilissime lezioni, il sacerdote le presenta il lembo della sua stola e le dice: « Entra nel tempio di Dio, e adora il figlio della beata Vergine Maria che ti ha concesso la fecondità. Il rito di presentare il lembo della stola è cerimonia che racchiude un’alta significazione, poiché, essendo la stola emblema della potestà sacerdotale, il prete nel porgerla alla donna le dice in misterioso linguaggio: « In nome di Dio, ch’io qui rappresento, sii purificata dall’immondezza che avresti potuto contrarre; il Signore ti permette di entrare nel suo tempio ed aggradisce l’omaggio di gratitudine che tu vieni ad offrirgli ». – Giunta la madre cristiana a pie’ dell’altare, il sacerdote le dice, essere il Signore soltanto che dà la virtù di ben educare i figliuoli e concede prosperità alle famiglie; dover ella mettere in lui tutta la sua fiducia per adempire il difficile uffizio di madre cristiana; in fine invoca sul capo della nuova Eva tutte le benedizioni del cielo. – Or dite, per fede vostra, se possa darsi altra circostanza in cui la donna ne abbia maggior bisogno? Non è ella forse, fragile creatura, incaricata di formare un cittadino utile alla società temporale, un figlio alla Chiesa, un fratello a Gesù Cristo, un santo al cielo? E non è forse in grembo alla madre che si decide l’avvenire dell’uomo, la pace delle famiglie, la felicità del mondo? Penetrati da tutti questi gravi pensieri, il sacerdote e la madre cristiana incominciano a pie’ dell’altare, in presenza di Dio e degli Angeli, uno di quei dialoghi inimitabili, che niuna favella può esprimere tranne quella del culto cattolico. Il sacerdote dice alla donna: «Non ti scoraggiare; il nostro soccorso è riposto nel nome del Signore ». E la donna risponde, per bocca del chierico: « Che ha fatto il cielo e la terra ».

– Il sacerdote: « Signore, salvate la vostra ancella ».

– La madre: « Mio Dio, voi sapete ch’egli spera in voi ».

– Il sacerdote: « Inviatele il vostro aiuto dall’alto del vostro santuario».

– La madre: « Proteggetela dal sommo della santa Sionne ».

– Il sacerdote: « Che il nemico nulla possa contro di lei ».

– La madre: « E il Figlio dell’iniquità non arrivi a nuocerle ».

– Il sacerdote: « Signore, esaudite la mia preghiera ».

– La madre: « E le mie voci giungano fino a voi ».

– Il sacerdote: « Preghiamo. — Dio eterno ed onnipotente, che pel felice parto della Vergine Maria avete cangiato in gioia gli acerbi dolori delle madri, rimirate con bontà la vostra ancella, e concedete, per l’intercessione di quell’augusta Regina, a costei, che viene oggi nel vostro tempio a rendervi solenni grazie, di pervenire insieme col suo figlio all’eterna beatitudine: per i meriti del Nostro Signore Gesù Cristo ».

.- La madre: « Così sia! » – Il sacerdote le indirizza qualche pia esortazione per assodare in lei quei sentimenti di riconoscenza e di devozione che l’hanno condotta ai piedi dell’altare, e per animarla a consacrare al Signore la propria vita e quella del figlio; ovvero le porge parole di consolazione, se, a guisa di Rachele, ella pianga il figlio suo, già divenuto preda di morte, e rialza il suo coraggio rammentandole la sua felicità per essere madre di un angelo. Quale sarà quella madre cristiana, quella madre che comprenda i suoi doveri e la sua dignità che possa dispensarsi da questa nobile cerimonia? Ah! lasciate che se ne esimano soltanto quelle che non hanno rendimenti di grazie da fare al Signore per la conservazione dei propri giorni e di quelli del figlio, né consigli, né conforti da ricevere, né lumi, né aiuti, né benedizioni celesti da impetrare per l’educazione dei fanciullo confidato loro dal cielo. – Il sacerdote benedice il pane che la madre gli presenta; il qual uso rammenta le due colombe di Maria, e la parte che la madre cristiana desidera prendere al sacrificio che viene offerto alla Chiesa. – Il sacerdote, facendole baciar la croce ingressa sopra la stola, la benedice dicendo: « La pace e la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, discendano sopra te e sopra il tuo figlio, e vi rimangano in perpetuo». – La madre risponde: « Così sia » Amen! – Ei finisce con aspergerla leggermente di acqua benedetta, affine di renderla più santa, più fedele ai suoi nobili doveri e più degna de’ benefizi del Signore.

II. Presentazione. — Il secondo mistero che la Chiesa venera nel due febbraio è la presentazione del bambino Gesù al Tempio. Voi ben rammenterete che l’Angelo sterminatore il quale aveva ucciso tutti i primogeniti degli Egiziani aveva risparmiato quelli degli Ebrei. In memoria pertanto di tale avvenimento, e per mostrare il suo supremo dominio su tutte le creature, Dio aveva dettata a Mosè la legge seguente: Consacra a me tutti i primogeniti, tanto degli uomini che dei giumenti, giacché sono mie tutte le cose. E quando in appresso domanderà a te il tuo figliuolo: Che è questo? gli risponderai: con braccio forte ci trasse il Signore dalla terra di Egitto, dalla casa di schiavitù. Imperocché, essendosi il Faraone ostinato a non voler lasciarci partire, uccise il Signore tutti i primogeniti dalla terra di Egitto, dal primogenito dell’uomo, fino al primogenito dei giumenti: per questo io offerisco al Signore tutti i primi parti maschi, e riscatto tutti i primogeniti dei miei figliuoli (Es. XIII, 3-14-15). – Si riscattavano i figli primogeniti con una modica somma, cioè mediante cinque sicli di d’argento. Maria portò dunque il suo Figlio al tempio onde offrirlo al Signore per mano del sacerdote, poi diede i cinque sicli per riscattarlo, e lo ricevé tra le braccia come un deposito affidato alla sua cura fino al momento in cui il Padre Eterno lo avrebbe ridomandato per compier l’opera della Redenzione del genere umano. – Egli è fuori di dubbio che Gesù non era compreso nella legge; perché, dice sant’Ilario, se un figlio di monarca erede della corona è esente dalla servitù, a quanto più forte ragione Gesù Cristo, che era il Redentore delle nostre anime e dei nostri corpi, era dispensato da riscattare se stesso! Ma questo divino Salvatore voleva darci un esempio d’umiltà, d’obbedienza e di devozione; Egli voleva rinnovare nel tempio, e ben anco in modo solenne, l’offerta ch’Egli aveva fatta al Padre suo fino dal momento della sua incarnazione. In questo giorno Gesù accettò solennemente la croce, i supplizi, la corona di spine, la canna dell’ignominia, la veste di derisione, il fiele, l’aceto e la morte. In questo stesso giorno il Padre Eterno ricevé un sacrificio valevole a disarmare la sua collera accesa dai nostri peccati, e a strappare le anime nostre a quel fuoco divoratore che non si estinguerà giammai (Matt. XVII, 11). – Desideriamo noi di entrare nello spirito di questo mistero? E chi di noi non lo vorrebbe? Ebbene, dall’interno del tabernacolo come pure dal fondo del presepio e dall’alto della croce non ci grida Egli forse: « Io vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io facciate voi pure? » Offriamo dunque a Dio in questo giorno noi stessi con la grande vittima del mondo; offriamo i nostri due oboli, il nostro corpo e l’anima nostra. Per quanto meschino sia questo, il nostro sacrificio, unito a quello del divino Redentore, non sarà rigettato. Guardiamoci solamente dal renderci colpevoli di rapina nell’olocausto, vale a dire dal riserbare una parte delle nostre affezioni per il peccato e per le creature. – Esaminiamo con tutta schiettezza e interroghiamo noi stessi: ci siamo noi mai offerti a Dio senza riserva e senza divisione? O mio cuore, a chi appartieni tu oggidì, in quest’ora, in questo momento in cui io leggo queste linee? Povero cuore! tu hai forse a vicenda servito di vittima a tutti gli Dei stranieri: tutto forse fino ad oggi è stato Iddio per te, tranne Dio! Su dunque a Dio solo da quest’istante e per sempre, non è vero? Non paventare, tu sarai bene accolto; il tuo Dio non guarda a quello che tu sei stato, ma a quello che sei, e a quello che vuoi essere. – Il divino Fanciullo, nostro specchio e maestro, volle essere presentato al tempio per mano della sua santa Madre. Preghiamo anche Maria, che si assuma la cura di presentarci a Dio; è dessa la tesoriera delle grazie. Qual mezzo è più idoneo ad eccitare in noi un’intera fiducia fuori della potente di Lei mediazione? Ciò posto io domando che cosa potrebbe Dio ricusare a Maria in questo giorno, in cui Ella fa il più eroico sacrificio che possa immaginarsi? Propongasi ad una madre: Una città è condannata a perire se non si trova una vittima; per salvarla, vi si domanda l’amato vostro figlio, l’unico oggetto della vostra tenerezza; Egli sarà insultato, vilipeso, percosso, straziato, posto a morte sulla croce; vi acconsentite voi? Chiamo in testimonianza tutte le madri: non ve ne avrebbe pur una che non preferisse morire in luogo del figlio suo; non una che non rigettasse con tutta l’energia della sua tenerezza una simile proposizione. E frattanto Maria, la tenera Maria, la Madre la più affettuosa del più amato Figlio, accetta la richiesta del Padre Eterno, e acconsente; ecco qual è il sacrificio ch’Ella fa in questo giorno! Come dunque pensare che il giusto e buon Dio, che ricompensò sì magnificamente il sacrificio figurativo d’Abramo, sarà poi scortese per Maria, e potrà chiudere l’orecchio ed il cuore quando Ella si presenterà per chiedergli qualche cosa in nostro favore? È empietà pensarlo, bestemmia il dirlo.

III. Incontro dei santi vecchi. — Il terzo mistero, che il due febbraio ci richiama alla memoria, è l’incontro che accadde nel tempio fra il vecchio Simeone e la profetessa Anna con Gesù e i suoi genitori. Maria aveva fatto il suo sacrificio; Ella aveva detto a Dio: Io vi offro il vostro Figlio ch’è anche il mio. E già stava per discendere i gradini del tempio e per ripigliare il sentiero di Nazaret, allorché le mosse innanzi un vecchio. Simeone il Giusto, che affrettava con tutti i suoi voti il Redentore d’Israele, Simeone a cui Dio aveva promesso di non richiamarlo dal mondo prima di avergli mostrato il Desiderato delle nazioni, fermò quei santi personaggi, li benedisse, prese tra le braccia il divino Fanciullo, poscia restituendolo alla Madre intuonò questo splendido inno: Adesso lascerai, o Signore , che se ne vada in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché gli occhi miei, hanno veduto il Salvatore dato da te, il quale è stato esposto da te al cospetto di tutti i popoli, luce a illuminare le nazioni, e a gloria del popolo tuo Israele!-  Deh! quali furono, o Maria, gli affetti del tuo cuore materno, allorché ascoltasti le benedizioni e le profezie del santo vegliardo! Ma le gioie stanno per mutarsi in affanno: ascolta di nuovo Simeone: Ecco che questi è posto per mina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa, o Maria, sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati ì pensieri s .[Luc. II, 29-34-35].  – E quali saranno questi pensieri? Li conoscerai un giorno, o Madre amorosissima al giardino degli Olivi, a Gerusalemme, lungo la via della Passione, sul Calvario! Maria, piena di rassegnazione, aveva ricevuto fra le braccia il divino suo Figlio ed era per ritirarsi, ma ecco che una santa femmina sorge a proclamare alla sua volta le grandezze di Gesù. Eravi allora in Gerusalemme una profetessa chiamata Anna, figlia di Fanuele, e che era avanzata in età e vedova da lungo tempo, non avendo vissuto col marito suo che sette anni. Quella vera Israelita passava la vita nel tempio, pregando e digiunando e facendo opere pie; era in lei lo Spirito di Dio. E quando ella ebbe udito il cantico di Simeone, anch’ella incominciò a lodare il Signore e a parlare di Gesù a tutti quelli che aspettavano la salute e la redenzione d’israele. Fortunati vegliardi! Chi mai non avrebbe ambito la vostra sorte! Voi trovaste il Salvatore del mondo, voi lo vedeste, voi ne proclamaste le lodi! Vogliamo noi ora gustare la stessa felicità? Rechiamoci al tempio guidati dallo Spirito di Dio, dove troveremo Gesù e Maria, dove ci sarà concesso godere della loro presenza e del loro colloquio, sicché potremo parlarne a tutte le anime fedeli che aspettano gemendo la salute d’Israele, la consolazione delle loro pene e la gloria della Religione.

IV. Origine della festa. — La festa della Purificazione vien detta comunemente Candelora, per motivo de’ cerei che in tal giorno si accendono; festa e cerimonia che ne forniscono una prova novella della divina sapienza della Chiesa. Nel mese di febbraio Roma pagana celebrava le feste denominate Lupercali, instituite ad onore di Pane, deità dei pastori, il culto del quale era stato recato in Italia da Evandro. Questo principe gli aveva consacrato la celebre caverna detta Lupercal, situata alle radici del Palatino, entro cui Romolo e Remo ebbero il latte dalla lupa, e dove in oggi sorge una chiesa dedicata alla Regina degli Angeli. Di buon mattino i sacerdoti di Pane, chiamati Luprici, si recavano al tempio di tale Deità, a cui immolavano in sacrificio un cane e alcune capre di color candido; in seguito si spogliavano delle loro vesti e armati di staffili formati di pelle di capra correvano come furibondi per le strade della città percuotendo tutti coloro in cui si abbattevano, e le donne specialmente, le quali per parte loro si esponevano a gara a tale stranissima cerimonia, che per avviso dei Pagani aveva a scopo la purificazione della città. Da ciò appunto ebbe nome il mese di febbraio (februarius), poiché februa presso i Romani denotava sacrifìci di purificazione. Tali erano le feste di quella Roma che era a capo dell’antico incivilimento. – Alla fine del quinto secolo continuavano a sussistere numerosi vestigi di quel culto bizzarro, né il sacerdozio del Dio Pane venne completamente abolito fuorché nel 512 per decreto dell’imperatore Anastasio, sebbene fin dall’anno 496 il Pontefice Gelasio avesse posto in opera ogni mezzo per distruggere le nefande cerimonie Lupercali. A tale effetto egli aveva appunto instituito la festa della Purificazione della santa Vergine, contrapponendo con ciò una reale purificazione ed espiazioni veramente sante alle impure espiazioni dei Pagani. – Da Roma passò, dopo qualche anno, a Costantinopoli, dove fu celebrata con magnificenza e fervore straordinario per impetrare la cessazione della spaventevole pestilenza che divorava in quella città fino a cinque mila persone per giorno. Ciò non ostante è facile arguire da molti monumenti che la festa della Purificazione era anche prima d’allora osservata in molte chiese particolari, sicché la sua primitiva istituzione si perde nell’oscurità dei tempi. – Perciò che spetta alla processione di tal giorno con cerei accesi, è mestieri stabilirne l’origine innanzi al sesto secolo. Venne questa instituita col disegno di opporre un rito edificante e utile in pari tempo ad una cerimonia pagana che fondavano nella superstizione, ed era accompagnato da disordini; vale a dire quelli che celebravasi dai Romani sotto il nome di Feste Amburvali. Feste ridicole, che accadevano ad ogni quinquennio e nelle quali il popolo percorreva le strade di Roma con torce accese. Pervenuti i Romani a sottomettere al loro impero tutte le nazioni della terra, avevano perciò imposto ad esse un tributo che pagavasi ogni cinque anni nella circostanza del censo quinquennale. Allorché il denaro era giunto nel tesoro della Repubblica, un mese intero, e quello precisamente di febbraio, era impiegato nel correre le vie e le piazza con fiaccole ardenti, in onore degli Dei Infernali, ai quali Roma si credeva debitrice della conquista della terra. – I sommi Pontefici distrussero questa festa mediante un’altra festa: e perciò il giorno di febbraio, il popolo ed il clero adunati si recano in processione con gran solennità con accese in mano per le strade della città eterna, celebrando e cantando altamente le laudi del vero vincitor del mondo e dell’augusta sua Madre; di quel Dio del Calvario che aveva impartito a Roma, in luogo dello scettro di forza, un dominio ben più glorioso, più esteso e più potente vale a dire quello della fede. Il popolo tutto, partendo dalla chiesa di S. Adriano, si recava a quella di santa Maria Maggiore faendo ardere migliaia di cerei, in omaggio delle splendide vittorie riportate da Maria e da Gesù suo figlio. – Tutte le torce, che splendono durante la processione o in tempo della Messa, e che alla sera illuminano con tanta maestà i templi cristiani, sono inoltre una rimembranza di quelle parole del cantico di Simeone: «Questo Fanciullo sarà la luce di Israele». Ogni fedele col suo cereo acceso è simbolo espressivo di quelle disposizioni di fede viva e di carità ardente con le quali si deve andare incontro l’Agnello divino: simbolo affettuoso, che sarebbe sì fecondo di religiose meditazioni! Chi fra voi in passato ha volto i pensieri a tali meraviglie? Potreste mai dopo il presente avvertimento ricusare di farne talvolta un aggetto di riflessioni?

V. Disposizioni alla festa. — Chi desidera di celebrare degnamente la festa di questo giorno procuri di ben comprendere i tre misteri che ci rammemora. Ammiriamo, chiediamo, e sforziamoci particolarmente d’imitare la profonda umiltà della santa Vergine. Questa nobile virtù divenga per l’avvenire il fondamento e la difesa di tutte le altre; sia esso l’obbietto continuo delle nostre meditazioni e delle nostre preghiere, oggi specialmente in cui il mondo corre a rovina, spinto da orgoglio e da amore di indipendenza. Non dimentichiamo lo zelo e l’esempio di Gesù bambino; procuriamo che metta radice profonda nel cuor nostro, deploriamo di averne fatto sì poco conto in passato, non ostante le mille occasioni e i mille motivi di doverla esercitare. Uniamoci finalmente a Simeone ed Anna nel loro santo entusiasmo; impariamo a mettere, com’essi, Iddio e la sua grazia al di sopra di tutte le cose, e preghiamolo ad infonderci in cuore un sincero disgusto verso tutto ciò che non è Dio.

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio che abbiate inspirato alla vostra Chiesa di stabilire la festa della Purificazione; fateci la grazia che possiamo imitare gli splendidi esempi di umiltà e di obbedienza che ci hanno lasciati Gesù e Maria. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore mi purificherò con ogni diligenza dalle prave intenzioni nel venire alla chiesa.