Il Segno della Croce e le Preghiere ai pasti

Il segno della croce e le Preghiere ai pasti

Carte Postal Religieuse Italienne de De Chirico"Il segno della croce " Anderson Credit: Rue des Archives/DS/18 rue le Bua 75020 Paris France
 

[Mons. J.-J. Gaume: “Il segno della croce”, 1864 – XVII-XVIII e XIX lettera]

Arma universale ed invincibile per l’uomo, parafulmine per le creature, simbolo di libertà pel mondo e monumento di vittoria pel Verbo Redentore: tale fu mio caro Federico, il segno della croce agli occhi dei primi cristiani. Da questa convinzione procedeva l’uso ch’eglino ne facevano, i sentimenti, che loro inspirava, il magnifico e piacevole spettacolo, a cui testé assistemmo. Conservammo noi la fede de’ padri nostri? Per i cristiani del secolo decimonono qual cosa mai è il segno della croce? come usano di esso a pro di sé stessi e delle creature? I sentimenti di fede, di confidenza, di rispetto, di fiducia e di amore, che loro inspira, sono vivi e reali? Il maggior numero di quelli, che fanno un tale segno non lo eseguono forse ignorando quel che operano, e senza attribuirgli valore alcuno, ed importanza? Quanti non lo eseguono affatto? Quanti credono ricevere onta dall’eseguirlo? Quanti ancora non son presi da sdegno al vederlo? E per fermo, eglino l’hanno tolto dalle loro case e da’ loro appartamenti, cassato dalla loro mobilia, ed inutilmente lo si cercherebbe nelle pubbliche piazze, nelle passeggiate delle città, lungo le vie e ne’ parchi; poiché l’han fatto disparire da tutti i luoghi, dove i padri nostri l’avevano innalzato. Essi, nuovi iconoclasti del secolo XIX, hanno spezzate le croci! Qual cosa mai è questa, ed a quale avvenire accennano siffatti sintomi? Vuoi saperlo? Rimonta al principio illuminatore della storia. Due principi opposti si disputano il dominio del mondo, Io spirito del bene e lo spirito del male. Tutto ciò che si opera è, o per inspirazione divina, o per inspirazione satanica. L’istituzione del segno della croce, l’uso continuo di esso, la fiducia che inspira, la potente virtù attribuitagli, è una inspirazione divina o satanica ? È o l’una, o l’altra!  Se è una inspirazione satanica, il fiore della umanità, che sola fa questo segno, è da poi oltre diciotto secoli incurabilmente cieca, mentre che il rifiuto della umana compagnia, che sprezza la croce, avrebbe ogni lume: è un dire, che i miopi, i loschi e i ciechi del tutto vedano più di colui, che ha due buoni occhi. Credi possibile che l’orgoglio possa tanto impazzire da affermare simile paradosso, e che vi sia tale una incredulità, e di sì robusti polsi da sostenerlo? Ma se il segno della croce praticato, ripetuto, caro, considerato come arma invincibile, universale, permanente, necessaria alla umanità contro satana, le sue tentazioni e i suoi angeli, è una inspirazione divina, che vuoi che io pensi di un mondo, che non comprende più un tal segno, che più non lo esegue, che si vergogna di esso, che più non lo saluta, che lo vuole scomparso dalla vista degli occhi suoi, e dal cospetto del sole? A meno che la natura umana non si sia del tutto immutata, e che il dualismo non sia che una chimera; a meno che satana non abbia abbandonata la pugna; a meno che le creature non abbiano cessato di essere i veicoli delle sue funeste influenze: il cristiano d’oggidì sprezzatore del segno della croce non è, che un rampollo degenere di una nobile razza. Desso è un razionalista insensato che non comprende più la lotta, né le condizioni di essa ; il secolo decimonono è un soldato presuntuoso, che, spezzate le armi, e deposta ogni armatura, si getta alla cieca nel mezzo delle spade e delle lance nemiche, con braccia legate, e a petto nudo; la società moderna, una città, sommersa nel sensualismo de’ baccanali, smantellata, circondata d’innumerevoli nemici, che agognano a farne rovina e passare a fil di spada la guarnigione. Farne una rovina ! Ma non è questa già fatta ? Rovina di credenze, rovina di costumi, rovina dell’autorità, rovina della tradizione, rovina del timor di Dio e della coscienza, rovina della virtù, della probità, della mortificazione, dell’ubbidienza, dello spirito di sacrificio, di rassegnazione e di speranza: dappertutto, rovine cominciate, o rovine compite. Nella vita pubblica e nella privata, nelle città e nelle borgate, nei governanti e nei governati, nell’ordine delle idee e nel dominio de’ fatti, quanto di perfettamente cattolico resta incolume, ed intero? Ma in tutto ciò nulla v’ha, caro Federico, che ci debba meravigliare. Togli il segno della croce e tutto si spiega. Meno v’ha di croci nel mondo, più v’ha di satana. La croce è il parafulmine del mondo; toglilo, e la folgore cade a schiacciare e bruciare. Il segno della croce accenna al dominio del vincitore, n’è trofeo: spezzarlo è un far rivivere l’antico tiranno, e preparargli il ritorno. Ascolta quanto scriveva, or sono diciassette secoli, uno degli uomini, che abbiano intesa tutta la misteriosa potenza di questo segno, dico il martire, il più illustre fra i martiri, Ignazio di Antiochia. Contempla questo vescovo dai bianchi capelli, carico di catene, che attraversa seicento leghe per condursi a farsi dilaniare da’ leoni al cospetto della gran Roma. Vedilo: è calmo quasi fosse sull’altare, ilare, come se andasse ad una festa, e dà, lungo il cammino, istruzioni ed incoraggiamenti alle chiese dell’Asia accorse a salutarlo. Questi nella sua ammirabile lettera a’ cristiani di Filippi, scrive: “e II principe di questo mondo mena gran festa, quando qualcuno rinnega la croce”. Esso conosce esser la croce, che gli apporta la morte, perché dessa è l’arma distruggitrice di sua potenza. La vista di essa gli mette orrore, il suo nome lo spaventa. Innanzi questa venisse fatta, nulla trasandò perché la si formasse, ed a siffatta opera egli spinse i figli della incredulità, Giuda, i Farisei, i Sadducei, i vecchi, i giovani, i sacerdoti: ma tosto che la vide sul punto d’essere compita si turba. Immette rimorsi nell’animo del traditore, gli presenta la corda, lo spinge a strangolarsi; spaventa con sogni la moglie di Pilato, ed usa ogni sforzo ad impedire che venisse compiuta la croce, non perché avesse rimorso, che se ne avesse non sarebbe del tutto cattivo; ma perché presentiva la sua disfatta. Né s’ingannava: la croce è il principio della sua condanna, di sua morte, e della sua perdita » . Ecco due insegnamenti: orrore e timore di satana alla vista della croce e del segno di essa; gioia di lui nell’assenza dell’ una e dell’altro. Vede egli un’ anima, un paese senza la croce: vi entra senza paura, e vi dimora tranquillo. Come inevitabilmente al cader del sole le tenebre succedono alla luce, cosi del pari desso ristabilisce il suo impero al disparir della croce. Il mondo attuale n’è sensibile prova.  Non parlo del diluvio di negazioni, empietà, bestemmie inaudite che inondano il mondo, ma, che cosa mai sono, per chi non si soddisfa di sole parole, i milioni di tavole giranti e parlanti, gli spiriti battenti o familiari, le apparizioni, le evocazioni, questi oracoli e consultazioni medicali, le comunicazioni con i pretesi morti, che, ad un tratto, hanno invaso il vecchio ed il nuovo mondo (1 ). Son forse queste cose nuove ì No: l’umanità le ha già viste. Ma quando? Quando il segno della croce non proteggeva il mondo, quando satana era dio e re delle società! Di presente siffatte cose col ricomparire con proporzioni ignote di poi il vecchio paganesimo, quale avvertenza ne danno? Se non che il segno liberatore cessando di proteggere il mondo, Satana lo invade di nuovo. Tu il vedi, caro amico, sono ben poco intelligenti quelli che abbandonano il segno della croce. Siano essi oggetto di nostra compassione e non d’imitazione! Fra tutte le circostanze in cui è da separarsi da loro, ve n’ha una in che lo si deve inevitabilmente. Per noi, come per i nostri padri, il segno della croce avanti e dopo il pranzo dev’esser cosa sacra; poiché come tale lo comandano la ragione, l’onore, la libertà.Gaume-282x300

La ragione. Se interroghi i tuoi compagni domandando loro perché non facciano il segno della croce innanzi prendano il cibo, ciascuno ti dirà: Non voglio singolarizzarmi operando altrimenti degli altri. Non voglio ch’io sia segnato a dito, e che altri si burli di me, per la osservanza di una pratica inutile, ed ormai fuori moda. Non vogliono singolarizzarsi! Per loro onore, stimo credere, che non intendano la forza di siffatta espressione. Singolarizzarsi, è un dire, isolarsi, non operare come tutti gli altri. In siffatto senso si può ben essere singolare senza taccia di ridicolo; anzi, v’hanno delle circostanze ch’è mestieri esserlo ad isfuggire la colpa. Nel mezzo di un manicomio, l’uomo ragionevole che opera assennatamente; in un paese di ladri, l’uomo onesto, che rispetta l’altrui, sono de’ singolari: son dessi ridicoli? Nel senso in che è presa da’ tuoi compagni, “singolarizzarsi” vuol dire isolarsi, operando con maniere, che, movendo al riso, si oppongono agli usi ammessi e ci rendono ridicoli. Resta però vedere se, fare siffatto segno innanzi e dopo il pranzo sia un singolarizzarsi in maniera ridicola. Per fermo, ti diranno, perché è un operare altrimenti dagli altri. Ma v’hanno altri ed altri. V’hanno alcuni, che fanno il segno della croce, e ve n’hanno altri ancora che non lo eseguono. Di siffatto modo facendolo o non facendolo noi non ci singolarizziamo, noi siamo sempre con altri. Siam noi ridicoli? Per rispondere a tale domanda è da osservare chi siano quelli, che fanno un tal segno, e chi quelli, che lo trasandano. Quelli che lo praticano sono tu, io, la tua onorevole famiglia, la mia, nè siam soli; prima di noi e con noi ve n’hanno ben altri ancora. V’hanno tutti i veri e coraggiosi cattolici dell’Oriente e dell’Occidente da poi diciotto secoli, i quali, come vedemmo, sono il fiore della umanità, e con siffatta compagnia si diviene si poco ridicolo, ch’è un esserlo al sommo, non appartenendo ad essa. Se ne eccettui quelli che vivono di parole, e che con esse vorrebbero tutto pagare, la proposizione è indegna di esser discussa. Nulla v’ha di più certo dell’aver con tutto studio il fiore della umanità eseguito il segno della croce, avanti e dopo il pranzo. I Padri de’ quali, ho testé apportate le sublimi testimonianze, Tertulliano, S. Cirillo, S. Efrem, S. Crisostomo, non lasciano alcun dubbio sulla universalità di questa religiosa usanza, presso tutti i cristiani della primitiva Chiesa. Ma lascia che io ne aggiunga qualche altro. Quando si siede a mensa, dice il grande Atanasio, e si spezza il pane, lo si benedice per tre volte col segno della croce, e si rendono le grazie » [Omel. 1, contra Julian., Theodoret.J. Hist., lib. Ill, c. 16.] . La benedizione della mensa col segno della croce non era solamente in uso presso le famiglie nella vita civile, ma l’era altresì negli eserciti, nella vita del campo. S. Gregorio di Nazianzo racconta, a questo proposito, un fatto venuto in gran fama.    Giuliano, l’Apostata, gratificava l’esercito con istraordinaria distribuzione di viveri e di danaro. Dal lato al principe v’era un braciere acceso, e tutti i soldati vi gettavano un granello d’incenso. I soldati cristiani imitarono i commilitoni pagani, nulla sapendo che in ciò vi fosse idolatria. Compiuta la distribuzione, tutti in uno raccolti desinavano in onore del principe. Sul cominciar della mensa, fu presentata la coppa ad un soldato cristiano, e questi, secondo l’usato, la benedisse. Tosto una voce si levò a dirgli: Quello che fai ripugna a quanto testé operasti. Che feci? Hai tu dimenticato l’incenso ed il braciere? Ignori che idolatrasti, che rinnegasti la tua fede?Com’ebbe ciò inteso, si levò il guerriero e con lui i compagni d’arme, e tutti gemendo e strappandosi i capelli, a grandi grida, si dichiararono cristiani, e protestarono contro l’inganno loro fatto dall’imperatore, e domandarono nuove prove per confessare la propria credenza. L’apostata fattili arrestare e legare li condannò a morire, e dispose venissero condotti al luogo del supplizio: ma, a non far de’ martiri, accordò loro la vita rilegandoli nelle più lontane frontiere dell’impero [Ruinart. Actes du martyrs de saint Theod.]. Quando un prete trovavasi in un convito, a lui apparteneva l’onore di fare il segno della croce su gli alimenti. La benedizione della mensa era in tanta stima di cosa santa, che al nono secolo i Bulgari convertiti alla fede domandavano al Papa Nicolò I, se il semplice laico potesse supplire al prete in tale funzione. Per fermo, rispose il Pontefice: “avvegnaché, a tutti è commesso preservare, col segno della croce, quanto gli appartiene, dalle insidie del demonio, e trionfare di tutti i suoi attacchi per lo nome di nostro Signore (Nam omnibus datum est, ut et omnia nostra hoc signo debeamus ab insidiis munire diaboli, et ab ejus omnibus impugnationibus in Christi nomine triumphare. (Resp. ad consult. Bulgar.). I tempi successivi han visto perpetuarsi presso tutti i veri cattolici dell’Oriente e dell’Occidente l’uso del segno della croce prima e dopo il pranzo, e tu sai come sussista ancora di presente. Noi conosciamo quelli che fanno il segno della croce, e gli altri che non lo fanno; è da vedere a chi i tuoi compagni diano la preferenza. I pagani non lo fanno, ed i giudei nemmeno, i maomettani neppure, gli atei e i cattivi cattolici neanche, i cattolici ignoranti o schiavi del rispetto umano parimente lo trasandano. Ecco quelli che non fanno il segno della croce, e che beffano quanti sono teneri di si pia usanza. Da qual lato è la singolarità ridicola?

L’onore è la seconda ragione, che ci obbliga a restar fedeli all’antico uso del segno della croce avanti e dopo il pranzo. I tuoi compagni al contrario ostentano credere essere onorevole cosa lo astenersene, ed eglino dicono: Non voglio che altri mi rimarchi, e che si burli di me. Facciamo l’autopsia di questo nuovo pretesto. Innanzi tutto la ragione, ed il vedemmo, condanna quelli che disprezzano la croce, epperò l’onore non saprebbe essere per loro, poiché non lo si trova con lo sragionare. Aggiungono, non voler essere notati. Impossibile! checché eglino facciano, saranno sempre notati, e rimarcati. Io non li credo sì infelici da non trovarsi mai con veri cattolici allo stesso desco, ed allora, per fermo, saranno necessariamente e ben tristemente osservati. È vero che ciò per essi, come dicono, è indifferente; ma questo disprezzo è poi fondato? Qui ritorna la questione degli uni e degli altri che abbiamo già risoluta. Lo scherno, di che tanto sessi hanno paura, segue sempre l’osservazione, solo presso il vero cattolico, questa si rimuta in un sentimento di compassione verso di loro. Contentandomi d’esporre i tuoi compagni, e quelli che ad essi si assomigliano alle osservazioni de’ cattolici, uso indulgenza con esso loro; pertanto essi, come vedrai, astenendosi dal pregare innanzi e dopo il pranzo, pel pretesto di non farsi notare, si disonorano al cospetto di tutta la umanità: seguimi nel mio ragionare. Quegli si disonora agli occhi di tutta l’umanità che volontariamente si pone nel rango delle bestie. Ora sino a’ dì nostri non si conosceva in natura che una sola specie di esseri che mangiasse senza pregare, ma di presente due: le bestie e quelli che loro si assomigliano. Dico “che loro si assomigliano”, perché tra un uomo che mangia senza pregare ed un cane, quale differenza vi trovi tu? Per me io non ve ne trovo alcuna, e l’Accademia è con me. Bipede o quadrupede, seduto o coricato, gracidando, ciarlando o grugnando, essi sono gli uni come gli altri; poiché con le mani, o con le branche, gli occhi, il cuore, i denti immersi nella materia, divorano stupidamente il loro pasto senza elevare la lesta verso la mano che lo dona. L’uomo che agisce di siffatto modo si degrada; egli da bestia si mette a tavola, bestialmente vi dimora, e come bestia ne sorte. La mia proposizione ti sembra troppo assoluta, e tu esclami: “È poi vero, mi dici, che per lo innanzi non si conoscesse che le sole bestie, i buoi, gli asini, i muli, i porci, le ostriche, mangiassero senza pregare?” Nulla v’ha di più vero: “La preghiera su gli alimenti è antica quanto il mondo, estesa quanto il genere umano”.  Dai primordi dell’antichità la si trova presso gli Ebrei. « Quando tu avrai mangiato e sarai satollo, dice la legge di Mose, benedici il Signore » [Cum comederis et satiatus fueris, dicas Domino.] (Deuter. VIII, 10). Ecco la preghiera su gli alimenti. Fedeli a tale comando gli Ebrei usavano tali cerimonie nel benedire la mensa, che il padre circondato dai figli, diceva: Benedetto sia il Signore Dio nostro, la cui bontà concede il cibo ad ogni creatura. Quindi presa una coppa di vino nella destra la benediceva, dicendo: Benedetto il Signore nostro Dio, che ha creato il frutto della vite. Egli lo gustava il primo, e poi la passava a’ convitati. In seguito, preso il pane con entrambe le mani, continuava dicendo: Lodato e benedetto sia il Signore Dio nostro, che ha creato il pane dalla terra. Lo spezzava, ed imboccatone un pezzo, lo passava agli altri. Dopo tutto questo cominciava la mensa. E se accadesse cangiar di vino, o, che nuova vivanda si apprestasse, si facevano nuove benedizioni, perché ogni alimento venisse purificato c consacrato. Il pranzo era seguito da un cantico di ringraziamento. Tutti questi riti diventano a dismisura più venerandi da che sono stati consacrati dallo stesso figlio di Dio, e nulla potrebbe meglio mostrare la importanza di essi. In effetti, che fa l’adorabile Maestro del genere umano nell’ultima sua cena, quando unito a’ cari discepoli mangia l’agnello pasquale ? [“Et accepto calice, gratias egit et dixit: accipite et dividite inter vos”.] (Luc. XXII, 17). Qual cosa fa egli quando dopo la cena canta con i suoi discepoli il cantico di ringraziamento? “Et hymno dicta exierunt in montem Oliveti” [Marc. XIV, 26]. Egli si conforma religiosamente agli usi della santa nazione. V’hanno altresì ben altre circostanze, in cui vediamo il modello eterno dell’uomo pregare innanzi prendesse il cibo, o che ad altri il desse! Egli rompe i pani, e fatti in pezzi i pesci li distribuisce al popolo; ma, prima eleva al cielo li occhi e benedice quel cibo [Marc. VIII. — Math. XIV.].

Tutte queste espressioni, secondo i padri, mostrano la benedizione degli alimenti, e che il Verbo incarnato l’ha fatto per insegnarci di non prendere cibo alcuno senza benedirlo, e rendere a Dio le grazie (Teofilat. In Math. XIV). Non v’ha da meravigliare se troviamo in uso presso i primi cristiani la benedizione della mensa; poiché le azioni dell’ Uomo-Dio erano la regola della loro condotta, e gli Apostoli le ricordavano loro di continuo. «Presso di noi, dice Polidoro Virgilio, v’ ha il costume di benedire la mensa innanzi il pranzo; e ciò per imitare il Signor Nostro. L’Evangelio ci ricorda ch’Egli di essa usò sì nel deserto, benedicendo i pani, che in Emmaus, alla mensa de’ discepoli ». E Tertulliano aggiunge : « Con la preghiera comincia e finisce il pranzo » [Oratio auspicatur et claudit cibum] ( Tertull. Apologet.).Potrei a queste autorità aggiunger quelle del Crisostomo, di S. Girolamo, di Origene, de’ Padri latini e greci, ma non è mestieri citarli, poiché il fatto non è messo in dubbio. Dirò solo, che abbiamo il Benedicite ed il Gratias in magnifici versi di Prudenzio : Christi prius Genitore potens. Siffatti cantici provano a filo ed a segno, quanta coscienza si facessero i nostri avi di conformarsi agli esempi di Nostro Signore, come questi se era conformato all’uso degli antichi Ebrei, che ubbidivano in ciò al comando di Dio. Noi abbiamo altresì in prosa queste formule di benedizioni, e noi riporteremo questi monumenti della veneranda nostra antichità. Innanzi il pranzo: « O voi che apprestate il nutrimento a quanti respirano, benedite gli alimenti che prendiamo. Voi avete detto, cha se accadesse bere qualche cosa avvelenata, questo non ci apporterebbe nocumento alcuno, se invocassimo il vostro nome, poiché Voi siete Onnipotente. Togliete da questi alimenti quanto può esservi di nocivo, e male per noi » [Mamachi:Costumi de’primitivi cristiani”] . E dopo il pranzo: « Benedetto mille volte siate, o Signore, che ci avete nutrito sin dalla infanzia nostra, e con noi tutto, che respira. Colmate i nostri cuori di gioia, perché facile ci torni compiere ogni maniera di buone opere per Gesù Cristo Signor nostro, cui, con voi, e con lo Spirito Santo sia gloria, onore e potenza. Cosi sia » [Stukius: Antiq. Convivial.]. Queste formule profondamente filosofiche, come tosto vedremo, hanno attraversato i secoli, e, o nella loro primitiva integrità, o con qualche modificazione, sono in uso fra cattolici fino ad oggidì. I protestanti, malgrado la loro avversione agli usi cattolici, 1’hanno conservate, e buon numero di famiglie in Alemagna ed Inghilterra, non tralasciano la preghiera innanzi il pranzo. Ma quello che potrà sembrare più strano, è la benedizione della mensa in uso presso i pagani. Si, mio caro Federico, questi modelli di obbligo per la gioventù da collegio, usavano religiosamente di quanto i tuoi compagni, discepoli ed ammiratori di essi, si vergognano. « Mai, dice Ateneo, gli antichi prendevano il cibo, senza prima invocare gli dei ». E parlando degli Egiziani, aggiunge: « Dopo aver preso posto sul letto da mensa, si alzavano, e postisi in ginocchio, il capo della festa, od il prete, recitava le consuete preghiere, che gli altri dicevano con lui: dopo ciò cominciava il pranzo ». Né altrimenti era in uso presso i Romani. Tito Livio a proposito della morte di un uomo ordinata da Quinto Flaminio, per piacere ad una cortigiana, si esprime con siffatti termini. « Questo atto mostruoso fu commesso nel mezzo delle coppe, lungo il pranzo, quando è costume, pregare gli dei, ed offrir loro delle libazioni » [Liv. Decad. IV. Lib IX]. Tu sai che le libazioni erano una specie di preghiera quanto usatissima, altrettanto nota. I Romani, a mo’ di esempio, ne facevano quasi in tutte le ore: il mattino alzandosi, la sera andando a letto, quando facevano qualche viaggio, ne’ sacrifici, in occasione de’ matrimoni, al cominciamento e fine del pranzo. Questi antichi maestri del mondo non assaporavano il cibo, senza averne prima consacrata una parte alla divinità. La parte prelevata era posta su di un altare, o su di una tavoletta, Patella, che ne faceva le veci. Era questo il loro Benedicite ed il loro Gratias.

Perpetuità della tradizione degna di osservazione! Abbiamo veduto presso gli Ebrei delle nuove benedizioni al mutarsi del vino, ed alle nuove portate, e lo stesso uso era presso i Romani. AI secondo servito, avevano luogo delle libazioni particolari in onore degli dei, che si credeva assistessero alla mensa, e ciascun convitato spargeva un po’ di vino sulla tavola, o sulla terra, accompagnando tale spargimento di alcune preghiere in onore degli dei. I Greci avevano servito da modello a’ Romani. Presso di loro, tessa era la frequenza, ed istesso l’uso delle libazioni sul cominciar del pranzo ed in fine di esso, né diverse le preghiere al mutar del vino. Quando, dice Diodoro di Sicilia, si mesceva a’ convitati del vino puro, era antico costume dire: Dono del buon genio ; e quando lo si apprestava con l’acqua, dicevasi : Dono di Giove Salvatore; perché il vino puro è contrario si alla salute del corpo, che a quello dello spirito » (Diod. Sicul. Lib. III). Ma non era questa la sola forma di rendimento di grazie, ve n’era un’altra generale usala alla fine del pranzo, che s’indirizzava al padre degli dei (idem Lib. II). L’uso di benedire il cibo presso i pagani era sì comune da dar luogo a questo proverbio: Non prendere dalla caldaia il cibo innanzi sia santificato. [“Ne a chytropode cibum nondum santificatum rapias”]. Questo proverbio, secondo Erasmo, voleva dire: Non vi gettate da bestia su gli alimenti; mangiateli dopo averne offerte le primizie agli dei. Ed in effetti, presso gli antichi, secondo che Plutarco dice, il giornaliero pranzo stesso era classato fra le cose sacre; il perché i convitati consacrandone le primizie agli dei, testimoniavano con ciò, che, secondo loro, prendere il cibo, era reputata cosa santa. Quindi, Giuliano l’apostata, nel celebre banchetto del sobborgo di Antiochia, per riconoscere pubblicamente, e tener salda la tradizione pagana, fece benedire la mensa dai sacerdoti di Apollo (Sozomen Hist., lib. III, c. IX). I barbari stessi imitavano in ciò i popoli inciviliti. I Vandali ne’ loro pranzi facevano circolare una coppa consacrata a’ loro dei con stabilite formole (3). Presso gli Indiani il re non gustava alcuna vivanda se non fosse stata consacrata a’ demoni. Malgrado la differenza de’ costumi, de’ gradi d’incivilimento e di clima, gli abitanti della Zona glaciale avevano le medesime pratiche di quelli della Zona torrida. Gli antichi Lituani, quelli della Samogizia [regione della Lituania -n.d.r.-], e gli altri barbari del nord invocavano i demoni per santificare le loro mense. Nel fondo delle loro capanne aveano de’ serpenti addomesticati, che, in dati giorni, per lo mezzo di lini bianchi, lasciavano salire sulla tavola, perché gustassero le vivande allestite, e queste allora venivano considerate come sacre, ed i barbari allora solo le mangiavano senza alcuna paura. La benedizione della tavola trovasi egualmente presso i Turchi, e presso gli Ebrei moderni. Questi ultimi, fedeli alle paterne tradizioni conservano ancora l’uso di ripetutamente pregare lungo il pranzo. Cosi alle frutta dicono: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato le frutta degli alberi. All’ultimo servito: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato vari alimenti (Stukius: ubi supra et c. XXXVIII, “De libationibus ante et post epulas”). Per quanto materialisti siano, i popoli contemporanei dell’Indo-China, della Cina, e del Thibet non fanno eccezione a questa legge, la quale, porto opinione, che si trovi presso i popoli i più degradati dell’Africa. Come ho detto, tu il vedi, caro amico, la preghiera, innanzi e dopo il pranzo, è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. Ora, se l’esistenza di una legge si conosce dalla permanenza degli effetti; se a cagion d’esempio, vedendo che il sole levasi ad un determinato punto dell’orizzonte, ogni uomo ha ragione di affermare che una legge dirige i suoi movimenti, io non ho minor ragione di affermare che benedire la mensa è una legge della umanità.  Osservarla adunque, è un agire come tutto il genere umano; il non osservarla, è operare come gli esseri che non appartengono alla umana famiglia ; è, alla lettera, assomigliarsi alle bestie (1). Tu puoi dimandare a’ tuoi compagni se l’onore vi trova il suo conto. Fra breve esplicherò la legge, che comanda la benedizione della mensa.

« I soli coccodrilli mangiano senza pregare. » Tale assioma, tu mi dici, caro amico, riassume le nostre due ultime lettere. Questa tua parola non sarà dimenticata: “I miei compagni, tu continuando dici, sono stati come francesamente dicesi, aplatis, dai fatti da voi riportati, per essi tutto cosa nuova. Ma eglino sono come per lo passato, non fanno il segno della croce avanti il pranzo. — La sola novità che vi ha, è il poter io eseguirlo liberamente, avendo eglino paura del mio assioma ». Non mi maravigliano punto siffatte cose ! — Come tanti altri, i tuoi compagni, e quelli, che loro si assomigliano, benché parlino di libertà a gran gola, sono schiavi del tiranno il più vile, del rispetto umano. Poveri giovani! per meglio nascondere la loro schiavitù, terminano la loro obbiezione dicendo : “Il segno della croce su gli alimenti è una pratica inutile, e fuori moda”. Nel fondo del loro intimo pensiero, questo parlare vuol dire: Tutti quelli che non mangiano come noi, cioè da bestie, appartengono alla specie de’ gonzi, più o meno rispettabile. I preti, ed i religiosi de’ gonzi; i veri cattolici della patria tua, gonzi; gli Ebrei, gli Egiziani, i Greci, i Romani, gonzi; il fiore della umanità, gonza; l’umanità tutta è gonza, e con essa, mio padre, mia madre, le mie sorelle: io, ed i miei simili, noi soli siamo saggi sulla terra, i soli illuminati fra tutti i mortali! È mestieri che io strappi la maschera di che cercano coprirsi: a che fare, basterà il mostrare come la benedizione della tavola col segno della croce, sia un atto di libertà, azione utilissima, e ch’è fuori moda solo nelle basse regioni del cretinismo moderno. Questa ultima considerazione unita a quella dell’onore e della ragione, giustifica pienamente la nostra condotta, e nel medesimo tempo, rende ragione della pratica universale del genere umano.

La libertà. — Tre tiranni si disputano la libertà dell’uomo; la mia, la tua, quella de’ tuoi compagni. Questi tiranni sono il mondo, la carne, il demonio. Per non essere schiavi di questi tiranni, noi, e con noi tutta la famiglia umana benediciamo la mensa. Lo abbiamo veduto, ed il ripeto: il non fare il segno della croce avanti il desinare, è un separarsi dal fiore della umanità; il non pregare, è un assomigliarsi alle bestie. Nell’un caso, e nell’altro è schiavitù; poiché questo è sottomettersi ad un potere dispotico, ed è tale, quel potere, che comanda senza averne il dritto, o, che comanda contro la ragione, contro il dritto, contro l’autorità. Chi è il potere, che m’inibisce fare il segno della croce, e che, se ho il coraggio di disobbedirlo, mi minaccia di farmi oggetto di beffe? Qual è il suo dritto? da chi ha ricevuto egli il mandato? Dove sono i titoli che lo raccomandano alla mia docilità? Le ragioni della sua difesa? Questo potere usurpatore, è il mondo attuale, mondo ignoto agli annali dei secoli cristiani, mondo da sale, da teatro, da caffè, da bettole, da traffico, da borsa; è l’uso di questo mondo, l’empietà di questo mondo, il suo marcio materialismo: la beozia dell’intelligenza. Ora, questa minorità, nata ieri e già decrepita, questa minorità in permanente insurrezione contro la ragione, contro l’onore, contro il genere umano, ha la pretensione d’impormi i suoi capricci! E sarò io sì dappoco da sottomettermi? E dopo aver fatto divorzio con la ragione, con l’onore, col fiore della umanità, avrò io il coraggio di parlare di dignità, di libertà, d’indipendenza? Vana parola sarà questa ! Le catene della schiavitù si mostrerebbero di sotto l’orpello dell’orgoglio; la maschera bucata non nasconderebbe la figura della bestia, ed il buon senso ci seguirebbe dicendo: Mida, il re Mida ha gli orecchi di asino. Vadano pure gli indipendenti d’oggidì superbi di un tale complimento; noi altri gonzi, nol vogliamo a nessun prezzo. Vergognosa è la schiavitù professata al mondo, ma l’è più ancora quella del vizio. L’ingratitudine è vizio; la ghiottoneria è vizio, come l’è altresì l’impurità. Contro questi tre tiranni ci difendono il segno della croce, e la preghiera della mensa.

L’ingratitudine. — L’hanno al presente due religioni, quella del rispetto, e quella del disprezzo. — La prima rispetta Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, le creature.—Per essa lutto è sacro; perché tutto è da Dio, tutto gli appartiene, ed a lui ritorna. Essa m’insegna usare di tutto con spirito di dipendenza, perché nulla mi appartiene; con spirito di timore, perché sarà mestieri rendere di tutto conto; con spirito di riconoscenza, perché tutto è benefizio, l’aria stessa che respiro. — La seconda disprezza tutto — Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, e le creature; i suoi settatori usano ed abusano della vita e de’ beni di Dio, quasi ne fossero proprietari ed irresponsabili. La prima ha scritto sulla sua bandiera, riconoscenza; la seconda ingratitudine. L’una e l’altra mostrano la loro presenza dal momento in cui l’uomo si assimila i doni di Dio col prendere il cibo necessario alla vita. Il fiore della umana famiglia prega e ringrazia; avendo tale coscienza della sua dignità da non soffrire che vada confusa con le bestie; ed è tale il sentimento del dovere, da non poter restare muto alla vista de’ benefizi di che è colmato. Esso trova, con ragione, mille volte più odiosa l’ingratitudine verso Dio che non lo sia quella esercitata contro gli uomini, e non può patire essere schiavo di tal vizio.— Vergogna per colui, cui la riconoscenza è peso insopportabile; il cuore ingrato non fu mai un buon cuore!

L’adepto alla religione del disprezzo si vergogna di essere riconoscente, e mangia come la bestia, o come il figlio snaturato, che non trova né nel suo cuore, né nelle sue labbra, una parola di gratitudine da indirizzare al padre, che, con bontà senza limiti, sopperisce ai bisogni e provvede ai piaceri di lui. E perché si sottrae al dovere, si crede libero! Si proclama indipendente! Indipendente da chi, e da che? Indipendente da quanto è da amare, e da rispettare: dipendente da quanto è degno di disprezzo, e bisogna odiare. L’è veramente gloriosa questa maniera d’indipendenza! — La ghiottoneria. — Altro tiranno che siede con noi al nostro desco, e che incatenando gli occhi, il gusto, l’odorato alle vivande, rende l’uomo adoratore del dio ventre. — Allora l’uomo non parla per l’abbondanza del cuore, ma dello stomaco ; egli non cerca la qualità de’ cibi atti a riparare le forze, ma quella che solletica il gusto; non mangia per vivere, ma fine e scopo del suo vivere è il mangiare. Di siffatto modo l’organismo sviluppa il suo impero, e l’intelligenza si affievolisce, diventa schiava. La delizia della carne non è compatibile con la saggezza; i grandi «omini non furono ghiottoni, tutti i santi sono stati modelli di sobrietà! [Sapientia non invenitur in terra suaviter viventium: Iob. XXVIII, 13]. Osserva bene, mio caro amico, che io parlo della ghiottoneria come ricercatezza negli alimenti, dilicatezza nella scelta, avidità e sensualità nel mangiare, il che troppo sovente è seguito dalla intemperanza. Ora l’intemperanza mena seco un tal corteggio d’infermità e malattie, che la ghiottoneria uccide più uomini che la stessa spada: Plures occidit crapula, quam giadius [Vigilia, cholera, et tortura viro infrunito. (Eccli. XXXI, 23, et XXXVI, 3].  Cosi Nabucodònosor, Faraone, Alessandro, Cesare, Tamerlano e tutti i carnefici coronati, che hanno coperto il mondo di cadaveri, hanno fatto morire minor numero di uomini che la ghiottoneria. Dispiacevole mistero è questo, che mostra tutta la saggezza, che v’ha nell’uso del segno della croce e della preghiera innanzi e dopo il pranzo. Con essa noi chiamiamo Dio a nostro soccorso, e ci armiamo contro un nemico che attacca tutte le età, tutti i sessi e le condizioni, e che agogna incatenarci al più grossolano de’ nostri istinti. Per essa, noi apprendiamo che mangiare è una guerra, e che per non essere vinti è mestieri, secondo il detto di un gran genio, prendere gli alimenti come le medicine per bisogno, e non per piacere [“Hoc docuisti me, Domine, ut quemadmodum medicamenta, sic alimenta sumpturus accedam”. S. August. Confess, lib. X, c. 311].

L’impurità. — La schiavitù dell’animo cominciata per la ghiottoneria, si compisce con l’impurità. — Chi nutre delicatamente la sua carne, tosto ne subirà la rivolta vergognosa. — Cosa lussuriosa è il vino, in esso risiede la lussuria. Il vino puro nuoce alla sanità dell’anima, ed a quella del corpo. — Nello stomaco del giovane il vino è come l’olio nel fuoco. — La ghiottoneria è la madre della lussuria, ed il carnefice della castità. — Essere ghiottone e pretendere d’essere casto, è un voler estinguere il fuoco con l’olio. — La ghiottoneria estingue l’intelligenza.— Il ghiottone è un’idolatra, adora il dio ventre. — Il tempio del dio ventre è la cucina; l’altare, la tavola; i suoi sacerdoti, i cuochi; le vittime, le vivande; l’incenso, l’odore di esse. — Questo tempio è la scuola dell’impurità. — Bacco e Venere si danno la mano. — La ghiottoneria ci fa guerra continuamente; se trionfa chiama tosto la sua sorella, la lussuria. — La ghiottoneria e la lussuria sono due demoni inseparabili. — La moltitudine delle vivande, e delle bottiglie attira quella degli spiriti immondi, di cui il peggiore è il demonio del ventre. — La sanità fisica e morale de’ popoli, è da dedurre dal numero dei cuochi ». Intendi gli oracoli della saggezza divina, ed umana? È la voce de’secoli confermata dalla esperienza. Qual è il mezzo che ha l’uomo per conservare la sua libertà contro di un nemico, altrettanto più pericoloso, che seducendo incatena ed uccide? Il passato, ed il presente non ne conoscono che un solo; il soccorso di Dio: l’avvenire non potrà conoscerne altri da questo. Il soccorso divino si ottiene da Dio con la preghiera, ed una prece particolare è stata stabilita presso tutti i popoli per fortificarsi contro le tentazioni della mensa. Ora se quelli, che la fanno, non restano sempre vittoriosi (1), come sarà possibile, che quelli, che non l’hanno in uso, che la disprezzano e la beffano, possano persuadersi che eglino restino vittoriosi sul campo di battaglia. Per crederlo, è mestieri avere ben altre prove dalle loro asserzioni, bisognano de’ fatti, e questi sono i loro costumi. Ch’essi mostrino i misteri de’ loro pensieri, de’ loro desideri, degli sguardi, de’ secreti discorsi, della loro condotta. Ma una tal mostra non è necessaria; noi l’abbiamo di continuo nella esposizione, che di sé fa lo scandalo della pubblica immoralità.

Il demonio. — Qui si mostra pienamente la stupida ignoranza del mondo attuale. — Per fermo che il sacro dovere della riconoscenza, come la imperiosa necessità di difendersi contro la gola e la voluttà, giustificano pienamente l’uso della benedizione della tavola; ma, io oso affermare ch’esso poggia su di una ragione più forte, e profonda. — Noi lo abbiamo detto: v’ha un dogma, mai dimenticato dal genere umano, che insegna esser tutte le creature sotto l’azione del principe del male, da poi che questo trionfò del padre della specie umana: tutti i popoli hanno creduto, come alla esistenza di Dio, che le creature, penetrate dalle maligne influenze del demonio, sono gli strumenti del suo odio contro l’uomo. Da siffatta credenza traggono origine le infinite purificazioni in uso presso tutte le religioni, in tutti i climi, lungo tutto il corso de’ secoli; ma v’ha una circostanza, in cui l’uso delle purificazioni si mostra invariabile, ed è quella del desinare. L’universalità, l’inflessibilità di questo uso nel prendere il cibo, è fondato su due fatti. —Il primo, che il demone della tavola è il più pericoloso; il secondo, che l’unione operata per l’azione del mangiare tra l’uomo ed il cibo è di tutte le unioni la più intima, questa arriva fino all’assimilazione. — L’uomo può dire del cibo digerito: È l’osso delle mie ossa, la carne della mia carne, il sangue del mio sangue. — Ecco perché, essendo le creature si viziate, Iddio non ha fatto mai perdere di vista all’uomo il pericolo di tale azione. Che siffatto timore, sia la profonda ragione del segno della croce e delle preghiere su degli alimenti, è reso manifesto dalle formule stesse delle benedizioni, e dell’azione di grazie. Cristiani e pagani, tutti, senza alcuna eccezione, domandano, che, le tristi influenze a che le creature sono sottomesse, siano allontanate.  Ecco qualche argomento, che calza meglio a’ tuoi compagni, e per essi più convincente di tutte le autorità della Chiesa. —Porfirio — il primo fra tutti i teologi del paganesimo, e l’interprete il più dotto dei misteri, e dei riti pagani, scriveva in siffatti termini: “È da sapere che tutte le abitazioni son piene di demoni; il perché si purificano scacciandone questi ospiti malefici col pregare gli dei. Ancor più: di essi tutte le creature sono piene, ed alcune specie di cibi particolarmente;di modo, che quando noi sediamo a mensa, non solo essi prendono posto di lato a noi, ma si attaccano al nostro corpo. Ecco la ragione dell’uso delle purificazioni, il cui scopo principale, non è solo invocare gli dei, ma altresì scacciare i demoni. Questi si dilettano di sangue e d’impurità, ed a soddisfare tale piacere s’introducono ne’ corpi di coloro che ad essi sono soggetti. Non v’ha movimento di voluttà violento, e desiderio veementemente disordinato, che non sia eccitalo della presenza di questi ospiti » (Porphyr, apud Euseb. Praep. Erang. lib. IV. o. 22 ). Non ti parrebbe ciò scritto da san Paolo, tanto è precisa questa rivelazione del mondo soprannaturale? Oltre queste influenze occulte e permanenti di satana su gli alimenti, Iddio di tanto in tanto, permette de’ fatti straordinari, che rivelano la presenza del nemico, e la necessità di allontanarlo dagli alimenti, innanzi di essi si taccia uso. Leggesi in S. Gregorio il Grande: “Nel monastero dell’abate Equizio accadde che una religiosa entrando nel giardino, vide una pianta di lattuga che le solleticava l’appetito. La prese, e dimenticando di fare il segno della croce, la mangiò avidamente. All’istante medesimo fu posseduta dal demonio, cadde rovescione per terra dimenandosi per fortissime convulsioni. Tosto accorre il santo abate e prega Dio che si degnasse confortare la povera religiosa. Il demonio tormentato ancora esso per le preghiere, gridò: Che mai ho fatto? Che ho fatto io? Io era su quella lattuga; la religiosa non me ne ha scacciato. In nome di Gesù Cristo l’abate gli ordinò di uscire dal corpo della serva del Signore, e di non più tormentarla. Il demonio ubbidì, e la religiosa immantinente fu guarita » [S. Gregor. Dialog, lib. I, dial. IV.].  I fatti parlano come le autorità, la teologia pagana come la cristiana, J’oriente come l’occidente, l’antichità come i tempi moderni, Porfirio come san Gregorio. Quali autorità possono a queste opporre i tuoi compagni? Dire che il genere umano è un gonzo, e che l’uso universale di benedire gli alimenti sia una “superstizione fuori moda”, è fucile cosa: ma io non so appagarmi di sole parole; però di’ a’ tuoi compagni, che se per legittimare l’uso di non benedire la mensa, possono apportare una ragione, che valga un soldo di Monoco, prometto loro, a seconda del gusto di ciascuno, o un merlo bianco, o un busto al Panteon.

Aspettando, resta stabilito, che pregare avanti il pranzo è una legge della umanità; e che era riserbato all’epoca nostra produrre degli spiriti forti che vanno superbi di assomigliarsi due volte al giorno a’ cani, a’ gatti, al coccodrillo.

coccodr.