Giovedì 26-5-2016: Festa del Corpus Domini – Il Lauda Sion

CORPUS DOMINI

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La visione della beata Giuliana.

   Simone di Montfort era stato il vindice della fede. Ma nel tempo stesso in cui il braccio vittorioso dell’eroe cristiano sbaragliava l’eresia, Dio preparava al suo Figliolo indegnamente oltraggiato dai settari nel Sacramento del suo amore un trionfo più pacifico e una riparazione più completa. Nel 1208, un’umile religiosa ospedaliera, la Beata Giuliana di Mont-Cornillon presso Liegi, aveva una visione misteriosa, in cui le appariva la luna nella sua pienezza, che mostrava sul proprio disco una incrinatura. Due anni dopo, le fu rivelato che la luna significava la Chiesa del suo tempo, e l’incrinatura che vi rilevava, l’assenza d’una solennità nel Ciclo liturgico, poiché Dio voleva che una nuova festa fosse celebrata ogni anno per onorare solennemente e in modo distinto l’istituzione della Santissima Eucarestia: il ricordo storico della Cena del Signore il Giovedì santo non rispondeva ai nuovi bisogni dei popoli turbati dall’eresia; non bastava più alla Chiesa, distratta del resto allora dalle importanti funzioni di quel giorno, e presto assorbita dalla tristezza del Venerdì santo.  Nel tempo stesso che Giuliana riceveva tale comunicazione, le fu ingiunto di porre ella stessa mano all’opera e di far conoscere al mondo i voleri divini. Passarono vent’anni prima che l’umile e timida vergine potesse trovare il coraggio d’una simile iniziativa. Si confidò infine con un canonico di San Martino di Liegi, Giovanni di Losanna, che stimava in modo singolare per la sua grande santità, e lo pregò di discutere sull’oggetto della sua missione con i dottori. – Tutti furono d’accordo nel riconoscere che non solo nulla si opponeva all’istituzione della festa progettata, ma che ne derivava al contrario un aumento della gloria divina e un gran bene nelle anime. Riconfortata da questa decisione, la Beata fece comporre e approvare per la futura festa un Ufficio proprio che cominciava con le parole: Animarum cibus, e di cui rimangono ancor oggi dei frammenti.

La festa del Corpus Domini.

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   La Chiesa di Liegi, a cui la Chiesa universale era già debitrice della festa della Santissima Trinità, era predestinata al nuovo onore di dar origine alla festa del Santissimo Sacramento. Fu un giorno radioso, quando, nel 1246, dopo così lungo tempo e innumerevoli ostacoli, Roberto di Torote, vescovo di Liegi, ordinò con un decreto sinodale che ogni anno, il Giovedì dopo la Santissima Trinità, tutte le Chiese della sua diocesi avrebbero dovuto osservare d’ora in poi, astenendosi dalle opere servili e praticando un digiuno di preparazione, una festa solenne in onore dell’ineffabile Sacramento del Corpo del Signore. – La festa del Corpus Domini fu dunque celebrata per la prima volta in quella insigne Chiesa, nel 1247. Il successore di Roberto, Enrico di Gueldre, uomo d’armi e gran signore, aveva altre preoccupazioni che quelle del suo predecessore. Ugo di San Caro, cardinale di Santa Sabina, legato in Germania, venuto a Liegi per porre riparo ai disordini che vi accadevano sotto il nuovo governo, sentì parlare del decreto di Roberto e della nuova solennità. Già priore e provinciale dei Frati Predicatori, era stato fra quelli che, consultati da Giovanni di Losanna, ne avevano favorito il progetto. Volle avere l’onore di celebrare egli stesso la festa, e di cantarvi la Messa in pompa magna. Inoltre, con mandato del 29 dicembre 1253 indirizzato agli Arcivescovi, Vescovi, Abati e fedeli del territorio della sua legislazione, confermò il decreto del vescovo di Liegi e lo estese a tutte le terre di sua giurisdizione, concedendo una indulgenza di cento giorni a tutti coloro che, contriti e confessati, avessero visitato devotamente le chiese in cui si celebrava l’Ufficio della festa, il giorno stesso oppure durante l’Ottava. L’anno seguente, il cardinale di Saint-Georges-au-Voile-d’Or, che gli succedette nella legazione, confermò e rinnovò le ordinanze del cardinale di Santa Sabina. Ma quei reiterati decreti non poterono vincere la freddezza generale; e furono tali le manovre dell’inferno il quale si vedeva raggiunto nei suoi profondi abissi, che dopo la partenza dei legati, si videro degli ecclesiastici di gran nome e costituiti in dignità opporre alle ordinanze le loro decisioni particolari. Quando morì la Beata Giuliana, nel 1258, la Chiesa di San Martino era sempre l’unica in cui si celebrasse la festa che ella aveva avuto la missione di stabilire nel mondo intero. Ma lasciava, perché continuasse la sua opera, una pia reclusa chiamata Eva, che era stata la confidente dei suoi desideri.

L’estensione della festa alla Chiesa Universale.

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Il 29 agosto 1261 saliva al trono pontificio Giacomo Pantaleone assumendo il nome di Urbano IV. Aveva conosciuto la Beata Giuliana quando era ancora arcidiacono di Liegi, e ne aveva approvato i progetti. Eva credette di vedere in quell’esaltazione il segno della Provvidenza. Dietro le insistenze della monaca, Enrico di Gueldre scrisse al nuovo Papa per congratularsi con lui e per pregarlo di confermare con la sua sovrana approvazione la festa istituita da Roberto di Torote. Nello stesso tempo diversi prodigi, e in special modo quello del corporale di Bolsena insanguinato da un’ostia miracolosa quasi sotto gli occhi della corte pontificia che risiedeva allora ad Orvieto, parvero spingere Urbano da parte del cielo e rafforzare il grande zelo che egli aveva un tempo manifestato in onore del divin Sacramento. San Tommaso d’Aquino fu incaricato di comporre secondo il rito romano l’Ufficio che doveva sostituire nella Chiesa quello della Beata Giuliana, adattato da essa al rito dell’antica liturgia francese. La bolla “Transiturus” fece quindi conoscere al mondo le intenzioni del Pontefice: ricordando le rivelazioni di cui aveva avuto un giorno notizia. Urbano IV stabiliva nella Chiesa universale, per la confusione dell’eresia e l’esaltazione della fede ortodossa, una speciale solennità in onore dell’augusto memoriale lasciato da Cristo alla sua Chiesa. Il giorno fissato per tale festa era la Feria quinta ossia il Giovedì dopo l’ottava della Pentecoste.

Sembrava che la causa fosse finalmente giunta al termine. Ma i torbidi che agitavano allora l’Italia e l’Impero fecero dimenticare la bolla di Urbano IV prima ancora che fosse messa in esecuzione. Quarant’anni e più passarono prima che essa fosse di nuovo promulgata e confermata da Clemente V nel concilio di Vienne. Giovanni XXII le diede la forza di legge definitiva inserendola nel Corpo del Diritto nelle Clementine, ed ebbe così il vanto di dare l’ultima mano, verso il 1318, a quella grande opera il cui compimento aveva richiesto più d’un secolo. (Dom Guéranger: “l’anno liturgico”). 

Concilio di Trento

« Il santo Concilio dichiara piissima e santissima l’usanza che si è introdotta nella Chiesa, di consacrare ogni anno una festa speciale a celebrare in tutti i modi l’augusto Sacramento, come pure di portarlo in processione per le vie e le pubbliche piazze con pompa ed onore. È giustissimo infatti che siano stabiliti alcuni giorni in cui i cristiani, con una dimostrazione solenne e specialissima, testimoniano la loro gratitudine e il loro devoto ricordo verso il comune Signore e Redentore, per il beneficio ineffabile e divino che ripropone ai nostri occhi la vittoria e il trionfo della sua morte. Così bisognava ancora che la verità vittoriosa trionfasse sulla menzogna e sull’eresia, in modo che i suoi avversari, in mezzo a tanto splendore e a tanto gaudio di tutta la Chiesa, o perdano il coraggio o, confusi giungano alfine alla resipiscenza » (Sessione XIII, c. V).

Riportiamo, per essere cantata con fede, la stupenda sequenza della Messa: “Lauda Sion Salvatorem”:

Sequentia

Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem, lauda ducem et pastórem in hymnis et cánticis. – Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudáre súffícis. –  Laudis thema speciális, panis vivus et vitális hódie propónitur.  –  Quem in sacræ mensa cenæ turbæ fratrum duodénæ datum non ambígitur.  – Sit laus plena, sit sonóra, sit iucúnda, sit decóra mentis iubilátio.  –  Dies enim sollémnis agitur, in qua mensæ prima recólitur huius institútio.  –  In hac mensa novi Regis, novum Pascha novæ legis Phase vetus términat. –  Vetustátem nóvitas, umbram fugat véritas, noctem lux elíminat.  –   Quod in coena Christus gessit, faciéndum hoc expréssit in sui memóriam. – Docti sacris institútis, panem, vinum in salútis consecrámus hóstiam. – Dogma datur Christiánis, quod in carnem transit panis et vinum in sánguinem. –  Quod non capis, quod non vides, animosa fírmat fides, præter rerum órdinem.  –   Sub divérsis speciébus, signis tantum, et non rebus, latent res exímiæ.  –  Caro cibus, sanguis potus: manet tamen Christus totus sub utráque spécie.  –   A suménte non concísus, non confráctus, non divísus: ínteger accípitur. –  Sumit unus, sumunt mille: quantum isti, tantum ille: nec sumptus consúmitur. –  Sumunt boni, sumunt mali sorte tamen inæquáli, vitæ vel intéritus.  –  Mors est malis, vita bonis: vide, paris sumptiónis quam sit dispar éxitus. –  Fracto demum sacraménto, ne vacílles, sed meménto, tantum esse sub fragménto, quantum toto tégitur. –  Nulla rei fit scissúra: signi tantum fit fractúra: qua nec status nec statúra signáti minúitur. – Ecce panis Angelórum, factus cibus viatórum: vere panis filiórum, non mitténdus cánibus. – In figúris præsignátur, cum Isaac immolátur: agnus paschæ deputátur: datur manna pátribus.  –  Bone pastor, panis vere, Iesu, nostri miserére: tu nos pasce, nos tuére: tu nos bona fac vidére in terra vivéntium.  –  Tu, qui cuncta scis et vales: qui nos pascis hic mortáles: tuos ibi commensáles, coherédes et sodáles fac sanctórum cívium. Amen. Allelúia.

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« LAUDA SION SALVATOREM » sequenza della Messa del Corpus Domini, composta da Tommaso d’Aquino, probabilmente a Orvieto nel 1264 in occasione della bolla Transiturus, Con cui Urbano IV stabilì per tutta la Chiesa la solennità eucaristica, a imitazione della festa instituita a Liegi, nel 1246 dal vescovo Roberto de Tonile sotto l’influsso delle rivelazioni della b. Giuliana di Cornillon. L’attribuzione dell’Ufficio e della Messa (ove è contenuta la sequenza) a S. Tommaso fu subito contestata dal bollandista D. Papebroch, ma venne subito rivendicata dai domenicani J. de Maison e A. Natalis. (….) Oggi la critica è decisamente favorevole alla tesi domenicana, poiché la preziosa testimonianza del contemporaneo e amico di S. Tommaso, Tolomeo da Lucca, non può essere sminuita dalla tardiva comparsa liturgica dell’ufficiatura; questo ritardo infatti trova una soddisfacente spiegazione nelle speciali circostanze storiche: dopo la morte di Urbano IV, la S. Sede, totalmente assorbita dalle grandi difficoltà del momento, non poté vigilare sull’applicazione della bolla “Transiturus”; soltanto dopo il Concilio di Vienne (1311), dove Clemente V aveva richiamato in vigore le disposizioni di Urbano IV, si cominciò a diffondere la festa del Corpus Domini che pertanto detta “nova solemnitas” e poiché né Urbano, né Clemente avevano imposto l’ufficiatura imposta redatta da S. Tommaso, questa comparve soltanto qualche decennio dopo e divenne quasi universale, sostituendo rapidamente, per la superiorità del contenuto e per il crescente prestigio del suo autore, l’Ufficio e la Messa, che la Curia romana dovette usare prima di accettare l’opera dell’Aquinate.

La sequenza, soltanto verbalmente inspirata agli inni di Adamo di san Vittore, è composta da 24 strofe, che si susseguono con logica serrata: dopo l’esordio solenne costituito da un pressante invito alla lode e alla gioia (1-5), il ritmo si allarga nella rapida rievocazione delle ombre del Vecchio Testamento (6-8), realizzatesi nella Eucaristia (9-10), che moltiplicando nel mistero della Transustanziazione la presenza di CRISTO « non concisus, non confractus, non divisus » lo rende cibo di tutte le anime (11-15), le quali traggono frutti di vita o di morte, secondo le disposizioni con cui lo ricevono (16-20). Un commosso grido di ammirazione (ecce panis Angelorum) ed una tenera preghiera al Pastore Divino conclude questa luminosa e geometrica composizione, circondata dal fervore di un immenso amore. — La simmetria del L. S. non è artificiosa, ma nasce dalla interiorità logica del pensiero: è il gotico della poesia; come la cattedrale di Colonia è un fascio poderoso di scarne linee protese verso il cielo, quasi braccia in preghiera, così il ritmo di S. Tommaso si eleva nella concettosa linearità del dettato verso gli spazi dell’alta speculazione per tramutarsi, con impeto lirico, in una calda implorazione. Queste strofe, tanto limpide da formare altrettanti articoli di un perfetto credo eucaristico, tanto robuste da essere ritenute versi fusi nel bronzo, costituiscono la perla della liturgia cattolica e fanno del loro autore l’«Eucharistiae praeco et vates maximus»! (Pio XI, encicl. “Studiorum ducem”) [Antonio Piolanti in: Enciclopedia Cattolica – vol. VII].

Studiorum ducem” 29-6-1923, S.S. Pio XI

… In tutte le opere che egli (S. Tommaso) scrisse, ebbe somma cura di mettere a base e fondamento le Sacre Scritture. Tenendo fermo che la Scrittura in tutte e singole le sue parti è parola di Dio, egli ne esige l’interpretazione secondo le norme stesse che diedero i Nostri Predecessori Leone XIII nell’Enciclica « Providentissimus Deus» e Benedetto XV nell’altra Enciclica « Spiritus Paraclitus», e posto per principio che « lo Spirito Santo è autore principale della Sacra Scrittura… mentre l’uomo non ne fu che l’autore strumentale », non permette che alcuno muova dubbi contro l’autorità storica della Bibbia; mentre dal fondamento del significato delle parole, o sia senso letterale, egli ricava le copiose ricchezze del senso spirituale, di cui suole spiegare con la massima precisione il triplice genere: l’allegorico, il tropologico e l’anagogico. Infine, il Nostro ebbe il dono e il privilegio singolare di poter tradurre gl’insegnamenti della sua scienza in preghiere ed inni della liturgia, e divenire così il poeta e il « massimo lodatore della divina Eucaristia » [«Eucharistiae praeco et vates maximus»]. Poiché la Chiesa Cattolica in ogni parte del mondo e presso tutte le genti, nei riti sacri si serve e si servirà sempre, con ogni zelo, dei cantici di Tommaso, dai quali spira il sommo fervore dell’animo supplichevole, e che contengono ad un tempo l’espressione più esatta della dottrina tradizionale intorno all’augusto Sacramento, che principalmente si chiama «Mistero di fede », ripensando a questo e ricordando l’elogio già citato fatto a Tommaso da Cristo stesso, nessuno si meraviglierà se a lui è stato dato anche il titolo di Dottore Eucaristico. (….) Infine, perché sotto la guida dell’Angelico Maestro d’Aquino gli studi dei nostri alunni diano sempre maggiori frutti a gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, aggiungiamo a questa Lettera, con la raccomandazione di divulgarla, la formula della preghiera da lui stesso usata. A coloro che devotamente la reciteranno, Noi concediamo per ogni volta, con la Nostra autorità, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene. Auspice infine dei doni celesti e segno della Nostra benevolenza, Noi impartiamo di tutto cuore a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo affidato alle vostre cure, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1923, festa del Principe degli Apostoli, anno secondo del Nostro Pontificato.

PREGHIERA DI SAN TOMMASO

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“Creatore ineffabile, che dai tesori della tua sapienza hai tratto le tre gerarchie degli Angeli, le hai collocate con meraviglioso ordine sopra il cielo empireo ed hai disposto con grandissima precisione tutto l’universo; Tu, che sei celebrato come autentica Fonte della Luce e della Sapienza, e supremo Principio di ogni cosa, dégnati di infondere sulle tenebre del mio intelletto il raggio della tua chiarezza, liberandomi dalle due tenebre in cui sono nato: il peccato e l’ignoranza. Tu, che rendi faconde le lingue degl’infanti, istruisci la mia lingua e infondi nelle mie labbra la grazia della tua benedizione. Dammi l’acutezza dell’intelligenza, la capacità della memoria, il modo e la facilità dell’apprendere, la perspicacia dell’interpretare, il dono copioso del parlare. Disponi Tu l’inizio, dirigi lo svolgimento e portami fino al compimento: Tu che sei vero Dio ed uomo, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.