Divinità dello Spirito Santo.

 

Divinità dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: Trattato dello Spirito Santo, vol. II]

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Dio, la Trinità e la divinità dello Spirito Santo! Nel linguaggio della rivelazione come nella fede dei popoli, queste tre verità sono talmente unite, che la certezza della prima implica la certezza delle due altre. Ora, Dio esiste con tutti gli attributi coi quali L’adora il genere umano. Innanzi a tutti i secoli, al di là di tutti i mondi evvi un Essere personale, eterno, infinito, immutabile che é a sé medesimo il suo principio e la suà felicità. Come essere sempre fecondo Egli é la vita di tutte le vite, il n. 1, centro di tutti i movimenti, il principio e la fine di tutto ciò che è. Come l’Oceano che contiene la goccia d’acqua nella sua immensità, Egli avvolge nel suo seno l’universo e le sue molteplici creazioni. Egli è dentro e fuori, è lontano e vicino, infine dappertutto. Nell’astro che brilla nella fronte dei cieli Egli vi é; nell’aria che mi fa vivere, vi è. Nel calore che mi anima e nell’acqua che mi disseta; nell’alitare del vento, come nei muggiti delle onde; nel fiore che mi rallegra e nell’animale che mi serve; nello spirito e nella materia, nella culla e nella tomba, nell’atomo e nell’immensità; nel rumore e nel silenzio egli è desso sempre e dapertutto. Egli intende ogni cosa; e la musica armoniosa delle sfere celesti, ed i giocondi canti della lodoletta, ed il ronzio dell’ape, ed il ruggito del leone, e il passo della formica, e il rumor della foglia agitata, e il respiro dell’uomo, e la preghiera del giusto, e le bestemmie del malvagio. Ei vede tutto; il sole che splende agli sguardi dell’universo, e l’insetto nascosto sotto l’erba, ed il vermiciattolo sepolto sotto la scorza dell’albero, e l’impercettibile infusorio perduto negli abissi dell’Oceano. Ei vede il giuoco vario dei loro muscoli e la circolazione del loro sangue, ed i pensieri del mio spirito, e i palpiti del mio cuore, ed i bisogni dell’augellino che domanda il suo cibo, ed i voti solitari del debole, e le lacrime dell’ oppresso. Ei tutto governa; e l’innumerevole esercito dei cieli: e le stagioni, ed i venti, e le tempeste, ed i secoli, ed i popoli, e le umane passioni, e le potestà delle tenebre, e le creature prive di ragione, e gli esseri dotati d’intelligenza. Ei nutrisce, Ei riscalda, Egli alloggia, veste, protegge, conserva tutto ciò che respira; imperocché tutto ciò che respira, non respira che per Lui e non dee respirare che per Lui.

Come fonte eterna del vero, e regola immutabile del bene, Ei dà all’uomo la luce per conoscerlo, la forza per compierlo. Nella sua bilancia infallibile Ei pesa le azioni dei re e dei sudditi, degli individui e dei popoli. Rimuneratore supremo della virtù, e vendicatore incorruttibile del vizio, egli cita al suo tribunale il debole ed il potente, e il giusto che Lo adora, e l’empio che L’oltraggia. Agli uni manda dei gastighi senza misericordia e senza speranza, agli altri una felicità perfetta e senza fine. 0 Essere superiore a tutti gli esseri, Creatore e moderatore dell’universo! Tutto proclama la vostra esistenza; e le magnificenze del cielo, e lo sfolgorante abbigliamento della terra, e la obbedienza figliale dell’onde irritate, e le virtù dell’ uomo dabbene, ed i castighi del colpevole, e la demenza stessa dell’ateo. Chi parla, Vi loda con le sue acclamazioni; ciò che è muto, Vi loda col suo silenzio. Ogni cosa venera la vostra maestà, e la viva e la morta natura. A Voi s’indirizzano tutti i dolori; verso di Voi s’innalzano tutte le preghiere. Creatore, Conservatore, Moderatore, Padre, Giudice, Rimuneratore e Vendicatore, tutti i nomi di potenza, di sapienza, d’amore, d’indipendenza e di giustizia Vi sono dati; tutti Vi convengono e non pertanto nessuno saprebbe nominarVi. Essere al disopra di tutti gli esseri, questo nome è il solo che non sia di Voi indegno. “Ego sum qui sum”. Un Essere al disopra di tutti gli esseri, un Dio autore e regolatore supremo del mondo e dei secoli, tale è il domma fondamentale che proclama l’universo e dinanzi al quale si sono piegati, con la fronte nella polvere, tutte le generazioni che da sei mill’anni, sono passate sulla faccia del globo. Contro questo fatto su cui riposa, come l’edifizio sulla sua base, la fede dell’uman genere, che cosa provano e che possono i dinieghi dell’ateo?

Che cosa provano? Quello che prova una voce scordante in un vasto concerto. La si fa tacere o si fa ritornare all’unisono, e senza di lei o con lei, il concerto continua. Che cosa possono essere? quello che può il debole dardo, scagliato nel passare dall’Arabo fuggitivo, contro la piramide del deserto. L’Arabo sparisce, e la piramide rimane. Alla sua volta, cosa vuole da noi la filosofia razionalista col suo dio di fabbrica umana, col suo dio travicello, col suo nulla? Essere di ragione o piuttosto di sragione, dio impersonale, sordo, muto, indifferente alle opere ed ai bisogni delle sue creature, prodotto variabile del pensiero individuale; no, tale non è, tale non fu in nessun epoca e sotto alcun clima, il Dio dell’uman genere. La sua storia l’attesta: « Giammai, dice un uomo che la conosce a fondo, giammai le nazioni caddero cosi basse nel culto degli idoli, da perdere la cognizione, più o meno esplicita di un solo vero Dio, creatore di tutte le cose. » Il domma dell’unità di Dio non è vero soltanto perché ha tanti testimoni quanti sono astri nel firmamento, e fili d’erba sulla terra; ma è vero altresì perché è necessario. Quel che è il sole nel mondo fisico, Iddio lo è per tutti il rispetti, e più ancora, nel mondo morale. Immaginate che il sole invece di continuare a versare sul globo i suoi torrenti di luce e di calore, venga egli tutt’ad un tratto a estinguersi; e poi sappiatemi dire che cosa diventa la natura. La vegetazione in un istante si arresta ; i fiumi ed i mari diventano tante pianure di ghiaccio; la terra s’indurisce come lo scoglio ; tutti gli animali malefici che la luce incatena nei loro antri tenebrosi, escono fuori dai loro nascondigli e s’invitano al carname; il terrore e lo spavento s’impadroniscono dell’uomo, dovunque regna la confusione, la disperazione e la morte, pochi giorni bastano per ricondurre il mondo nel caos. Appena che Iddio, sole necessario delle intelligenze, venisse a sparire, tosto la vita morale si estinguerebbe. Tutte le nozioni del bene e del male si cancellano, l’errore e la verità, il giusto e l’ingiusto si confondono nel diritto del più forte. In mezzo a queste tenebre, tutte le più schifose cupidigie, sopite nel cuore dell’uomo si risvegliano, e senza timore, come senza rimorsi, si disputano i mutilati brandelli delle fortune, delle città e degli imperi ; la guerra è dappertutto, la guerra di tutti contro tutti, e il mondo non è più che una caverna di ladri e di assassini. Questo spettacolo, non vidde mai occhio d’uomo, molto meno ha visto 1’universo senza l’astro che lo vivifica. Ma quel che ha visto, é un mondo in cui, simile al sole velato da folte nebbie, l’idea di Dio non gettava più che un bagliore incerto. Attraverso a tenebre nelle quali essi si erano volontariamente sepolti, i popoli pagani non scorgevano che indistintamente l’unità incomunicabile dell’essenza divina. Perocché la fiaccola che dovea dirigerla vacillava al vento delle passioni, degli interessi e delle opinioni; il loro cammino intellettuale e morale fu or titubante, ora assurdo, ora retrogrado; gli dei fuorviavano l’uomo. Eterne dubbiezze intorno a questioni più importanti e più semplici, superstizioni grossolane e crudeli, sistemi oscuri o immorali, condannano il genere umano al castigo venti volte secolare dell’idolatria. Ivi, giacciono ancora incatenate le moderne nazioni, lontane dalle benedette zone sulle quali rifulge di tutto il suo splendore il domma tutelare dell’unità divina. Non può essere altrimenti: tra l’uomo e il male, non vi é che una barriera: Iddio; Iddio conosciuto e rispettato. Togliete Iddio, l’uomo senza freno e senza regola, diventa una belva feroce, il quale scende con delizia sino ai combattimenti dei gladiatori ed ai banchetti di carne umana. Per la ragione contraria, vogliamo noi impedire all’uomo di cadere nell’abisso della degradazione e dell’infortunio? Se vi si trova sepolto, vogliamo noi ritrarnelo fuori e condurlo al più alto grado di luce, di virtù e di felicità? Facciamo tregua ai discorsi, tregua alle combinazioni ed ai sistemi: basta una parola. Dite al grande infermo: “vi è un Dio, alzati e cammina alla sua presenza”. Che il genere umano pigli questa parola sul serio, in modo tale che il domma sovrano dell’unità divina, gravi con tutto il suo peso sugli spiriti e sulle volontà, e l’infermo è guarito. Iddio regna; e l’uomo è illuminato dalla sola luce che non sia ingannatrice; egli è virtuoso della sola virtù, che non sia una maschera; esso è felice della sola felicità, che non sia una fraude; egli è libero della sola libertà, che non sia una vergogna, né un delitto, né una menzogna. [Ambula coram me et esto perfectus. Gen. XVII, 1]. Noi lo ripetiamo con una sola parola: Vi è un Dio, il mondo sarà guarito; se no, no. Questa parola fu detta un giorno sul genere umano, incancrenito di paganesimo, detta dappertutto, detta con una autorità sovrana, e il gran Lazzaro sorse dal suo letto doloroso, e cuoprì di ardenti baci la mano che lo aveva salvato. Filosofi, politici, senato, areopago, voi tutti che vi deste e che vi date ancora pei risanatori delle nazioni, quella mano non fu la vostra, né mai sarà. Tuttodì ancora questa parola sovrana vien pronunziata in Europa su qualche anima inferma; nelle isole lontane dell’Oceania, su qualche popolazione antropofaga; e da vicino come da lontano, produce sotto i nostri occhi l’effetto miracoloso che produsse milleottocento anni fa. Tale è, confermata dalla ragione e dalla storia, la potenza salutare, cioè la verità del domma dell’unità di Dio. Ma che cosa è questo Dio? Dio, è il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità. In altri termini, Dio è la Trinità; né può essere altra cosa. Interrogato su ciò che egli è, lo stesso Dio ha risposto: Io sono colui che sono; io sono l’Essere, l’Essere assoluto, l’Essere senza qualificazione [“Ego sum qui sum.” Exod. III, 14.]. Ora l’essere assoluto, possiede necessariamente tutto ciò che costituisce l’essere, e lo possiede in tutta la sua perfezione. Tre cose costituiscono l’essere.; la misura, il numero, il peso. [Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti, Sap., XI, 21. 3 Mensura omni rei modum praefìgit, et numerus onmi rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et stabilitatem trahit. S. Aug. De Gen. ad Litt., lib. IV, c. III.]. Negli esseri materiali, la misura è il fondamento o la sostanza; il numero, è la figura che modifica la sostanza; il peso è il vincolo che unisce la sostanza alla figura, e tra di esse, tutte le parti dell’essere. Cercate in tutta la natura, dal cedro al filo dell’erba, dall’elefante ai vermiciattoli del monte in mezzo alla sabbia, voi non troverete un solo essere che non riunisca queste tre cose. Esse sono talmente essenziali, che con una di meno, l’essere non può esistere, nemmeno concepirsi. Così se togliete la sostanza, che cosa avete voi? il nulla; la figura? il nulla; il vincolo ? il nulla. La misura, il numero e il peso non sono nelle creature se non perché Iddio ve le ha messe. Iddio ve le ha messe perché le possiede, vale a dire perché è Lui stesso misura, numero e peso. Come abbiamo visto circa il domma dell’unità di Dio, cosi la Trinità ha dunque altrettanti testimoni quante sono nell’universo creature inanimate, astri nel firmamento, atomi nell’aria e fili d’erba sulla terra: quest’è il pensiero dei più grandi genii. « In tutte le creature, dice sant’Agostino, appare il vestigio della Trinità. Ciascun’opera del divino Artefice presenta tre cose: l’unità, la bellezza, e l’ordine. Ogni essere è uno, come la natura dei corpi e l’essenza delle anime. Questa unità riveste una forma qualunque, come le figure o le qualità dei corpi, le dottrine o i talenti delle anime. Questa unità e questa forma, hanno tra loro dei rapporti e sono di un ordine qualunque. Così nei corpi, la gravità e la posizione ; nelle anime l’amore e il piacere. Da questo, poiché è impossibile di non intravvedere il Creatore nello specchio delle creature, noi siamo condotti a conoscere la Trinità, della quale ciascuna creatura presenta un vestigio più o meno splendido. Difatti, in questa sublime Trinità vi è l’origine di tutti gli esseri, la perfetta bellezza, il supremo amore.

Trinità! ecco secondo Lattanzio, sant’Atanasio, san Dionigi d’Alessandria, Tertulliano, il domma che proclama incessantemente, a coloro che hanno orecchi per udire, l’università degli esseri. I più nobili lo ripetono con una voce più sonora. Sarebb’egli giusto che fosse altrimenti? Non devono essi un omaggio particolare all’augusto mistero, il cui vestigio più luminoso, segnato sulla loro fronte, è la ragione stessa e la misura della loro nobiltà? Cosi il sole, l’albero, la fonte, sono tanti predicatori eloquenti della Trinità. Nell’unità della stessa essenza essi ci mostrano, uno: il centro, il raggio, il calore: l’altro la radice, il tronco ed i rami; il terzo il serbatoio, il corso ed il fiume. L’angelo della scuola (san Tommaso), nello spiegare la dottrina dei Padri, aggiunge che: « In ciascuna creatura trovansi delle cose che si riferiscono necessariamente alle divine Persone, come alla loro causa. Difatti ogni creatura ha il suo proprio essere, la sua forma, il suo ordine e peso. Ora, come sostanza creata, essa rappresenta la causa e il principio, e dimostra la Persona del Padre che è il principio senza principio. In quanto essa ha una forma, rappresenta il Verbo, e come forma dell’opera concepita dall’operaio. In quanto essa ha l’ordine e il peso, rappresenta lo Spirito Santo, come amore che unisce gli esseri tra loro che procedono dalla volontà creatrice. A ciò si riferiscono la misura, il numero ed il peso: la misura alla sostanza dell’essere ; il numero alla forma; il peso all’ordine. » Se le creature inanimate, che sono le ultime nella scala degli esseri, presentano il vestigio della Trinità, è chiaro che questo vestigio dee rifulgere con più splendore nelle creature di un ordine superiore. Ma che dico? non è solamente il vestigio che noi troveremo ma la immagine. «Ogni effetto, continua san Tommaso, rappresenta la sua causa in parte, ma in modi differenti. Un certo effetto rappresenta soltanto la causalità della causa, senza indicazione della forma. Per tale modo il fumo rappresenta il fuoco. Tale rappresentazione si chiama rappresentazione per vestigio. E con ragione, imperocché il vestigio prova che un essere é passato da questo; ma non dice quale sia. Cert’altro effetto rappresenta la causa, quanto alla rassomiglianza. Così il fuoco generato rappresenta il fuoco generatore, la statua di Mercurio, Mercurio. Questa rappresentazione si chiama così per immagine. « Ora le processioni delle Persone divine si considerano secondo gli atti dell’intelletto e della volontà. Difatti, il Figliuolo procede, come la parola, dall’intelletto; lo Spirito Santo, come l’amore, dalla volontà. Ne resulta che nelle creature ragionevoli dotate d’intelletto e di volontà si trova la rappresentazione della Trinità in forma d’immagine, poiché trovasi in esse il Verbo concepito e l’amore che deriva». Ne resulta ancora che il domma della Trinità ha tanti riflessi, quanti sono Angeli in cielo, demoni nell’inferno, e uomini venuti o da venire sulla terra, dal principio del mondo sino alla fine. Riassumendo: ciò che nelle creature inanimate è misura, numero e peso, si chiama nelle creature ragionevoli potenza, sapienza, amore; e in Dio: Padre o potenza, Figliuolo o sapienza, Spirito Santo o amore mutuo del Padre e del Figliuolo. Queste tre cose: potenza, sapienza, amore, sono talmente essenziali in Dio, che una di meno, Dio non è, né può nemmeno concepirsi. Se voi Gli togliete la potenza che cosa avete? il nulla. La sapienza? il nulla. L’amore? il nulla. Abbiamo aggiunto che Dio possiede le tre condizioni essenziali dell’essere in tutta la loro perfezione. Ora nell’Essere propriamente detto, la perfezione di queste condizioni è di essere reali, sostanziali, sussistenti per sé medesimi; in una parola vere ipostasi o Persone distinte. Aspettando le prove dirette del domma della Trinità, ciò sia detto, non per dimostrare ciò che è non dimostrabile, ma per mostrare che l’augusto mistero non ha niente di contrario alla ragione, e che anche la vera filosofia ne sospetta l’esistenza innanzi d’averne la certezza. Cosi Dio l’ha voluto. E perché ? Da un lato, a fine di non lasciarsi senza testimonianza, imprimendo le sue vestigia o la sua immagine in tutte le creature; dall’altro lato, allo scopo di dare agli uomini e specialmente alle nazioni cristiane il mezzo di raggiungere la loro perfezione, pigliando per modello la Potenza infinita, la Sapienza infinita e l’infinito Amore. Di fatti, se il domma dell’Unità di Dio fu il sole del mondo giudaico, il domma della Trinità è il sole del mondo evangelico. Ora, quel che è la rosa in boccio alla rosa sbocciata, il domma dell’unità di Dio sta al domma della Trinità. Camminare alla presenza di un Dio in tre Persone chiaramente noto, è dunque per i popoli cristiani la legge del loro essere e la condizione della loro superiorità. Se questa legge del loro essere vengono essi a dimenticarla o a disconoscerla, cadono sull’istante dalle altezze luminose del Calvario, e retrocedendo di quaranta secoli, ricadono nelle tenebre del Sinai. Ma non si arresta qui la loro caduta. Un popolo cristiano non può cessare d’esserlo, senza discendere al disotto dell’ebreo, al disotto del maomettano, senza diventare una razza degradata che non ha nome nell’umano linguaggio. Tale è la condizione della sua superiorità. La perfezione intellettuale e morale di una società è sempre in ragione diretta della nozione che essa ha di Dio. Quanto la cognizione chiara dell’unità divina innalzò i figli d’Israello al disopra delle nazioni pagane, altrettanto la rivelazione della Trinità innalza i popoli cristiani al disopra del popolo ebreo. Che lo sappiano le società battezzate o che lo ignorino, che lo credano o lo neghino, è nelle profondità di questo domma eternalmente fecondo, che trovasi la sorgente nascosta della loro superiorità sotto tutti i rapporti. La Trinità è il cardine del Cristianesimo, per conseguenza la principale divisa delle società nate dal Cristianesimo. Togliete questo domma, e l’incarnazione del Verbo non è altro che una chimera; la redenzione del mondo una chimera; l’effusione dello Spirito Santo una chimera; la comunicazione della grazia una chimera; i sacramenti una chimera; il Cristianesimo tutto quanto una chimera, e la società una rovina.

Vedere l’augusta Trinità nello specchio delle creature, non è più illusione che il riconoscere l’albero dai suoi frutti o l’operaio dalla sua opera. Per conseguenza le vedute ed i ragionamenti dei grandi genii che abbiamo citati, sono confermati autenticamente dallo stesso Creatore. Tre capi d’opera riassumono ai nostri occhi la sua opera esteriore: il mondo materiale, l’uomo ed il cristiano. Ora, come l’artefice pone la sua impronta ad ogni prodotto della sua industria e si fa in tal modo conoscere al pubblico; cosi Iddio medesimo ci dice che si è scolpito in caratteri indelebili su ciascuno dei suoi capolavori, in modo da dichiararsi l’autore di tutti gli esseri e di manifestarsi a chiunque possegga occhi per vedere e uno spirito per comprendere. Dice san Paolo: « Il Vangelo non mi fa arrossire, perché é la virtù di Dio per salvare coloro che credono. Cosi ci è altresì rivelata l’ira di Dio che scoppierà dal cielo contro tutta l’empietà e l’ingiustizia di quelli uomini, i quali ritengono ingiustamente la verità’ di Dio; poiché ciò che possiamo conoscere di Dio è loro noto: Dio medesimo lo ha loro manifestato. Di fatti le cose che sono invisibili in sé, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono diventate visibili nello specchio della creazione, di maniera che sono inescusabili, poiché avendo conosciuto Dio non lo hanno punto glorificato come Dio. » Vogliamo noi vedere quanto è legittima quest’ira ispirata contro i negatori o i disprezzatori della Trinità? Studiamo la condotta dello stesso Dio. Ei vuole che il suo primo organo, Mosè, cominci la storia del mondo dalla rivelazione della Trinità creatrice. « Iddio, nel principio, crea il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.[Gen.I, 1, 2.] » Su di che il più autorevole come il più profondo degli interpetri, sant’Agostino, cosi si esprime: « Nel momento stesso in cui la creazione in massa fu chiamata dal nulla sotto il nome di cielo e di terra per indicare ciò che doveva esser fatto, la Trinità del Creatore è insinuata. Dice la Scrittura: “Nel principio Dio creò il cielo e la terra. Ora sotto il nome di Dio noi comprendiamo il Padre; sotto il nome di Principio il Figliuolo che non è principio per il Padre ma per tutte le creature; e quando la Scrittura aggiunge: E lo Spirito di Dio era portato sulle acque, noi abbiamo la rivelazione completa della Trinità, poiché questa parola indica la potenza sovrana dello Spirito Santo. »

La Trinità non contenta d’essersi rivelata nella creazione della massa materiale, essa si rivela in ciascuna opera particolare che ne trae. È anche questo un concetto del grande vescovo d’Ippona: «Nella manipolazione e nel perfezionamento della materia per formare delle creature distinte s’insinua la stessa Trinità. In queste parole: Dio dice, noi abbiamo il Verbo o la parola, e il generatore del Verbo; e in quest’altre: Dio vide che ciò era buono, abbiamo la Bontà infinita, lo Spirito Santo, per cui solo piace a Dio tutto ciò che gli piace. » Ora le stesse parole ritornano sette volte nell’opera della creazione; cosicché ripetesi per sette volte la proclamazione del domma della Trinità; sette volte l’affermazione divina che il mondo materiale nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti porta il suggello del suo Autore. Ascoltiamo un altro commentatore, del pari degno di nota per la purità del suo cuore e per la solidità della sua scienza: « Il libro che contiene l’origine delle cose, dice l’Abate Ruperto, comincia con queste parole: “Al principio Dio creò il cielo e la terra”. Poiché la stessa creazione è il principio del mondo, perché dicesi: “Al principio Iddio creò”? È la stessa cosa come se avesse detto: al principio cominciò. Se lo pigliamo qui nel significato volgare, la parola cominciamento, forma una tautologia ridicola. È dunque ben fondato il prenderlo per un nome proprio del Figliuolo. Egli stesso vuole cosi, poiché interrogato dai Giudei che Gli dicevano : Chi siete voi ? Egli risponde: lo sono il Cominciamento o il Principio, Io che vi parlo. » Difatti, è veramente nel Principio che Dio creò il cielo e la terra, poiché tutte le cose sono state fatte da Lui. La medesima Scrittura conferma questa interpretazione, quando altrove dice: “Voi avete fatte le cose per mezzo della Sapienza”. Ora questa Sapienza non è altro che il Verbo di Dio, il Quale come abbiamo visto si chiama Lui stesso il Principio. E lo Spirito di Dio era portato sulle acque. La materia esiste ma è informe; bisogna darle la vita e la bellezza. Lo Spirito di Dio fa per essa ciò che l’uccello, col suo calore, fa sul pulcino rinchiuso nell’uovo: lo scalda, lo anima, lo vivifica e ne fa un essere dotato di tutte le sue perfezioni. Chi pensate voi che sia questo Spirito di Dio, se non l’Amore stesso di Dio, Amore, non di affezione, ma Amore sostanziale, vita e virtù vivente dimorante nel Padre e nel Figliuolo, procedente dall’Uno e dall’Altro e consustanziale all’Uno ed all’Altro? Ora Egli si recava sulle acque, per conseguenza sulla terra racchiusa nel loro seno, perché il Creatore era attratto da un immenso amore verso la sua creatura; e non potendo essere Lui medesimo ciò che avea creato, voleva trarne tanti esseri capaci di unirsi a Lui. Questa Bontà, quest’Amore del Creatore è lo stesso Spirito Santo: « In testa del Libro dei libri, è dunque splendidamente iscritto il domma della Trinità creatrice. Nel nome di Dio noi vediamo il Padre; nel nome del Principio il Figliuolo; in quello che è portato sulle acque, lo Spirito Santo. » Come prova di questa interpretazione cosi netta e tanto autorevole, gli interpreti più abili nella lingua ebraica, fanno valere l’anomalia grammaticale del testo ebraico. Letteralmente egli deve tradursi: nel ‘principio “gli Dei” creò. Perché questa forma strana? Perché il concetto deve essere superiore a tutte le parole, e che dinanzi alla volontà sovrana di Colui che nella prima parola ispirata dal suo primo organo vuole rivelare la sua Essenza divina, debbono piegare tutte le leggi della grammatica. Elohim, “gli Dei”, al plurale indica in Dio la pluralità delle persone, come l’unità di essenza è indicata dal verbo singolare “Bara” creò. La storia della creazione del mondo materiale comincia dunque con la rivelazione del domma della Trinità. Alla stessa guisa comincia la storia della creazione dell’uomo, “Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra, dice il Creatore; e il divino Artefice incide se medesimo a caratteri indelebili, fin nell’essenza di quella nuova creatura. Consideriamo prima di tutto la profondità del linguaggio biblico: queste due parole immagine e somiglianza non sono una inutile ripetizione. Una è il preambolo dell’altra: entrambi riunite rivelano all’uomo e i suoi rapporti con Dio, e il fine della sua vita. Al Padre della stirpe umana e ad ognuno dei suoi discendenti essi dicono : « Dotato della triplice facoltà di ricordarti, di conoscere e di amare, tu sei fatto ad immagine del Dio Trinità. Questa immagine è improntata perfino nei più intimi penetrali del tuo essere. Ebreo, pagano, cattolico, eretico, giusto o peccatore, chiunque tu sii, e qualunque cosa tu faccia, finché sarà vero che tu sei uomo, sarà vero che tu sei l’immagine di Dio. Dannato, tu la porterai nell’inferno, e le fiamme eterne la bruceranno senza distruggerla. » Non è il fine della tua vita il conservarla, ma il perfezionarla, insino a formare in te la rassomiglianza con Dio. Tale è la legge del tuo essere e la condizione della tua felicità. Come peccatore tu perdi questa somiglianza; come giusto sulla terra, tu l’hai, ma imperfetta; santo nel cielo tu la possederai nella sua perfezione. Allora, e allora soltanto tu potrai dire: Io ho raggiunto il fine della mia creazione: sono simile a Dio. Se non vi ha dottrina più sublime di questa, nessun’altra è più certa. « Alla immagine di Dio impressa nell’anima mia, dice san Basilio, io debbo l’uso della ragione: alla grazia d’essere cristiano, la rassomiglianza con Dio. » E san Girolamo : « Bisogna osservare che l’immagine solamente è fatta in noi dalla creazione; la rassomiglianza mediante il battesimo. » E san Crisostomo: « Dio dice immagine, a motivo dell’impero dell’uomo su tutte le creature; rassomiglianza, affinché nella misura delle nostre forze noi ci rendiamo simili a Dio con la mansuetudine, con la dolcezza, con la virtù, secondo il precetto di Gesù Cristo medesimo che dice: Siate simili al Padre rostro che è nei cieli». Lavoro magnifico del quale san Giovanni fa brillare ai nostri occhi il complemento eterno quando egli scrive: « 0 diletti, noi siamo adesso i figli di Dio; ma non si sa ancora quel che noi saremo. Solamente sappiamo che quando Egli apparirà noi saremo simili a lui, [Jo. III, 2] ». Ma in che consiste questa immagine della Trinità che portiamo in noi medesimi? In nome di tutti lasciamo parlare due grandi maestri della dottrina; sant’Agostino e Bossuet: « Occupandoci della creazione, dice il primo, abbiamo per quanto da noi dipenderà, avvertito coloro che cercano la ragione delle cose, di applicare tutta la forza del loro spirito nel considerare le perfezioni invisibili di Dio, nelle sue opere esteriori, e principalmente nella creatura ragionevole che è stata fatta ad immagine di Dio. Là, come in uno specchio essi vedranno se sono capaci di vedere la Trinità divina nelle nostre tre facoltà; la memoria, l’intelletto, e la volontà. « Chiunque distingue chiaramente queste tre cose scolpite nell’anima propria dalla mano del Creatore, e che considera quanto è grande il vedere in quest’anima creata la natura immutabile di Dio, ricordata, veduta, amata; imperocché ce ne ricordiamo mediante la memoria, Lo vediamo mediante l’intelletto, e Lo amiamo per mezzo della carità; quegli trova senza dubbio in sé medesimo l’immagine della Trinità. Trinità sovrana, obietto eterno della memoria, dell’intelletto e dell’amore, cosicché tutta quanta la vita dee avere per fine di ricordare, di contemplare ed amare. [De Trinitate, lib. XV, n. 39] » Dopo il Vescovo d’Ippona, ascoltiamo il Vescovo di Meaux. Delineando all’uomo l’augusta immagine ch’ei porta e scongiurandolo a farne l’oggetto continuo della sua imitazione: « Questa Trinità, dice Bossuet, increata, sovrana, onnipotente, incomprensibile, a fine di darci qualche idea della sua perfezione infinita, ha fatto una Trinità creata sulla terra…. Se volete sapere qual è questa Trinità creata, della quale parlo, rientrate in voi stessi, e la vedrete; è l’anima vostra. « Di fatti, come l’augustissima Trinità ha una sorgente ed una fonte di divinità, secondo parlano i Padri greci, un tesoro di vita e d’intelligenza che noi chiamiamo il Padre, dal quale il Figliuolo e lo Spirito Santo non cessano mai di attingere, cosi l’anima umana ha il suo tesoro che la rende feconda. Tutto ciò che i sensi gli recano di fuori, ella raduna internamente: e ne fa come un serbatoio che appelliamo memoria. E nella stessa guisa che questo tesoro infinito, cioè il Padre eterno, contemplando le sue proprie ricchezze, produce il suo Verbo che é sua immagine; cosi l’anima ragionevole, piena e ricolma di belle idee, produce quella parola interiore che noi chiamiamo il pensiero, o il concetto; o il discorso, che è la viva immagine delle cose. « Imperocché noi cristiani non sentiamo, che quando concepiamo qualche oggetto; ce ne facciamo noi medesimi una pittura animata, che l’incomparabile sant’Agostino chiama il Figlio del nostro cuore: Filius cordìs nostri? [De Trin. IX c. VII] Finalmente, come producendo in noi questa immagine che ci dà l’intelletto, noi ci compiacciamo di intenderla, amiamo per conseguenza questa intelligenza, e cosi da questo tesoro che è la memoria, e dall’intelligenza ch’essa produce, nasce una terza cosa che si chiama “amore”, nella quale hanno termine tutte le operazioni dell’anima nostra. « Cosi dal Padre che è il tesoro, e dal Figlio che è la ragione e l’intelletto, procede quello Spirito, infinito, che è il termine dell’operazione dell’uno e dell’altro. E siccome il Padre, questo eterno tesoro, si comunica senza estinguersi; così questo tesoro invisibile e interiore che l’anima nostra racchiude nel proprio suo seno, nulla perde diffondendosi, imperocché la nostra memoria non si esaurisce con i concetti che essa produce, ma rimane sempre feconda come Dio Padre è sempre fecondo. E altrove: « Abbiamo detto che, la Trinità risplende magnificamente nella creatura ragionevole. Simile al Padre essa ha l’essere; simile al Figlio essa ha l’intelletto, e simile allo Spirito Santo essa ha l’amore. Simile al Padre e al Figlio ed allo Spirito Santo ha essa nel suo essere, nella sua intelligenza e nel suo amore una stessa felicità ed una stessa vita. Voi non sapreste toglierle nulla, senza toglierle tutto. Felice creatura e perfettamente simile, se essa si occupa unicamente di Lui. Allora essendo perfetta nel suo essere, nella sua intelligenza, nel suo amore, essa intende tutto ciò che è, ed ama tutto ciò ch’essa intende. Il suo essere e le sue operazioni sono inseparabili. Dio diventa la perfezione del suo essere, il nutrimento immortale del suo intelletto, e la vita del suo amore. Essa non dice come Dio, che una sola parola, la quale comprende tutta la sua sapienza. Come Dio essa non produce che un solo amore, il quale abbraccia tutto il suo bene. E tutto ciò non muore punto in lei. « La grazia sopraggiunge su questo fondamento, e rialza la natura: la gloria le è mostrata, ed aggiunge il suo complemento alla grazia. Fortunata creatura se essa sa, lo ripeto ancora, conservare la sua felicità. O uomo, tu l’hai perduta! dove si smarrisce la tua intelligenza? Dove va ad annegarsi il tuo amore? Ahimè! Ahimè! e senza fine ahimè! ritorna alla tua origine. » Ritorna; e se tu vuoi conoscere la tua dignità ed il fine della tua esistenza, non guardare né il cielo, né la terra, né gli astri, né gli elementi, né tutto quell’universo che ti circonda: guarda te stesso dunque, o uomo! Ascolta non più la voce che esce dalle creature, ma la voce che viene da te. Tu stesso sei il predicatore della Trinità. Dovunque ti rechi, ne porti l’immagine. Rispettala, amala, copiala, fatti a sua somiglianza, poiché la tua felicità è a questo prezzo. Nei grandi avvenimenti che segnano la vita dell’uomo primitivo, la Trinità riapparisce. Adamo è caduto: « Ecco, dicono le divine persone, Adamo divenuto simile a uno di noi: “Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis”. [Gen.III, 22] ». Quanto più queste parole sono chiare, interpretate nel senso cattolico, tanto più esse sono assurde se non indicano la pluralità delle Persone divine. In questo caso esse hanno il seguente significato: ecco Adamo divenuto simile a uno di me. satana vuol gettare le fondamenta della Città del male. Per edificarla egli riunisce gli uomini nelle pianure di Sennaar. La città e la torre che deve innalzarsi fino al cielo salgono a vista d’occhio. Questa audace impresa provoca una nuova manifestazione della Trinità. Siccome le tre Persone hanno tenuto consiglio per creare l’uomo, esse si trovano d’accordo per punirlo. «Venite, dicono Esse, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio [Gen. XI, 7]».

Dal canto suo Iddio vuole formare la Città del bene. Abramo ne sarà la pietra angolare, e la Trinità gli apparisce. In mezzo alla valle di Mambre s’innalzava la tenda del Padre dei credenti. Un giorno verso l’ora di mezzodì il caritatevole patriarca stava seduto sulla sua porta, allorquando, alzando gli occhi, ei vede tre personaggi ritti dinanzi a lui. A quello spettacolo volge la faccia verso terra e adora dicendo in “singolare”: «Signore se io ho trovato grazia appresso di Te non venire dinanzi al tuo servo. [Domine, si inveni gratiam in oculis tuis, ne transeas servum tuum. Gen. XVIII, 3 ] » Abramo vede tre Persone, ed egli non adora che un solo Signore, al Quale dà costantemente il nome incomunicabile di Jehova. Che cosa significa questo linguaggio? Consultiamo l’oracolo, interprete infallibile della Scrittura, la Tradizione: « Ecco tosto, dice un Padre della Chiesa, che la Maestà incorporea scende sulla terra, sotto la corporea figura di tre Personaggi. Abramo corre loro incontro; tende verso di Essi le sue mani supplichevoli, bacia Loro le ginocchia e dice: Signore, se io ho trovato grazia appo Te non passare dinanzi al tuo servo senza fermarti. Voi vedete, che il Padre dei credenti si precipita incontro a quei tre e non adora che un solo: Unità in tre, Trinità in uno. Ecco che la celeste Maestà prende posto alla tavola di un mortale, accetta un desinare, gusta delle pietanze, e si stabilisce una amichevole conversazione famigliare tra Dio e un uomo. Alla vista di quei tre personaggi, Abramo comprende il mistero della santa Trinità; e se non adora in Essi che un solo Signore, è perché non ignora che in quelle tre Persone, non vi è che un Dio solo. »

Da queste molteplici manifestazioni era resultata presso gli ebrei, la conseguenza certa del domma fondamentale della fede dell’uman genere, nell’antica alleanza come nella nuova. « Gli uomini illuminati tra gli Ebrei, dice sant’Epifanio, tanto profondamente istruito nelle cose della sua nazione, insegnarono fino dai primi tempi e con una intera certezza, la Trinità in un’unica Essenza divina. » Un altro figliuolo d’Israele, non meno versato nella storia religiosa della Sinagoga, il signor Drach, cosi si esprime: « Nei quattro Vangeli non si osserva meno la Rivelazione nuova della santa Trinità, punto fondamentale, e cardine di tutta la religione cristiana, quanto quella di ogni altra dottrina di già insegnata nella Sinagoga, al momento della venuta di Cristo: come, per es.: il peccato originale, la creazione del mondo senza materia preesistente, e l’esistenza di Dio. «Quando Nostro Signore dà ai suoi discepoli, che avea tutti scelti tra i Giudei, la missione di andare a predicare il suo santo Vangelo ai popoli della terra, ordina loro di battezzarli in nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. È chiaro che queste parole, le sole dei quattro Evangeli, in cui le tre divine Persone vengono nominate insieme in termini tanto espressi, non sono dette come aventi per oggetto di rivelare la santa Trinità. Se il Salvatore pronunzia qui i nomi odorabili del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo, egli è per prescrivere la formula sacramentale del battesimo. La menzione del gran mistero in questa circostanza, in occasione del battesimo, produce sullo spirito di chiunque legge il Vangelo, l’effetto di un articolo di fede già conosciuto e pienamente ammesso tra i figli d’Israele. « Insomma, gli evangelisti prendono per punto di partenza il mistero della incarnazione. Essi ce lo rivelano e ci prescrivono di credervi. Quanto a quello della Trinità che lo precede, e che n’è la base nella fede, se ne impadroniscono come di un punto già manifesto, ammesso nella credenza della legge antica. Ecco perché non dicono in nessun luogo, sapete; ma credete che vi sono tre Persone in Dio. Difatti chiunque è in familiarità con ciò che insegnavano gli antichi dottori della Sinagoga, soprattutto quelli che hanno vissuto innanzi la venuta del Salvatore, sa che la Trinità in un Dio unico, era una verità ammessa tra loro fino dai più remoti tempi. [Armonia della Chiesa e della Sinagoga, t. II, p. 277, 279]». Però vi è una creazione più nobile di quella dell’universo materiale, più nobile di quella dell’uomo stesso, vale a dire la creazione del cristiano. Come i due primi, cosi questo terzo capo d’opera comincia con la rivelazione del domma della Trinità. La pienezza dei tempi è compiuta: il Verbo mediante il Quale tutto é stato fatto, è disceso sulla terra per rigenerare la sua opera. Un nuovo mondo più perfetto dell’antico deve nascere alla sua voce. Egli stesso ascende di nuovo al Padre suo; ma i suoi apostoli hanno ricevuto l’ordine ed il potere di continuare questa meravigliosa creazione. Nel momento solenne della sua dipartita, lascia cadere dalle labbra divine il nome ineffabile di Jehovah, che non aveva ancor punto pronunziato nel suo intiero, e la cui completa enunciazione, doveva essere, secondo la profetica tradizione della Sinagoga, il segnale della redenzione universale. [La Trinità delle persone in un Dio solo non doveva essere insegnata pubblicamente, chiaramente, a confessione stessa dei Rabbini, se non all’epoca della venuta del Messia nostro, giusto, epoca in cui il nome di Jehova che annunzia quest’augusto mistero, alla stessa guisa che l’incarnazione del Verbo, doveva cessare d’essere impronunziabile… Una delle loro antiche tradizioni dice in termini formali: la Redenzione si opererò, mediante l’intiero nome Jehova ; quando una delle tre Persone divine, inseparabile dalle due altre si sarà fatta, il che significa l’ultima lettera del nome ineffabile: Uomo Dio ecc. Drach, ibid.7 t. II, p. 455. ].

Ei dice loro: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni e battezzatele in nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. [Matteo, XVIII, 19] ». Ecco, ornai, indicata la perfetta uguaglianza delle Tre Persone, la stessa potenza, la stessa virtù santificante in un solo nome, vale a dire in una sola divinità: che cosa vi ha di più chiaro! Cosi l’uomo, che deve l’essere suo naturale all’adorabile Trinità, Le dovrà pure il suo essere soprannaturale. Vita umana e vita divina gli derivano dalla stessa sorgente. Questa grande verità sarà scritta nell’atto stesso della sua duplice creazione. Nasca sotto qualunque clima, un figlio di Adamo non può diventare Figlio di Dio, senza che la Chiesa sua madre gli scolpisca sulla fronte il marchio indelebile dell’augusta Trinità. Ma ciò non basta. Come Iddio in tre Persone nell’antico Testamento moltiplicò le sue apparizioni all’uomo primitivo, cosi sotto la legge di grazia Egli le moltiplica più’ spesso, e più chiare all’uomo nuovo. Seguitate il cristiano dalla culla sino alla tomba; ei non potrebbe fare un passo nella vita senza incontrare la Trinità. Battezzato che sia in nome della Trinità, egli è rivestito della forza e ripieno dei lumi dello Spirito Santo, perché lo é in nome della Trinità. Se egli riceve la carne vivificante del suo Redentore, è in nome della Trinità. Se ricupera la purità dell’ anima per la remissione delle sue colpe; se è fortificato nei pericoli dell’ultima lotta; se secondo la carne, o secondo lo spirito, diventa il padre di una nuova famiglia, lo è sempre in nome della Trinità. Se infine, ritorna egli all’ultima sua dimora terrena, ed è consegnato alla tomba come un inviolabile deposito, lo è sempre in nome della Trinità. Così, da qualunque lato ch’ei si volga, che sollevi i suoi sguardi verso il firmamento, che gli abbassi verso la terra, o che gli riconcentri su se medesimo, dappertutto vede brillare il domma augusto di un Dio in tre Persone. Per negarlo, fa d’uopo che egli neghi l’universo, che neghi la sua ragione, che neghi le Scritture, che neghi sé stesso, come uomo e come cristiano. Ma quante volte egli lo afferma, tante volte afferma la divinità dello Spirito Santo. Il nostro compito era di stabilire appunto ciò.