DOMENICA VII DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario,  del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio ed unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: « Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. « Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutto quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello che egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico Sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.

[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]

Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.

[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…” (Rom. VI, 19-23).

DUE LIBERTA’.

C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, e questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché  uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita, » vita del tempo, vita nell’eternità.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.

[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.

[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt VII: 15-21

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”

[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]

Omelia

G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

I FALSI PROFETI.

Iddio, che fin dal principio del mondo ha separato la luce dalle tenebre, il giorno dalla notte, l’acqua dalla terra, solo alla fine del mondo separerà i buoni dai cattivi, i veri profeti dai falsi. Intanto noi siamo costretti a vivere in una promiscuità insidiosa e a trovarci, talvolta, con compagni, maestri, superiori, che ci attirano a perdizione. All’erta! « Guardatevi dai falsi profeti, — raccomandò Gesù — che vengono vicino con lane d’agnelli, con belati di pecore: ma invece sono lupi rapaci ». Quando il Maestro disse queste parole la prima volta era sulla montagna, e i discepoli tutti come se il lupo travestito dovesse sopraggiungere allora, si strinsero alla sua persona persuasi che solo da Lui potesse l’insidia venire sventata. « Come faremo noi, poveri ingenui, a riconoscerli? » — sembravano dire. « Come fate — li rincuorò Gesù — a distinguere le piante buone e le cattive? Dai frutti: pianta buona dà frutto buono, pianta cattiva dà frutto cattivo. Certo voi non coglierete mai un grappolo d’uva dallo spineto, né un fico dal roveto. Così è degli uomini: non guardate alle loro parole, perché non quelli che diranno « Signore! Signore! » entreranno in paradiso; ma guardate alle loro azioni. « Uomo buono fa buone azioni, uomo cattivo fa cattive azioni ». L’immagine di Gesù che si strinse d’attorno i suoi Apostoli per salvaguardarli dai falsi profeti deve aver molto impressionato i Cristiani dei primi tempi, se dall’inizio del secolo III essa è ricordata nelle pitture delle catacombe. Su di una volta del cimitero di Pretestato è dipinto il Pastore buono che stende la mano destra a proteggere sette agnelli. Ma questi alzano il muso e gli occhi pieni di spavento come se un pericolo grave li minacciasse. Difatti dalla parte sinistra s’avanzano due animali per far nocumento: l’asino e il porco. Ma già il Pastore buono ha levato contro di essi il suo lungo vincastro e li tiene lontani (WILPERT, Le pitture delle catacombe, vol. I, tav. 51). Questa ingenua rappresentazione che ha rallegrato gli occhi di molti martiri non simboleggia forse la storia perenne della Chiesa lungo tutti i secoli? Sempre il gregge del Signore è minacciato da due sorta di falsi profeti: gli uni, rappresentati dall’asino, sono quelli che tentano con errori di corrompere il sacro deposito della fede: gli altri, rappresentati bene dal porco, sono quelli che tentano di corrompere i buoni costumi e la purezza della vita cristiana. Intanto la interessante pittura delle catacombe, senza ch’io me ne fossi accorto, mi ha diviso la predica in due punti: I falsi profeti della fede; I falsi profeti dei costumi. – 1. I FALSI PROFETI DELLA FEDE. Ritornava da Betel, dove Dio l’aveva mandato per un’importante ambasciata un uomo giusto. Quand’ecco, sulla strada, incontra un falso profeta che gli dice « Vieni con me, a casa mia, e prenderemo insieme un po’ di cibo ». L’uomo giusto gli rispose: « Non posso venire con te, né mangiare, né bere, con chiunque sia: me l’ha proibito il Signore ». E l’altro con lusinghevole voce cominciò a scalzare il suo proposito: « Anch’io sono profeta simile a te; e se a te il Signore ha fatto questa proibizione, a me è comparso un Angelo e mi ha ingiunto: — conducilo a casa tua e confortalo con una cenetta ». L’ingenuo credette alle parole dell’astuto e gli andò dietro e mangiò il pane e bevve l’acqua del falso profeta. Ma alla sera, alcuni uomini che transitavano per un sentiero solitario, videro disteso un cadavere e accanto un leone: era il cadavere dell’infelice ingannato. Esterrefatti ritornarono in città e divulgarono la cosa (III Re, XIII). Questo fatto della Storia Sacra c’insegna assai chiaramente la fine che faranno le anime che, dimentiche degli avvisi di Gesù e de’ suoi ordini, si avvicineranno ai falsi profeti della fede: finiranno preda del leone infernale. E mi è piaciuto ricordare lo spaventoso episodio perché specialmente in questi tempi i Protestanti in ogni città e in ogni paese d’Italia hanno organizzato una lotta accanita per strappare molti dalla vera fede cattolica. Per essi s’addice bene la figura del falso profeta, descritto dal Vangelo, che s’avvicina in veste di pecora, ma che nell’intrinseco è belva rapace. Infatti, essi hanno sulle labbra parole pie, si dicono evangelici e anche Cattolici, predicano del Signore e della salvezza dell’anima, danno elemosine, diffondono libri e bibbie a pochissimo prezzo. Ma strappate a loro queste lane d’agnelli e sentirete che essi non vogliono né la Madonna Madre di Dio, né il Papa capo infallibile della Chiesa. A nome di Cristo, dal suo altare, io alzo il grido d’allarme. Attendite a falsis prophetis. Ma non è solo dai Protestanti e dagli altri eretici definiti che vi dovete guardare. Guardatevi specialmente da tutti quelli che non amano il Papa. « Sono cristiano anch’io — vi diranno forse — sono Cattolico anch’io al pari di te, ma non sento bisogno di ubbidire ad ogni comando del Papa, di rispettare ogni sua parola, di pregare per il suo trionfo… ». Chi non è col Pontefice, non è con la Chiesa di Cristo e quindi è un profeta dell’errore. E se anche un Angelo vi annunciasse una dottrina diversa da quella che la Chiesa e il Papa insegnano, non credetegli perché  quell’Angelo è un demonio trasfigurato. Se poi desiderate una norma pratica che vi salvi da ogni astuzia dei falsi profeti della fede, seguite questi due consigli: 1) Istruitevi nella Dottrina Cristiana. Gesù è venuto dal Cielo sulla terra per insegnarci queste sublimi verità, e voi le trascurate? Come oserete sperare salvezza? Dottrina cristiana! Dottrina cristiana! 2) Fuggite la compagnia di chi non ama il Papa o la Madonna e disprezza la santa Eucaristia: tutte le eresie si riducono a questi tre punti. Ricordate quello che di S. Giovanni Apostolo narra S. Ireneo. Era, una volta, entrato in un casa, ma come s’accorse che v’era dentro l’eretico Cerinto, non un minuto volle indugiarvi e fuggì gridando: « Indietro, indietro! Temo che il tetto di questa casa mi rovini addosso per la presenza di un simile uomo ». E di S. Policarpo si racconta che in Roma, dov’era appena venuto, s’incontrò con Marcione che era un eresiarca. « Policarpo! — gli disse; — non mi conosci? io sono Marcione ». « Oh se ti conosco! — gli rispose il santo. — Tu sei il primogenito del demonio ». Agnosco diaboli primogenitum. – 2. I FALSI PROFETI DEI COSTUMI. Fra tutti i vizi che contaminano il mondo moderno, non ve n’ha uno più diffuso del vizio impuro. Sembra quasi che in questo secolo il porco sferri l’assalto più furioso al gregge di Cristo. Ha invaso tutte le età, tutte le condizioni, tutti i luoghi. Nolite proiicere margaritas vestras ante porcos. (Mt., VII, 6). E i profeti falsi che sorgono a difenderlo non sono pochi. « Non è un peccato, dicono, — è un bisogno della natura. L’uomo può fare quello che vuole, purché ne’ uccida, né rubi. Quelli che dicono di essere puri, sono impostori più corrotti degli altri ». Le letture, le amicizie, i divertimenti sono le armi più terribili e più infiorate che i falsi profeti dei costumi maneggiano a distruzione delle anime. Le letture. — Ancor oggi, come all’inizio dei tempi, l’uomo è collocato alla presenza di due alberi che producono frutti diversi: l’albero della stampa del bene, l’albero della stampa del male. Il primo dà illustrazioni pudiche e belle, giornali utili e seri, libri buoni e di sincero godimento; l’altro dà frutti di peste e di morte. Ed ancora si ripete la scena del paradiso terrestre. Dall’albero delle stampe cattive ci parla il falso profeta, con la voce carezzevole del serpente antico: « Perché i preti vi proibiscono queste illustrazioni, questi romanzi? Hanno paura che diventiate più bravi di loro e non restiate più sottomessi alla loro parola. Non dovete forse sapere quello di cui parla tutto il mondo? Voi solo non guarderete né leggerete quello che si vede e si legge ora da per tutto? Ah! che nel giorno in cui li leggerete, diverrete altrettanti dei ». Ed ecco tanti giovani e tante fanciulle anche, ecco tanti uomini di ogni età e condizione, cedere al falso profeta, accoglierlo in casa magari segretamente e poi… e poi… lasciare la propria innocenza a brano a brano nella bocca della bestia feroce « Galeotto fu il libro e chi lo scrisse! », ci grida Dante dalla sua « Commedia ». Le amicizie. — Talvolta il falso profeta sì presenta sotto i sembianti d’un amico, specialmente di sesso diverso. Non vi getterà, no, tutto d’un colpo al fondo dell’abisso: ma vi spingerà lentamente ed un po’ alla volta. Comincerà ad adescarvi con la sua bella figura, coi modi gentili, con il carattere gioviale, con qualche biglietto: in principio si ascolta volentieri, poi si sorride, poi si risponde, poi si cede. Certo è che una volta che vi siete dati in mano a un tal falso profeta, non siete più liberi, divenite cosa sua, la sua preda. « Coraggio, che facciamo di male? », vi dirà. Intanto divorerà la vostra anima e vi trasformerà in un essere abbietto come lui. Questa trasformazione mi pare che bene la raffiguri Dante nell’« Inferno ». Nell’ottavo girone, egli vide arrivare di furia un serpente di sei piedi, e avventarsi addosso a un’anima dannata e stringersela membro a membro come un’edera s’abbarbica ad un tronco, fino a formare con esso un sol corpo mostruoso che si allontanò lentamente. Alcuni che pure assistevano alla paurosa scena, esclamavano: « Ohimè Agnel, come ti muti! » (Inf., XXV, 67). Quante volte si potrebbe ripetere accanto ad anime rovinate dalle cattive amicizie il grido straziante « O Agnel, tu che ti dai in braccio a quell’amico perverso, come cambi! Già incomincia la metamorfosi e presto striscerai con lui nella melma. Ohimè, Agnel! ». I divertimenti. — Di certe sale, di certi divertimenti, non voglio dire che una parola, una sola: ed è quella che S. Agostino dice del suo amico Alipio che s’era recato a teatro con tutti i più feroci propositi di non peccare. « Levatesi per certa avventura d’un gladiatore alte grida, aprì gli occhi e guardò. Guardò: da quel momento non fu più Alipio » (Conf. libr. VI, cap. 8). – Se S. Paolo fosse vivo ancora, udite, Cristiani, che così vi scriverebbe in questa mattina: « Io vi prego, o fratelli, che abbiate gli occhi addosso a quelli che pongono inciampi e errori contro la dottrina che voi avete imparato, e ritiratevi da loro. Perché questi tali non servono il Cristo Signore nostro, ma il loro ventre… » (Rom. XVI, 17 s.). « Vi sono ancora molti chiacchieroni e seduttori, che mettono a soqquadro tutte le famiglie, insegnando cose che non convengono. Ma la mente e la coscienza dì essi è immonda… » (Tit., I, 10 S.). Se alle mie parole non volete ubbidire, ubbidite almeno a queste, che sono di S. Paolo. — LE OPERE BUONE. Dante descrivendo nel suo poema immortale il paradiso, dice d’avere sentito parole come queste: senza la fede in Cristo crocifisso, nessuno può salvarsi. Ma la fede non basta, occorrono le opere. Perciò nel giorno del giudizio, molti pur avendo avuto la fede e sentito molte prediche e Messe, si vedranno dalla parte dei dannati perché non fecero le opere della loro fede; mentre certi poveri e ignoranti Etiopi saranno dalla parte degli eletti e tenderanno le mani a condannare quelli che vissero mel centro della cristianità. … molti gridan: « Cristo Cristo!» / che saranno in giudizio assai men prope a Lui, che tal che non conosce Cristo. (XIX, 106-108). Questa persuasione Dante se l’è fatta meditando sul Vangelo di questa domenica. Dice infatti il Maestro divino: « Non tutti coloro che dicono: Signore, Signore, entreranno nel Regno dei Cieli, ma quelli che avranno fatto la volontà del Padre mio, ubbidendo ai suoi comandamenti ». Non tutti coloro che dicono Signore, Signore, entreranno nel Regno de’ Cieli! non tutti coloro che pronunciano qualche preghiera e rendono qualche omaggio a Dio, otterranno la vita eterna. Non omnis qui dicit mihi: Domine, Domine intrabit in regnum cœlorum; sed qui facit voluntatem Patris mei qui in coelis est, ipse intrabit in regnum cœlorum Mt., VII, 21). Tutta la vita nostra quaggiù dev’essere spesa a meritarci il Regno de’ Cieli. Per giungere ad esso non c’è altro mezzo che fare la volontà del Padre, compiere opere buone. Vediamo la necessità delle opere e quali opere noi dobbiamo fare. – 1. NECESSITÀ DELLE OPERE BUONE. Un uomo aveva nella sua vigna un albero di fico che coltivava con ogni cura. D’inverno lo rivestiva di paglia e ne copriva le radici perché fossero difese dai rigori del freddo. Quando il tiepido aprile svegliava le prime gemme, lo bagnava mattino e sera, ed a suo tempo lo tagliava opportunamente per dargli maggior vigoria. A tempo opportuno venne per cercarvi dei frutti, ma non trovò che foglie verdi, abbondanti. Allora disse al vignaiuolo: « Ecco sono tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico e non ne trovo. Troncalo dunque e fanne legna da ardere. Perché deve occupare inutilmente il terreno? » Ma quegli rispose: « Signore, lascialo stare ancora per quest’anno, finché io gli abbia scavato tutto intorno una fossa e vi metta del letame: e se darà frutto, bene; se no, lo taglierai » (Lc. XIII, 6-9). Noi siamo gli alberi che Dio ha piantato nella sua vigna, circondandoci di mille premure. È Lui che ci ha chiamato alla vita, a preferenza di tanti esseri rimasti nel numero delle cose soltanto possibili. Se i nostri occhi possono contemplare le bellezze del creato, lo dobbiamo soltanto a Dio. Se le nostre labbra pronunciano il dolce nome del padre e della mamma, se possono esprimere i pensieri ed i sentimenti più cari, è tutto per la bontà del Signore. Ma Egli ci ha dato un dono ancora più grande, che supera i doni materiali quanto il Cielo è superiore alla terra, quanto Dio sta sopra l’uomo: il dono della grazia che ci divinizza. L’albero dell’umanità, in principio, era puro e bello; ma, per la disobbedienza dei progenitori, da albero di vita divenne albero di morte. Allora Dio in un eccesso d’amore per l’uomo mandò il suo Figlio Unigenito perché bagnasse col sangue divino l’albero inselvatichito dell’umanità, e quel sangue prezioso rinnovasse le sue linfe e le rendesse feconde di frutti preziosi e degni del Cielo. Ha forse l’agricoltore trascurato qualche cosa perché possa la pianta scusare di essere sterile? Nulla; non ha proprio trascurato nulla. Dopo ciò, se appressandosi ad essa troverà foglie e nient’altro che foglie, il Padrone sarà costretto a dire: « Perché mai ingombra il terreno? Sia sradicata e gettata nel fuoco ». Cristiani, se la nostra vita non è ripiena di opere buone, se l’amore che diciamo di avere per Iddio non è fattivo, noi ingombriamo il terreno. Nella chiesa di Dio siamo degli esseri inutili che sciupano il tempo e sprecano una linfa fertilissima che per nostra colpa diventa sterile. Ed allora nessuna meraviglia se ci incombe una sentenza terribile. Excidatur et in ignem mittatur. Ma io — dirà qualcuno — non faccio nulla di male! Non importa; non sei un dannoso ma sei inutile, perché non fai nulla di bene. Excidatur. Venga tagliato come un albero secco, non ostante che sia ancor verde gli sia tolta qualunque comunicazione col sangue di Cristo, sia cioè staccato per sempre da Cristo che per lui si è incarnato ed è morto inutilmente. Rendere Cristo inutile! È la massima sventura che possa toccare ad un Cristiano. In ignem mittatur. Sia gettato nell’inferno colui che era fatto per il paradiso. Arda per sempre nelle fiamme divoratrici colui che avrebbe dovuto essere abbeverato dal torrente delle grazie di Dio. Il Signore però ci vuol bene, e quantunque forse da più di tre anni siam piante sterili, vuol lasciarci ancora un anno — altro tempo di prova. Continuerà le sue cure amorose, anzi… farà di più, ci darà maggiori grazie, ma poi non ci sarà misericordia. Per le piante ostinatamente sterili non c’è altra sorte che il taglio ed il fuoco. – 2. QUALI OPERE NOI DOBBIAMO FARE. A 43 anni S. Filippo svolgeva in Roma il suo ministero sacerdotale. I giovani, i ragazzi lo conoscevano tutti e dovunque lo trovassero gli facevano festa, gli si stringevano attorno affascinati dal suo celestiale sorriso. Quante anime rubava al demonio e conduceva nelle vie del Signore! Gli afflitti avevano da lui parole dolci che scendevano fino al cuore; i dubbiosi trovavano in S. Filippo la guida esperta e sicura, i tentati la forza ed il coraggio per le lotte più aspre. Le personalità più distinte per virtù e sapere, perfino principi e prelati ricorrevano a lui per lumi e consigli. Ma un giorno la visione di un apostolato più vasto, in terre lontane, cominciò a rapirlo ed acceso di giovanile entusiasmo sognava le Indie. Venti dei suoi Sacerdoti eran già pronti a seguirlo per salpare dal porto, quand’ecco incontra un santo religioso dell’ordine Cistercense. Ispirato da Dio: « No! — esclama— No! Padre Filippo, ritorni indietro, le sue Indie sono là, a Roma ». E Padre Filippo ubbidiente, allegro ritorna a Roma a far amare il Signore nella letizia del cuore. – Molte volte noi… sogniamo ad occhi aperti ed andiamo dicendo: se mi trovassi in altre condizioni, tra persone migliori, con meno faccende, se fossi in luogo più adatto, quanto bene farei, come lo amerei il Signore, che bella vita sarebbe la mia. Questa è un’illusione. A ciascuno di noi il Signore ha segnato una strada da battere e tutti, nessuno escluso, dobbiamo guadagnarci il Cielo nello stato e nella condizione in cui ci ha posti. – Due sposi Cristiani servono Iddio nel vicendevole affetto che han giurato dinanzi all’altare. Se poi il Signore dà ad essi dei figli, non li devono, no, rifiutare quasi fossero insopportabili pesi, ma li accolgano come pegni preziosi da educare alla vita cristiana. Una mamma che pensasse, pentita, al convento, cui non era chiamata, perché strillano i bimbi di giorno e di notte bisogna continuamente curarli, sbaglierebbe certamente. « Le tue Indie sono là vicino alla cuna della tua creatura! » Un padre che rimpiangesse una vocazione … che non ha mai avuto, solo perché i figliuoli devono mangiare ed è il suo sudore che li dovrà mantenere, perderebbe ogni merito. « Le tue Indie sono lì, in quel campo che devi dissodare, vicino  all’incudine su cui devi battere, in quell’officina che ogni giorno ti accoglie ». « Sia che mangiate, sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio »? Non è dunque necessario stare tutto il giorno in ginocchio! Anche nelle officine, nei campi, nelle banche, per le vie, noi possiam fare tante opere sante. L’osservanza della legge di Dio, i doveri del nostro stato: ecco le opere che il Signore vuole da noi. In paradiso, accanto ai Pontefici, ai Dottori, ai Sacerdoti, ai Martiri, ci saranno, risplendenti di gloria, anche gli umili figli del popolo che forse conoscevano appena le preghiere essenziali, ma sapevano molto bene fare ogni giorno fare la volontà di Dio. – Una leggenda narra così. Uscì dal suo corpo un’anima umile umile, tanto che tutti l’avevano trascurata: l’Angelo suo custode la guidò nel cammino dell’altra vita. Quando fu sopra le stelle e il sole fulgente e la luna argentea, ella cominciò a tremare sbigottita di tanta altezza e luce. « Non temere, — disse l’Angelo a lei, — tu stai per entrare nel Regno dei Cieli ». Ma i Santi, quando la videro, bisbigliarono: « Com’è piccina! Non ha la stola bianca delle Vergini, non ha la tunica rossa dei Martiri, non la divisa degli Ordini religiosi… Chi sarà? Giunta davanti al trono di Dio, l’Angelo aprì il libro della sua vita. Disse poi: « Qui son notate due cose: nell’anima sua sorrise sempre la grazia, nel suo cuore ci fu sempre una giaculatoria: sia fatta la volontà di Dio. Nient’altro. Qual è il suo posto in cielo? ». « Basta, rispose il buon Dio, basta così, per avere il primo posto in cielo ». Non vuole di più da noi il Signore, non opere straordinarie, non grandi digiuni o lunghe penitenze, non miracoli: no; ma la vita semplice, con le sue croci quotidiane, con l’adempimento esatto del proprio dovere; e in tutto vuole si faccia la sua volontà. Così si può arrivare fino ai primi posti del paradiso!

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus

Dan III: 40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.

[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.

[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Quaprópter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.

[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio

Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.

[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (3)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO III.

SCIENZA, PICEDESTINAZIONi E BONTÀ DIVINA

I. Iddio sa se mi salverò. II. Mi salverò se sono predestinato. III. Iddio è buono. IV. Iddio non si vendica.

I. Oltre la giustizia, traggono alcuni in campo anche la scienza divina, per confondere sè ed altri. Si lasciano muovere soprattutto da quel sofisma che Iddio certamente ha già veduto se essi saranno salvi, oppure se andranno dannati: che accade dunque che si affatichino per salvarsi? Ad ogni modo quello che Dio ha veduto tanto accadrà. – Prima di rispondere direttamente a questo sofisma, io farò una domanda simile al mio lettore. Iddio certamente già sa se quest’oggi voi troverete imbandito il desinare, oppure se nol troverete: che accade adunque che spendiate denari, che diate ordini, che impieghiate il cuoco per ammannirlo? Similmente Iddio certamente vede se voi mai giungerete a raccozzare insieme qualche denaro, oppure se sempre sarete al verde: a che adunque struggervi in brighe e contratti e negozii per accumulare? Non sarà mai più di quello che Dio vede. Che cosa rispondereste a chi vi facesse un tal discorso? Sebbene non aveste in pronto la risposta, tuttavia né licenziereste il cuoco, né smettereste perciò il commercio. Or perché non fate altrettanto nel negozio di vostra salute? Perché non ve ne occupate con ogni serietà, come se al tutto dipendesse da voi? – Del resto sappiate che il veder di Dio le cose con la sua infinita sapienza, non fa che esse non siano ancora pienamente dipendenti dalla nostra libera volontà. Vel dichiarerò con una somiglianza. – Se vi trovaste a rimirare da un balcone una piazza tutta gremita di popolo, ché cosa vedreste? Altri, vendere le loro merci, altri comprarle, e cavalli che impennano, e donne che si bisticciano, e fanciulli che ruzzano, e sciagurati che bestemmiano, e così via via. Ora voi vedete certamente tutto quello che accade, ma ne siete voi la cagione? Forse perché voi lo vedete, essi non sono più liberi a proseguire od intrammettere le loro faccende? Nulla meno. Il vostro vedere nulla influisce sulla loro libertà. Ora, osservate, Iddio per la sua infinita sapienza ha un occhio, a cui sta presente tutto il passato, tutto Il presente e l’avvenire, e tutto con le sue circostanze più mirate e particolari. Che però? Sarà Egli la causa di quello che facciamo o diciamo? Niente affatto. Egli ci lascia fare e dire secondo quella libertà che ci ha dato, e non perché d ama, e solo perché Egli vede le cose, ma perché noi facciamo le cose, Egli le vede. – Di che venendo in nostro particolare, io vi dirò, la visione che Dio ha di quello che noi liberamente faremo in ordine alla nostra salute, non impedisce in nessun modo la nostra operazione. Se io osservo la divina legge, se io non pecco, oppur se fo penitenza dei miei peccati, Iddio vede che io mi salvo. Se io pecco, se io la duro nel peccato fino alla morte, Iddio vede che io mi danno. La sapienza di Dio è a guisa d’un tersissimo specchio, dove tutto quello che io fo e farò si trova rappresentato: ma a chi appartiene il fare che sia rappresentata più una cosa che un’altra? Egli è rimesso alla mia libertà. Similmente l’uomo in questa vita è a guisa di un attore sopra di un palco che dà una rappresentazione: che cosa vede il pubblico? Quel solo e quel tanto che l’attore finge: e, sebbene Iddio per la sua infinita sapienza la vegga anche prima che sia alzato il sipario, tuttavia la rappresentazione mai non sarà altra da quella che l’uomo, che è l’attore, la farà.

II. E con questo è spianata la via a sciogliere anche la difficoltà che si trae dalla predestinazione. Se sono predestinato, dicono alcuni, mi salverò; se non sono, qualunque cosa mi faccia, al tutto mi dannerò. Falso, falsissimo, Imperocché che cosa risulta dalla predestinazione? Che Dio ha veduto che voi, valendovi del vostro libero arbitrio ed usando le grazie che ci vi ha concedute, foste per continuare fino alla fine in un tenore di vita santo; e che foste conseguentemente per andar salvo. Se ha veduto per il contrario che voi foste per fare il male e farlo fino alla, morte, abusando della vostra libertà e delle sue grazie, ed Egli allora si è risoluto a lasciarvi perire : ma a quel modo che il veder Lui le cose avvenire non fa che le cose succedano, ed anzi perché succedono Egli le vede, come abbiam dichiarato sopra; così la determinazione divina non è cagione che voi facciate necessariamente il bene od il male, e che così acquistiate o perdiate il cielo. – Né niuno dica che non sa capire come dunque i decreti divini siano infallibili, mentre sta in nostra mano il far tuttavia che sortiscano il loro effetto o non lo sortiscano; perocché una tal difficoltà non ha special forza nella salute dell’anima, più che nella ricuperazione della sanità, nella conservazione della vita, nel conseguimento delle vittorie ed in tutti gli altri eventi da Dio previsti intorno alla nostra persona, ma previsti di modo che ancor dipendano dal nostro libero arbitrio. Or in tutti questi eventi naturali, benché scritti in cielo, noi crediamo che essi ancor dipendano dai nostri sforzi; e perciò per guarire pigliamo la medicina, per vivere usiamo il cibo, per vincere combattiamo; così nell’ordine soprannaturale, benchè sia scritta in cielo la nostra salvezza, tuttavia noi dobbiamo credere che ancora dipenda dalla nostra opera, e dobbiamo perciò orare, vigilare, osservare le divine leggi. E siccome niuno vi sarebbe che ragionevolmente non attribuisse la perdita della sanità, della vita, della vittoria a colui che non si fosse adoperato per conseguirla; sul pretesto che l’esito di essa già stava scritto in cielo; così la perdita della salute sarebbe al tutto da recarsi a colpa di chi sul pretesto medesimo avesse trascurati i mezzi della salute. E la ragione ultima di tutto ciò è che come Iddio, quando ha decretato di renderci la sanità, ha decretato di renderceli a modo debito, cioè con quei medicamenti che sono i proporzionati; così avendo decretato di darci l’eterna vita, non l’ha fatto se non a modo debito, cioè con tutti mezzi che noi avremmo praticati, per ottenere sì alto scopo. – Che se tutte queste ragioni non bastassero per ventura a quietarvi in proposito, e voi prendete quest’altra via, che sarà di richiamare alla mente alcune saldissime verità, dalle quali potrete trarre pieno conforto: 1.° Checché ne sia della divina predestinazione, riman sempre certo che Dio ha una volontà sincerissima di salvarvi, e questa sua volontà ci ha manifestata con ogni chiarezza, mentre è morto non solo per tutti in comune, ma per ciascuno di noi in particolare. Il perché qualunque cosa vi suggerisca la vostra immaginazione, voi e potete e dovete dire quel dell’Apostolo, che Gesù Cristo è morto per voi e per la vostra salute; Propter me et propter meam salutem. 2.° Gesù, per ragione di quella volontà sincerissima che ha di salvarvi, vi ha fornito con abbondanza di tutti quei mezzi che si richiedono per ottenere quell’alto scopo. Vi ha dato grazie interiori, alle quali acconsentendo voi, come potete, sarete salvo. 3.° Tutto il mistero della predestinazione, benché non l’intendiate, non vi toglie per verun modo la libertà che Dio vi ha data per fare il bene e fuggire il male. Così ve ne assicurano le sante Scritture, così le definizioni di santa Chiesa, così lo stesso buon senso, il quale vi fa sapere che sarebbe assurdo infligger castigo a chi ha commesso un male, che non poteva non commettere, come rimunerare con premio chi ha fatto un bene, che non poteva non operare. Finalmente, finché siete in vita, sempre potete col divino aiuto salvare l’anima vostra, mentre durandovi fino alla morte di credere, di sperare, di amare Iddio sopra tutte le cose, forza è il dire, che fino alla morte dovete avere la possibilità di soddisfare quest’obbligo: se già alcuno non volesse affermare stolidamente che si potesse senza colpa né credere, né sperare, né amare Iddio, come avverrebbe in chi non ne avesse la grazia necessaria. Questi principii essendo indubitati presso i Cattolici, son bastevoli a quietare qualunque turbazione dei fedeli più timidi, a chiudere al tutto la bocca ai libertini più impudenti.

III. Finalmente vi è un altro attribuito divino che somministra a non pochi cagion d’errore, e, chi lo crederebbe? questo è la stessa dolcissima divina bontà. Come i ragni cavano il veleno da quei fiori medesimi, dai quali le api suggono il miele, così alcuni iniqui si valgono di stimolo, a peccare più francamente, di quella bontà medesima, che ne allontana sì efficacemente i buoni. Non conviene, dicono essi perversamente, non conviene a quella immensa misericordia di condannare veruno; Iddio non si offende di nostre colpe; Iddio non si vendica; Iddio compatisce perché conosce la nostra fragilità. Nè si valgono già di questi pensieri per eccitarsi a pentimento di loro colpe, per risolversi a non più commetterle: tutto all’opposto; se ne valgono per rimuovere il timor dell’inferno che contrista, per adagiarsi più tranquillamente nel peccato, per attutire ogni rimorso. Il perché vuolsi fare un poco di esame a questi panegirici della divina bontà, che suonano sì alto sulle bocche dei peccatori. Iddio è buono sì, ma è forse solamente buono? Sarebbe non solo un’eresia il pensarlo, ma perfino una stolidità. Iddio è giusto, anzi la stessa giustizia; è santo, anzi la stessa santità; è puro, anzi la stessa purezza; ed i suoi occhi non possono vedere l’ingiustizia ed il suo cuore non può patirla, ed è obbligato dalle sue infinite perfezioni ad odiarla con tutto sè stesso. Il perché se non punisce subito il peccatore, se non istermina tosto il peccato dal mondo con tutte le sue folgori, il fa solo perché aspetta che vi rimedii con la penitenza chi sventuratamente l’ha ricettato nel cuore. Se non fosse così, Iddio non sarebbe buono, sarebbe stupido, sarebbe complice delle umane iniquità. Volete vederlo? Orsù: udite l’ elogio che io ho da farvi di un padre: Ha questi parecchi figliuoli, i quali sono disobbedienti, indisciplinati, protervi. Non danno retta al padre, si beffano della madre, fan mille dispetti ai vicini, sono lo scandalo di tutta la contrada. Il padre però è tanto buono, che non ha cuore di riprenderli e di castigarli; si contenta solo di avvertirli sempre amorevole, di pregarli, di supplicarli, ma poi tolga Iddio che metta mai mano al castigo, benché non si arrendano ai suoi avvisi. Similmente vi ha un giudice, il quale amministra la giustizia ad una città. Or in questa tutto è pieno di ladri, di omicidi, di sanguinarii, di malfattori, e però tutto è stragi ed ammazzamenti. Il giudice lo sa; che anzi gli vengono condotti dinanzi i rei, ma che volete? il giudice è così buono, che non sa indursi mai a castigarne veruno. Al più al più lo avvisa amorevolmente, e poi lo manda in pace rimettendolo in libertà. Ora che dite voi della bontà di questo giudice e di quel padre? Chiunque non abbia perduto il senno dirà certo che quel padre è uno stupido, è uno stolido, che quel giudice è complice di tutte le iniquità che si commettono per cagion sua. Bene sta; ma non è questo mai l’elogio che alcuni fanno a Dio? Se la sua bontà mai non castigasse, se le sue minacce fossero vane parole, se la sua folgore fosse solo un vano strepito per l’aria, dite, vi sarebbe più alcun motivo di temerlo? Quelli che gli fanno un tale elogio non l’onorano, ma l’insultano orribilmente. E poi se Dio è tanto buono, che non gl’importa di quel che facciamo, perché dunque ha dato una legge, perché ha fatto tante prescrizioni? È il colmo del ridicolo e dell’assurdo tanto raccomandare, tanto inculcare quello che non ha nessuna importanza. Più, perché aggiungervi tante minacce di sì severi castighi? O Iddio sarà diventato un vano parlatore, come noi vermi, che tanto parliamo più alto quanto ci sentiamo più impotenti a mantenere le nostre parole? – Il concetto che le sante Scritture ci danno della bontà divina, non va mai disgiunto da quello della sua infinità giustizia: Dulcis et rectus Dominus. Il Signore è buono, à dolce sì, ma è anche giusto, è anche retto. È buono, e perché è tale ha operata l’Incarnazione ed è morto per noi sulla croce; è buono, e perciò ci somministra grazie innumerabili per la salute; è buono, e perciò ci aspetta anche dopo la colpa al perdono; è buono, e perciò, se l’ameremo, ci tien preparato un premio eterno: tutto ciò è verissimo, ma la sua bontà non lo accieca, nol fa stupido, non lo rende complice delle nostre iniquità. È buono, e tuttavia ha creato un inferno a bella posta per migliaia d’angeli prevaricatori, e ve li ha subissati entro. È buono, ma distrugge quando i loro peccati sono giunti al colmo, e popoli e Nazioni. E buono, e tuttavia avventa sulla terra i suoi castighi privati e pubblici. È buono, e colpisce spesso il peccatore in mezzo alla colpa; è buono, ma non lascia per questo di precipitare nell’inferno tutti quelli che prima di morire non hanno placata la sua giustizia. Come il numero grande dei peccatori nol fa traballare sul suo soglio, così non lo smuovono lodi ipocrite, che gli empii tributano alla sua bontà, per rassicurarsi all’ombra di quella della sua tremenda giustizia.

IV. Ma allora, ripigliano certi sciocchi, Iddio si vendicherebbe; e non conviene alla sua infinita eccellenza il vendicarsi. Davvero conviene a noi vermi vili insultarlo, provocarlo ad ogni momento con ogni sorta di offese, e non conviene a Dio farsi portar rispetto! – Avvertite di grazia a quel che dite, quando parlate di vendette, e quando l’attribuite a Dio. A noi miseri mortali è proibita la vendetta privata per molte ragioni: perché mai non possiamo conoscere pienamente il grado di colpa che può avere il nostro prossimo, consistendo essa principalmente nel cuore veduto dal solo Dio. Ci è vietata, perché essa involge un atto di autorità che il privato non può esercitare sopra un altro privato, perché non la possiede. Ci è proibita, perché le passioni, a cui andiamo soggetti, ci travolgono pur troppo il giudizio in causa propria; ci è proibita, perché Iddio vuole per nostra perfezione che imitiamo la mansuetudine, la carità del nostro Gesù, e per altre ragioni gravissime che qui non è luogo di enumerare. Per tutte queste ragioni in noi la vendetta privata è colpa, è mancamento. Ma non avviene già lo stesso nell’altissimo Iddio. La colpa è un disordine gravissimo, perché viola la legge eterna di Dio, e deve essere riparata. Ogni qualvolta l’uomo non la ripara coll’espiazione volontaria, e non la ritratta, deve essere riparata con una pena forzata, e Dio, come autore d’ogni ordine, è obbligato a porvi mano. In Lui è piena cognizione della colpa e delle circostanze di essa, e quindi il può fare con infinita rettitudine; in Lui è suprema autorità, quindi non fa che esercitare il suo diritto; in Lui non cade, né può cadere torbido di passione, epperò giudica con somma tranquillità; punisce la colpa, perché così lo richiede la deformità d’essa e la sua infinita giustizia. – Niuno dunque s’illuda con questo pretesto, che Dio sia solamente buono, perché questo lo esporrebbe al pericolo di trovarlo solamente giusto. Ed a ciò sarebbe bene che ponessero mente soprattutto due sorti di peccatori. Quelli che fanno di ogni erba un fascio sulla fiducia smisurata che hanno nella divina bontà. Iddio dalla sua stessa misericordia è obbligato a colpire questi iniqui, affinché non si venga a stabilire nel mondo un principio così orribile, qual è quello, che sia lecito ornai d’insultare tanto più audacemente il Signore, quanto esso è più buono. L’altra classe è di quelli che guerreggiano ostinatamente i buoni, che li deprimono, che li conculcano, che li spogliano, che li sterminano dalla faccia della terra, perché essi prendono in pazienza tutti gli strapazzi che lor si fanno. Adesso sì i buoni non possono, non debbono vendicarsi: ma giorno verrà in cui, liberi dalle umane passioni, e per puro amore della giustizia, leveranno le mani al cielo e grideranno a Dio: Vindica sanguinem nostrum; e Dio che ha riserbata a sé la vendetta, ascolterà quelle voci e le esaudirà, e farà comprendere ad ognuno che né la sua bontà gli vieta di castigare la colpa, come pretendono gli iniqui, né alla sua giustizia disdice il vendicare le offese, che ne’ suoi servi a Lui sono state fatte.