QUARESIMALE (XXV)

QUARESIMALE (XXV)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDIC A VENTESIMAQUINTA
Nella feria quarta della Domenica quarta.

La conversione procrastinata si rende difficile, e quasi moralmente impossibile; sì per la parte del demonio, sì per la nostra, come per quella di Dio.

Vade lava in natatoria Siloe. San Giov.: cap. 9

Vedonsi ben spesso non senza stupore, dentro i Sacri Templi, o ne’ superbi cortili, rozzi marmi, così al vivo da industrioso scalpello animati, che per compire le illustri azioni, o l’eroiche imprese che rappresentano, altro non sembra mancargli che il moto. Quivi si fa vedere il pastorello David, che afferrate con ambe le mani ad un feroce leone le zanne par che or ora lo sbrani. La si mira l’ubbidiente Abramo che con generoso braccio, alzato il coltello, sta per tagliare all’innocente Isacco la vita. Da una parte la vedova di Bettulla scarica sul collo ad Oloferne la spada; dall’altra il legislatore Mosè, acceso il di lui giusto zelo, sta per spezzare le tavole della legge: ne toglie già, dall’arte il pregio, dallo spettatore il contento il sapersi che, anche dopo il corso di più secoli, resteranno intatte le tavole della Legge. Giuditta non avrà reciso il capo ad Oloferne, non sarà sacrificato Isacco, non sbranato il leone. Tutto ciò, che da periti nell’arte de’ marmi non solo non si riprende, anzi si ammira: non può già tollerare ne’ suoi allievi la grazia, ne’ quali il non risolversi di mutar vita non è difetto di potenza, ma colpa di volontà. Voglio dire, che pessimo è lo stato di quei Cristiani, i quali non dando orecchie alle divine chiamate, procrastinano il pentirsi, stanno sempre sul fare, e mai si risolvono; sicché giungono alla morte, con una vita condotta tra peccati. Guai all’odierno cieco dell’Evangelio, se avesse tardato ad eseguire i divini comandi: guai a voi, se non ubbidirete prontamente alle voci divine; poiché quella conversione, che ora v’è più facile ad ottenersi, se procrastinerete, vi si renderà più difficile e quasi moralmente impossibile. Io per me non ho mai trovato uomo sì stolto, il quale aggravato da qualche male non ne abbia cercati gli opportuni rimedi: mai ho letto, che niuno chiuso fra quattro mura in orrida prigione per la vita, mentre possa facilmente trovarsi l’adito alla fuga, volontariamente si trattenga fra quelle miserie. Ah, che certo un simile stolto non s’è mai trovato. Solo il peccatore è sì pazzo, che essendo in miserie le maggiori, che si possano mai dire, cioè a dire in peccato mortale, aggravato da un male immenso, stretto da’ lacci del diavolo; ad ogni modo, quantunque facilmente possa liberarsi, non ne fa nulla, e mostra di godere felicità in mezzo alle somme infelicità. Datemi mente per cortesia, acciò mi diciate il vostro parere circa l’operato di Faraone; né dubito punto, che non siate per decidere, che operò da mentecatto. Questo re s’imperversò, come sapete, fra le spaventose piaghe d’Egitto. Guardati, gli dice Mosè, o Faraone, guardati, perché, se non lasci libere le mie genti, la pagherai. Non ti credere già che a tua rovina sia per armare poderosi eserciti, non t’immaginare che per incenerirti sia per chiamare fulmini dal Cielo, no: ma per tua maggior vergogna farà che dalle paludi scappino fuori eserciti di rane, e queste bestiole così piccole prenderanno contro di te le mie difese. Queste assedieranno le tue case, occuperanno le tue sale, ti discacceranno dagli appartamenti delle tue camere. Sorrise l’empio Faraone alla minaccia; ma non andò molto, che il riso tramutossi in amarissimo pianto. Ecco, ad un cenno imperioso di Mosè scappano fuori di subito da pantani, da fiumi, da fonti, eserciti innumerabili di strepitose ranocchie: si spargono per la città, ed guisa di furibondi nemici corrono a darne il sacco. S’impadroniscono de’ posti, chiudono le strade, penetrano le case, e già trionfanti avanzandosi nella reggia, assaliscono Faraone nel proprio trono. Or qual pensate, miei UU. che fosse il cuore di quell’empio, quando si vide posto un assedio sì pertinace alla vita? Chiama frettoloso Mosè, e quasi tutto dolente del suo fallire, compunto del suo errore: ecco, disse, o Mosè, che mi arrendo; mi dichiaro per reo; prega, ti supplico, il tuo Dio, che da me tolga questo flagello, ed io ti compiacerò: orate Dominum, ut auferat ranas a me, a populo meo, dimittam populum ut facrificet Domino. Mosè, come quello, che voleva l’emendazione, e non la perdizione dell’empio: orsù, disse, son contento: dì, quando vuoi, che si preghi per la tua liberazione: Constitue mihi tempus, quando deprecer pro te. Stette allora Faraone alquanto sospeso a deliberare; e poi: domani, rispose, voglio che preghi per me qui respondit cras. Pazzo Faraone! Ti trovi stretto da nemici tanto più fieri quanto più inevitabili, e con tutto ciò frapponi indugi, tessi dimore, e rispondi cras? Domani, domani; e perché non oggi? Grida Ambrogio: insensato risponde cras, cum deberet in tanta positus necessitate rogare ut jam oraret. Certo, che niuno v’è tra voi, che non deplori una sì fatta stolidità d’uno che, potendo uscire da gravi miserie oggi, indugi a domani; orsù, se tanto sciocco, a parer vostro, deve riputarsi chi si mostri sì poco sollecito di salvare la vita del corpo, che dovrà dirsi di quei miseri peccatori che stando continuamente assediati, non da rane, ma da demoni ansiosi di strapparli a gara dal petto lo spirito scellerato; con tutto ciò non sanno ancora risolversi a svilupparsi da sì imminenti pericoli: Constitue mibi tempus; quando o lascivo, si ha da lasciare quella pratica, che ti toglie la sanità, ti ruba le sostanze, t’invola la reputazione, ti priva della grazia di Dio? Quando? Ah, che sento rispondermi: inoltrato che io già un poco più negli anni, allora muterò vita. Constitue mihi tempus; quando verrà quel tempo di lasciar quelle corrispondenze; quando vi risolverete d’allevare le figlie più per Dio, che per il Mondo? Voi le tollerate libere nello sguardo senza riflettere, che tra gli occhi ed il cuore vi sta quella segreta corrispondenza che dicono passare tra quei monti che gettano fuoco; quando, ditemi volete mutar vita e, deposto da voi e dalle figlie ogni ornamento superfluo volete comparire nelle Chiese, alle feste, ne’ corsi con la dovuta modestia, chiuse nel seno, coperte nelle braccia? Quando, quando volete desistere di dare tutto il tempo al mondo, al diavolo senza farne punto di parte a Dio? Allora, sento rispondermi, allora, che sarò più avanzata nella età lascerò quegli ornamenti di vanità scandalose, quelle mode che conosco nocive a me, dannose agli altri. Constitue mihi tempus. Signori, quando volete invigilare sopra l’educazione de’ figli? Mercanti, quando si lasceranno i traffici illeciti? Nobili, quando si soddisferanno le mercedi, i legati pii? Quando, o mormoratori, cesseranno le vostre lingue malediche d’intaccare l’onestà delle fanciulle, il decoro delle vedove, l’onore delle migliori aritate? Quando, o bestemmiatori, lascerete d’oltraggiare col nome de’ Santi, quello della Vergine e di Dio? Quando, quando? Domani, domani. Domani dovete liberarvi dalla pestifera febbre del peccato, mentre potete oggi? O che pazzia! Potere uscire da una miseria sì grande oggi e volere indugiare a domani; hodie, hodie si vocem ejus audieritis, nolite obdurare corda vestra; oggi si ha da fare questa conversione, fin d’adesso si ha da lasciare il peccato? Sì, perché ora è più facile; sì, perché con la tardanza si renderà più difficile, e quasi moralmente impossibile. Adesso, miei UU. La vostra conversione è più facile, che sortisca sì per la parte vostra, sì per quella risguarda il demonio, sì per la parte di Dio; dove che se indugerete si renderà più difficile, e materialmente impossibile;
sì per la parte vostra, quanto per quella e del demonio, e di Dio. Vi dissi che è più facile che se darete orecchio alle voci di Dio, adesso vi convertiate per quel che risguarda la parte vostra, perché certo è che in tanta commozione, alla vista di tanto popolo penitente è molto probabile che concepiate un vero dolore de’ vostri peccati, un vero proposito di non volerli più commettere, e così per mezzo d’una vera, d’una sincera, d’una real confessione ritorniate nel seno del vostro Dio; più facile altresì farà adesso la vostra conversione, perché in questo tempo sentendo la gravezza del peccato, udendo i gran mali, che seco porta, meglio ne concepirete la di lui malizia, e perciò più facilmente la detesterete. E più facile finalmente adesso la vostra conversione, perché il male non è tanto invecchiato, la piaga non è del tutto incancherita, onde può sperarsi che la parola divina possa avere la sua efficacia, per portarvi salute. Su dunque: ne tardes converti ad Dominum, non tardate no, ecce nunc tempus acceptabile, ecce nunc dies salutis; questo è il tempo da convertirsi; questo è il giorno di salute. Il demonio non v’ha ancora ben fermato; non v’ha legati sì fortemente in quegli amori, in quegli odii ed interessi che non possiate scappargli; non vi ha per anche messi a piedi ceppi sì fieri che non possiate spezzarli; converrà che egli ceda, mentre tanti si uniranno a torvegli dalle branche per mezzo di frequenti orazioni. Su, dunque, fatevi animo e sappiate che il demonio combattuto dalle orazioni, dalle penitenze, dalle lacrime, da sospiri resterà talmente abbattuto nelle sue forze, che la vostra fuga dai suoi artigli è quasi che certa. E che forse ne potete dubitare per la parte di Dio? E non è questo Cristo quello che v’invita a ritornare a Lui? E se Egli è quello, che per mezzo mio v’invita, potrete dubitare, che Egli non sia per darvi tutto l’aiuto necessario per una buona e santa conversione? Che Egli non sia per assistervi con quella grazia, che vince ogni protervia, che abbatte ogni ostinazione con la grazia efficace? Certo che sì! Egli sta con le braccia aperte per accogliervi nel suo seno, correte dunque, e non tardate: Ne tardas converti; perché so dirvi che quanto ora è più facile, tanto poi si renderà più difficile, se tarderete. Sarà più difficile per la parte del demonio, per la parte vostra, per la parte di Dio. Per la parte del demonio, perché quanto più egli tiene il possesso dell’anima vostra, tanto più se ne fa padrone, e tanto più difficilmente gli scapperete di mano. Quanto più l’anima sta in peccato, tanto più s’indebolisce, e le sue debolezze sono accrescimento di forza al demonio. Quante sono le vostre perdite, tante sono le sue vittorie; e quante più sono le vittorie tanto maggiore è l’accrescimento delle di lui forze; sicché assai più difficilmente gli scapperete dalle mani, se non vi convertite adesso. Hodie si vocem, etc.. Che sia poi più difficile anche per la parte vostra, e chi ne dubita? Le spinose quanto più indugiano a dare alla luce i loro parti tanto più penano; mercè che quanto più crescono quelle spine, tanto più poi danno di tormento alle viscere materne. Quanto più indugerete a convertirvi, tanto più stenterete a farlo; mercè che crescendo sempre più l’abito, sempre più radicherà e si renderà difficilissimo lo sradicarlo. Portatevi nelle vostre campagne, e quivi dopo aver piantato un albero indi a due dì tentate sradicarlo, voi vedrete che vi sarà facilissimo lo sbarbarlo; non così, se indugerete un mese, molto più indi a sei: arriverà quell’albero, se tarderete a sradicarlo, a porre radici sì forti, sì ferme e si profonde, che non basterà né la mano, né il ferro: vi vorrà il fuoco per incenerirlo. Se voi indugerete a sradicare quella amicizia, quella invidia, quella avarizia, quelle bestemmie, metteranno radici sì alte, che sarà quasi impossibile svellerle. Geremia ci rappresenta una sorte di peccato, la di cui effigie non è forma dal peccatore col pennello sulla tela, ma con lo scalpello nel sasso: peccatum Juda scriptum est stylo ferreo; voi ben sapete, che tra la pittura e scultura vi passano molte differenze; benché ambedue contrastino per imitare al vivo la natura, la scultura fabbrica statue, rompendo selci; la pittura forma figure spargendo colori; ciò che fa a mio proposito è, che un errore di pittura si scancella con acqua pura; ma se lo scultore vuol riformare ad una statua un membro, è necessario, che rotto il primo, ne formi un altro. Che voglio dire? Voglio esprimere, che il peccato ancor fresco è una pittura; bastano lacrime penitenti a scancellarlo; ma se egli è invecchiato, non è dipinto ma scolpito, scriptum est stylo ferreo, id est per sculpturam, glosa il Lirano, et in boc peccati indebilitas designatur, presto, presto non tardate; perché vi si renderà difficilissima la vostra conversione. Non v’è chi non sappia, che ogni peccatore è simile ad un morto: Omnis qui peccat, son parole di Sant’Agostino, moritur. Or sentite, io osservo, che di tre morti resuscitati da Cristo, in due poco vi faticò; per resuscitare la figlia di Jajro, bastò che dicesse, non est mortua, sed dormit; merceché appena era morta; per ravvivare il secondo, che di poche ore era morto, nulla più fece, che toccare il Cataletto. Non così per il terzo, che fu Lazzaro, che era morto più giorni avanti; poiché per rendere la vita a questo, si turbò, pianse, gridó ad alta voce e con assoluto impero: Lazare veni foras. Non vi meravigliate, dice Sant’Agostino, che dimostrasse di faticar tanto per resuscitar Lazzaro, lo fece per mostrarci quanto è difficile che risorga chi indugia la sua conversione: Difficile surgit quem moles consuetudinis premit. Io resto stordito alla pazzia di costoro, che vogliono indugiare a convertirsi, mentre si tratta d’anima. Dio immortale! Se nella casa un trave minaccia, non aspettate un mese a mettergli un puntello; se l’acqua del fiume entra nella vigna non indugiate a far l’argine; se oggi vi viene la febbre non aspettate un mese a chiamare il medico; se vi svoltate un braccio, un piede, non differite a chiamare il cerusico; se per disgrazia prendete veleno, non aspettate un mese a prender la triaca; se oggi si attacca fuoco alla casa non aspettate a domani portar l’acqua per estinguerlo. Sentite Avicenna medico arabo: Qui bibit venenum in dormire non debet, chi ha preso il veleno presto se ne liberi. Cristo Medico Celeste dice: chi ha il peccato presto se ne scappi, se no morte eterna; perché quando vorrà non potrà. Ah, che se voi indugerete a convertirvi s’indurerà talmente il vostro cuore, che vi vorrà fuoco per incenerirlo: non basterà la parola divina; sarà quasi impossibile che vi convertiate. Sentite caso orribile, registrato nel Cristiano Instruito ed inorridite. Un cavaliere chiaro di nascita, ma sordido di costumi, invaghitosi d’una certa fanciulla, benché moresca, se la teneva già da molti anni senza prezzario né  le riprensioni degl’amici né le ammonizioni de’ Sacerdoti; e a chiunque l’esortava a lasciarla rispondeva con modi austeri e sdegnosi, non posso, quasi che pretendesse persuadere, essere necessità di natura ciò che era elezione di libidine: non volendo egli dunque staccarsi dalla perfida compagnia, venne, come accade, la morte per distaccarlo. S’ammala dunque lo sfortunato nel fiore degli anni, s’abbandona e pone in letto, e ben presto si dà da’ medici per disperata la sua salute. Fu pertanto chiamato un religioso per disporre il giovane in quell’estremo; giunto il religioso al letto saluta cortesemente l’infermo, e con modi assai dolci e prudenti principia ad insinuarsi dicendogli: signore, non può negarsi, che il male non sia grave: ad ogni modo voglio credere che vi sia più da sperare che da temere. Ella è fresca di età, vigoroso di forze, sincero di complessione, molti d’un male simile al suo sono campati, molti però ne son morti; e benché speri che ella sia per camparla, ad ogni modo, che nuoce l’apparecchiarsi come se dovesse morire? Allora l’infermo rivolto al religioso dissegli: insinuatemi Padre ciò che devo fare, che son pronto ad ubbidire. Ancor io conosco il pessimo stato, in cui mi trovo e quantunque io abbia menata cattiva vita, desidero però al pari d’ogn’altro una buona morte. Non potete credere quanto di giubilo arrecassero al cuore del religioso queste parole; bramava egli di venir subito al taglio di quella pratica scellerata che con tanta sua pena vedeva nella camera stessa del moribondo; il quale or sotto il pretesto d’un servizio, or d’un altro, la voleva sempre efficacemente vicina. Nondimeno la prudenza gli persuase di disporlo prima con richieste più facili ad una più difficile; orsù dissegli, giacché vi scorgo per grazia di Dio sì bene animato, voglio parlarvi con quella libertà che richiedono sì la santità dell’abito che porto, come lo zelo della vostra salute. La vostra vita è disperata: bisogna morire; e perché poche sono le ore che vi restano, conviene aggiustar le partite con Dio. Eccomi pronto, ripigliò il moribondo: che devo fare? Avreste, riprese il Padre, roba d’altri? L’avevo, ma ho soddisfatto. Racchiudete in cuore livore verso del prossimo? Ho perdonato a tutti. Volete per ultimo ricevere li Santissimi Sacramenti per armarvi al gran passaggio? Certo, Padre, se voi avrete la bontà d’amministrarmeli. Io son pronto, ripigliò il Padre, ma voi sapete che questo non si può fare se prima non licenziate la rea femmina! O questo non posso Padre, non posso. Ahimè! che dite? E perché non potete? E potete e dovete, se volete salvarvi. Ed io vi dico che non posso; ma sentite, tanto di qui a poche ore bisognerà lasciarla; e perché non vi risolvete a far per elezione ciò, che vi converrà fare per necessità? Non posso, Padre non posso; guardate questo Cristo per voi in croce; Egli vi dice, che la licenziate; non posso, torno a dirvi, non posso. Ma uditemi, perderete il Cielo; non posso; andrete all’inferno: non posso; e come è possibile, che non vi debba cavare altra parola di bocca, che questo ostinato non posso? Ma non è meglio perdere la donna, che perdere la donna, la reputazione, il corpo, l’anima, l’eternità, i Santi, la Vergine, Cristo, il Paradiso, e dopo morte esser sepolto da scomunicato e da bestia in mezzo alla compagna? Che pensate, che facesse allora questo sfortunato? Gettò un crudo sospiro dal petto, e tornando a replicare quelle orrende parole: non posso, non posso; raccolte quelle deboli forze, che gli restavano, afferra all’improvviso quella perfida femmina, e con volto acceso e con voce alta in queste voci proruppe: questa è stata la gloria mia in vita; questa la sarà in morte. Indi per forza stringendola ed abbracciandola, sì per la veemenza del male, come per la violenza del moto e l’agitazione dell’affetto le esalò sulle sozze braccia lo spirito scellerato. – Cristiani miei non indugiate più a convertirvi, a lasciare quella pratica, quell’odio, quella roba altrui, non indugiate a fare una buona Confessione, perché è molto probabile, che anche dalla parte vostra vi si renda quasi impossibile convertirvi, e dire ancor voi con costui: non posso, non posso. Non perché non siate per potere in ogni tempo, se vorrete; perché la grazia sufficiente non è mai negata a veruno il quale almeno la chieda ma perché ad uno sì male abituato vi vuole altro, che grazia sufficiente, ci vuole quella grazia che da Sant’Agostino vien chiamata trionfatrice; quella che abbatte ogni perfidia; quella che atterra ogni protervia, quella, che doma ogni ostinazione; la grazia efficace voi dovete sapere che Iddio non è tenuto a darla a niuno, né per legge di provvidenza, né per legge di Redenzione, e non vi par giusto, che la neghi  a coloro i quali tante volte che la poterono conseguire, non la curarono? Dixerunt Deo recede a nobis scientiam tuarum viarum nolumus: certo che sì! Son pur stolti quei peccatori che con tanta franchezza dicono, se non mi pento adesso, in questa Quaresima, in questa Missione, mi pentirò un’altra volta, verrà un Giubileo, una Solennità; quasi che il pentirsi, il ravvedersi, il convertirsi stesse totalmente nelle loro mani, in loro potere. Sappiate, miei UU, che siccome è vero, che niun peccatore, che di cuore si penta, vien mai rigettato dalla Divina Misericordia, così niun peccatore può mai convertirsi di cuore, se Dio con la sua misericordia non l’aiuta; che cosa è quello che dà il colore al mare? voi mi dite: il fondo del medesimo: è vero; ma è altresì vero, che glielo da anche il Cielo; anzi dovete sapere, che a dar quel colore vi concorre più il Cielo, che il fondo medesimo di tante acque. Così appunto cammina nel caso nostro:
quello che fa volere il nostro pentimento, la nostra conversione, non è solamente la nostra volontà, ma anche la volontà di Dio; anzi più quella di Dio, che la nostra. Come dunque avere ardire di dire: mi pentirò un’altra volta; se ciò non sta solamente nelle mani nostre; ed ora che Iddio ve ne dà l’impulso, rifiutate di farlo? Sentitemi bene: con le nostre sole forze naturali possiamo si bene cadere in peccati gravissimi; ma caduti che siamo, con le nostre sole forze non possiamo uscire e risorgere; può bensì un orologio da per sé scomporsi, e guastarsi; ma guastato che sia, da sé non si può raggiustare; vi vuole la mano maestra dell’artefice. Come dunque vi compromettete della conversione a vostro capriccio? Non indugiate a tornare a Dio, mentre ora Egli vi chiama, vi assisterà con i suoi aiuti; che se non risponderete, è probabile vi abbandoni. Intendetela una volta: senza Dio non possiamo niente; sentite San Paolo: Non sumus sufficientes cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est; e chi dicesse il contrario direbbe un’eresia; Archita ingegnere celeberrimo fabbricava alcune sue colombe mirabili, e con tale arte, che volavano per l’aria, avendo compaginato dentro di esse alcune soste e ruote segnate, le quali dessero impulso al volo, ma quando l’impulso mancava, le colombe cadevano a terra; e la ragione si è perché per sollevarsi al volo avevano bisogno d’aiuto estrinseco di strumenti, e di soste; ma per cadere bastava il loro proprio peso: così siamo noi; per precipitarci ne’ peccati basta il peso d’una nostra natura; ma per fare una buona Conversione abbiamo necessità di Dio; e come volete, che Egli ci dia mano, mentre noi non gli diamo orecchie or che ci chiama? Ah che Egli per verità adirato con noi, è molto probabile, che non voglia più sentirci. Voi ben sapete, che ogni ribellione di città è il maggior delitto di violata fede: con tutto ciò il principe non vien subito al castigo: la chiama ad arrendersi, con ricordarle i benefici e favori compartiti. Quando ella persista nella disobbedienza viene alle minacce: e quando queste non bastino, vien a dar segno de suoi gravissimi sdegni; ma quando poi la trovi ostinata, e pertinace nella ribellione, allora il principe sdegnato non la chiama più alla resa, a ritornare all’obbedienza giurata, come la prima e seconda volta; ma con poderoso esercito, si porta fotto le mura, la costringe ad arrendersi, e poi severamente la castiga. Tanto seguirà col soprano Principe Iddio: voi vi ribellaste perché ammetteste il demonio nel cuor vostro col peccato, vi chiamò a tornare a Lui, ricordandovi i benefici compartiti di roba, di nascita, di talenti e voi ostinati, vi chiamò per mezzo delle minacce de’ sacri oratori, e voi pertinaci, vi ha chiamato a voce di castighi, con carestie, con terremoti con mortalità d’armenti, con inondazioni di fiumi, con morte di figli, di consorti, di padre, e voi persistete? Ah! se ormai non vi arrendete, io posso temere, che sia l’ultima chiamata: e però non vi fidate di star ostinati a queste voci, con la speranza di poterlo avere a voi propizio quando vi piaccia; questo è un inganno grandissimo, che vi mette in cuore il demonio, per potervi con più sicurezza rovinare. Il dipingere le navi, l’indorar la poppa, l’intagliar la prora, il fregiare di bizzarri arabeschi tutte le sponde è stata un’arte finissima per ricoprire i pericoli a chi naviga, e per torli dal pensiero d’osservarli: Pericula expingimus juvatque ad mortem speciose vehi, disse colui. Tanto fa il demonio con noi, procura di nascondere i pericoli della dannazione, con inserire ne’ nostri cuori una certa speranza di salute con un futuro pentimento; con questa speranza ci fa navigare in alto mare: ci fa immergere fino a gli occhi nelle disonestà, nelle crapule, negli odii, nelle bestemmie e negli interessi peccaminosi, e quando siamo in alto mare, e bene ingolfati nelle scelleraggini, ci suscita una tempesta, viene una malattia inaspettata, un accidente non previsto, e si resta estinti nel corpo, affogati nel fuoco con l’anima. Peccatori miei amatissimi, aprite ora per tempo gli occhi per conoscere le astuzie del demonio, il quale vi va lusingando con la speranza che vi convertirete per avervi con più sicurezza nell’inferno. Si, si miei UU. quelle speranze di pentimento fondate sull’avvenire, altro non producono che aborti di dannazione. Sentite, o mal consigliati Cristiani, con voi parla Salviano: Usurpata absolutio damnationem parit; il troppo presumerci di poter aver con pentimento la conversione quando pare e piace, fa che ci precipiti l’anima, e per renderci certi di questa verità, egli ci chiama, e ad alta voce ci dice, venite: ecco, che io vi schiudo con la chiave dell’eternità la porta dell’inferno. Orsù vedete, mirate, osservate. O che orrore! oh che spettacolo! che disperazioni! Non vi paventate, non vi ritirate: vedete voi, dice Salviano, colaggiù quei sensuali, che tra quelle fiamme ardono di continuo, ed arderanno per tutta un’eternità? Saprete, che finché vissero mai disperarono di salvarsi; anzi più volte con sperare un vero pentimento, ne concepirono una ferma speranza, e si figurarono di vedersi un giorno preparato un trono di gloria, come fu già veduto da’ discepoli del grande Antonio per Taide la peccatrice. Vedete là in quel cantone quei vendicativi, che l’un l’altro in quello stagno di zolfo ardono, ed a vicenda rabbiosamente si lacerano? siate pur certi che anche essi finché vissero ebbero pensiero di pentirsi, e si crederono a guisa di Giov. Gualberto stampare in fronte all’inimico un bacio di pace, e nell’anime loro un certo contrassegno di salute: ma perché troppo lo sperarono, e perciò si dilungarono la conversione, ed or si trovano dannati. Non vi lusingate o peccatori, con dire: mi pentirò, mi convertirò. Iddio vi chiama ora, se non vi arrendete è probabile che stanco vi volti le spalle, e con la briglia sul collo vi lasci correre tanto, finché giungete all’inferno. Non si dica più farò, farò; ma si metta la mano all’opera, perché procrastinando di giorno in giorno la conversione, v’assicurerete nel pericolo, dormirete sul precipizio e vi sveglierete dannati.

LIMOSINA.
Quelle fontane, che la natura fa sorgere in cima de’ monti non son fatte, perché ne godano i soli monti, ma perché tosto che i monti sono inzuppati, passino in pro delle valli. Così pure è delle facoltà date da Dio ai ricchi, ai comodi: non le ha date loro perché si stagnino, e si putrefacciano in loro, ma perché dopo il loro bisogno, passino a benefizio de’ poveri. Fate dunque parte di ciò ch’avanza ai miserabili, che si raccomandano per aiuto alle loro necessità, e questo atto di compassione, vi disporrà il cuore ad un salutare pentimento.

SECONDA PARTE

Non indugiate più à convertirvi, perché  Iddio adirato vi volterà le spalle, giacché tante volte finora v’ha chiamato, e voi non avete corrisposto. Il Tamberlano, quel soldato sì generoso che ha fatto più volte patire, e dissi anche doloroso, alla luna ottomana; quando andava all’assedio d’una piazza, subito spiegava bandiera bianca, con cui faceva intendere alle milizie nemiche, che voleva la resa, trovandole restie, inalberava nel secondo giorno la bandiera, rossa; e quando non si arrendessero, faceva, che si esponesse una bandiera nera, acciò intendessero, che non avendo voluto cedere agl’inviti, sarebbero stati tutti preda di morte. Così appunto farà Iddio con voi: ha spiegato bandiera bianca, chiamandovi ad una vera conversione con ispirazioni per mezzo di Sacerdoti e Predicatori; ha spiegata la rossa, mandandovi delle tribolazioni: ecco che spiegherà la terza nera, che altro non vuol dire che morte, e morte eterna. Cari UU. qua si tratta del maggior negozio di tutti. Voi sapete che Eliezer, come si narra nella Genesi, famoso servo d’Abramo, dopo un disastroso viaggio arrivò a Nacor città di Mesopotamia, per cercar sposa di conto al giovane Isacco. Subito giunto, fu cortesemente ricevuto, ed ognuno diedegli segni di non ordinario affetto, compatendolo del lungo viaggio ed offrendogli ristoro: Et appositus est panis in conspectu ejus: Eliezer però rivolto verso di coloro che gli ammannirono la tavola, gli disse: non vi affrettate no, perché vi giuro che non prenderò boccone, se prima non vi avrò esposte le mie ambasciate: non comedam donec loquar sermones meos: e così in piedi prima di deporre gli abiti di campagna, non solo espose i desideri di Abramo, le preminenze d’Isacco, le ricchezze, e che so io, ma volle interamente concludere il parentado e fermar le nozze, e così ne ritrasse risposta concludente: eh Rebecca, En tolle eam, fit uxor domini tui; gran fretta, direte voi, di questo servo, gran furia? Poteva riposare, poteva cibarsi, e poi parlare, e poi concludere; e non è così; chi ha negozi grandi di premura, non ammette dimore, non comedam, non comedam donec loquar sermones. In hoc ostendit, dice il Lirano, babere negotium sibi impositum cordi; così appunto avete da far voi dove si tratta di anima. Siete caduti in peccato? Dite ancor voi non comedam, finché non abbia vomitato a’ piedi del Sacerdote il mio misfatto; avete fraudata la mercede al povero? Non comedam, finché io non gli abbia appieno soddisfatto; avete infamata quella fanciulla, quella maritata, quella vedova, quel Sacerdote? Non comedam, finché non li ho riposti nel suo onore, perché so, che se tarderò, questa mia conversione mi si renderà difficile dalla parte mia, dalla parte del diavolo, dalla parte di Dio. Queste tre difficoltà esperimentò quella rea femmina nella città di Viterbo, alla di cui morte si trovò uno de’ nostri Padri che a me ha narrata la funesta tragedia. Si ridusse alla morte questa empia; da’ parenti fu chiamato un nostro Padre per assisterla; andò, e vedutala le disse: vi conosco moribonda; eccomi in aiuto dell’anima vostra, per assolvervi da’ vostri peccati. Non voglio assoluzione, arrabbiata rispose la donna. Come, e non volete riconciliarvi con Dio? No, che Egli non mi vuol più! Non è così; sperate… appunto e non vedete, che la mia camera è piena di diavoli che mi vogliono strozzare? Dite almeno queste parole: credo; non posso … perché? Non credo; dite: spero … non posso, perché? Son disperata; dite amo: questo no, no, che non l’amo. E voi siete fuori di voi… non è così, sono in me, non deliro; voi siete il Padre tale, e quella è la mia comare; conosco tutti, non v’è più rimedio per me; è impossibile la mia salute per la parte mia, che ho il cuore indurato; per la parte de’ diavoli, che mi circondano come sua, per la parte di Dio, che mi ha voltato le spalle, ed in così dire apparve come strozzata da’ diavoli, e divenne nera come un carbone,
pestilente come una sozza cloaca. Peccatori non tardate a convertirvi per non trovarvi in questi frangenti. Ricordatevi, che gli Apostoli agitati dalla tempesta del mare non conobbero Cristo, ma lo stimarono fantasma; e la ragione si è perché: erat quarta vigilia noctis. Questo interverrà a voi, se indugerete a convertirvi; non conoscerete il Redentore… putabitis phantasma. Vi porrà il confessore avanti gl’occhi il Crocifisso, e voi inorridito, striderete, fantasme … mirate vi dirà, quei chiodi, son chiavi per aprirvi il Paradiso: fantasme … Queste Piaghe son porte per le quali si entra in Cielo: fantasme … Questo Sangue è il prezzo che riscatta dall’inferno: fantasme. In somma perché indugiaste a convertirvi, abbandonato da voi, da Gesù, darete nelle mani de’ demoni vostri nemici, che Iddio ve ne scampi.

QUARESIMALE (XXVI)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.