LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (16)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XI

I MAESTRI.

E non solo scrittori di libri e di giornali ti schizzano addosso il veleno, ma anche talvolta…. ho a dirlo?…. anche talvolta i maestri. Così è, purtroppo! giovani cari; e’ ci ha maestri frammassoni; maestri atei, maestri rotti al vizio, maestri sboccati e villani, maestri i quali, più ché insegnare le lettere e le scienze che debbono, mirano a corrompere nella mente e nel cuore i miseri giovanetti fidati a lor mani. Ahi povere colombe raccomandate alla pietà dello sparviero!… E non son favole che vi conto: oh così fossero!…. Io so d’un ginnasio dove insegnava un toscano, uso per ogni nonnulla a scaraventare sugli esterrefatti scolari maledizioni e bestemmie che tracan foco: ed ebbi ad accapigliarmi con un cotale che il difendeva, perché bestemmiava in pura lingua toscana! So di un altro che a tutte l’ore fa la commedia sul Papa e sui preti. Ricordo di un terzo che in piena scuola diceva cose orribili della Vergine Santissima, spiegando ai giovani misteri ben diversi da quei della Santa Religione. E un quarto, che posta la mira a quelli tra suoi giovani discepoli che ancora usavano a Chiesa, li bersagliava a ogni tratto senza misericordia. Come poi li conciasse all’esame, lascio a voi il pensarlo. — Poveri giovani, poveri giovani! e quando uno di cosiffatti maestri, tocchi, per somma sventura, a voi… poveri giovani, saprete star saldi? saprete combattere; vincere ogni umano rispetto? E ci ha delle città che li tollerano, e delle città che no. In questo secondo caso; sapete come s’usa per lo più? Quando l’indignazione del pubblico trabocca, ed i buoni si lamentano, ed i parenti levano le grida, son rimossi di lì e mandati ad occupare forse miglior posto altrove, certo a corrompere altri giovani sventurati. E pensare chi li paga! Dio, Dio! Che perfidia, che tradimento a giovanetti innocenti! Domandavano un pane da sfamarsi, e voi avete dato loro un serpente che: li, morda e li attossichi. — Ah guai a chi Scandalizza fosse pur un solo di questi piccioli! Meglio con una macina al collo sia sommerso nel profondo del mare! Terribile sentenza! É di Gesù Cristo, non mia. Io domando perdono ai maestri buoni (che sono ancor tanti, grazie a Dio !) di queste gravi e’ sdegnose parole. Ma come non sdegnarsi quando, per lo strazio che si fa dell’anime innocenti ti sanguina il cuore? Anche Gesù benedetto lo vide questo strazio, e, mansuetissimo qual era, non si terne dallo sfolgorarne gli autori. D’altra parte la considerazione del danno ci stimolerà a volerlo riparare, raddoppiando di zelo, di sollecitudini, di fatiche intorno alle care pianticelle affidate alla nostra coltura. O, crescano, crescano sotto i nostri occhi, sempre diritte al cielo; e ci mostrino, dopo il verde delle tenere frondi, tal vaghezza di fiori, e tal abbondanza di frutti, da consolarsene ad un tempo e la Religione e la Patria. – A voi tornando, giovani cari, scolpitevi in cuore questa gran massima del Vangelo: —;, Uno è il maestro nostro Gesù Cristo. — Chi insegna contro a ciò ch’Egli ha insegnato, non è maestro, è corruttore. E non badate se per caso egli abbia scienza, ingegno, eloquenza ed altri somiglianti qualità: dacché le adopera a servizio della menzogna, a rovina dell’anime, è corruttore, non altro che corruttore; è ladro, è assassino delle anime vostre: fur est et latro. Ora venite un poco con me; voglio conosciate a prova, e come a dire, cogli occhi vostri, l’indegnità di cui ho parlato. – Vedete in quella sala, su quella cattedra, quel professorone in abito nero che disserta con tanta gravità? E vedete bell’udienza di gioventù l’assiepa intorno e l’ascolta senza batter palpebra?… Volete sapere chi è e che insegna di bello? È un uomo venutoci d’in Tedescheria, chiamato e largamente pagato del nostro denaro, perché levi i giovani italiani all’altezza de’ tempi, insegnando loro, ch’ei son bestie, e null’altro che bestie. E ci ha degli italiani che gli batton le mani!!! Qui bisogna che mi permettiate un furterello. Dite, cari giovani: conoscete voi Don MENTORE? Quel buon vecchietto tutto cuore pe’ giovani, che li regala ogni anno d’ un libricino a mo’ di strenna?… Bene, gli è appunto d’una di queste strenne che io vo’ diventar ladro, facendole il piccolo furto che ho detto. Benché né ladro io son, né furto è il mio, potrei dire colla Sofronia del Tasso, ed invero, tra D. Mentore e me corre tale intimità da poter chiamarci cor unum et anima una; cosicché io piglio del suo come a pigliar del mio ed egli piglia del mio come a pigliare del suo. Sentite dunque, si tratta d’un bell’esempio intitolato: Buon coraggio. « Taddeo ha la debolezza di passare una mezz’ora al caffè; ci va per qualche ritrovo, o leggere i giornali (ma non i giornalacci, veh!) o a pigliare un rinfresco, che so io! — Meglio non ci praticasse, direte voi. Anzi meglio ci bazzichi un pochino, rispondo io  perché, giovine franco qual è, (vuol dire che non teme la bestia) gli è toccato più volte dare certe lezioncine che…. m’intendo io!  Ci si trovava un giorno con una serqua di bellimbusti dell’università, i quali, adocchiato il Paoletto entrarono per fargli dispetto in certi discorsi da far accapponare la pelle. Figuratevi che Dio, eternità, inferno, paradiso, chiamavano ubbie da medio evo, e levavano a cielo (state attenti: ci siamo) i Magni professori. B e M. i quali avendo dimostrato (asserivano) che nell’ uomo tutto è materia, avevano tolti via una volta gli spauracchi del genere umano. Mentre così trionfalmente la discorrevano, Taddeo stringeva i denti e corrugava la fronte, studiando 1a opportunità d’una risposta; quando a caso capita a passare davanti al caffè un bel vecchietto di prete (era Don Mentore) e Taddeo a fargli tanto di cappello. Alla qual vista i bellimbusti, stringendoglisi attorno incominciarono a sbertarlo di mala grazia, dandogli tutti quei nomi onde sogliono onorare i sedicenti liberali (in ciò non liberali solo ma prodighi) quanti han conservato ancora il buon senso antico e la coscienza cristiana; e conchiudendo tutti ad una voce che un vile era Taddeo, che inchinavasi a un prete. A. quest’insulto Taddeo non seppe contenersi, e fattosi bello d’una santa ira che scintillavagli dagli occhi e gli si dipingeva sulle guance infiammate, rispose agli impudenti così: — Sapete chi è il prete che ho salutato? Quel prete è un uomo che non ha mai offeso né amareggiato persona, neppure i suoi più accaniti nemici; un uomo che la sua vita ha speso e spende tuttavia al sollievo de’ poveri e al bene della gioventù; un uomo che mi ha istruito e educato dalla fanciullezza con senno da filosofo ed affetto di padre… — E che t’ha insegnato quel prete? — l’interruppero i bellimbusti. E Taddeo coll’istessa foga: — Che mi ha insegnato quel prete?… Quel prete mi ha insegnato che c’è un Dio in cielo e che l’uomo è la sua più nobile creatura sulla terra; mi ha insegnato ch’io non sono tutto fango, tutto bestia, come voi; mi ha insegnato che dentro questo fango brilla, qual gemma, un’anima immortale. Ed ecco perché a questo prete cosiffatto io mi inchino, come voi v’ inchinate ai vostri B. e ai vostri M., con questa differenza però, che dal mio inchino io mi rizzo col santo orgoglio d’un figlio di Dio; voi, curvato una volta il dorso davanti a quegli idoli vostri, non potete più rizzarvi, siete bestie e non più. Che vi pare? Sta dalla mia parte o dalla vostra la viltà? — Bravissimo! ben detto! — s’ udirono gridar più voci da ogni parte della sala; e i bellimbusti, mutato discorso, poco dopo se la svignarono di cheto. » E buon viaggio a loro signori! noi, mandata loro dopo le spalle una buona salva di fischi, ci terrem saldi pur qui: che la verità è una; che di questa verità maestro autorevole, perché divino è Cristo, maestra da lui deputata, la Chiesa. A Cristo, alla Chiesa, a quanti insegnano con Cristo e colla Chiesa, c’inchineremo rispettosi; a chi sta contro Cristo, contro la Chiesa, contro la nostra coscienza, no mai! Sarebbe lo stesso che inchinarsi alla GRAN BESTIA, alla quale abbiam giurato guerra mortale, e ai portavoce che le fanno corteo.

LA GRAN BESTIA E LA CODA (17)

QUARESIMALE (XII)

QUARESIMALE (XI)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA
DUODECIMA
Nella Feria terza della Domenica feconda.

Si deplora la cecità de’ genitori mentre non solo sono trascurati in obbedire al comando di Dio nella educazione de’ propri figli; ma taluno di loro procurane la rovina dell’anima, peggio: la vuole.


Patrem nolite vocare super terram. San Matteo al cap. 23.

Perdonatemi, o padri di famiglia, v’è una mala nuova per voi: non deve più uscire dalla bocca de’ vostri figliuoli, e risuonare alle vostre orecchie quel dolce nome di padre: Patrem nolite, etc. Ma che? Pare che voi non me lo crediate, e non sentite che è comando di Dio: già sappiamo esser comando di Dio, ma non universale il comando; ferisce solamente quei padri che, intenti ai loro comodi niente s’applicano al bene de’ figliuoli e perciò non meritano nome di padre. Noi sudiamo dì e notte pensando ed operando per stabilire in buon stato i nostri figliuoli: fate altro che questo? E vi par poco, se non abbiamo respiro di tempo neppure, quasi dissi, per applicare all’anima nostra. Dunque, se così è, molto meno applicherete all’anima de’ figli. Ed ecco il vostro gravissimo delitto, per cui non meritate nome di padre, anzi di tigri spietate, mentre (e sarà l’assunto del mio discorso) non solo non applicate con la buona educazione alla salute eterna de’ vostri figli, ma col male esempio ne procurate la dannazione; v’è di peggio, volete la loro dannazione. È certissimo che chi diede l’essere ai figli, è anche obbligato a dargli il buon essere, acciò per colpa loro non periscano, né v’essere obbligo maggiore ne’ padri, di quello della buona educazione. Questa è verità che non ha bisogno di prova, ma è altresì verità troppo deplorabile non v’essere cosa in questo mondo a cui meno pensino per ordinario i padri e le madri, che al buono allievo de’ loro figli. Non farebbero però così se seriamente pensassero allo stretto conto che ne debbano rendere. Udite l’Apostolo San Paolo, il quale così discorre per mostrarvi il grande obbligo che avete di bene educare i vostri figli. È obbligato, dice egli, il principe, il maestro, a render conto della educazione della gioventù. Or se son tenuti questi per obbligazione introdotta dalla politica, quanto più siete obbligati voi padri per l’obbligazione inferita dalla natura: si nos itaque vigilare jubemur, quanto magis pater qui genuit. Questo parlar ha gran forza, ma udite quest’altro pure dello Spirito Santo, che dice ai padri e madri; Custodi virum, qui si lapsus fuerit erit anima tua pro anima illius. Pur ad ogni modo vi sono padri e madri di tal sorte, che non vogliono obbedire a questo stretto comando di bene educare i figli, e quanto sono renitenti in questo, tanto sono pronti in obbedire a quelli della natura corrotta, che insegua far tutto per gl’interessi temporali. Di chi sono i figli: del mondo, o di Dio che ve li diede? Perché dunque ogni vostra occupazione per bene educarli per il mondo, e non per renderli a Dio? Voi pensate più ad allevarli nelle buone creanze che nelle devozioni: appena nati l’istruite nelle cerimonie, ne’ saluti, ma non fate così per fargli imparare le orazioni; …Padre è piccinino; ma io vi rispondo: che vuole dire che è piccolino per imparare le orazioni, e non è piccolino per imparare le cerimonie? Fate che il figlio mangi alla mancina, eccolo percosso da un fiero ceffone, vada fuori di casa sporco nel volto, imbrattato nell’abito, faccia una mala creanza, ne riceve fiera la riprensione; ma se dirà parole poco oneste, risponderà arditamente, e fin d’allora mostrerà poco rispetto a Dio, si tacerà, né meno si dirà, figlio, che fai? Signora, dice quel padre alla consorte, bisogna pensare ad educare bene i nostri figli, ne abbiamo già de’ grandicelli, bisogna mettergli in qualche Università, in qualche collegio o seminario, perché imparino le lettere, le quali portino ricchezze e gloria alla famiglia. Sì, signore avete ragione, ma le rendite sono scarse non importa impegnarsi quanto bisogni per il buon allievo. Ma se mi pongo framezzo a voi signora madre e signor padre e vi dico: i vostri discorsi sono belli e buoni; voglio che l’instradiate nelle lettere, ma nella pietà tacete, perché temo non mi diate la risposta che altro padre di famiglia simile a voi, diede ad un nostro maestro di scuola. Parlando un giorno il padre di certo suo figliuolo col maestro e questi si lamentava dello scolaro, perché era troppo insolente; rispose allora il padre: quello, che a me preme è che studi; studia il figliuolo, studia, ripigliò il maestro, ma non vive bene. O Padre, se così è, non si prenda fastidio, perché la gioventù ha da fare il suo corso, sono stato giovine anche io, quello che a me importa è che studi, giacché il mio pensiero è di addottarlo per utile e lustro della mia casa. O empio padre, iniquo, degno di mille morti, mentre non ti curi del mal vivere del figlio: piacesse a Dio che un tal padre non avesse avuto ai suoi tempi, e non avesse a’ dì nostri, simili. Datemi mente, io v’interrogo; signori, il vostro figlio degenera dalla nascita, pratica con gente di mal nome, parla indecentemente! Padre sono bizzarrie di ragazzi, so per altro che è molto applicato alla scuola, e di questo mi consolo! Ecco in che consiste l’educazione che simili padri danno a’ loro figli, pensano solo ad instradarli nelle creanze, nelle lettere, ed a lasciarli ricchi di roba, ma ricchi nell’anima di virtù non ci pensano. Che non si fa per lasciar ricchi i figli, che non fate per tirare avanti la casa, e tanto avanti, dirò io, che per le ricchezze male acquistate si arrivi fino a casa del diavolo; vedo che ogni momento tenete l’astrolabio in mano, cavando il sortile dal sottile, acciò gl’accumuliate con i beni paterni i mali futuri. O padri sciocchi, che non morite contenti se non lasciate a’ vostri figli della roba – con ragione esclama quivi San Gregorio; corpus natorum suorum amant, animam ver contemnunt: amano il corpo e non si curano dell’anima, si viderint filios pauperes, segue il Santo: tristantur; si viderint illos peccantes, non tristantur; se li vedono in povertà amaramente piangono, ma non già quando sono in peccato, ut ostendant, quod corporum sunt parentes, non animarum … acciò si sappia, che se sono genitori de’ corpi, sono altresì assassini delle anime. Se andrete da quel padre e gli direte: vostro figlio ha giocato ed ha perduto, eccolo su le furie, ah figlio indegno, lo castigherò, ma se poi gli direte, vostro figlio ha perduta la modestia, non si risponde, si tace. Signora, la madre figlia è troppo libera negl’andamenti. Padre ora è il tempo suo; ma se vi dirò: Signora, vostra figlia ha spezzato per disgrazia quel superbissimo vostro cristallo, che tenevi sopra lo scrigno, gli è caduto di mano quel nobile specchio e si è spezzato, eccola su le furie, ecco la casa in rovina, la figlia in guai. Ah sciocchi padri, stolte madri, che pensate più a lasciar ricchi, che buoni i figli. Ah che se io credessi potere inserire il vero amore nel cuore de’ padri verso de’ loro figli, che è il bene educarli, vorrei con quell’antico filosofo Plutarco portarmi su la cima della più alta torre della città, ed a gran voci di lassù esclamare: quo tenditis homines, quo tenditis; dove siete inviati padri, madri, io vi vedo intenti a provvedere d’ogni più nobile suppellettili le vostre case, tutte applicate ad accumular roba per i vostri figli, non ho che dire; ma ditemi ove sono frattanto i vostri figli, le vostre figlie, se ne’ collegi, se alle scuole, se a lavori in educazione ne’ monasteri, io non parlo; ma se alle veglie, ai balli, a’ giuochi, a’ ragionamenti e conversazioni troppo libere, tornate, tornate indietro, vorrei dirvi, a rimediare, e se non tornerete, trascurando la buona educazione, invece di padri amanti, sarete crudi carnefici de’ vostri figli e pure, quasi dissi, mi darei pace, se i padri e le madri dopo tanti peccati mortali commessi nell’educazione trascurata de’ suoi figli non facessero peggio, peggio sì, perché procurano la loro dannazione; sì la procurano, voi inorridite, sentite… la procurano col cattivo esempio! Esclami pure, e con ragione Osea, Efraim educet ad interfectionem filios fuos. O ciechi, o miseri padri, dice lo Spirito Santo, voi stessi con le vostre mani conducete sotto il filo della mannaia i vostri propri figli. Si racconta trovarsi in un certo paese due fonti, in un de ‘ quali bevendo gl’armenti vestono candide le loro lane, e dissetandosi nell’altro si ricoprono di nere, e se a sorte assaporano le acque d’ambedue, di vari colori si rimirano vestite; è però certissimo, che tali appunto sono i costumi di quei figli, o candidi e puri, o neri ed immondi, quali sono i fonti d’onde ne succhiarono il latte dell’educazione nel paterno esemplare. L’esempio ha tal forza, che Plutarco poté asserire, essere regola del vivere, o buono, o reo. – Era il Santo Vecchio Éleazzaro in età di novanta anni, allorché non solo sostenne acerbissimi dolori, ma la morte stessa, e a tanto si espose per non mangiare i cibi vietati dalla legge, e per dare esempio di singolar costanza a’ suoi figliuoli, si prompto, parole del Sacro Testo nel secondo de’ Maccabei, si prompto animo ac fortiter pro gravissimis, sanctissimis legibus honesta morte perfungar adolescentibus exemplum grande relinquam; né  vi crediate UU. che punto s’ingannasse, poiché appena soffertosi da lui il martirio che al suo esempio per non trasgredire la legge, diedero la vita insieme con la madre sette suoi figliolini di tenerissima età. Quivi tutto estatico San Gregorio Nazianzeno introduce quei sette figliolini a parlare con Antioco, Re Tiranno: Re: Eleazari discipuli sumus cujus tu fortitudinem perspe et tam, inexploratam babes. Sappi, o Tiranno, che noi siamo discepoli e figli di Eleazzaro, la di cui fortezza e generosità sì che abbastanza ti è nota: tanto ti basti per sapere che intrepidi ne seguiremo le gloriose pedate: Pater prior decertavit, decertabunt postea, et filii: tollerò nostro padre la morte, tollereremo ancor noi guidati da un sì bell’esempio la perdita di questa fragile vita; præcessit sacerdos, sequantur victimæ. Egli ci ha preceduto come sacerdote, noi lo seguiremo come vittime. Miei UU., alla generosità del parlare corrispose un’eroica pazienza ne’ tormenti, poiché animati dall’esempio paterno, i figli si portarono con magnanimo cuore ad incontrare la morte. Or io dico, se l’esempio in cose tanto contrarie alla natura, quanto è morire, ha sì gran forza, qual non avrà ne’ vizi, a’ quali la natura inclina. Avvertite bene, o padri quel che voi fate, che esempi gli date, perché voi col vostro mal vivere gli procurate la dannazione; li vostri figli, mentre sono piccoli per l’imperfezione del loro discorso vivono d’imitazione, e a guisa di principianti nella pittura, non sanno fare altro che copiare, però non gli procurate la dannazione col vostro mal esempio. Se dico bugie, smentitemi: sì, o no, chi ha insegnato a maledire, a giurare, a bestemmiare il Nome di Dio, anche prima di conoscerlo a quel figlio? Il perfido padre, che ad ogni aperta di bocca vomita maldicenze, giuramenti e bestemmie. Chi ha avviato all’osterie e bettole quel giovinetto? L’iniquo padre che sì spesso vi và co’ suoi piedi e ne è riportato con le braccia altrui. L’esempio del padre, che tratta con libertà licenziosa, ha insegnato i mali costumi al figlio. Chi ha insegnato a quel figlio a strapazzar la povera madre con parole talora sì brutte che neppure si direbbero ad una donna di mala vita? L’empio Padre che, venuto a casa non solamente grida, ma minaccia, ma percuote la povera madre, riempiendola di tali improperi, che neppure si proferirebbero contro la più scellerata donna del mondo: Chi ha insegnato a quel figlio lo strapazzo verso di suo padre; lo stesso padre, che all’or che era figlio strapazzò il proprio padre. Sentitene un fatto spaventoso. Vennero un dì a parole un padre ed un figlio, dalle parole passarono ai fatti, e il figlio indegno preso per i capelli il padre, lo strascinò giù per la scala; giunto che fu al fondo essa, figlio, disse, lasciami, perché tu sai, che fin qui strascinai mio padre! – Chi ha insegnato a quella figlia le vanità? La  madre, la madre, che anche essa era donna vana. Or negate, se potete, di non procurare con un tal esempio la dannazione de’ vostri figli. Eppure non finisce qui il male che fanno simili genitori a’ loro figli, poiché non solo procurano la loro dannazione col cattivo esempio, ma la vogliono! Inorridite o Cieli! la vogliono. Fuggite figli da quei padri che vi vogliono perduti. Voi inorridite ad una tale proposizione, e pure ne toccherete con mano la verità. Il ve lo fo toccar con mano. La legge Evangelica tuona minacce orribili contro de ricchi… veæ divitibus, e voi che fate? Altro non fate, salvo che insinuare nel cuore de’ vostri figli, fino da’ primi anni, che bisogna serbar tenacemente la roba e che tutta la felicità dell’uom consiste in aver piene le casse, colmi i granari, ridondanti le grotte e talora, parlandogli da solo a solo: mira, gli dite, il tal mercante, il tal cavaliere, perché seppero accumulare molto, per questo molto son giunti ad ottenere, a stabilire ne’ parentadi, nelle ville, ne’ benefici. E tu, che farai, sarai buono a tanto? Ed in così parlargli gli fate fare un concetto tale del denaro che fin d’allora principia ad adorarlo come Dio: e non è questo volere la dannazione del figlio? L’Evangelio dice, recumbe in novissimo loco; e voi che fate, altro non persuadete a vostri figli salvo che il contrario, suggerendogli, che non bisogna mai contentarsi dello stato suo, ma che a guisa de’ fiumi bisogna sempre acquistar paese, ingrandirsi, avvantaggiarsi, non ceder la mano a chi che sia, voler esser riconosciuto tra’ primi. Cristo nel Sacrosanto Vangelo grida, che si perdonino le offese ricevute, che si parli, che si salutis il prossimo che ci oltraggiò; diligite inimicos vestros, e voi, che fate, insinuate l’opposto, dicendo loro, che non bisogna dimenticarsi mai dell’affronto, ma che ad ogni imitazione de’ molossi, bisogna mostrare i denti, rispondere, vendicarsi: Piaccia a Dio, che tra’ miei UU. non ci sia qualche padre, o capo di casa, che abbia detto: figlio la nostra casa è stata sempre riverita e temuta al par d’ogn’altra. Ella ha avuto uomini di conto in lettere, in armi, in dignità. Tu non sarai degno del casato che porti, se non saprai farti stimare e cavarti, come si suol dire, le mosche dal naso. Però oggi, piaccia a Dio che tal padre non abbia detto al figlio: ecco la chi ci offese, questo è il luogo ove ci offese, di tal sorte eran l’armi, tocca a te farne i dovuti risentimenti da par tuo. E voi o madri, con quali dettami allevate le vostre figlie, non già con quelli del Vangelo, che insegna schivare i lussi superflui, e le pompe vane, poiché tal madre dirà alla figlia: va’ figlia, va’ da tuo padre e digli che tu vuoi vestire da tua pari, che così ti vergogni comparire, che tu vuoi quei vezzi, quelle maniglia, altrimenti non ti voglio con me neppure a Messa. Ah che Evangelio dice, ne solliciti sitis corpori vestro quid induamini; e non è questo volere la dannazione delle figlie, la vogliono sì, perché arrivano a darli vestiti all’usanza, lascia cantare i predicatori, parla, conversa, è il tempo tuo. O Dio, negate se potete, che non vi sian padri e madri che vogliono la dannazione de’ figli, che sarà di voi, che sarà? Udite. – Voi ben sapete che Eli gran Sacerdote, come abbiamo ne’ Libri de’ Re al primo, venne in tanta disgrazia di Dio che fu in perpetuo privato del Sacerdozio del Tempio, delle facoltà, della vita, della prosapia, e giudicato con tanta severità, che molti lo tengono per dannato … e perché un giudizio sì severo? Non  per altro se non perché non aveva corretto i figli viziosi: eo quod non corripuerit eos. Si eh? Or se Eli fu sì severamente castigato solo per non aver ripreso i figli, che non dovrete temere voi padri, i quali non solo non li riprendete, ma l’incitate, peggio li lodate de’ peccati; peggio, persuadete; peggio, li volete; sapete che farà, erit anima tua pro anima illius. Dannati, dannati, – Quando, che voi, miei UU. vedrete mai figli vissuti sotto padre di tal sorte, che non solo non cercano di bene educarli, ma ne procurano con l’esempio la dannazione, anzi la vogliono, e vedeste, che tali figli dissimili da’ loro genitori vivessero bene, attribuitelo ad uno de’ maggiori miracoli che possa darsi: Contentatevi, che questa verità ve la confermi con le Sacre Carte. Esce fiero l’Editto di Faraone, che quanti vivano maschi di tenera età nell’ampiezza de suoi Stati, tutti si sommergano nelle acque del Nilo; povere madri, accrescano pure le vostre lacrime l’onde del fiume, acciocché più gonfio, e più rapido vi tolga più presto dagli occhi la funesta tragedia. Si eseguisce l’ordine barbaro di regio comando, quando una madre non avendo cuore che desse forza al braccio per gettare il tenero bambinello in mezzo all’acque, fatto di giunchi un piccolo cestello, qui collocato il pargoletto, lo consegnò alla superficie dell’acque, lasciando che l’onda impietosita, lo rendesse salvo a qualche riva. Non andò la brama vuota d’effetto. Era la regia Infanta figlia di Faraone a diporto tra le delizie del bagno, la quale nel vedere a fior d’acqua galleggiare quel piccolo cestello carico d’un tenero fanciullo, mossa a compassione, chiamata a se una delle damigelle, ordinò si traesse a riva. Eseguì la donna, e prefentò alla padrona il bambino; tanto bastò, per essere di fattezze amabilissimo, perché la regia fanciulla mossa a pietà il desse segretamente ad allevare, disponendo l’Onnipotenza Divina, che alla propria madre si consegnasse il tenero figlio Mosè. Considera un tal fatto S. Agostino, e quasi estatico per lo stupore esclama, miraculum, miraculum! Voi al certo però, miei UU. al pari del Santo Vescovo vi farete meraviglia, sentendo che egli dia nome di miracolo ad un atto di compassione praticato da cuor di donna verso il piccolo figlio che, portato dalle onde stava di momento in momento per sommergersi. Non fu miracolo dirò io, che una principessa sovvenisse l’altrui miserie, miracolo farebbe stato, se la regia donzella vedendo quel pargoletto già vicino a sommergersi non ne avesse procurato lo scampo; sant’Agostino non cessa, ed estatico replica: miraculum, miraculum; si, intendetela, dice il Santo, fu miracolo, che la figlia d’un re sanguinario, allevata in corte con esempi di stragi non seguisse le orme paterne: miraculum, misericordiam fecit filia parricide. Miraculum, entro ancor io nelle vostre case o padri, o madri, e dico sarà miracolo e miracolo di non ordinario stupore, veder casto quel figlio che ebbe esempi di dissolutezze dal padre; vedere onesta quella figlia e senza vanità, che sortì per madre una donna che sempre gli fu esempio di vanità negli abiti e di libertà nel guardo: miraculum, miraculum, siano senza vizio i figli , ove i capi di famiglia sono dissoluti. Che da un genitor cattivo, grida Ambrogio, è pazzia sperarne figli innocenti vissuti all’esempio de’ padri, al par de’ padri saranno perfidi: Quid de adultera matre, nisi damnum pudoris: al conoscimento di tal verità arrivò fino la corta intelligenza d’un Domizio. Questi non sentì all’orecchio sussurro di colomba profetica e pure tanto aggiustatamente colpì sul segno, quando avvisò le future ribalderie di Nerone suo figlio. Attenti. Narra Xefilino, che Domizio prima di dire che Nerone doveva essere quell’indegno che fu, calcolò fra se stesso i suoi conti così: lo so qual vivo tutto applicato a’ giuochi, tutto dedito agli amori, mi piace la crapula, detesto la virtù, abbomino il giusto, amo il vizio; mia moglie se non mi passa nel vivere viziosamente, certo m’eguaglia. Ella ha ciarle per un comune, frascherie per un mercato, gode di conversare in passatempi e balli al pari d’ogni donna vana, e poi conclude da se stesso, non è possibile che da un tal Domizio e da una tale Agrippina possa formarsi un figlio buono e ben costumato: non enim ullo modo esse potest, quod ex me, et illa vir bonus formetur. Padre, madre di famiglia l’argomento di Domizio è concludente , nè vi è risposta; pertanto se avete figli, avvertite di non operare alla presenza loro cosa che non sia da farsi, poiché quando così non facciate, voi vedrete che i vostri figli impareranno dal vostro esempio a vivere senza modestia, ed operar senza riguardo, e si verificherà, che voi col vostro male esempio gli procurerete la dannazione. – Era pur bello il costume praticato nella Spagna e ricordato da Sallustio: registravano in un fedelissimo giornale tutti i fatti che ogni privato economo raccoglieva dal vivere quotidiano di ogni capo di famiglia, e questo registro una volta l’anno ad alta voce si leggeva alla presenza de’ figli, acciocché si animassero ad essere simili nelle eroiche azioni ai loro padri. Un grande impegno per verità era questo, ed una gran sicurezza della bontà de’ padri di quei tempi: Dio però ci liberi che da’ capi di famiglia s’introducesse oggidì simile usanza, poiché in vece di morigerare i costumi de’ figli, li depraverebbe, e gli distruggerebbe le città invece d’edificarle, poiché m’arrossisco a dirlo, non si potrebbero pubblicare se non di rari le virtù, di moltissimi vizi. – Sappiate, o figlio, direbbe taluno, vostro padre è un bravissimo giocatore, che invece d’accumular roba per voi, ve la dilapida con i dadi, e ve la scarta su le veglie a grosse partite per sera. Vostro padre è un valentissimo bestemmiatore, che per mostrare quanto poco speri salvarsi, ha già imparato il linguaggio de’ dannati. Vostro padre è un ingegnosissimo usurario, e tutto dissoluto nel rimanente de’ suoi costumi. E voi figlie, volere imparare le eroiche azioni di vostra madre: ella col frequentar le feste, non delle Chiese, ma delle sale, vi farà apprendere la libertà del vivere. Ecco gli esempi che danno oggidì molti de’ padri e madri ai loro figli, e non è questo un procurargli la dannazione? Sì, la procurano padri di tal sorte, farebbero meno male a lasciare in abbandono i loro figli, meno male farebbero se appena nati anche essi li ponessero in un cestello simile a quello in cui fu posto, come già dissi il bambinello Mosè, abbandonandoli all’instabilità delle acque. Madri di tal sorte farebbero meno male se a similitudine dello struzzo, partorito che hanno le loro figlie le lasciassero in abbandono, poiché tenendo presso se i loro figli, le loro figlie, non solo non gli danno la buona educazione, ma ne procurano e ne vogliono la dannazione, ma si aspettino anche la propria. – Nelle Vite de’ Santi Padri si parra come un padre per frutto delle sue nozze ebbe due figli, ai quali pose tanto d’amore, che altro non fece in tutta la vita, salvo che accumularli della roba, istruirli nelle lettere, ammaestrarli nelle creanze, allevandoli tutti per il mondo, niente per Dio, e perciò gli lasciava la briglia sul collo, acciò potessero a lor piacere scorrere ogni prato nello sfogo delle loro passioni. Aprì gli occhi Iddio ad uno di questi figli, e fattogli conoscere il pessimo stato in cui si trovava l’anima sua, lo fe’ risolvere di dar di calcio al mondo, e ritirarsi in un chiostro a far vita penitente: così fece, quando non molto dopo vennero a morte, e il padre sì trascurato nella educazione del figlio, e il figlio sì malamente educato. Morti che furono, si pose un dì il fratello religioso a fare orazione per quelle anime, quando in un tratto si vide aperta sotto de’ piedi un’altissima voragine entro a cui vi era un vaso smisurato pieno d’acqua, la quale a forza di quel fuoco che sotto vi somministravano i diavoli, orribilmente bolliva, e poi che vide? Vide che tra quelle onde di bollori or veniva su il padre, allorché s’immergeva il fratello, or veniva a galla il fratello, allorché s’affondava il padre, ed udì che il Padre tutto rabbia col figlio, ed il figlio tutto rabbia col Padre, non facevano altro, che arrabbiatamente strapazzarsi: maledetta quell’ora, diceva il Padre, in cui ti generai, per averti voluto arricchire or mi trovo in questi tormenti; maledetta quell’ora che t’ebbi per padre, diceva il figlio, merceché avendomi tu data ogni libertà mi trovo dannato; per te peno, diceva il padre, per te crucio, diceva il figlio. Quanto concepisse di spavento a questa vista il religioso, immaginatevelo voi. Quanto ne dobbiate concepir voi padri e madri, che male educate i figli, che gli date cattivo esempio, non accade che ve lo dica, sol vi dirò, che simili castighi v’aspettano nell’inferno, se non avrete maggiore sollecitudine dell’anima de’ vostri figliuoli.

LIMOSINA.
Si ritirano alcuni dal far limosine, perché, dicono, lascerò di meno ai miei figli, o quanto s’ingannano . Il Padre di San Carlo distribuiva larghe limosine a’ poveri di Gesù, ed avvisato da un amico che con tante limosine lascerebbe meno facoltosi i figli, rispose da vero cavaliere cristiano: io avrò cura de’ figli di Dio, e Dio avrà cura de’ miei, e così fu. Non troverete mai, ma mai, che le limosine abbiano impoverito casa alcuna, anzi questo è il vero modo d’arricchirle, honora Dominum de tua substantia, et implebuntur borea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt.

SECONDA PARTE

Quanti qui siete padri di famiglia? Poco men che tutti, sento rispondermi; ma pure quanti siete, replico io, che meritate il nome, e praticate l’offizio di padri e madri? Se voi foste veri padri e vere madri, dareste retta agli argomenti di Paolo, obbedireste a’ comandi di Dio, avreste più cura dell’anima che della roba de’ vostri figli, non gli procurereste la dannazione col cattivo esempio, né tampoco la vorreste con istillare ne’ loro teneri cuori diabolici sentimenti, ma voi, come v’ho mostrato, non siete veri padri, perché non li allevate bene, procurate, e volete la loro dannazione. Se volete meritare il nome di Padre, operate da tali. Vi sono però alcuni padri e madri di famiglia, che non credono d’aver mai errato nell’educazione de’ figli, perché non gl’hanno dati cattivi esempi; or sappiate, che si può errare nella buona educazione, usando parzialità e togliendo la libertà. Oh quanto sono dannose le parzialità ne’ padri e nelle madri, sono la rovina delle case e delle anime. L’aquila, dice San Basilio partorisce tre uova ne cova due, e poi de figli nati ne alleva un solo: lo stesso fanno molti padri e madri, se avranno delle figlie femmine e de’ maschi, braveranno sempre alle femmine, ed al maschio rideranno in bocca; poi per fare il patrimonio al maschio, non guarderanno ad affogar le femmine con poca dote, ed anche a ritenerle in casa come serve senza marito; questo è un gravissimo errore, perché tutti i figli devono essere egualmente trattati, e pure un tale operare si stima il buon governo delle famiglie, e si passa avanti perché si arriva a togliere la libertà ai figli datagli da Dio, mentre i padri e le madri stabiliscono per lo più quello stato di vita ne’ loro figli, che a loro più piace e torna più conto alla casa. Discorrono fra se marito e moglie, e senza un’oncia di cervello determinano il tale lo faremo prete, quella monaca, l’altra femmina in casa; il secondo tra i maschi prenderà moglie. Chi vi ha data l’autorità di stabilire la vocazione a’ vostri figli? E se quello che volete far Prete volle moglie, e se quella, che destinate per monaca volle marito, ditemi se vi riuscirà di legarli per il timore che v’avranno con voto di castità, non gli esporrete a perder l’anima, a vituperar la casa con mille disonestà? Se quelle anime de’ vostri figli per forza religiosi si perderanno, voi, voi padri ne renderete conto a Dio. – O se io potessi avere tale udito che arrivasse a sentire le voci de’ poveri figli e figlie dannate per tal causa, credo che sentiremmo esclamare maledetto quel seno che mi concepì, maledetto quel petto che mi allattò, maledetta quella madre che mi partorì, meglio per me farebbe stato se io fosse nato d’un orso ed allevato da una tigre, mentre da questi non farei stato sforzato ad eleggere stato contrario alla mia natura. Tali saranno i rimproveri de’ figli; non vi mettete per tanto a simili cimenti o padri, o madri, lasciate che i figli si eleggano lo stato da per loro, voi educateli bene. Il Sacro Concilio Tridentino fulmina la scomunica sopra di quei padri che sforzano a monacarsi le figlie. Ah che avesse pronunziata ancor contro quei padri che a forza vogliono congiunte per interessi privati una figlia ad un marito, con cui ella non ha punto di genio, ed in sostanza lo piglia per forza. Voi per certo o padri e madri non fareste queste violenze, se poteste prevedere le rabbie, gli adulteri, gli omicidi, i veleni, che seguiranno da quelle nozze, da quel matrimonio violento. Intendetela, il buon essere della vostra famiglia, il vantaggio della medesima, la buona educazione de ‘ vostri figli non consiste in togliergli la libertà che Dio gli ha data, ma bensì in allevarli col santo timor di Dio, nell’insinuarli nel cuore l’orrore al peccato mortale, la fuga delle occasioni; se così farete, vedrete progressi non ordinari, stabilimenti lucrosi nelle vostre case, altrimenti dannazione per loro, morte eterna per voi. – Parliamo ora con i figli. Se i vostri  padri meritano castighi sì fieri per la trascuraggine nella educazione, che castighi non meriteranno quei figli che tanto strapazzano i loro genitori? Ecco là quel figlio che non dà mai una buona parola alla povera madre; se gli comanda, gli volta le spalle, e talora la schernisce come rimbambita, e gli cava amare lagrime dagli occhi, e poi neppur si confessa d’averla sì altamente amareggiata. Ecco là quel figlio che già ha tolto al povero padre il maneggio, gli dice: attendete a campare, e gli pare un’ora mille che muoia. Poveri padri, povere madri, son costretti talora a sentirsi vomitare addosso imprecazioni tali per bocca de’ figli che certo da niuna lingua l’avranno mai sentite sì acerbe. Iddio però li sa castigare. Vi sovvenga di quel celebre miracolo operato dalla Vergine Santissima di Loreto in persona di quel disgraziato figlio che avendo scritta una lettera con improperi ai suoi genitori, perché gli mandassero denari, restò del subito, messa la lettera alla posta, sordo del tutto, né  mai poté guarire, finché la Vergine Santissima coll’assenso de’ genitori non lo risanò. Poveri padri, povere madri alle loro tante fatiche al loro amore ricevano talora ingratitudini barbare; un tale appunto ne riceve un povero padre nella Normandia, il quale dopo avere fatta la donazione di tutto al figlio per avvantaggiarli fortuna d’un matrimonio, non solo arrivò l’ingrato figlio ad istigazione ancora della perfida moglie, a metter fuori di casa il padre, e collocarlo in una misera stanza, ma a farlo patire del necessario al sostentamento; non andò però molto, che il Signore lo castigò. Aveva cucinato la consorte un pollo, ed allorché stava per porsi a tavola col marito, giunse il vecchio padre all’uscio, ma non poté sì presto salire, che non avessero tempo per riporre il pollo nella credenza; lo riposero, e poi rivolti al padre: padre, gli dissero, andate, non avete pane? Vi basti quello. Licenziato così bruttamente il padre, torna alla credenza il marito, e invece del pollo vi vede un rospo, che saltatogli al viso, gli si attacca come polpo allo scoglio, né fu mai possibile staccarlo, finché d’ordine del Vescovo non ebbe girato varie città per insegnamento a’ figli di rispetto a’ padri. Volete vedere quanto prema al Signore che si rispettino il padre e la madre? Arguitelo dal vedere che ben spesso il Signore fa che cadano sopra de figli quelle maledizioni che gli sono mandate dai padri e dalle madri. Strapazzava un figlio indegno la madre, e le diceva parole d’ingiuria, quando la madre tutta in collera, va’ maledetto, che ti possa vedere impiccato. Il figlio invece d’intimorirsi a questo fulmine, se la rise, e così ridendo a schernir come vecchia e fuori di sé la povera madre, che così burlata mandava dagli occhi calde lacrime. Si affrontò a sentire tutto questo vilipendio un savio Sacerdote, il quale si stimò obbligato a riprender quel giovine ed a fargli capire che quel fulmine poteva verificarsi. uscito dalla bocca della madre di vederlo impiccato. Quel giovane insolente senza rispetto al Sacerdote, gli rispose arrogantemente: quando sarò impiccato verrete voi a raccomandarmi l’anima. Volete altro? Udite caso funesto. Montò un giorno a cavallo questo figlio, si pose a spasseggiar con esso per la città, passò per i macelli, ove sono quegli uncini di ferro a’ quali si attaccano le carni; s’inalberò il cavallo, s’infuriò talmente che, sbalzatolo di sella lo lasciò attaccato per la gola ad un di quegli uncini; già così impiccato spirava l’anima, quando cercandosi da tutti un Sacerdote, perché l’assistesse, non si trovò, salvo che quello che l’aveva ripreso. – Di questi casi ve ne potrei contare a centinaia: rispettate i vostri genitori, perché se gli escano dalla bocca di queste maledizioni, guai a voi. Sebbene questi son castighi temporali, aspettatevi gl’eterni. Fate a mio modo, portate ogni rispetto a’ vostri genitori, rispetto di parole, rispetto di fatti. Io ho conosciuto un cavaliere d’età di cinquanta anni ammogliato, il quale mai usciva di casa, che non dicesse: signora madre vo’ fuori, mai tornava, che non dicesse, signora madre sono in casa; mai andava a letto, che non gli chiedesse la benedizione. Questo è il modo per meritare la benedizione da Dio in questa vita e nell’altra…

QUARESIMALE (XIII)