QUARESIMALE (XXIII)

QUARESIMALE (XXIII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA VENTESIMATERZA
Nella feria seconda della Domenica quarta


Si fa palese che quanto Dio  benefica chi rispetta le Chiese, altrettanto castiga chi le profana con irriverenza.


Ascendit Jesus Jerosolymam, et invenit in Templo ementes,
et vendentes.
San Gio: cap. 2.

Non fu detto arguto de’ savi, fu grave sentimento de Santi, essere i Sacri Templi
piccoli Cieli della Terra, Ecclesiam non secus, ac Cælum frequenta, disse Sant’Ilo. Locus est Angelorum, regia Domus Dei, ac Cælum ipsum definì il Crisostomo; e n’ebbero ragione. Presiede nelle Chiese, miei Uditori, quel medesimo Monarca che regna in Cielo; ivi beatifica i Comprensori che, svelato lo contemplano; qui
benefica i mortali, che in enigma l’adorano; né minor gelosia ha del Cielo che dei Templi; in quello perché reperit pravitatem, ordinò ad un Arcangelo, che con spada di fuoco, fulminasse chi lo contaminava con colpe; in questi, perché vi vede ementes, et vendentes, Dio medesimo flagella chi l’oltraggia con irriverenza, et cum fecisset quasi flagellum de funiculis omnes ejecit de Templo. Or datemi licenza che io, lasciata ogn’altra superfluità d’esordio in materia di tanta importanza, sì per incitamento della pietà de’ devoti, come per correggimento della sfacciataggine de’ dissoluti, vi faccia vedere Dio quanto liberale sia in beneficare chi nelle Chiese l’adora, tanto severo in fulminare chi le profana. – Folle e temerario fu il consiglio di quel regnante persiano, il quale avendo udito dagli astrologi non essere egli rimirato con volto benefico dalle stelle, fece subito architettare nella sua regia un Cielo con tal positura di pianeti, che non solo gli volgessero benigno l’aspetto, ma gli presagissero felicissimo l’impero. Quanto tardi, tanto male avvedutosi, la temerità non fabbricar grandezze, ma precipizi. Savia però e pia è la consuetudine de’ Cattolici nell’ergersi Cieli in terra, non ad onta, ma alla venerazione di Dio, per quivi fabbricarsi la propria fortuna, e quasi dissi, mutare Dio di severo in piacevole, di sdegnato in amante, di Giudice in Padre, bene intendendo essere la pietà poco meno che l’arbitra della Onnipotenza. E che ciò sia vero, che favori, che grazie, che benefici non impetrano i fedeli da Dio ne’ Templi? – Te chiamo in testimonio o Roma, che presso al seicento, prima soffocata dalla inondazione del tuo Tevere, poi quasi estinta dalla infezione di contagiosa pestilenza, allora risorgesti a nuova vita, quando t’incurvasti nella Basilica Liberiana cessando in quel medesimo tempo la strage dell’Angelo percussore, in cui principiarono le preghiere del tuo popolo supplichevole. Te pure voglio in conferma del mio dire, o Verona, quando, come narra San Gregorio, il tuo Adige gonfio per le piogge, e per l’influsso di numerosi torrenti che in sé riceve, superando ogni sponda, rompendo ogn’argine uscì e si stese facendo d’ogni via un ben grosso fiume, della piazza un lago, della città tutta, e delle campagne un piccol mare, e degli uomini averia fatto un comune naufragio, se il popolo ritiratosi dalle case non si raccoglieva nel Tempio ad orare come in arca di salute contro quel domestico diluvio, ed infatti nel fuggire i pericoli del diluvio trovarono i privilegi del Mare Eritreo. Cresciute per ogni lato a dismisura le acque, s’alzavano alle porte, alle finestre, aperta all’ingresso ogni via; ma il non trascorrere, il non entrare, il far di sé argini e sponda fu forza d’un miracolo, che le congelò, le impietrì, e le fermò in soliditatem parietis. Cinto dunque il popolo da tanti miracoli, quante erano le acque, ebbe necessità d’un altro miracolo, perché le acque fatte già un muro non si facessero un sepolcro a quanti starebbero quivi imprigionati, penuriando e morendo di fame e sete. Eccole pertanto alla sodezza sasso, alla fluidezza fonti, scorrere per le strade, e disfarsi, liberando quel Popolo contrito. Voi vi stupite, miei UU., in udire prodigi sì belli della Onnipotenza Divina: Roma liberata da fierissima peste; Verona sottratta dalle inondazioni funeste del suo Adige; non vi stupirete però, se rifletterete tutto essere effetto di somma riverenza alle Chiese. Che meraviglia, che le Chiese partorissero sì gran bene, quando tanto erano riverite non pure dall’infima plebe, ma da’ monarchi. Leggete le Storie antiche, e troverete che Teodosio il Giovane, Imperatore di sì gran nome e stima, a cui servivano riverenti più nazioni, al di cui comando obbedivano numerose province, ed al balenar della di cui spada anche i regi s’intimorivano. Or questi, prima di por piede nella soglia adorata della Chiesa, non solo licenziava da sé quante l’attorniavano milizie, e quanti lo corteggiavano cavalieri; ma scintasi la spada, si spogliava del regio ammanto, deponeva l’imperial diadema, e tutto lasciando nei liminari della Chiesa quivi stava in atto d’ogni ordinario cavaliere con gli occhi fissi al sacro altare, ed in portamento sommamente modesto. Che meraviglia, torno a dire, che le Chiese partorissero sì gran prodigi, mentre in quei tempi era somma la riverenza de’ fedeli alle Chiese. Celebrava il Santo Vescovo Ambrogio nella Basilica maggiore della città di Milano ogni giorno i Divini Offizi con gran frequenza di gente. Si stimò offesa l’Imperatrice eretica da esercizio sì devoto, e sì pubblico. Scelte pertanto delle sue guardie due compagnie d’uomini d’arme, spietati di natura, idolatri di setta, ed inviolli alla Chiesa con ordine che trucidassero quanti sacrificavano col Prelato o assistevano al Sacrifizio. Giunta la Soldatesca alla porta della Chiesa, con urti violenti la sforzò; indi entrati i barbari fino ai liminari del Santuario, già calavano le lance per investire chi cantava; ma che? in vedere il silenzio del popolo, in udire la melodia de’ cherici, in considerare quel bell’ordine de’ ministri, in riflettere alla maestà d’Ambrogio, che celebrava, in rimirare finalmente i raggi di predestinazione che rilucevano in fronte de’ supplicanti, talmente si commossero che deposte le armature, e gettate le aste, disarmati e piangente, chiedessero ad alta voce il Battesimo; e tale e tanto fu il lume ed il fervore che concepirono per la modestia di quel popolo, e per la maestà di quel clero, che dopo breve istruzione ne’ Misteri di nostra Fede, vollero lavarsi nel sacro fonte e rinascere a Cristo. Quanto in tal congiuntura fosse il giubilo di quel santo prelato e di quel popolo, chi può mai esprimerlo? Questo però venne non poco amareggiato, quando videro che i soldati appena ricevuto il carattere di Cristo con più furia di prima si rivestirono delle armature, si cinsero le spade al fianco, ed impugnarono con mano ardita l’alabarde, sicché in quel subito stima ognuno che quei barbari avessero chinate le teste al sacro fonte non per altro, che per beffare i riti della Chiesa Cattolica; quando ben presto tornarono alle prime e maggiori alle grezze, poiché quella nova squadra di Cristo, preso posto alle porte del Tempio, giurarono tutti di difender la Chiesa da chiunque tentasse d’oltraggiarla, protestandosi di non conoscere in ciò l’augusta regnante, e minacciando animosamente, che quando ella non rispettasse quella vera casa di Dio, l’avrebbero assediata nel proprio palazzo. Eccovi le parole del Santo Vescovo nell’Epistola 33 ad Sororem: Venerunt cum armis, et circumfusi occupaverunt Ecclesiam; qui enim venerunt facti sunt Christiani, defensores habeo quot hostes putabam, socios teneo quot adversarios existimabam. Voi esclamate: o che Prodigi son questi veder barbare milizie, che venute per far strage de’ Cattolici, depongono l’armi, si fanno Cristiane, e difensori della Santa Fede. Non vi stupite, perché son tutti effetti prodotti dalla riverenza alle Chiese. Tali e sì prodigiosi effetti non si potrebbero vedere oggidì, poiché se entrassero nelle nostre Chiese i gentili, qual riverenza scorgerebbero nella plebe? Qual modestia nella nobiltà? Qual ritiramento nel clero? Ditemi; ammirati dalla devozione, chiederebbero forse d’esser prontamente battezzati? Eh Dio! Lasciate che io lo dica, eh Dio! Sarebbe tale lo scandalo che riceverebbero per la profanità de’ discorsi, per l’irriverenza di chi volta le spalle al venerabile Sacramento a titolo di compiacere o al prurito della lingua o alla curiosità degl’occhi, che stomacati volterebbero. Sì, dico, volterebbero le spalle, perché vedrebbero le Chiese di Cristo posposte alle anticamere de’ principi, ove per riverenza del monarca, o non si parla o se si parla, appena si articolano le parole; e nelle Chiese si articolano le parole? non solo si articolano, ma si proferiscono talora le più insolenti, le più sconce, le più laide, quelle che talora per gran timore non avrebbe ivi ardire di pronunciare un diavolo d’inferno; né solo non si tace, ma vi si fa strepito tale, di riverenze, di saluti, d’inchini, che spesse volte son costretti a fermarsi nel Sacrifizio i Sacerdoti, ed ad interrompere da pergami le prediche fatte. Oratore. Se bene, che parli? mi rimprovera San Gio. Crisostomo; dovevi dire che le Chiese si pospongono non alle anticamere, ma ai teatri stessi di commedie, ove par che le scelleraggini abbiano porto di franchigia. Piacesse a Dio che si rispettassero i tempi, come si rispettano i saloni delle commedie. Basterebbe, per così dire, che in tal guisa si trattassero i Sacerdoti, quando alzano l’Ostia consacrata, come son trattati gl’istrioni quando rappresentano in palco o le frenesie di Didone, o le mascherate di Giove. Basterebbe che alle scene si eguagliassero gli Altari; può mai chiedersi cosa inferiore a questa? E non impallidite a paragoni simili? Udite ciò che dice Crisostomo: si nega a Cristo ne’ Templi, ciò che si concede a’ commedianti ne’ palchi; non v’è, dice il Santo, non v’e giovinastro sì scorretto, né femmina sì dissoluta, che al calar della tenda non si acquieti e non oda con somma attenzione ciò che espone la favola, eppure l’autore di essa è il demonio, ed il contenuto sono sciocchissimi sacrilegi. Ad ogni modo, se in tanta moltitudine alcuno si scomponesse con i gesti, o si strepitasse con le parole, l’udienza tutta lo sgriderebbe, ed a forza di bastoni lo caccerebbe fuori: Cum in Theatro Chori canunt Satanici, summa quies, et magnum silentium. Per l’opposto, nella Chiesa, ove si leggono gli Evangeli di Cristo, si cantano Salmi di David, si vedono talora circoli scandalosi, ove non manca chi con ciarle moleste offenda le orecchie di chi ora; Hæc ne grida il Grisostomo, sunt tollerabilia hæc ne ferenda? Son cose queste da tollerarsi, da sopportarsi? Non è lecito per ricreazione innocente d’un popolo in alzare un teatro in quel luogo, ove sta collocata la statua dell’Imperatore; e nella Chiesa, ove sta il Re del Cielo, non rappresentato, ma vero e vivo, alzano molti Cristiani dentro de’ loro cuori indegni, teatri di amor profano, sicché se si hanno da tendere insidie all’onestà, il sito più opportuno è la Chiesa di Dio! Peggio, sì, v’è di peggio ed è che da molti, e molti si trattano al pari de’ luoghi infami. Ah, che mi sento serrare il cuore in pensare a’ peccati che si commettono nelle Chiese davanti a Dio talora Sacramentato. – Voleva l’empio Caligola profanare il Tempio di Gerosolima con porvi la sua statua; Quando Filone a lui Ambasciatore, per dissuaderlo, dissegli: Monarca, al nostro impero sono suddite tante città, tante isole, tante Province, e tanti Regni. Deh, riflettete esser troppo non voler lasciar a Dio neppur il Tempio elettosi in terra per sua abitazione: … Non contentus Imperio tot Provinciarum, Insularum, Gentium Deo in terra nihil vis relinquere, ne Fanum quidem? Tanto io dico a quelli indegni che, dato un calcio al Paradiso, a Dio, cambiano le Chiese in lupanari, trafficando, comprando e vendendo l’altrui onestà; mancano piazze, mancano case, mancano abitazioni, mentre volete profanare le Chiese di Dio? Ah Paolo Apostolo, voi, che pieno ed acceso di santo zelo, rimproveraste coloro, solo perché mangiavano in Chiesa gridando: Numquid Domos non babetis ad manducandum, et bibendum. Rinfacciate, rimproverate la sacrilega sfacciataggine di non pochi Cristiani, e dite loro: Numquid Domos non habetis; Oh Dio! lo dovrò dire? già m’intendete; non mancano camere, non mancano sale, che profanate ancor la Casa di Dio. O Dio! Lupanar ergo vobis videtur Ecclesia, griderò anch’io inorridito col Boccadoro. Hai ben ragione o santo Profeta Geremia mentre tutto addolorato al riflesso di queste verità vai esclamando: Quid est quod dilectus meus in Domo mea fecit scelera multa? quasi dir volesse: pur troppo mi duole che i gentili ed i Turchi strapazzino le mie Chiese; che gli eretici e gl’Ebrei disprezzino i miei Templi; ma pure il sapere, che questi mi sono nemici, m’è d’alleggerimento al dolore; quello che mi trapassa il cuore, è che dilectus meus, che il popolo Cristiano a me diletto, da me ricomprato col mio Sangue abbia ardire in casa mia, nelle mie Chiese, alla mia presenza Sacramentale commettere scelleraggini! Questo è quello che non posso né capire, né sopportare, in Domo mea scelera multa; e quali sono queste iniquità? Quali lo stesso Cristo l’esprime in quelle parole: Vos autem fecistis illam speluncam latronum; avete resa la Chiesa una spelonca di ladri, che vale a dire voi fate nelle Chiese, ciò che gli assassini nelle pubbliche strade: questi, preso il passeggero, per potere senza timore spogliarlo di tutto, lo conducono alla vicina spelonca, e quivi commettono quella scelleraggine, che temono di commettere nella pubblica strada. Così fate voi, o scellerati, che cambiando le Chiese in scellerati ridotti, poiché ardite di farvi ciò che non ardireste nelle più frequenti contrade. Non vi stancate o Girolamo che non è più tempo di dire a chi patisce o incendi di sdegno, o fiamme d’avarizia, o lordure di senso: entra, entra in quella Basilica di Martire, od Apostolo, e subito a’ riverberi della santità che esce da’ marmi stessi de’ santuari, ricupererai e pace e luce, e temperanza. Do consilium ingredere Basilicas Martyrum, et aliquando purgaberis; non parlereste, no, così a’ tempi nostri, perché scorgereste regnare nelle nostre Chiese la sfacciataggine a tal segno, che molti entrano ne’ Templi meno rei di quel che n’escano. Riveriti ministri del Tempio, cessate vi prego di più solennizare con sacra pompa la memoria di chi regna in Cielo; non vestite né di preziosi addobbi le sacre mura, non cercate no musici che con voce angelica allettino la gente ad udirli, no no, mutate parere, spogliate i sacri altari, celebrate con ordinario apparecchio le vostre feste, perché pietas vestra contumeliam suscitabit, la vostra pietà sarà cagione di maggiori irriverenze. E voi sacri Sacerdoti, nelle solennità di vostre Chiese, non esponete a pubblica udienza l’adorato Signore nell’Ostia consacrata, perché pietas vestra, grida Ugon Cardinale, contumeliam suscitabit, perché sarete cagione di maggiori peccati, non verranno per adorar Cristo, ma per ucciderlo con più sacrilega cospirazione; non per placare l’ira di Dio, che già stringe fulmine per incenerirli, ma bensì con più insolente petulanza la provocheranno a vendicarsi. Voi salmeggerete ed essi cicaleranno, voi con affetti castissimi porgerete preghiere a Dio ed essi, con ragionamenti lascivi, con cuor impuro l’offenderanno. Sacri Pastori della Chiesa Cattolica piangete pure amaramente la profanazione de’ vostri Santuari, e se sarete interrogati da Dio, come già, Ezechiele, di quello che vedete praticarsi ne’ vostri Templi, dite pure ancor voi con singulti: video, video abominationes … vedo i Santuari divenuti postriboli, ove sono ementes, vendentes con ardire da ateo e con sfacciataggine da barbaro l’onestà, la continenza. Video abominationes magnas, vedo uomini, che immersi in pensieri laidi, somigliano non a Cristiani nel Tempio, ma ad animali nel bosco: Et ecce similitudo reptilium animalium. Passate avanti col Profeta e, col custode del tempio, pronunziate: video abominationes majores, vedo donne idolatrate con occhi impuri, ed incensate con sospiri d’incontinenze, idola domus depicta, ed a ragione, perché molte donne han la faccia dipinta a fresco; veggo stantes ante picturas, unusquisque habebat turibulum. Né qui fermatevi, ma esclamate col Profeta, e col custode del tempio: Video abominationes majores, vedo uomini, che stanno in Chiesa con ginocchia piegate, ma subito che entra colei, ecco che voltate le spalle all’altare si rivoltano ad adorar quel viso, dorsum habentes contra templum Domini, et adorabant ad ortum solis; mentisce forse il Profeta, miei UU.? Mentiscono i sacri Pastori con i custodi del tempio? Mentisco io con dire che si fanno le Chiese postriboli? No! Ditemi: perché venite alla Chiesa molti e molte di voi? Per sozzi amori, per esser rimirate e vagheggiate; negate ciò, se potete, voi giovani, che state sulla vita amorosa, e molto più voi donne, e dame, che con tanta boria venite ed ascoltate a questo proposito un bel racconto. – Un gran titolato, benché cavaliere di gran nascita, si portò con pompa anche superiore a’ suoi natali alla corte di Carlo Quinto, a solo titolo, come egli diceva, di vedere quel grande imperatore. Non è vero disse Cesare, allorché seppe l’addotto motivo. Questo cavaliere non è venuto per vedere né la corte, né me, ma è venuto per farsi vedere e dalla corte e da me; non son venuti alla Chiesa quei giovani tutti profumati e nell’abito e nella persona per riverire la Vergine Santissima, Iddio, ma per amoreggiare; non si sono portate al tempio quelle donne tutte vane nell’abito e tanto più leggere nella testa, quanto più la caricano d’ornamenti, che sollevati in alto mostrano nell’agitarsi ad ogni vento l’incostanza del cervello che le inventò; non sono venute, dico, per impetrare grazie da’ Santi, da Maria, da Cristo, ma per farsi vedere scollate, sbracciate, spettorate, e così tirarsi addosso l’ira de’ Santi, della Vergine, e di Dio; e non è questo trattar le Chiese da postriboli? mentre quivi si va senza riserba a caccia libera d’ogni sorte di disonestà. Platone nelle sue leggi proibì la pesca dentro i porti del mare, parendogli crudeltà, che dove gli uomini trovavano la sicurezza, i pesci incontrassero i pericoli; non così fanno gli empi profanatori de’ templi mentre neppur ne’ porti de’ Santuari, nelle Chiese vogliano sicura delle loro reti l’innocenza, l’onestà. E dove siete ministri de’ sacri altari, che non gli chiudete le porte in faccia e non gridate ancor voi con i custodi del Cielo foris canes? Almeno sottentrate voi all’offizio Angeli tutelari. Deh ruotate quella spada, al di cui folgoreggiare inorridì una volta Costantinopoli, e tra gli empi soldati di più empia imperatrice, ad alcuni inaridirono le braccia, a tutti il cuore. Ma se, non i custodi, né gli Angeli si risentono degli oltraggi di questi Cieli terreni delle Chiese sacrosante, se ne risente Iddio, e se da esse tramanda benefiche le influenze in quelli che le rispettano, sa altresì senz’ombra di pietà scaricar fulmini severissimi sopra le teste di quegli iniqui che le strapazzano fino a farle divenire postriboli. Ricordatevi, miei UU., che il Tempio di Salomone si stringeva in forma di leone per additare agli irriverenti nelle Chiese, che Dio contro di loro si sarebbe fatto implacabile e spietato leone, li avrebbe assaliti, uccisi e sbranati. Li altri delitti si scrivono nella polvere, perché facilmente restano scancellati dall’aria d’un fiato penitente; ma i commessi nella Chiesa si scrivono, come dice il Profeta, ne’ corni dell’altare con l’ugna di Diamante, come quasi impossibili a scancellare: Domus mea, Domus orationis, questa è casa di santità, non di lascivie; Domum tuam decet sanctitudo, così parla il Salmista, non occorre altro, è delitto di lesa Maestà offender Dio in sua Casa. La testa di chi sguaina la spada, nonché alla presenza del Principe, ma nel suo palazzo, ne paga il delitto; e non volete che Dio si palesi terribile contro chi uccide nelle Chiese alla sua presenza e l’anima propria, e quella de’ prossimi? Volete voi vedere quanto grave delitto sia portar poco rispetto alle Chiese? Negate, se potete, che ogni qual volta un principe voglia eseguir la giustizia di sua mano, non vi venga tirato per un eccesso de’ più enormi; scorrete dunque le sacre carte, e non troverete che Iddio abbia mai castigato i delinquenti di sua mano. Peccarono i nostri primi Padri tra le delizie del Paradiso Terrestre, Iddio, che li volle puniti, vi spedì un’Angelo che gl’intimasse l’esilio. Peccò Erode superbo affettator d’onori anche divini, e fu da Dio percosso, ma per mano d’un Angelo. Mai, mai Iddio ha steso la sua mano divina al castigo de’ peccatori salvo che nel profanamento delle sue Chiese; chi può dunque negare, che non sia un grand’eccesso portar poco rispetto alle Chiese; e qual castigo non si può aspettare chi le profana con pensieri, con parole, con discorsi, e talora con opere indegne? Aspettatevi pure i più fieri castighi, che possano uscire dalla mano sua onnipotente. E che credete voi, che Iddio o non possa, o non voglia, o non li usi? V’ingannate.  Dicalo Arnolfo imperatore, che per esser stato irriverente nel Tempio si vide il corpo ridotto in cadavere, tenuto però lungamente vivo in corte, perché i Cortigiani imparassero a meglio vivere nelle Chiese. Dicalo quell’infelice nel Settentrione, che nel Secolo passato fu scannato sopra quella medesima pietra sacrata da lui vilipesa. Dicalo quel giovane a cui, pochi anni orsono, dolendosi avanti l’Immagine della Vergine per la morte d’alcuni suoi Compagni, seguita nell’età più florida, sentissi rispondere dalla Madre di Dio che erano morti in pena del poco rispetto portato alla Chiesa, e però da sua parte ne avviasse il predicatore, che ne intimasse al popolo. Voi ve la ridete in sentir quelle mie minacce, perché le stimate spari d’artiglieria sì, ma senza palla; tuoni sì, ma senza fulmini; non sarà così, non sarà; interverrà a voi come alla infelice città di Gerico, che cambiò le risa in amarissimo pianto. Aveva Giosuè dato ordine che per sette mattine si portasse l’Arca in giro delle mura, che precedessero le truppe armate, e che appresso seguisse il popolo, ed i Sacerdoti intanto facessero risuonare suono di trombe; fu eseguito l’ordine del generale, con gran terrore della città assediata, la quale nel veder quell’ordinanza, ed udir quelle trombe guerriere, già si aspettavano la rovina della patria; ma quando poi s’accorsero, che a tanto strepito non seguì niuno effetto, si sollevarono da timori concepiti, i quali del tutto svanirono. La seconda mattina, mentre videro che con eguale ordinanza, accompagnamento e suono si circondarono nuovamente le mura. Non così seguì la terza mattina, perché nel vedersi girar le milizie attorno alle mura, non solo non ne ebbero spavento, ma cambiarono tutto il terrore in deriso, vedendo che tutto il loro assalto terminava in apparenza di milizie, ed in vano strepito di trombe. Lascio ora a voi, miei UU., il considerare quali dovettero essere i beffeggiamenti e le risa del popolo di Gerico verso le milizie di Giosuè, nel vederle girar la quarta, quinta e sesta mattina, certamente dovevan dirgli e con le voci e col cuore: suonate pure allegramente, che noi al suono delle vostre trombe faremo le nostre danze, i nostri balli. E che vi credete di poterci sbalordir con lo strepito, già che non potete col valore? E se tanto probabilmente dissero in questi giorni, che dovettero dire allorché le rimirarono la settima mattina? Dovettero a dismisura crescer le beffe ed i risi. Ma che! Ecco che in quella mattina succede l’universale ruina delle muraglie. Septimo circuitu clangentibus tubis muri illico corruerunt, … cadono le cortine, rovinano i torrioni, entrano gl’Israeliti e senza riguardo né a sesso, né a condizione, né ad età svenano quanti trovano ed allagano la città di sangue, seminando ogni via, ogni piazza di cadaveri. Or che voglio io dire? Ecco cari miei UU., Iddio minaccia, Iddio grida per mezzo de’ suoi ministri, suonano le trombe evangeliche: si rispettino le Chiese, modestia nella Casa di Dio. E voi che fate la prima volta? Concepite qualche terrore, come i popoli di Gerico, e per ciò entrate con più modestia nella Chiesa. Ma nel sentir poi strepitar la seconda volta: rispetto alle Chiese! Cambiate il timore in meraviglia, e cominciaste a dire dentro di voi: che pretendono con questi schiamazzi che ogn’anno replicano su’ pulpiti? E la terza volta? La terza volta ve la rideste apertamente con i compagni nelle esse Chiese, dicendo: io non vedo quel colpo, questa spada; non vedo castighi, benché amoreggi nelle Chiese: bene, verrà la rovina a voi come venne a Gerico; non è giunto ancora il tempo, come venne a quel misero giovane, di cui ne fu stampato il funesto accidente accaduto in una città del Piceno. Se ne stava questo giovine alla predica del rispetto alle Chiese; ma egli avvezzo a strapazzare Dio in Casa sua più che mai in quella mattina lo vilipendeva; poi nell’atto della predica stessa stava con uno stile facendo un foro a quelle tavole che servono di divisorio tra gli uomini e le donne per mirare lascivamente certa femmina. Se ne accorse il predicatore e dall’alto sgridò con parole ben capite da lui, benché non intese dal resto dell’udienza; minacciò il predicatore che quel ferro che adoperava a servizio sì indegno gli avrebbe data la morte. Cieco costui d’amore, chiuse il cuore a quelle voci, che ben presto si verificarono, poiché non passarono giorni che venuto a rissa con un rivale a causa di quella stessa femmina, non avendo quegli armi, tolse al nemico quello stilo, glielo piantò in petto, gli schiantò l’anima dal seno. Gran caso è questo; ma non minore è il seguente. Udite, irriverenti alle Chiese, profanatori de Templi. Una Chiesa in Roma, non ha molto, che fu per più giorni scena aperta alle impudicizie di sguardi, di cenni, e d’imbasciate d’un giovane scapestrato, e d’una sfacciata donna. S’inoltrarono tanto i reciproci affetti, che dagli sguardi si giunse alle parole, e riuscì da stabilire un lungo congresso da farsi nella medesima Chiesa, in cui si sarebbe determinato il modo e l’ora per giungere all’adempimento della loro disonestà. Si portò dunque alla Chiesa l’indegna femmina nel giorno ed ora accordata, e dopo aver con cuor immondo, e con sozza mente recitate poche Ave, si pose ad aspettare l’amico; passò l’ora prescritta ed il giovane non si vedeva; penava la donna, ma pur sperava, che dovesse venire quando vedendo farsi l’ora tarda, ecco che si alzò per partirne; ma fu fermata da una turba di popolo, e dal canto flebile del clero, che portava in quella Chiesa a seppellirvi un morto; interrogò, curiosa la donna, chi fosse defunto, e sentissi dire, il tale di tale, cioè il nome e cognome di quello appunto che ella ivi aspettava per concluder con esso il giorno e l’ora della vendita dell’onore e dell’anima. Considerate qual fu l’orrore; ma non potendosi persuadere, replicava … ma chi? Ora il vedrete, gli fu risposto, ed ecco che scopre telo, fu ‘l cataletto lurido, lercio, squallido, per esser tra poco cacciato in una fossa, quello con cui in quella Chiesa si doveva stabilir l’ora del peccato. – Queste sono le risposte de’ peccati che si commettono in Chiesa, la morte! Non ci volete credere? Seguitate pure con cenni disonesti, con occhiate lascive, con discorsi laidi, con opere nefande a contaminar le Chiese, ma poi aspettatevi la morte temporale in castigo, per preludio della eterna.

LIMOSINA

Un povero padre, carico di dodici figli, non avendo più che un piccolo podere da lasciargli, fece una scrittura autentica, nella quale cedeva a Dio tutto quel podere in benefizio de’ poveri, e postala nella punta d’una saetta, la scoccò in aria per mandarla al Cielo, né mai più la vide. Morto poco dopo e salito al Cielo, vide dal Paradiso tutti quei suoi figli con la lor discendenza straordinariamente beneficati. Intendetela con Agostino  che chi dà a Dio, non può di meno di non arricchire, poiché Egli è quello di cui dice il Santo, et aliud dabo, plus dabo, et melius dabo, e quel che più importa, in æternum dabo.


SECONDA PARTE.

Gran castighi son questi, ma in essi non vi apparisce, salvo che la perdita della vita. Eh che a chi è irriverente nelle Chiese son preparati castighi eterni; ecco le voci d’Isaia, che mi risuonano alle orecchie, abili ad atterrire ogni protervo: iniqua gessit in terra Sanctorum, non videbit gloriam Dei; Non siete castigati di qua, lo sarete di là nell’inferno: profanatori de’ templi, irriverenti nelle Chiese, non vi è Paradiso per voi; non vi punisce Iddio di quà, perché per voi la pena temporale è poca. Iddio, perché non può darvi pena proporzionata in questo mondo, ve la riserva nell’altro … gessit iniqua in terra Sanctorum non videbit gloriam Dei. Cristiani miei, se per farvi mutar vita, ed essere riverenti nelle Chiese non basta il dirvi per bocca di Dio, che non v’è Paradiso per voi, non so più che dirmi, e pure ci son di quelli che hanno orecchie sì sorde, onde seguiranno a parlare, a contar novelle, e ridere, amoreggiare, a discorrere con tal temerità, come se fossero non nella Reggia d’un Dio sensitivissimo di un sì fatto disprezzo, ma ne’ giardini d’Eliogabalo, che rimunerava l’irriverenza. Se così è, mio Dio, non più pazienza, fulmini, fulmini per incenerire questi empi, e per sotterrarli nelle fiamme eterne. Ecco che ve l’intima l’Apostolo a nome di Dio, … si quis violaverit Templum Domini perdet illum Dominus; a guisa di Giuda sarà figlio di perdizione, sarà dannato l’irriverente nelle Chiese; ma dove piomberà? Dove appunto sprofondò quella nobildonna in Calabria a solo titolo delle sue irriverenze nelle Chiese fatte da lei teatri d’amori e scene di vanità. Uditene… Questa riconoscendosi pur troppo vaga di sembiante, abusandosi d’un tal dono, ad onta del donatore, in ogni luogo, ma specialmente nelle Chiese interveniva per essere idolatrata. Fu più volte, ma indarno ammonita; ond’è che Dio stanco di tollerarla venne al castigo. Stavasene ella di sera ad una gran festa; quando sorpresa improvvisamente da fiere doglie di viscere’ fu costretta a strani lamenti, a smanie, Giacché scompigliata la testa, fu ella più morta che viva e portata alla casa paterna. Quivi chiamati i medici, ogni rimedio fu vano, ond’è che disperata di salute, fu consegnata a’ Sacerdoti, uno de’ quali ingegnandosi di ridurla ad una buona Confessione, altro non ritrasse dalla bocca di quella rea femmina, che difese de’ suoi peccati, senza mostrar principio di pentimento, e perché il Sacerdote neppur si quietava per farla ravvedere del suo errore, la sentì prorompere come una furia in queste parole: se Iddio mi vuole qual io mi sono, mi pigli, se no, lasciami stare; e rivoltate le spalle, cominciò rabbiosamente a muggire, né più parlò. Frattanto il padre della giovane che l’aveva veduta trattenersi molto col Confessore, credette che si fosse confessata, e perciò mandó ad avvisare il curato, che senza indugio portasse il Santissimo Viatico. Ecco, che se ne viene il buon curato con grandissimo accompagnamento di gente stordita al caso di morte tanto inaspettata. Deh mio Dio, datemi, vi prego ora una energia, una efficacia pari al successo, che mi rimane a raccontare. Non prima il Sacerdote comparve con la sacra pisside in mano avanti la stanza ove giaceva la rea femmina, che subito dalla finestra di rimpetto si levò un furiosissimo vento che gli serrò con impeto dispettoso la porta in faccia; corsero i servitori per riaprirla, ma spaventati fuggirono, giacché cominciossi subito a sentire entro la camera un tal fracasso di strascinate catene, una confusione di voci tartaree che ben pareva essersi quivi racchiuso un piccolo inferno. Si scompiglio’ a questo rumore tutto impaurito quel popolo che colà si era adunato, ed il Sacerdote, dopo aver per qualche tempo aspettato, deliberò tornarsene col Santissimo Sacramento alla Chiesa. Partito che egli fu, tra pochissimo d’ora cessò lo strepito, si mitigò lo spavento e così riuscì aprir con somma facilità la porta. Pareva che tutta la camera fosse stata messa a ruba, spezzata la lettiera, sconvolto il letto, abbattuto il bel padiglione, tutte per terra le vesti, disperse le anella, le ambre, sparse le acque odorose; ma quello che soprattutto metteva orrore era la donna, la quale del tutto spogliata, giaceva sul pavimento già morta, e con volto sì spaventoso a rimirarsi che ben vi si leggeva sulla fronte descritta la dannazione. Lascio a voi il considerare qual fosse l’afflizione di quel povero padre, scongiurò tutti i domestici a non voler per riputazione svelare il fatto, e poi fatte in tutta fretta private esequie alla defunta la fece di notte seppellire in sagrato; ma che? Credete voi, che la Chiesa volesse in seno ricever morta colei dalla quale aveva ricevuti tanti oltraggi, con tante irriverenze d’amori, di vanità? Appunto, ecco, che la mattina seguente vien data nuova all’afflitto padre, che la figlia giaceva all’aria insepolta, egli la fece allora seppellire in diversi luoghi, ma vedendo che da per tutto da terra l’escludeva, e non poteva trovar modo da levarsi davanti agli occhi quell’obbrobrioso cadavere tutto pieno di furore, esclamò: se così è, vengano dunque i diavoli, e via si portino nell’Inferno anche il corpo di mia figlia, dacché v’hanno l’anima. Non tardarono questi, gradirne il dono … Venne uno stuolo di demoni, quasi stormo avidissimo d’avvoltoi, e come è fama anche grande in quella città, si portò seco con una festa propriamente infernale quell’infelice cadavere, né mai più comparve. Rispetto alle Chiese, miei Uditori, rispetto alle Chiese, perché tali castighi si preparano ancor per voi, se profanerete con sguardi lascivi, con amori impuri, con vanità scandalose con discorsi laidi i Templi di Dio.

QUARESIMALE (XXIV)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.