QUARESIMALE (XVII)

QUARESIMALE (XVII)

DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA DECIMASET


Si mostra la sciocchezza di chi importunamente giura, l’enormità di chi spergiura, l’indegnità di chi bestemmia.
In veritate dico vobis. San Luca, cap. 4



Se la medicina delle anime si deve valere a proporzione di quelli stessi aforismi de’ quali si serve la medicina de’ corpi, male per chi importunamente giura, peggio per chi spergiura, pessimamente per chi bestemmia. Guai a voi, che con giuramenti senza proposito vilipendete il nome di Dio, con spergiuri ne strapazzate l’autorità, e con bestemmie ne disprezzate la Maestà; voi che così fate, siete a mio credito, con un piede nell’Inferno. È legge stabilita dai medici, che nei mali singolarmente acuti, i più certi segni si colgano dalla lingua, stimata allora sì fedele nel darli, che vince il polso. Quando vedasi per tanto in bocca d’un febbricitante una lingua che nel medesimo tempo comparisca o nera come uno spento carbone, o ardente come un acceso, sappiate che in tal caso, quantunque il polso, sto per dire, ottimamente regolato, asserisce perfezione di sanità, non gli si deve credere, ma dovendosi prestare tutta la fede alla lingua, può apparecchiarsi il funerale ed aprirsi il sepolcro, perché l’infermo è spedito. Lingua nigra e virulenta calamitosissima, scrisse da suo pari, Ippocrate. Lo stesso dirò io nella cura delle anime vostre. Se io tocco il polso ad alcuni, non lo trovo cattivo; vengono molti alla Chiesa, altri digiunano, dispensano altri larghe limosine, non tralasciano le quotidiane orazioni, assistono ogni dì al Sacrificio della Messa, tutto è vero. Ma a che servirà se la lingua loro è tutta infiammata per i continui giuramenti e spergiuri, e quel che è peggio annerita ed avvelenata per le bestemmie? Avvertite voi che avete lingue sì perfide, e che senza riguardo alle anime vostre, senza rispetto a Dio giurate, spergiurate e bestemmiate, perché avete dentro di voi un’occulta malignità, la quale vi darà morte eterna. Con voi dunque me la prendo, mostrandovi la sciocchezza di chi giura importunamente e l’enormità di chi spergiura, e l’indegnità di chi bestemmia; l’argomento merita attenzione. – Non vi crediate già miei UU., che io intenda vietarvi il giuramento lecito, o questo no! Pertanto, se la necessitá di purgare voi stessi falsamente accusati, o per motivo di liberare il prossimo a torto oppresso, siete costretti a giurare, giurate. Tanto v’approva ancor Socrate, vel ut teipsum turpi suspicione liberes, vel ut amicum ex magnis periculis eripias. Lo stesso Dio per Geremia al Cap. 4. v’assicura di giuramento ben fatto e senza colpa, ogni qual volta vi concorrano tre circostanze: et jurabis vivit Dominus, in Veritate, in Judicio, in Justitia; Io dunque torno a dirvi, non intendo del giuramento ben fatto, ma bensì me la prendo contro l’intollerabile costume di non pochi Cristiani, i quali non fanno aprir bocca senza giurare, ed è sì frequente un tal abito in loro, che Sant’Agostino potrebbe tornare, anche ai dì nostri ed esclamare, non essere ormai tante le parole che si proferiscono, quanti i giuramenti che si fanno. Entrate per le botteghe e sentirete che le bocche di quei lavoranti non sanno parlare senza giurare; portatevi a quei fondachi, a quei banchi, non sentirete altro linguaggio che per Dio, alla fede di Dio. Penetrate le case, non solo della plebe più infima, ma della nobiltà, e quivi pure sentirete lo stesso; così per le strade, così per le piazze, sicché l’aria è ammorbata di giuramenti; anche le Chiese son costrette a sentire questi giuramenti, e talora da Sacerdoti, nelle di cui bocche, se le bagattelle, al dir d’Agostino, sono quasi bestemmie, che sarà sentir continui giuramenti? È vero Padre, si giura; ma non per questo si commette peccato grave. Basta, io non voglio qui decidere se siano peccato mortale! Dico bene che questo è un disprezzare il Nome di Dio, e che Iddio, così maltrattato da voi con tanti giuramenti senza necessità, si dichiara volersi vendicare. Sentite come parla nel Deuteronomio al 5. Non erit impunitus, qui super re vana nomen meum assumpserit: sarà castigato, chi mi maltratta, servendosi invano del mio Nome. Ma se Iddio si dichiara di voler severamente punito chi giura per cose indifferenti, quali castighi non adoprerà per punire quelli indegni che ardiscono chiamare in testimonio Iddio per un’azione proibita dallo stesso Dio? Mi spiego: quali castighi non adoprerà per punire quel giovane che chiama in testimonio Iddio per sedurre quella giovane, con giurarle l’amore che le porta, che la sposerà, e la fedeltà che le userà nel tradimento, che sarà per farle togliendole l’onore. Sarebbe, quasi dissi, poco male, se il giurar senza proposito che vale a dire vilipendere il Nome di Dio, partorisse solo gli accennati mali. Il peggio è, che dal giuro si passa facilmente allo spergiuro, impossibile est jurantem non perjurare; dal giuro allo spergiuro v’è un breve passo, che è quanto dire che dal vilipendere il Nome di Dio con giuramenti, si passa a strapazzare l’autorità con gli spergiuri. Mento forse a dire che gli spergiuri strapazzino l’autorità di Dio? Appunto, ecco che ve’l fo toccar con mano, e vi fo vedere che strapazzate in modo l’autorità di Dio, chiamandola in testimonio delle vostre falsità, che vi vergognereste di strapazzare in tal forma quella d’un uomo vostro pari. Vien qua tu che nelle piazze, nelle botteghe, ne’ tribunali giuri il falso, dimmi: quando tu sei risoluto di fare quel giuramento falso, ardireste di chiamare quell’amico, quel cavaliere, e di dirgli: signore, venite di grazia meco e con me fate falso testimonio che questa roba val tanto; dite che il tale ha rubato, ha ucciso, quantunque non sia vero, oppure venite a dire, che ho pagato, benché non sia vero. Dì su, ardireste di richiedere ad un cavaliere queste cose? No per certo. Come dunque le chiedi a Dio? Esclama Filone: quod ab amico non audes postulare, ad id Deum vocas? O cosa orribile, chiamare in testimonio Iddio per opprimere il prossimo. Ma che meraviglia che costoro spergiurando disprezzino l’Autorità Divina, mentre con i loro spergiuri giungono a far di peggio. Sapete quello che voi fate con giurare il falso? Voi con lo spergiurare in un certo modo rinegate Dio, rinunciate a Cristo, abiurate il Vangelo, negate la Chiesa, i Sacramenti con tutti gli articoli di nostra Fede e divenite ateisti. Ecco le parole di Damiano: Quisquis jusjurandum violat, a Christi se corpore separat, a Redemptionis humanæ misteriis alienat; chi viola il giuramento si separa, quale scomunicato, dal Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, ed aliena da sé tutti i Misteri dell’umana Redenzione. Quando ti viene offerto il libro de’ Vangeli, acciò che tu giuri sopra di quelli, tu dici così: è tanto vero ciò che io giuro, quanto è vero questo santo Vangelo; dunque, se è vero ciò, che tu giuri, vieni a dire, che è vero ciò che dice il Vangelo, e se giuri il falso, vieni a dire che è falso il sacrosanto Vangelo, ed è come se tu dicessi: non è vero che Cristo sia Figlio di Dio; non è vero che si sia incarnato per opera dello Spirito Santo; non è vero che sia nato di Maria Vergine; non è vero, che per noi abbia patito, e sia morto; non è vero che sia risorto, né salito al Cielo; nego che sia per venire a giudicare il mondo, nego il suo eternamente regnare in Cielo, nego Purgatorio, nego inferno, nego Paradiso, e dico in somma esser falso quanto contiene questo libro dei Vangeli. O Dio, si può sentir cose più indegne dalla bocca d’un ateo, e pure tutto ciò dice uno che giuri il falso sopra del Vangelo. Che farà dunque di questi spergiuri? Ve lo dicano le sacre carte .. – Venite meco al terzo de’ Re, ove vedrete per un spergiuro, castigata la persona, puniti i figli, sterminata la famiglia, rovinata la casa e perduto quanto mai nel mondo possedeva. Nabuccodonosor tolse la corona di Giudea a Giochimo, che con le sue scelleraggini se ne era reso indegno, e la pose in capo di Sedecia, ed il dichiarò re, constituit Regem Judae, e dichiaratolo suo tributario volle prestasse il giuramento di fedeltà. Giurò, ma spergiurò, perché con pensiero di non osservare il vassallaggio che giurava; onde soggiunge il sacro testo, che partito di li spergiurò, si riempì di scelleraggini … discessit, fecit omne malum in conspectu Domini, apostatò da Dio, si diede all’idolatria. Qui fo io una riflessione, e dico: gran cosa, di tante scelleraggini che colui commise, non parla il sacro testo che per queste fosse castigato, ma lo dichiara bensì castigato per lo spergiuro. Così è, così è, tutta la collera e lo sdegno Divino va a cadere sopra del giuramento falso, perché Dio abborrisce tanto chi spergiura, che quasi si scorda d’ogn’altra scelleraggine per castigar questa, e contro di questa si mostra implacabilmente sdegnato; permise dunque Dio che fosse catturato e condotto in Babilonia, ove processato sotto i comandi di Nabucco, fu condannato a morte; né qui finì lo sdegno, poiché, presi i figli, su gli occhi del padre furono fatti scannare. Di più. Ecco la città tutta a fuoco, a sangue; i Tempii, i Palazzi, le mura s’abbruciano, s’inceneriscono. Che dite UU. miei? Iddio è implacabile contro chi spergiura. Di tanto v’assicura Crisostomo, oracolo della Chiesa, segretario di Paolo Apostolo. Intendetela, Dio è implacabile contro chi spergiura, e se tale si mostrò nel vecchio Testamento, tale ancora si è mostrato nel nuovo. Servavi un caso solo spaventoso per tanti che potrei narrarvi, E voi figli infelici, che nascete da padri spergiuri, preparatevi alle vostre rovine, perché Iddio vuole spiantata da’ fondamenti quella casa ove sono spergiuri. In Corsica presso San Bonifacio rimase vedova una donna dabbene a cui il marito, morendo, lasciò trecento ducati per accasare, a suo tempo, una figlia, unico frutto delle loro onorate nozze. Or la bontà di quella semplice donna che dubitava, temendo il danaro le fosse rubato, consigliatasi, lo consegnò ad un suo vicino, totalmente lontana dal sospettare quella frode in altri, che non ammetteva in sé. Cresciuta la figlia in età da maritarsi, domandò il danaro al conoscente, il quale, accecato dall’interesse, negò sfacciatamente d’aver avuto nulla, e se nulla vuoi, disse, va’, chiamami alla giustizia. Afflitta la meschina portò a piangerci amaramente al giudice, adducendo solamente per testimonio la rea moglie del perfido marito. Chiamato in corte l’uomo malvagio con la consorte, si diede loro il solito giuramento, e l’una e l’altro giurarono sopra la propria vita e de’ poveri figli, che nulla sapevano intorno a’ danari. Ma, o Divina Giustizia quanto siete terribile! Tre figli avevano questi due spergiuri, uno di due mesi, di cinque anni l’altro, di venticinque il terzo. Tornata a casa la madre trovò sotto la culla estinto il suo piccolo figliolino, e conoscendo il divino castigo che già arriva, invece di chieder perdono, disperata, uccide l’altro putto con un coltello, né qui termina la tragedia. Giunge il marito, ed attonito per lo spettacolo de’ due figli uccisi, agitato da fieri rimorsi di coscienza, montato in rabbia, con una spada passò petto alla moglie, ed empiendo di grida il vicinato, come la casa era piena di sangue, scoprì da sé gli eccessi. Ecco la Corte che, preso quell’empio col ferro ancor grondante di vivo sangue, lo condanna a morte. Parerà a voi miei UU., che tanto bastasse per punire un giuramento falso, ma non bastò a Dio. Udite e non inorridite, se potete. Mancava in quel paese il carnefice per eseguire la sentenza di morte, quando ecco che ad effettuarla si offre il di lui figlio stesso primogenito, che si fece avanti per vendicare la morte della madre a lui sì cara, vinse col furore la vergogna, montò le scale ed eseguì la sentenza, strozzando su la forca il proprio padre spergiuro, e di poi fattolo in quarti si palesò ingiusto con un atto di somma giustizia. Né qui si quietò la vendetta divina, poiché, passato il furor della rabbia nel giovane, e riflettendo alla ignominia ritratta per essersi fatto carnefice del proprio padre, uccise con quella mano parricida anche se stesso. Intendete o iniqui la protesta che fece Iddio allorché disse, che la maledizione sarebbe discesa sopra gli spergiuri, né mai si farebbe partita, finché non avesse finito di sterminarli da’ fondamenti: maledictio veniet ad Domum jurantis in nomine meo mendaciter; ma non basta che vi venga, vi abiterà, e commorabitur in medio Domus ejus; e di più la consumerà fino a ridurre in polvere quanto vi è dentro, et consumet eam, ligna, et lapides ejus. Criftiani, il giurare il falso è un mettere in rovina totale le vostre case, in evidente pericolo di dannarsi l’anima. Povere case, che avete i vostri capi che spergiurano. Poveri figli che nascete da padri spergiuri. Povere figlie, che per vostra disgrazia siete figlie di spergiure, vi compatisco, perché temo alle vostre persone, alle vostre case rovine irreparabili, non recedet a domo illius plaga, sempre saranno sotto il flagello di Dio! Quando vedete che una casa comincia a dare indietro, gli mancano l’entrate, non può più vivere col primiero splendore, troverassi d’ordinario che o vi fu, o v’è un spergiuro. Assicuratevi che al Mondo non v’è peccatore più iniquo e perverso dello spergiuro. Ogni peccatore ricusa, dice il Santo David, d’aver Iddio presente alle sue iniquità; dixit insipiens in corde suo non est Deus, solo lo spergiuro lo vuol presente, e lo chiama per testimonio delle sue scelleraggini. Poveri loro, che non avranno chi l’aiuti, essendo in dispetto anche ai Santi. San Gregorio fa questa osservazione, che a suo tempo venivano ai sepolcri de’ Santi Martiri, gl’infermi e guarivano, gl’indemoniati e si liberavano; ma se venivano gli spergiuri, questi più che mai erano travagliati da’ loro mali; ad Martyrum sepulchra veniunt ægri, et sanantur, veniunt dæmoniaci curantur, veniunt perjuri, a demonio vexantur; se la sono presa con Dio, e però par che non trovino, neppur pietà ne’ tempii, e par che loro intervenga, come suole avvenire nelle cause contrarie al Principe, per le quali non si trova né avvocato che scriva, né procuratore che voglia agitare la lite, né giudice che sentenzi; hanno troppo vilipesa l’autorità di Dio con i loro spergiuri. – Ah lingue indegne raffrenatevi, e giacché v’ho mostrato quanto indegna cosa sia, ed a quali castighi vi porti non solo il vilipendio del Nome di Dio negli inutili giuramenti, ma molto più il disprezzo dell’Autorità divina negli spergiuri, sappiate che questi, come gradino alle bestemmie, vi condurranno a disprezzarne la Maestà, e di conseguenza alla, quasi dissi, sicura perdita dell’anima vostra. Intendetela, quanto e difficile non mentire a chi giura, altrettanto è difficile non bestemmiare a chi spergiura, non essendovi dallo spergiuro alla bestemmia, che un breve traghetto. Accade in quest’affare ad un’anima, ciò che avviene ad una piazza assediata, finché si difendono le fortificazioni esteriori non vi è paura; ma come l’inimico arriva a sbucar nel fosso è agevolissimo che dal fosso arrivi a piantare vittoriosa bandiera sopra le muraglie. Appigliatevi dunque, miei UU., al consiglio di Cristo in San Matteo al quinto: nolite jurare omninò; non giurate senza cagione molto grave, altrimenti il giuramento vano, in breve aprirà la strada allo spergiuro, e questo alle bestemmie, come s’avviene per ordinario che pochi soldati lasciati incautamente salire sul muro aprono poi le porte al grosso dell’esercito che è di fuori; temete questo gran pericolo di passare dal giuramento agli spergiuri, e dallo spergiuro alle bestemmie. – Sapete voi quello vuol dire bestemmiare: vuol dire che, siccome con lo spergiuro si strapazza l’autorità divina, così con le bestemmie si strapazza la Maestà. Questo è quello che voi fate con quelle vostre bestemmie, non solo semplici, ma talora ereticali. Sapete a che segno arrivate con le vostre sacrileghe bocche (perdonatemi Angeli Santi del Paradiso, se io mi servo degli scellerati termini di questi indegni, altro fine non ho che emendare il peccatore, e pur temo che non mi si ascriva a colpa) arrivate a dire, lo dirò con parola meno indegna; ma no, perché tuttavia, me l’impedisce il rossore. Cieli, e perché tenete oziosi i fulmini? Mare, e perché non allaghi la terra che contiene questi empi? Terra, e perché non li subissi? Quello però che più aggrava il vostro esecrabile delitto è quel non capirsi a qual fine, per qual pretesto, con che speranza d’utile, voi v’induciate a bestemmiare. Certo che voi non bestemmiate per gusto, perché i bestemmiatori si cibano di veleno amarissimo, né pur di reputazione, perché, se è infame chi bestemmia il suo Principe,
conforme la legge, quanto sarà più infame chi bestemmia il Principe de’ Principi: Rex Regum; né tampoco d’interesse, perché dopo aver bestemmiato non hanno accresciute le loro facoltà, né soddisfatto a’ loro creditori. O che pazzi, o che stolti sono mai i bestemmiatori, perché senza un’ombra d’utile assassinano l’anima loro con colpe gravi. Dio immortale, (perdonate al mio parlare) che i vendicativi vi oltraggino con le vendette hanno pure qualche diletto in quello sfogo di vendetta; che i sensuali v’offendano con le loro sensualità è un gran male, ma pure hanno il piacere nelle loro sfrenatezze; che tanti s’ingrassino con la roba altrui, è deplorabile, ma finalmente ne provano qualche utilità. Ma questi bestemmiatori indegni, che ne ritraggono dal loro sputare in faccia de’ Santi, della Vergine, di Dio, le loro bestemmie? Nulla, nulla, tutta è malizia d’inferno. Il bestemmiatore supera la malizia del diavolo, perché, se il diavolo bestemmia Iddio, lo bestemmia, perché è tormentato con pena di fuoco, e fuoco eterno, ma esso bestemmia quando è favorito con benefizi. Arrossitevi al racconto d’un fatto degno. Quel Santo Vescovo di Smirne, Policarpo, fu in età cadente citato al tribunale del proconsole come adoratore di Cristo. Era però di tal fama presso ognuno, che anche i nemici ne avevano venerazione; onde è, che quello stesso tiranno, che prima lo citò per ucciderlo come reo, dopo bramò salvarlo come innocente; ma non potendo ottener da lui, né con preghi, né con promesse, né con terrori, che ritrattasse la Religione Cristiana, gli fece per ultimo queto partito, che egli, se non col cuore, almeno con la lingua bestemmiasse una sol volta il Nome di Dio, e se ciò faceva gli prometteva di mandarlo subito alla sua Chiesa, non solamente libero d’ogni insulto, ma carico di doni. A questa diabolica proposta si riempì d’un Santo orrore il venerabile vecchio; indi, alzati gli occhi al Cielo: sono, disse, ottantasei anni che io servo questo Signore dal quale, non solo non ho ricevuto disgusti, ma sommi benefici, e come posso indurmi à betemmiare un tanto padrone? Sono venti anni, sono trenta, sono cinquanta, o peccatore, che questo padrone ti benefica con roba, con figliolanza, e tu in ricompensa, altro non fai che bestemmiarlo. Ma non dubitare, che Dio ti castigherà, quando meno te l’aspetti. –  Si racconta come si trovava in un circolo un bestemmiatore, il quale fu sì preso, e gli fu detto, che Dio l’avrebbe castigato, ed egli rispose sfacciatamente: che vuol farmi Iddio? Sì è? Lo vedrai adesso; non ti vuol mandare fulmini dal Cielo che t’inceneriscano, né terremoti che ti subissino. Ecco, come vuole castigarti. Ecco, che per aria si fa vedere un piccolo moscerino, il quale girando e ronzandosi posò sul naso di quel bestemmiatore. Egli lo scaccia, torna il moscerino e lo manda via; ritorna e gli entra nel naso; procura di levarlo, ma non fi può; sale il moscerino alla testa, s’aiuta quel bestemmiatore. (Or vedi cosa può farti Iddio! ). Ed in un tratto alla vista di quelli amici dà il meschino tre girate tondo tondo, e cadde morto. Ecco il fine di questi superbi, così son trattati da Dio. Che farà di te, se non t’emendi? – O Padre, è vero, che bestemmio, ma solo quando sono in collera, ed io vi rispondo è possibile che per le vostre rabbie, e per i dardi della vostra lingua non abbiate bersaglio più vile di quello del Nome della Vergine, di Dio? Mancano forse altre parole per sfogar la vostra collera; e poi per questo siete rei, perché nominate Dio in collera! Giacché nominarlo con riverenza non è male. Padre, io non bestemmio in collera, ma per una mala consuetudine, per una maledetta usanza; neppur questo vi scusa, ma v’aggrava, perché è segno, che avete bestemmiato più lungamente. “UU., se tra voi v’è chi abbia sì brutto vizio, lo lasci presto, perché ogni indugio gli costerà assai, e forse la morte eterna. Non vi è segno peggiore per un infermo, che mandar fuori una respirazione del tutto fredda, frigida respiratio lætalis, dice Ippocrate. È cattivo segno, non v’ha dubbio, aver fredde le mani, freddi i piedi; ma, se sia freddo il fiato, aprite la sepoltura, perché l’infermo già muore. Così dico io de’ mali dell’anima; se sarete freddi nelle mani fino a non fare un’opera buona d’una limosina, se sarete freddi ne’ piedi fino a non aspirare né pur di farla, male; ma pure potrete sperare di salvarvi; ma quando in voi si scorga anche freddo il fiato, l’alito, ch’è quanto dire, quando non solo non onoriate Dio con le opere, ma di più lo strapazziate con spergiuri e bestemmie, questo respiro così freddo e mortale, frigida respiratio lætalis, l’inferno può dirsi aperto per voi. Nelle nostre lettere annue si legge che uno de’ nostri Padri nella Città del Messico, andò a confessare i prigionieri, e fu da essi avvertito che vi era fra di loro un gran bestemmiatore, affinché venendo ai suoi piedi lo correggesse di buona maniera. Ma se lo scellerato lasciò di confessarsi, non lasciò però il Padre di fargli un’amorevole correzione dicendogli, che non strapazzasse Iddio con quelle orride bestemmie, e, se non vi emenderete, dissegli, aspettatevi pure l’inferno. Che inferno? soggiunse quell’iniquo. Io voglio bestemmiare più che mai per farvi dispetto. Vedendosi dal Sacerdote tanta protervia, lo lasciò stare, e solo nel partire soggiunse: presto v’accorgerete a chi avrete fatto dispetto. Venne la sera, e l’indegno bestemmiatore si pose quietamente a dormire nella sua prigione, come se nulla avesse di debito con Dio. Ma nel meglio del sonno comparvero due demoni, uno con lanterna in mano, e l’altro con le mani del tutto libere; lo svegliarono di fretta, e gli dissero: tu sei quell’infame, che vuoi bestemmiare per far dispetto al confessore? Or bene, la pagherai, ed in così dire, quel diavolo che nulla aveva nelle mani, l’afferrò e lo cominciò a gettare in alto come un pallone ed ogni volta che cadeva giù, gli dava un gran colpo nella bocca. Così, doppo averlo ben ben pestato, lo pose in terra, e pigliatagli a forza la lingua, gliela cucì al palato, e si partirono. La mattina seguente, nell’entrar che fece il soprastante delle carceri a rivedere le prigioni, vide questo spettacolo, e vide, che l’indegno non poteva più parlare se non con i cenni. Si chiamò il cerusico, il quale, vedutolo, disse non esser male per la sua cura. Si chiamò il confeffore, ma neppur questo poté far nulla; onde il sacrilego bestemmiatore morì con la lingua attaccata al palato. Voi dite che questo fu un gran castigo; ma io dico: piacesse a Dio, che se molti di quelli che son rei di simile peccato fossero castigati in simil modo, così almeno perderebbero quell’istrumento della loro dannazione, che è quella lingua iniqua, con la quale bestemmiano. Ecco che, per ultimo rimedio voglio usar con voi quell’arte appunto, che si usa con i basilischi per ucciderli; gli si mette avanti gli occhi uno specchio, sicché alla orribilissima vista del loro sembiante muoiono. Così io pure vi pongo avanti gli occhi l’esecrabile malizia delle vostre bestemmie, chiamate da Cristo medesimo peccato irremissibile, perché quantunque assolutamente parlando non vi sia piaga che col balsamo della penitenza non sia sanabile, con tutto ciò, questa è tra tutte si putrida, che rare volte si sana. Voi con questo vostro linguaggio ben mostrate a qual patria apparteniate: la vostra patria, o bestemmiatori, è l’inferno; siete concittadini de’ diavoli, e de’ dannati, tra le vostre bestemmie e quelle de’ diavoli vi passa una straordinaria corrispondenza, e si formano due cori di musica, uno sotto terra, l’altro sopra terra, sicché simili a loro nel bestemmiare di qua, gli farete simili eternamente bestemmiando di là.

LIMOSINA
Il dare a’ poveri, Cristiani miei, non è perdere il suo, ma è cambiarlo in meglio, è un darlo ad usura nelle mani di Dio, dove ogni granellino sparso moltiplica a mille e mille. Da Altissimo, septies tantum reddet tibi. Da’ pure a Dio, a proporzione di quello egli ha dato a te, e vedrai quanto ti frutterà; avrete da fare con un Signore che non si lascia vincere di cortesia, e che senza paragone vi darà più di quello voi deste a lui ne’ suoi poverelli. Così appunto tratta il Cielo con la terra, toglie da lei alcuni vapori inutili, e glieli rimanda poi sopra in rugiada, allattando le Piante.

SECONDA PARTE.

Questa predica par fatta solamente per gl’uomini; molte però di queste donne s’accusano d’aver bestemmiato anche loro, ma per verità le loro bestemmie d’ordinario non sono che imprecazioni e verso de’ loro figliuoli, o del prossimo, o di loro, e talora alle creature irragionevoli, pregandoli qualche male, dicendo: che tu arrabbi, che ti rompi il collo, e simile. Queste non son bestemmie, ma imprecazioni, dalle quali bisogna guardarsi, prima perché son di disgusto a Dio, poi perché fanno male all’anima vostra, poi perché molte volte il Signore permette che accadano, benché voi non le diciate di cuore; sopra tutto avvertite di non mandarle a’ vostri figli. Udite ciò che si racconta nella vita di San Zenone Martire. Una povera madre aveva un figlio solo, e tornata la sera a casa, trova che al ragazzo è venuta una gran febbre, lo pone a letto, ove anche ella voleva riposare, ma non fu possibile, perché il figliuolo bruciando di sete, ad ogni tratto la svegliava con dire: mamma, da bere; e la madre per l’amor che gli portava si levava, e lo consolava; si levò la poverina per tanto da trenta volte senza adirarsi, e l’ultima volta si lasciò vincere talmente dalla passione che, dandoli da bere, gli disse: va’, che possa bere un diavolo, e così avvenne, poiché entrò subito il diavolo addosso al figliuolo. Immaginatevi il dolore della povera madre, pianse amaramente, lo condusse al Sepolcro di San Zenone, e fu liberato. Un’altra madre diceva ben spesso ad una sua figlia … che ti mangino i lupi, ed una mattina, tornando dalla Messa, trovò che il lupo l’aveva portata via, e solamente gli lasciò in testimonio la testa. Un padre sempre diceva al suo figlio: che tu possa abbruciare; volete altro, si dié fuoco alla Chiesa de’ PP. Francescani in una città di Toscana, ed il figlio vi restò arso. Né solamente il Signore permette che vengano addosso quelle imprecazioni che mandiamo ad altri, ma quelle ancora che fulminiamo contro di noi. Sentite, caso spaventoso riferito da Martino del Rio .. In Sassonia, una fanciulla aveva data parola ferma ad un giovane di sposarsi con esso lui, con l’aggiunta di questa imprecazione: se non vi piglio, il demonio mi porti via. Si raffreddò l’amore e la giovane si cambiò talmente, che si accasò con un altro. Seguirono le nozze, e finito il convito, cominciossi un ballo di festa, il quale per l’infelice sposa, fu un ballo di funerale; imperocché comparvero due diavoli in abito di giovani forestieri, ed introdottisi a ballare, presero in mezzo la sposa per più onorarla; ma dopo alcuni giri, levarono seco in alto, a guisa di due sparvieri la preda fatta, e se la portarono via. Immaginatevi pure che i suoni si cambiarono in pianto, e le allegrezze in terrore, tanto più che il di seguente, sulla stessa ora, comparvero gl’istessi giovani con gl’abiti, con gli anelli, col vezzo, con tutti gli ornamenti della sposa da loro rapita, e gettatili avanti la dolente madre, gli dissero: prendi pur queste robe, che a noi basta l’anima della tua figlia. – Inoltre, con queste imprecazioni che dite nelle vostre case, date un pessimo esempio alla famiglia, sicché i vostri figli le imparano e questo poi e il linguaggio col quale parlava. In Liegi si smarrì un piccolo figliolino, e preso con carità da alcuni per ricondurlo alla propria casa, gli dissero: chi è tuo padre? Rispose, il diavolo. Chi tua madre? il diavolo. Qual è la tua casa? La casa del diavolo. Queste erano le riposte, e perché? Perché in casa non si sentiva altro che dire, salvo che il diavolo ti porti; questa è la casa del diavolo; il marito alla moglie, sei un diavolo; così la moglie al marito. Signori confessori, quando le madri, ed i padri si lamentano de’ figli scorretti, invece di compatirli, dite loro: ben vi stà, voi li allevate malamente. Contentatevi, che io per ultimo me la prenda anche con certe donne, e certi uomini, i quali fanno lega col demonio, ricorrendo a lui con indegne superstizioni, perché li aiuti a vincere nel gioco, a sortire uno sposalizio, a sapere un segreto, a liberarsi da’ colpi delle armi nemiche, a torsi qualche male d’occhio, di stomaco, di sciatica, e che so io. O poveri voi, se praticate quest’arte diabolica! Ne mi state a dire: Padre, le pollize che fo, le parole che dico per guarire il male, per sapere il segreto, per far che le palle non feriscano, son buone; Che importa che le parole siano buone, se poi ve ne mescolate delle cattive; per viziare una cosa buona, basta mescolarvene delle cattive. La vipera non è tutta velenosa, e pure quel tossico, che ella ha, è sufficiente a dar la morte. Questi che praticano le superstizioni hanno commercio col diavolo, mentre con patti se non espressi, almeno taciti se l’intendono con esso, e perciò sono nemici giurati di Dio: Inimicus meus, qui versatur cum inimicis meis, così parla la legge. O Padre, queste superstizioni ei giovano per liberarci da vari mali, per liberar le nostre bestie, per farci trovar danari. O pazzi che siete, io vorrei prima morir mille volte che vincere col demonio. Avvertite bene, che se il demonio vi risana, vi risana per darvi la morte; se or vi libera la bestia, di qui a poco ve la farà precipitare; se or vi libera il figlio, di qui a poco ve lo farà cader nelle braci; vi promette molto e poi vi toglie tutto. Così appunto intervenne a quel misero giovane in Roma, il quale, dopo aver dato fondo ad un ottimo patrimonio, ricorse al diavolo per via di superstizioni per cavarne un tesoro; ebbe ad intendere che il demonio da lui chiamato con la superstizione, non conosceva altro tesoro, che quello, che il misero gli voleva dare dell’anima sua. Ecco dunque, che una notte sentì bussare alla sua camera, e chiedendo chi fosse, udì rispondersi: sono il diavolo da te chiamato con le superstizioni: eccomi, aprimi; gli aprì con qualche terrore, e presa una spada in mano, e con l’altra appesasi un’immagine della Madonna al collo (per averla, come vorrebbero la maggior parte degl’uomini: Avvocata non de’ peccatori, ma del peccato) S’incamminò al luogo del tesoro, ove trovò un monte d’oro, d’argento e di gioie; ma credete voi, che gioisse a questa vista? che stendesse le mani? Appunto, fu subito preso da un grande orrore; gli scorse per le vene gelo di morte, e con poco fiato ricondottosi nel suo letto in capo a tre dì, morì. Questo è il fine di chi se la tiene col diavolo con le superstizioni: domandate a Dio, ai Santi, ciò che volete, e non al diavolo vostro nemico: Qui porrigit Pomum, surripit Paradisum; vi mostra un pomo, e vi toglie il Paradiso…

QUARESIMALE (XVIII)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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