LO SCUDO DELLA FEDE (201)

LO SCUDO DELLA FEDE (201)

DIO GI LIBERI CHE SAPIENTI!.

CI VORREBBERO FAR PERDERE LA TESTA! (4)

PER Monsig. BELASIO

TORINO, 1878

TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA

San Pier d’Arena – Nizza Marittima.

§ II.

Il secondo errore eguale al primo é il negare la creazione, sognando invece le trasformazioni.

(DARVINISMO).

Spez. Io la ringrazio, signor parroco. Oh! se venissero un po’ a ragionar con lei così alla buona quei tali, intenderebbero che gli increduli li ingannano: per poi tradirli all’uopo orrendamente. Ma che vuole? par che il diavolo li aizzi come cani ad abbaiare una e poi un’altra bestialità, là a casaccio… Veda di fatto, che mentre si vantano essi di non credere più niente, si sbracciano a far credere a noi (e solo perché lo dicono essi) che tutte le creature che vediamo vennero fuori dalla terra, senza che vi sia entrato Dio a formarle!

Par. È proprio così! chi non vuole più credere in Dio, è come un navigante che ha perduta la bussola in mar torbido e fortunoso, va trabalzato dall’uno scoglio all’altro, finché si sprofonda a naufragare. Voi ricordate lor di tener l’occhio alla bussola; che è la fede in Dio, se non vogliono, pazzamente perdere fino il buon senso. Tutti che credono al Creatore, col solo buon senso vedendo come le piante son prodotte da altre simili piante, e come gli animali son generati da animali parimenti della specie istessa, guardano le diverse specie delle piante e degli animali, come tante catene in cui gli anelli discendono l’un giù dagli altri. Come tengono poi per certo, senza neppur pensarvi sopra, che i primi anelli sono fissi alla volta da cui discendono; così sono pure. Certi che la prima pianta e il primo animale scendon giù dalla mano di Dio che li sostiene a continuare la loro discendenza. Udite come l’ebbe «dimostrato una buona donnicciola colla massima. semplicità. – Si racconta che Voltaire vedendo una donna che accarezzava una gallina, si sentiva in vena di scherzare: e « buona donna; le disse, vi è ben cara questa gallina? » — Ed essa: Eh signore, mi dà lei un ovo tutti li dì? — Ed il filosofo: « Ma quella gallina, com’è che voi l’avete avuta? » — E quella: « Mi è nata in casa da un ovo. » — « E quest’ovo da chi mai? » — « Da un’altra gallina. » — « Ma e la gallina prima?… — Allora quella: « Eh, signore, lo sanno fino i bambini che vanno al catechismo, che Dio creò il cielo e la terra e tutte le cose che sono in essi. » Voltaire restò lì sopra pensiero un istante!.. Poi: « Oh la brava, perché tu credi al catechismo, parli meglio di tutti questi che pretendono di saper tutto e non sanno spiegare niente !… » Tacque qui; ma il signor di Voltaire poteva dire ancora che quella buona massaia mostrava di aver più buon senso di quel tale così dotto astronomo (lo van dicendo di Arago), il quale sopra morte interrogato, se avesse nelle vita sua adorato ben Iddio? rispose: « Non ho avuto tempo di pensarvi! » Almeno la brava donnicciola teneva d’acconto la gallina, perchè le piaceva l’ovo da lei fatto; e quel dotto senza cuore ammirava le stelle, e si dimenticava di Dio che le creò!…

Spez. Lasciate fare a me, che lo voglio raccontare anch’io, per dare una buona rimbeccata a quei superbi, che non vogliono sentir parlare di Dio. – Ma io vorrei saper rispondere proprio a tono, quando dicono là, che le piante, gli animali e fin gli uomini vengon tutti prodotti dalla terra?

Par. Eh eh, adagio adagio a ma’ passi, dite loro; perché chi va saltellando tra gli abissi, cade certo a rompicollo. Ma sapete che avete fatti i grandi salti con queste poche parole! Dalla terra siete saltato alle piante, dalle piante agli animali, e dagli animali fino agli uomini. Pare a voi la poca cosa eh?…. Ma non sapete che dall’uno all’altro di questi generi di creature vi è una differenza tanto grande, un vero abisso di distanza che nessun uomo può misurarlo colla mente! Ve lo farò capire. Se aveste: voi scavata la terra in fondo in fondo (come la scavarono i geologi, cioè quegli scienziati che la vanno rovistando per conoscervi qualche cosa); avreste trovato, come. quelli, che là non vi era neppur un segno di piante e d’animali. Era dunque là la terra; e chi sa per quanto tempo? in prima come cosa morta senza produrre niente affatto.» – Ora, per cominciare poi a formar le prime piante, sì che dovette la terra pensar tanto come doveva formarsi bene le radici, i fusti e tante foglie, e stender quei filamenti sottilissimi, ed intrecciar le costoline e far i buchi da passare dentro gli elementi, e poi e poi… eh non so io, né sanno gli altri dir ben tutti come sieno formati quegli organi così minuti. Pensarlo?… Sarebbe ancora poco; e poi è più ancora mettersi a far tutto! Eppure quelle teste matte, come se niente fosse il poter fare tanti miracoli di cose, dicon li, con una parola « che la terra si è sviluppata in piante!» Come la san lunga!… Ma poi la terra quando si è fatta piante di se stessa, e le dovette venir voglia di diventare animali, bisognava che inventasse che cosa fossero gli animali dei quali non s’era mai veduto neppur uno; e poi s’andasse a provvedere chi sa dove? quelle tali cose che si chiamano anime che fan muovere e sentire. Poiché sentire e muover e muoversi spontaneamente come fanno gli animali, deve esser ben diverso dallo stare lì piantati come un albero insensibile… Aspettate!. Ma e poi quando la terra fattasi piante ed animali, questi si sentirono l’ambizione di diventare uomini da comandare a tutti; allora sì! che dovettero studiar bene di crearsi dei figliuoli un po’ migliori, e di quella bellezza che non si avevano mai veduti tra quei brutti ceffi di scimmioni d’ogni specie. E poi e poi, che inventassero delle anime capaci d’imparare a ragionare: ché di ragione gli animali non ne vollero mai sapere. Bisognava dunque che la terra, altro altro che far evoluzioni e trasformarsi da una specie all’altra come sono le creature! bisognava adunque che la terra prima se le sapesse tutte immaginare? anzi anzi, aver la potenza di far tutto e la sapienza di far tutto in così bell’ordine! Bisognava adunque che la terra fosse sapientissima, onnipotente provvidentissima da sapere, da potere crear tutto, e tutto conservare… Oh vedete che disgrazia, di coloro che se non vogliono credere in Dio Creatore. onnipotente; diventano. Così matti da credere che sia la terra creatore onnipotente, creatori anche le piante, e creatori di noi uomini siano le bestie!

Spez. Che sapienti!… Ma hanno perduto proprio la testa. Ma abbiate la bontà di darmi la risposta che io possa dare, quando diranno: che le creature, o gli esseri, come dicono essi, son così simili tra loro che certe piante si confondono colla terra e certi animali si confondono colle piante e certi uomini colle bestie, sicché dicono: che si conosce che le cose si trasformarono l’una nell’altra.

Par. Eh! ne avrebbero stavolta detta una mezzo vera, ché proprio certi uomini si confondon colle bestie, alla maniera che dicono ed operano senza ragione! È però vero che le creature terrestri si somigliano in qualche cosa che tutte hanno insieme con sé. Tutte hanno della materia di cui son formati tutti i corpi; ma oltre la materia che le piante han dentro loro, essi han gli organi che le compongono, e cogli organi la forza di vegetare, e questa forza non è cosa materiale. Così pure gli animali hanno fili, vene, organi insomma adattati a loro; ma col corpo organizzato han la forza di sentire, han l’istinto di muoversi e andar a cercare ciò che loro è necessario, e questa forza di sentire non è cosa materiale, né una conformazione di parti organizzate come sono le piante; ma è l’anima per cui essi sono animati. Così anche degli uomini poté dire un gran dotto, che è S. Gregorio, che noi uomini in certo qual modo siamo esseri materiali come la terra, vegetanti come le piante, animati come gli animali. Ma se in queste cose siamo simili agli animali, noi nel corpo animato, abbiam però poi anche l’anima ragionevole, per cui siam diversi assai assai e superiori a tutti; poiché coll’anima ragionevole siamo simili fino agli Angeli. Ma a divertirvi, voglio raccontarvi un fatterello che darebbe una lezione assai solenne, per far capire come noi uomini siam diversi da tutt’altre creature. Fu un di un maestro che nella scuola tecnica parlava di tutto e spiegava anche quello che non aveva mai studiato, credendosi licenziato in ogni scienza come un professore enciclopedico che conoscesse tutte le cose, e più altro ancora. Solo perché aveva passeggiato sotto i portici dell’Università, e udito cinguettar di Darvinismo, voleva dare prova di tutto il suo sapere con far solennemente una gran lezione. E là a sciorinare, che in tutto l’universo era materia, che si era trasformata da terra in piante e da piante in animali, eccetera, eccetera!… E siccome i paperi a gracchiare dall’oca grande, così egli aveva imparato da un grande professore a conchiudere vociando: (con divozione si direbbe) Oh metamorfosi della materia, sacra parola, al solo pronunciarti mi sento destar nel petto un senso di profonda venerazione…» poi ai suoi scolari: « Colti giovani, siate spregiudicati e non lasciatevi ingannare da qualche sentimento di debolezza!… » Quei giovani che si ridevano sotto labbra di quel sciocco buffone… ai quali bastava l’animo di fargliene delle belle, vollero mettere in pratica la lezione in un modo assai bizzarro, da cavargli la voglia di replicarla al solito. Lo aspettaron uniti insieme in corpo all’uscio della scuola, e all’uscirne fu un battere le mani a lui tutti d’intorno. Ei si ringalluzziva tutto dicendo in suo cuore: « che gran lezione ho mai fatto io! eh! Se sono un professore da esser chiamato all’Ateneo!» Ma gli arditi gli si serraron alla vita, e il sollevaron tra le braccia in alto in alto… Egli, che credeva lo portassero in trionfo, a gridar subito: « Troppo ono…. e muta il grido in «ahi! » quando lo stramazzarono per terra. Meschinello!.. rotta la testa!.. mise un gemito « son rovinato!… aiuto! » Ma gli scolari nello sghignazzio, da buoni spregiudicati senza sentimento: « È proprio terra il signor maestro! è caduto come una gran motta di terra!..» — Ma il povero maestro grida: « Aiuto! aiuto!… mi sento morire!… Ho paura!..» Ed essi a scherno: « Eh eh, signor maestro, e se si muore?… è niente è niente, è un po’ di terra che fa la sua evoluzione!..» Io credo che allora anche il maestro maledisse il Darvinismo!

Spez. La ci andava una simile lezione a questo sciocco che voleva fare lo scienziato! È tanto spiritoso il brutto giuoco, che muove più il riso che la compassione! Ma mi dica ancora, perché io possa rispondere a’ miei signori: Non potrebbero le piante e gli animali diventar migliori per la coltura e collo svilupparsi sempre in meglio farsi col tempo di una razza più bella?

Par. Rispondete che per diventare migliore una cosa, deve essere in prima già la cosa che la si debba migliorare. Così voi potete nel vostro orto; come il Darwin nel suo, coltivare le cipolle, e diventeranno più grosse; saranno però sempre cipolle; coltivate i cavoli, ma non si cambieranno in. Bestioline di nessuna sorta; coltivate i piccoli polli, non diventeranno mai le graziose colombine. Da tutte piante, come da tutte bestie, vengon su piante e nascon sempre bestie della stessa natura di quelle che le hanno prodotte. Questo si è sempre veduto dacché mondo è mondo. Si trovan diffatti negli antichissimi sepolcri di mille e mille anni fa grani; serpenti e scimmie che erano stati imbalsamati coi cadaveri umani; ebbene, son proprio gli stessi grani, i quali, ancor seminati da noi, danno grani come quelli antichissimi, e sono gli stessi serpenti che strisciano ancor là nelle sabbie abbruciate dell’Africa, gli stessi gatti delle cucine nostre e le istesse scimmie colle quattro zampe istesse che s’arrampicano sugli alberi oggidì; le quali poi, si vede, che mai non si sognaron, almen per sei mila anni, di farsi scimmie un po’ migliori. Insomma, le piante e gli animali vengon su coi loro caratteri particolari dal seme o germoglio, come l’ha creato Iddio. Così spunta una piantolina dal suo guscio, ma essa è già il piccol albero che potrà diventar grande come il castagno della regina Giovanna da tener all’ombra i cento cavalieri; ma più o men grossa, è sempre la pianta istessa. – Degli animali poi è da dire lo stesso. Nasca pur piccina la bestiolina, ma in sé ha già tutte quelle ossa che si vanno consolidando, e tutti quei muscoli e nervi e le più minute vene; sicché può diventar crescendo un grosso elefante; ma non cambierà mai: perché pel trasformarsi, cioè mutarsi in altro, sol cambiasse un osso solo, non potrebbe vivere come elefante, quale fu creato da Dio.

Spez. Oh! le belle cose che mi spiegate chiaramente! Ma essi piglian tutto in grosso, e dicono che certi animali si cambiano in altri animali più perfetti, migliorando la loro specie.

Par. Più perfetti?… ma ogni specie di animali ha tutte le parti necessarie per esser perfetta nella sua qualità; Dite loro: che l’uomo che più s’intende dell’anatomia degli animali, perché studiò tanto ciascun organo del loro corpo, il signor Cuvier, osservò che tutte le parti degli animali sono così create per servire all’animale di quella specie. Per esempio, dice egli, l’animale che mangia carne, non solo si conosce dagli artigli e dagli unghioni, ma ogni piccol muscolo del suo corpo è proporzionato alla forza, all’agilità, insomma a tutto ciò che si richiede dalla sua maniera di vivere. Sicché (lo dice egli) il dire che un animale possa trasmutarsi in altro, è un mostrar di avere, (notate, son sue parole,) la più grande ignoranza.

Spez. To? che me li ha bollati, in regola questi che pretendono, senz’aver studiato, darsi il vanto di mostrarsi gli scienziati, solo perché si vantano di non credere. Diede loro la patente di solenni ignoranti.

Par. Ma raccontate un fatto che darà prova che il signor Cuvier gliela poteva dare. Un dì nelle cave di calce di Montmartre presso Parigi furon « trovate delle  ossa, che egli conobbe non poter essere d’alcun degli animali che vivono ai nostri dì. Quindi pensò che quelle grand’ossa dovevano averne altre corrispondenti per far andare insieme il corpo degli animali. Pensò che sopra quelle ossa si dovevano stendere dei muscoli di carne in un tal modo; e così via via si mette a disegnare l’animale intiero come se l’immaginava egli che doveva essere. Fu poi trovato l’animale intiero; e si vide, meraviglia! era proprio simile al disegnato. Replicò poi la prova; da altre poche ossa di animali sconosciuti disegnò esattamente quali dovean essere quegli animali, e non la sbagliò mai. E sapete il perché? Perché conobbe esattamente che ciascun animale ha tutte le sue parti da Dio create per poter vivere. secondo la sua specie e la sua natura; né un animale potrebbe vivere, se mutasse un proprio osso, un nervo nella forma di un osso o d’un nervo che hanno animali di altra specie.

Spez. Eppure avrebbe da udirli come quei creatori a fantasia essi sanno la maniera, per cui gli animali di una vanno adagino mutandosi in animali di un’altra specie. E vanno dicendo che la inclinazione e la gran voglia di arrivare a pigliarsi qualche cosa, di godere e far sempre migliore vita fanno sviluppare negli animali le membra che hanno; e perfino, ma la senta una bella! perfino fanno lor nascere le membra che non si avevano prima.

Par. Oh oh! è proprio bella bella; ma però la potrebbe mutare in brutta pei poveri galantuomini… Ma sa egli, che se le inclinazioni, le brame potessero crear le membra che non si hanno, molti furfantoni che hanno tanta inclinazione, una brama viva viva, una calda foia ch’abbrucia a lor le carni addosso, oh se vel dico io! come metterebbero fuori certe alacce sulle spalle, da volare da grifoni nelle finestre ad arraffare nelle stanze l’oro che fa a loro tanta gola!… Quante si dicono stoltezze, mio caro, quando si ha perduto il ben di Dio ?…. Voi potete far intendere a chi ha ancora un po’ di ragione, che l’esercizio può bensì far diventare più robuste e grosse le membra che il Signore ha dato agli animali… ma non farne venire delle nuove?… Oh oh non mai! Io credo che neppur quando uom sogna, ei fantastica di aver le ali.

Spez. Sì, veramente sono. anch’io ben persuaso che col non credere più in Dio, si perde proprio la testa! Ma ascolti ancora quest’altra; e mi suggerisca come possa far loro credere che diventano ridicoli! Volendo dire che nell’universo tutto è materia e forza, non han vergogna di dire anche: che aggiungendo forza a forza si compongono le ragioni degli uomini, come io compongo i miei impiastri!

Par. E voi pigliate subito loro di bocca le loro parole istesse. O i miei belli scienziati, troppo bene mi avete detto, che tutto essendo materia e forza solamente, ogni atomo è sempre unito colla sua forza, e che ogni forza, la sia pur piccina piccina, ha sempre unito il suo granellino di materia. Adunque per far di un animale irragionevole un uomo ch’abbia la ragione, bisognerà metter nella bestia un’altra forza. Così aggiungendo forza a forza, aggiungeremo materia a materia… L’avete fatta la gran bella scoperta! Da bravi, avanti avanti, e per formare un uomo più dotto, fate un bestione ancor più grosso del mammouth… Ah ah sarà questo il sapientone, proprio il vero vostro Salomone!

Spez. Bisogna ridere per forza, anche quando non si ha voglia!

Par. Deh non ridete. Poiché è cosa che fa piangere il pensare che con tanti spropositi non solo si fa’ perdere la fede ed il buon senso, ma si fa spegnere ogni sentimento di bontà! Perché assuefandosi anche coloro che non sono malvagi ancora, a dir sempre così cattive cose alla spensierata, si finisce poi per crederle senza pensarvi più che tanto. Quindi col parlar sempre di materiali cose, coll’aggiungervi che tutto è sola Materia, si guardan fino le persone come fossero cose materiali, da servirsene, quando sì possa, a volontà. Avvisate i vostri amici, che avran forse da pentirsene. Quand’avranno i loro figli educati a queste scuole, ed in famiglie non sentiranno che parlar d’interessi e di far servire le persone a far meglio gl’interessi loro proprii… potranno poi far certi calcoli fin sulle persone dei loro padri…  Raccontate questo fatto per far intendere a quella buona gente, che « cosa si potrebbe volere far finanche di questa povera carne umana. Inorridite alla crudeltà di questo calcolo innanzi alla pietà cristiana, udendo solamente a raccontarlo. Un dì una giovine sposa in un santo cimitero inginocchiata sulla tomba della buona sua madre, deponeva appié della croce. una corona di violette del pensiero con in mezzo un cuor fatto di rose, e a quella pietà il suo giovine sposo col cappello in mano dietro a lei pregava anch’esso. Poco lontano appoggiato le spalle ad una colonna un tale cupo cupo, col cappello all’americana giù sulla fronte, segnava alcune cifre sopra un suo portafoglio; e in quella dava di sbieco un’occhiata su quei due ridendo. A quel segno di confidenza lo sposo a lui: « Signore, disse, voi forse scrivete un qualche bel pensiero venuto anche a voi in questo luogo d’inspirazioni così care e sublimi?… » E l’altro crollando il capo con un far di beffa: « Superstizioni, esclama, superstizioni tanto dannose al progresso… Eh eh,. signore; bisogna elevarsi. Sopra questi bassi sentimenti… La scienza, la scienza, e non più superstizioni! Ora la scienza insegna che tutto quello che succede. non è che evoluzione della materia… Che mi parlate d’inspirazioni dell’anima? Se tutto è materia, egli bisogna trar partito dalla materia… Io faccio appunto il calcolo che il corpo di un cadavere pesa in media tanti chilogrammi: dunque da un cadavere si può cavare tanti chilogrammi di olio e tanti di colla; e poi colle ossa spolpate tanti chilogrammi di calce… Che gran capitale va perduto per la superstizione della Religione cristiana! » – Il giovine sposo diede in dietro un passo per ribrezzo, e la signora atterrita nascondevasi dietro al consorte, parendole in quel grifo uno sguardo da iena, che agognasse cogli unghioni di ferro a dissotterrare il cadavere della santa sua madre!

Spez. Mi sento venirmi fredda anch’io la vita, quando io penso che se la scienza di quei sapienti va innanzi ancor un poco, ve’ che mi vorranno gettare in una gran caldaia; pu pu!… fan troppo orrore. – Ma costoro, signor parroco, se non si credon di essere che materia, perché fan tanti calcoli per far l’interesse di un pizzico di materia?

Par. Mio buon signor amico, bisogna conoscerli per bene, e vorrei lo capissero tutti i cari nostri, come costoro guardano tutti gli altri come cose materiali da maneggiarsi senza sentimento; ma solo riserbano a se stessi di potere servirsi di tutti, per fare il proprio interesse. Pur vantandosi d’esser i soli sapienti, vanno dicendo d’esser filantropi, che amano tanto il popoletto!

Spez. L’ho sempre detto io:

DIO CI LIBERI!… CHE SAPIENTI?… CI VORREBBERO: FAR PERDERE LA TESTA … Ma dirò anche sempre : CHE FILANTROPI… FAN L’AMORE AL POPOLO COLLE UNGHIE E CO DENTI!….

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.